Votes taken by Er Mortadella

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    Ciao Dama, è stato un piacere, tra alti e bassi, momenti di fermento e momenti morti. Penso che hai fatto il tuo dovere e l'hai fatto anche bene.

    Ti auguro il meglio per il nuovo capitolo della tua vita e spero proprio un giorno di leggerli quei racconti, magari in una bella libreria, ne sarei davvero felice.

    Abbi cura di te ;)
  2. .
    Alcune di queste le dobbiamo trasformare in copypasta e incollarle in giro a caso per diminuire la qualità del forum
  3. .
    ATTENZIONE: la storia contiene descrizioni cruente che potrebbero risultare particolarmente disturbanti.





    Immagino di essere quello che chiameresti un tossicodipendente. Un fattone, addirittura.
    Alcol? No, non tocco quella roba. Io la bevo, hahaha. Non hai bisogno delle mani per farlo, ecco la battuta.
    Droghe? Insomma, qualche volta. Per divertirmi. Qualunque cosa tu abbia, se è gratis, me la sparo in vena o me la lecco, o fumo, infilo sotto la palpebra o sniffo direttamente nell’aorta. E non sono nemmeno tanto schizzinoso. Captain Cody, Skag, Mud, Fidgeridoo, Herbal Speedball, Organ Oil, Demmies, Miss Emma, Kickers, Mrs. O, Yog-Sothamines, XTC, Sneeze, R-Balls; se ce l’hai, me le prendo. Non sono dipendente da quella roba comunque.

    No, la mia unica dipendenza è estremamente semplice, eppure intollerabilmente difficile da soddisfare; ROBA FOTTUTAMENTE MALATA.
    E non sto parlando del comune snuff da dark web.
    Ho bisogno della roba seria.
    Deve avere a che fare con l’incapacità del mio cervello di produrre dopamina, oxitocina, serotonina e endorfine (la D.O.S.E.), questo secondo vari dottori online.
    Quindi è una condizione medica. Eppure non ho ancora trovato un medicinale che faccia al caso mio.

    In ogni caso, la mia condizione medica mi costringe ad immergermi negli angoli più degenerati della società. Tu avrai i tuoi oscuri club sconosciuti, feste omicide, festival degenerati sotterranei, teatri della tortura, ristoranti della decapitazione, e le strane orge di organi, ma quello che mi fa esondare la D.O.S.E. è quello di cui non senti mai parlare.
    Quello che devi trovare.
    Niente inviti, niente conferme di partecipazione. Un giorno scappano fuori all’improvviso come un chicco di popcorn, e prima che tu te ne accorga, non ci sono più.

    Sono stato a un po’ di questi eventi negli anni, e non deludono mai. Ti ho già detto dell’Incidente Baby Killer, sì? Allora hai capito di che sto parlando.
    Roba fottutamente malata!

    Mi sono imbattuto in questa per Caso.

    Caso nel senso che questa spogliarellista di mia conoscenza è coinvolta in un circolo di cannibalismo rituale di qualche genere (non faccio domande), e per farla breve lei conosceva il degenerato che organizzava l’evento.
    All’inizio non ne ero molto sicuro, questo tizio in particolare sta piuttosto in alto nella mia sporca lista di degenerati, ma hey, “a caval donato” e tutto il resto.
    Per non parlare della mia astinenza da D.O.S.E. che stava cominciando a bruciare, rendendomi fondamentalmente un tremante sacco di budella con tendenze suicide, nei giorni migliori.

    Quindi eccomi, tremante sacco di budella, dentro un centro commerciale abbandonato, ad accettare pigramente droghe assortite da passanti impietositi, quando si avvicina questo tizio, tutto vestito in una tuta hazmat rosa con uno stranissimo puntale da unicorno sul casco (che, ripensandoci ora, era probabilmente un dildo gigante a forma di vite), e mi fa Hey Tilly (è il mio nome, Tilly), Hey Tilly, mi dice, mi hanno detto che ti piace la roba malata.

    Hey, le voci girano. Penso tra me e me, ma allo stesso tempo ho dei rumorosi campanelli d’allarme che iniziano a squillarmi nella testa, accompagnati da una quantità di bandiere rosse che nemmeno l’Unione Sovietica. Come diavolo fai a sapere il mio nome? Gli chiedo.

    Le orecchie, mi risponde. Il tizio mi ha detto di cercare un uomo con le orecchie deformi.

    Ebbene, l’hai trovato, gli dico, piroettando come una ballerina, facendo in modo di evidenziare le mie orecchie orride.
    E chi cazzo ti avrebbe dato il mio nome?

    Quel tizio, farfuglia lui pigramente, senza nemmeno indicare qualcuno. Dimmi un po', che gli è successo?

    A chi?

    Alle tue, uh, orecchie.

    Ah, quelle, rispondo. Me le sono tagliate per una parte di una barzelletta su Van Gogh. Beh, due barzellette, ad essere precisi. Entrambe su Van Gogh però.

    Il tizio annuisce, sorride pure, forse, ma non posso vederlo di preciso per via del dildo-casco, e mi fa cenno di seguirlo.

    Normalmente non seguirei mai un uomo estraneo dentro un bagno pubblico, ma talvolta è esattamente quello che dovresti fare.
    Immagino che imparare quando farlo e quando non farlo è una abilità fondamentale in questo campo, ma te ne renderai conto in un modo o nell’altro, quindi non ti preoccupare più di tanto.

    Comunque, eccoci nel bagno. Come il resto del complesso è senza una macchia, nel senso che non c’è nemmeno una macchia di superficie che non sia coperta di putrido, sporco o fluidi corporei di qualche genere, e mi si arriccia il naso dal disgusto mentre il tizio mi fa cenno di entrare in una cabina vuota sul fondo della stanza.

    Esito per un istante, il mio cervello fa i salti mortali a livello olimpico per calcolare il coefficiente rischio/guadagno della situazione attuale. Stabilisco un 50/50 – abbastanza buono – e entro nella cabina, solo per rendermi conto che non si tratta affatto di un cesso.

    Inaspettato, dico, mentre i miei livelli di D.O.S.E. aumentano leggermente.

    Il tizio inizia a scendere la scala a chiocciola che porta dio sa dove, si guarda indietro e nota che io me ne sto ancora lì, imbambolato. Vieni o no? mi chiede.

    Cazzo no, penso tra me. , dico.

    Ora, non sono un architetto, ma voglio tirare a indovinare e ipotizzare che le scale a chiocciola sono una cosa rara da trovare nei comuni bagni dei centri commerciali, abbandonati o meno. Questo non è sempre stato un centro commerciale, vero? Gli chiedo.

    Perspicace, risponde lui. Prima era una chiesa. Immagino che il capitalismo vince sempre, eh?

    Annuisco e basta, e mi rendo conto che queste dannate scale non finiscono più, come quelle spirali che vedi nei vecchi film, hai presente? Quando qualcuno viene ipnotizzato?

    E lì mi viene in mente questa donna che conobbi quando ero giovane.
    Giovane? Il tempo, ragazzi… corre sempre da qualche parte, e io non mi sono mai impegnato ad andargli dietro.
    Comunque, penso a questa donna che incontrai per strada, e di come, dal nulla, mi chiese se per caso avessi visto il suo lavoro, e io risposi tipo che cavolo vuol dire?

    Ho perso il mio lavoro, disse lei.

    Sta sempre nell’ultimo posto dove guarderesti, le feci notare.

    Molto utile, mi disse senza ironia. Senti, non è che mi aiuteresti con un’altra cosa?

    Cosa?

    Sai per caso, cominciò lei. Sai per caso come riavvolgere una scala a chiocciola?

    Non so che dire, quella roba mi è rimasta in testa da allora.
    Una specie di indovinello? Una battuta elaborata? Una Operazione Fotti-cervello segreta? Linguaggio da matta scappata dal manicomio?

    In ogni caso, è così che mi sono sentito scendendo quelle scale. Come se stessi riavvolgendo una scala a chiocciola.

    Eccoci arrivati, esclama all’improvviso il tizio, strappandomi via dal mio viaggio nel mondo dei ricordi.

    Sono estremamente deluso a questo punto, ma poco dopo aver lasciato che i miei occhi si abituassero alla luce soffusa della stanza sotterranea, riesco a sentire il mio cervello che inizia a pomparmi roba buona nelle vene.

    Champagne? Mi chiede il tipo, facendo cenno a una ragazza con la faccia da topo in un angolino di venire avanti con un vassoio di bevande alcoliche.

    Non ti offendere se sono già due passi avanti a te, penso, subito dopo aver afferrato una bottiglia trovata vicino alle scale. La apro, e mi godo le loro espressioni basite mentre ingurgito l’intera bottiglia in pochi secondi. Sa di miscela tra merda e vomito invecchiata, ma alla testa sembra piacere, e non sono certo il tipo da litigare col mio fottuto cervello.

    Guardo i due scambiarsi sguardi di confusione, realizzazione e qualcosa che identifico (erroneamente) come paura, poi faccio caso all’uomo nudo e legato all’altro capo della stanza.

    Mi sa che mi sono dimenticato di parlarne, ma c’era pure lui. Infatti era l’unico motivo per cui la mia D.O.S.E. stava aumentando – la prospettiva di vedere qualche tortura malata era abbastanza da farmi andare in circolo la roba buona.

    E adesso? chiede la ragazza. Glielo diciamo?

    Fanculo, dice il tizio, e mi tira una sprangata sul cranio.

    Hai presente quella parte in tutti i fottuti film d’azione dove il protagonista stende qualche povero tirapiedi senza nome con una botta in testa? Ti rendi conto di quanto cazzo sia pericoloso?
    Le commozioni celebrali sono assassine silenziose. Potrebbero infliggere anche seri danni al cervello. Quelle stronze possono rovinarti la vita.

    In ogni caso, immagino di esser stato fuori gioco per un po', perché quando mi sono svegliato, ero appeso al soffitto, il mio corpo sospeso a mezz’aria tramite delle catene dall’aspetto decisamente resistente.

    Hai fatto una cazzata imperiale stavolta, Tilly, iniziò a dirmi il casco-dildo.

    Se la mascella non mi facesse male come se qualcuno l’avesse strappata e poi rimessa a posto nel verso sbagliato, avrei sicuramente risposto con un’affermazione divertente. Ma date le circostanze, mi vidi costretto a replicare con un poco convinto Guh?

    Lascia che ti dimostri esattamente quanto grossa l’hai fatta oggi, dice il tipo.

    La mia mente fa dentro e fuori da quella che credo sia la coscienza, ma è come se i miei pensieri fossero spaccati in due; un lato che continua a cercare di dare un senso a ciò che sto vedendo, e l’altra che si riempie rapidamente di terrore fino a nausearmi. Però urlano tutti e due, i miei timpani riescono in qualche modo a sentire l’interno della mia testa mentre annega lentamente in una logorante follia.

    Anche il tizio nudo urla, ma lo fa per davvero, a squarciagola. Come cavolo fanno un paio di polmoni presumibilmente normali a contenere tutta quell’aria? Penso mentre lo guardo.
    La sua pelle è di un rosso particolarmente scuro, in parte dovuto sicuramente alla carenza di ossigeno, ma il resto è a causa dal ruscello di sangue che cola senza pausa dalla sua cavità oculare, che presto sarà vuota.

    Tiralo via Ems! Urla il tipo nella tuta.

    La ragazza col muso da topo, Ems, ha un orrido ghigno sul volto.
    Hai presente come è un limone vecchio? Tipo una fetta di limone tutta avvizzita? Piena di grinze e con la pelle scura, come il cuoio? Quella è la sua faccia.
    Un fottuto ghigno da limone marcio e avvizzito.

    Tiralo!

    Ems tiene saldamente stretto tra l’indice e il medio l’occhio dell’uomo nudo, le sue unghie lunghe e sporche che scavano nella materia spugnosa e vitrea, e ormai l’ha tirato fuori di qualche centimetro circa dalla cavità oculare del povero bastardo. E posso capire dalla sua postura che si sta preparando per l’orrido strattone finale.

    A questo punto vorrei davvero tanto poter chiudere i miei occhi, sai, soccombere alla follia da cui il mio cervello sta così disperatamente lavorando per salvarmi, ma allo stesso tempo non ci riesco. Non posso controllare fisicamente le mie palpebre. Non capisco il perché, ma questa cosa mi spaventa più di tutto quello che mi sta succedendo davanti.

    E poi succede. Con un rapido, ed esageratamente drammatico movimento, la ragazza strappa via totalmente l’occhio, le urla tormentate dell’uomo hanno raggiunto livelli che trascendono l’udito umano. Mi fischiano le orecchie, la mente mi turbina, e gli occhi mi prudono.

    Osserva Tilly, dice gelido il tizio nella tuta.Osserva attentamente questa merda.

    E io osservo. Al limite della coscienza a questo punto, riuscendo ad aggrapparmi alla sanità mentale solo ignorando la realtà come concetto. Vedo Ems gettare l’occhio strappato sul pavimento coperto di putridume, e quella roba disgustosa è in qualche modo ancora collegata all’uomo tramite i nervi oculari - lunghissimi viticci tremolanti color rosso cremisi.

    Ma che cazzo? Biascico.

    Te l’ho detto, ridacchia lui. Te l’ho detto porca puttana.

    È difficile stabilire quanti fossero. Innumerevoli forse. Innumerevoli e forse qualcosa in più.
    Sottili vermi cremisi, legati l’uno all’altro, intrecciati organicamente per formare una catena disgustosa dalla cavità dell’uomo nudo fino all’occhio asportato sul pavimento. Posso vederli strisciare in armonia perfetta e rivoltante, e improvvisamente l’occhio… inizia a muoversi.

    Questa è la parte migliore. Continua il tizio.

    La catena tremolante inizia lentamente a ritrarsi, il bianco dell’occhio si trasforma in una tonalità grigio marcio mentre viene trascinata per il pavimento lercio, poi su per la gamba dell’uomo, lo stomaco, il collo, il volto e infine, dopo quella che è sembrata un’eternità, rientra nella cavità con un disgustoso glooop.

    Il mio stomaco mi implora di vomitare, ma è vuoto, secco e inacidito, quindi al posto suo prende il comando il cervello, un seducente vuoto totale proprio nel retro della mia mente mi si presenta come possibile soluzione a questa situazione.
    Ma non vogliono lasciarmi andare. Ems scoppia in una risata maniacale, come il rumore che farebbe una motosega sul cemento, e il tizio nella tuta la segue poco dopo. Sento i muscoli della schiena contrarsi come se avessi un crampo; probabilmente l’ultimo disperato tentativo del mio corpo di spegnermi del tutto.

    L’uomo nudo ha smesso di urlare ormai, le grida tormentate hanno lasciato posto a un profondo gorgoglio, rumore di sangue e muco mischiati nella sua gola. Forse il suo incubo finirà, penso, ma poi mi rendo conto che non succederà.

    Non si è fermato.

    Sta continuando.


    L’occhio si muove ancora.

    Adesso viene risucchiato dentro il suo teschio, posso vedere il corpo molliccio del bulbo mentre si spreme e si deforma orribilmente per passare attraverso le strutture ossee che sono decisamente troppo strette, per poi scomparire del tutto accompagnato da una sinfonia di glooph e schluck.

    L’uomo, ancora legato alla sedia, cade all’indietro, scosso da agonizzanti convulsioni per qualche minuto, poi all’improvviso si ferma.

    Non ho mai sentito in vita mia un silenzio simile. È così che mi immagino lo spazio. Un immenso, vasto, fottuto niente in tutti i sensi.

    E ora, inizia il tizio con il casco, in piedi davanti al cadavere del poveraccio nudo. Ora è il tuo turno.

    Il volto di Ems si contorce di nuovo in quel ghigno. Buon vecchio sorriso da limone avvizzito.
    Ricordo le sue unghie storte e giallognole come se fosse successo poco fa, orridi artigli affilati che si avvicinano di centimetro in centimetro, finché li ho sentiti graffiare sulla mia pupilla scoperta.

    A quel punto immagino che la mia mente sia riuscita a trovare una via di fuga. Se l’è presa comoda eh, ma immagino di essere svenuto, forse per la paura, o per il dolore, o lo sfinimento. Ma molto probabilmente non è stata nessuna di quelle.

    Quando mi sono svegliato ero da solo, sdraiato sul pavimento a faccia in giù nel mio vomito acido. Niente uomo nudo, niente tizio con il casco, niente Ems dal sorriso di limone.
    Ho passato quindici minuti buoni a controllarmi gli occhi, tastandoli con le mie dita tremanti, solo per capire se c’erano ancora.
    E c’erano! Li potevo toccare. Erano in perfetto stato.

    Penso di aver passato qualche settimana a cercare di riprendermi da quella merda, ma non mi sono mai più sentito lo stesso.
    E a quanto pare c’è un motivo.

    È strano che non me ne sia reso conto prima. Potrò anche essere un fattone irrecuperabile, ma non sono stupido.
    Glielo devo concedere però, sono stati intelligenti. Offrendo da bere… immagino che sia così che hanno fregato anche l’uomo nudo. E immagino che sia per questo che mi hanno detto che avevo fatto una cazzata.

    Ne ho presa troppa. Mi sono scolato l’intera infestazione.

    Stamattina mi sono tagliato facendomi la barba. Un taglietto minuscolo, nulla di che. Ma dove mi aspettavo di vedere il sangue, non è uscito nulla.
    Invece sono stato sorpreso da un sottile verme cremisi, che ciondolava appeso al mio naso.


    Se questa non è roba malata, allora non so cosa sia.




    Originale: FUCKED UP SHIT
    Scritta da hyperobscura su r/nosleep.

    Edited by Er Mortadella - 21/2/2021, 08:53
  4. .

    Una piccola comunità viene terrorizzata da inquietanti avvenimenti.



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    Foto di Mattoon, Illinois, circa 1944


    La mattina del 31 agosto 1944, Urban Raef si svegliò nella sua casa a Granton Avenue, Mattoon, una piccola cittadina dell’Illinois. Notò subito che qualcosa non andava: un forte odore dolciastro aleggiava nella camera matrimoniale e l’uomo cominciò a sentire intense fitte di nausea, debolezza e violenti attacchi di vomito. La moglie di Urban si svegliò allarmata dalla condizione del marito; pensò subito ad un’intossicazione da gas, probabilmente dovuta ad un malfunzionamento della fiamma pilota del fornello in cucina. Quando cercò di alzarsi per controllare, si rese conto di non essere più in grado di muovere le gambe. Spaventata, la donna chiamò i soccorsi.

    La sera stessa venne segnalato un incidente simile in una casa poco lontana: una giovane madre venne svegliata dalla tosse della figlia. La piccola sembrava essere era paralizzata dalla vita in giù, non poteva alzarsi dal letto.

    Un terzo incidente avvenne la notte seguente in un’abitazione su Marshall Avenue, intorno alle 11:00 di sera:
    Aline Kearney e sua figlia di tre anni si stavano preparando per andare a letto. Le due sentirono un odore dolciastro e nauseabondo nella camera, ma Mrs Kearney lo ignorò, pensando che provenisse dai fiori fuori alla finestra aperta. Quando l’odore si fece più intenso, Mrs Kearney notò che stava perdendo sensibilità alle gambe. In preda al panico chiamò in aiuto la sorella, che in quel momento si trovava in salotto.

    Entrando nella camera anche Mrs Ready (la sorella della vittima) notò lo strano odore proveniente dalla finestra e corse a chiamare aiuto.
    Le forze dell’ordine arrivarono poco dopo, ma nelle investigazioni successive non riuscirono a trovare nulla fuori dall’ordinario.

    Bert Kearney, il marito della vittima, tornò a casa verso mezzanotte e mezza, subito dopo esser stato informato dell’incidente. Secondo la testimonianza di Kearney, quando arrivò a casa, vide una persona fuori la finestra e cercò di inseguirla. Descrisse lo sconosciuto come alto, vestito di nero e con un berretto calato sul volto.

    Mrs. Kearney rimase paralizzata per circa mezz’ora, ma la figlia, che dormiva nella stanza con lei, rimase sotto l’effetto della sostanza per tutta la notte.
    Il giorno dopo, nonostante si fossero riprese entrambe quasi del tutto, Mrs. Kearney dichiarò ai giornalisti che sentiva ancora gola e bocca riarse, e le labbra bruciare per effetto del gas sconosciuto usato dal malintenzionato.

    A questo punto il giornale locale cominciò ad interessarsi agli eventi; il 2 settembre 1944 l’incidente nella casa dei Kearney venne riportato in prima pagina sul Mattoon Journal Gazette. Sul titolo si leggeva: “Malintenzionato con gas anestetico a piede libero”, e sotto: “Mrs. Kearney e figlia le prime vittime.”

    Nonostante la scarsità di prove trovate dalle investigazioni della polizia, il giornale diffuse la teoria che un malvivente stava cercando di intossicare le persone con del gas per poi svaligiare le loro case.
    Secondo i rapporti dell’epoca, il Mattoon Journal Gazette arrivò ad avere il 97% di abbonati nella piccola cittadina. La sera dopo, praticamente tutti in città erano al corrente della storia della famiglia Kearney.

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    Articolo dell'epoca riguardante il Gassatore.



    Gli attacchi del “Folle Gassatore di Matton” non si fermarono qui; la notte del 5 settembre, pochi giorni dopo l’aggressione ai Kearney, Carl e Beula Corders stavano tornando a casa, quando notarono un pezzo di stoffa bianca sul loro portico, vicino alla porta di ingresso.

    Beula lo raccolse e lo annusò. Subito dopo aver inalato sentì un forte malessere; il volto le si gonfiò, avvertì un intenso bruciore alla gola e alla bocca e vomitò. Similmente alle altre vittime, raccontò di essersi sentita indebolita e di aver perso parzialmente la sensibilità alle gambe.

    Successivamente le autorità analizzarono il fazzoletto, ma non trovarono tracce di sostanze chimiche che avrebbero potuto causare tali sintomi alla donna.
    Nelle ricerche intorno all’abitazione vennero rinvenuti un tubetto di rossetto quasi vuoto e una chiave universale (chiave priva di incisioni usata per forzare serrature), elemento che potrebbe confermare la teoria di un tentativo di furto.
    Oltre a questi non vennero trovati altri indizi.

    Un’altra aggressione venne denunciata quella stessa notte da Mrs. Leonard Burrel, residente a North 13th Street. Secondo la donna, un estraneo entrò dalla finestra di camera sua nel tentativo di asfissiarla con del gas.

    Nei giorni successivi gli avvistamenti cominciarono ad aumentare: molti cittadini sostennero di aver visto un uomo sconosciuto, vestito di nero e dalla corporatura sottile, aggirarsi nelle zone residenziali, spesso munito di una pompetta da insetticida, usata presumibilmente per spruzzare il gas sulle vittime ignare.
    Vennero ritrovate molte tracce lasciate dal misterioso criminale, sopratutto impronte sotto le finestre e zanzariere recise.

    La cittadina era in preda al panico.

    Nuovi presunti attacchi venivano segnalati tutti i giorni alle forze dell’ordine e l’FBI cominciò ad interessarsi al caso.
    I cittadini, spaventati, cominciarono ad organizzare ronde di quartiere per dare la caccia al “Folle Gassatore di Mattoon”.
    Per tentare di arginare l’ondata di panico, il comandante della polizia locale C.E. Cole, fu costretto a rilasciare una dichiarazione ufficiale dove chiese ai cittadini di evitare di aggirarsi per le aree residenziali, ordinò di sciogliere le ronde e di esercitare moderazione nel trasporto e uso di armi da fuoco.

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    Mappa della cittadina con i luoghi delle segnalazioni


    Arrivati al 12 settembre la polizia aveva ormai ricevuto così tante false segnalazioni, principalmente da cittadini che sostenevano di aver visto il Gassatore o di aver sentito l’odore del gas, che furono costretti a diminuire la priorità delle chiamate riguardanti il misterioso criminale.
    Seguì una dichiarazione ufficiale in cui si spiegava che: “gli incidenti sono stati probabilmente il risultato di eventi esacerbati dal panico della popolazione, e un segno dell’ansia provata dalle donne per via dell’assenza degli uomini in servizio militare.”

    Le chiamate riguardanti il Gassatore diminuirono di colpo; uno degli ultimi avvistamenti interessanti fu quello di Bertha Burch il 13 settembre, che descrisse la sospettata come una donna vestita con abiti maschili.

    Gli attacchi cessarono definitivamente e il Gassatore folle di Mattoon svanì dalle cronache della città, lasciandosi dietro solo mistero e almeno venticinque vittime spaventate.




    Diverse ipotesi vennero elaborate per dare una spiegazione agli eventi di Mattoon:

    Il comandante della Polizia C.E. Cole ipotizzò che non vi fu alcun attacco chimico, e che i malori delle vittime fossero una conseguenza delle emissioni e dei fumi delle fabbriche vicine alla cittadina.

    Non la pensava così la Atlas-Imperial, una delle principali fabbriche della zona, che ammise sì di possedere e di impiegare nel processo produttivo sostanze in grado di provocare sintomi simili a quelli delle vittime del Gassatore, ma non in quantità tali da giustificare un così alto numero di casi e, sopratutto, anche se vi fosse stata una fuga di sostanze chimiche nell’ambiente, i primi a riportare i sintomi sarebbero dovuti essere gli operai, cosa che non accadde.

    Una altra teoria è quella del Commissario della Salute Pubblica locale, Thomas V. Wright, esposta in un suo comunicato:

    “Non c’è alcun dubbio che un lunatico armato di gas esista e che abbia eseguito una serie di attacchi. Ma molti degli assalti denunciati non sono altro che isteria. La paura dell’uomo del gas è totalmente fuori proporzione rispetto alla minaccia della sostanza relativamente innocua che egli spruzza. La città intera è malata di isteria.”

    Quindi un caso di isteria collettiva, sicuramente dovuta a un criminale a piede libero ma esagerata dalle paure dei cittadini e dagli articoli della stampa locale che riportarono le vicende, molto spesso in maniera allarmistica.

    C’è una notizia molto più recente che sembrerebbe quasi confermare la teoria di Wright.

    All’inizio del 2020 anche lo Zambia, uno stato dell’Africa centro-meridionale, è stato vittima di misteriosi attacchi di presunti criminali armati di gas, e si potrebbe dire che le somiglianze con il caso di Mattoon siano molte, anche se in questo caso gli eventi non si limitano ad una cittadina e le conseguenze sono state ben più gravi.

    Dopo le prime segnalazioni degli attacchi in tutto il paese si è scatenato il panico, portando anche a linciaggi pubblici dei presunti colpevoli, proteste, esecuzioni e arresti sommari da parte della polizia.

    Anche in questo caso non si è riuscito a trovare dei veri e propri colpevoli, le sostanze chimiche utilizzate non sono state individuate e nemmeno le motivazioni degli attacchi.
    Alcuni esponenti politici di rilievo hanno espresso dubbi sulla presenza di un gruppo di terroristi organizzati in grado di causare attacchi su così larga scala, e hanno invece indicato le tensioni sociali e l’economia disastrata del paese come principali cause dell’impressionante ondata di panico.

    L’isteria collettiva è infatti un fenomeno relativamente comune durante periodi in cui la popolazione è sottoposta a forte stress, e bisogna considerare che il 1944 fu un anno a dir poco intenso per tutto il mondo: la Seconda Guerra Mondiale era in pieno svolgimento e per quanto il conflitto fosse lontano anche il popolo Statunitense ne subì le conseguenze.

    Eppure, nonostante le numerose teorie, la vera identità del Gassatore di Mattoon è ancora oggi un mistero, probabilmente destinato a rimanere tale.
    A noi è arrivata solo una storia inquietante da raccontare, che forse è così tanto disturbante perché legata a una di quelle paure che in fondo condividiamo un po' tutti: essere aggrediti durante il sonno in casa propria, il luogo dove di solito ci sentiamo più al sicuro e ci permettiamo di essere più vulnerabili.

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    Fonti:

    Wikipedia - Mad Gasser of Mattoon.

    Historic Mysteries - "The Mad Gasser of Mattoon, Illinois." , da cui ho preso anche le immagini.

    History of Yesterday - "The Mad Gasser of Mattoon - 1944" .

    "La tragica storia dei gassatori dello Zambia".

    NOTA: mi sono trovato in difficoltà nel tradurre il termine "gasser" dato che mi pare non ci sia una traduzione precisa in italiano, avevo pensato di lasciarlo in inglese ma mi suonava male. Alla fine, ispirato anche dall'ultimo articolo che ho linkato nelle fonti, ho optato per "Gassatore", anche se non esiste; quindi se vi suona strana è normale. Se trovate un termine migliore sarò felice di usarlo lol.


    Edited by Er Mortadella - 17/2/2021, 17:20
  5. .
    Davvero strano... va bene, facciamo così, sposto il topic in Real Experiences così vediamo cosa ne pensano gli altri utenti. ;)
  6. .
    Benvenuto!
  7. .
    Aprii lentamente gli occhi e mi misi a guardare le particelle di polvere che galleggiavano in aria, illuminate dagli intensi raggi solari che filtravano dalle mie tapparelle. Mi girai, distendendomi sulla schiena e notai ancora una volta le impronte di piedi sul mio soffitto.
    Come carbone su un lenzuolo bianco. Sembrava che qualcuno avesse calpestato della fuliggine a piedi nudi e poi avesse camminato sul mio soffitto.
    Le impronte sembravano appartenere a un adulto. Creavano una pista lungo tutto il mio soffitto per poi svanire completamente in un punto senza lasciare alcuna spiegazione su come fossero state fatte.

    Ricordo vividamente la prima mattina che le vidi. Mi sentii un vuoto nel petto mentre un forte senso di disagio mi risaliva nelle vene lasciandomi la gola secca. Trangugiai il bicchiere di acqua che tenevo sul comodino.

    Non riuscii a dormire nella mia camera per le notti successive.

    Apparirono tutti i giorni finché non mi abituai alla loro presenza. Il fenomeno ora era solo un altro pensiero represso in fondo alla mia mente durante la giornata. Il terrore fresco del primo giorno era diminuito fino a diventare un pensiero fastidioso. Accettai le impronte come parte della mia giornata e non diedi loro troppo peso fino alla notte scorsa, quando potei finalmente vedere cosa lasciava queste impronte.




    Quella notte andai a letto come tutte le volte, non prestando molta attenzione alle impronte. Dopo aver passato dieci minuti a rigirarmi nelle coperte, riuscii finalmente a cadere in un profondo sonno. Ad un certo punto della notte fui però svegliato da una fastidiosa sensazione di prurito sulla mia faccia. In quel momento ero ancora mezzo addormentato e non riuscii a capire cosa stava succedendo. Sollevai la mia mano per cercare di grattarmi la faccia e sentii qualcosa, simile a ciocche di capelli, che mi sfiorava la punta delle dita.
    Un forte istinto primordiale mi prese e afferrai velocemente i capelli con tutte e due le mani. Feci l’errore di sollevare le palpebre per cercare di vedere qualcosa e tutti i capelli mi finirono negli occhi. Un rumore simile a un gemito mi fermò all’improvviso e mi gelò il sangue nelle vene. Mi immobilizzai e tesi le orecchie per sentire qualsiasi altro suono che non fosse il mio cuore che batteva all’impazzata.

    I capelli scivolarono via dalla mia faccia mentre sentivo dei passi pesanti sul soffitto. Feci due più due e realizzai cosa stesse succedendo. Con una mano tremante trovai e accesi la lampada da comodino per illuminare la stanza e vedere meglio la nera figura che stava sul mio soffitto.

    Quando la luce illuminò la stanza, i brividi mi percorsero la schiena.
    C’era una donna (o almeno assomigliava a una donna, anche se dubito che quella cosa fosse umana) in piedi sottosopra sul mio soffitto.
    Il volto era privo di lineamenti tranne che per due grandi occhi neri che mi ricordavano gli occhi di un volatile.
    Erano vuoti e privi di vita, come le biglie di vetro che mettono nei manichini, eppure mi guardavano dritto nell’anima.
    Indossava una vestaglia bianca e sporca che sembrava sfidare la gravità.

    Sembrava che qualcuno l’avesse girata sotto sopra, ma la gravità non avesse ancora avuto effetto. L’unica parte di lei che sembrava esserne affetta erano i suoi capelli, lunghi e ciondolanti dalla sua testa.

    Appena quella cosa mi si avvicinò indietreggiai verso il muro. L’adrenalina mi scorreva nelle vene mentre il forte desiderio di allontanarmi da quella creatura mi esplose nelle viscere. La cosa gemette ancora e si avvicinò di nuovo.

    È stato in quel momento che il mio animalesco istinto di sopravvivenza mi sovrastò e urlai.
    La cosa, sorpresa dalla mia reazione, indietreggiò. Continuai a urlare e imprecare mentre lei indietreggiava e indietreggiava fino a che non si riprese dalla sorpresa e cercò ancora di chiudermi in un angolo, come un predatore che si prepara a intrappolare la sua preda.

    Ma mentre indietreggiava sentii un forte scricchiolio, come un ramo spezzato, che mi fece rabbrividire. Un suono che scoprii più tardi essere quello della carne contro le pale di metallo smussate del mio ventilatore da soffitto.
    La creatura lanciò un urlo acuto e penetrante prima di cadere dal soffitto. Guardai in alto e vidi che le sue gambe erano ancora attaccate, troncate di netto dalle lame del ventilatore.
    La creatura si contorse agonizzante mentre fuggivo cercando di chiamare il 911 il più in fretta possibile.

    Quando la polizia arrivò, solo le gambe della creatura erano rimaste attaccate al soffitto, il resto sembrava essere svanito nel nulla.
    Il mio caso fu ovviamente assegnato ai piani alti e durante le settimane che seguirono molti tizi dall’aspetto losco visitarono casa mia, interrogandomi e setacciando la mia proprietà. Non ho scoperto molto sulla creatura, ma ho sentito dei tizi dei servizi speciali parlare di come quella cosa sembrasse essere priva di ossa e fosse fatta di carne molto più tenera di quella normale, per questo le pale del mio ventilatore erano riuscite a troncarla di netto.

    Mi fecero firmare una lunga serie di contratti di non divulgazione e un altro paio di documenti che lessi appena. Era piuttosto ovvio che avrei dovuto firmare o sarei stato messo a tacere. Ti chiederai come mai stia raccontando qui questa storia nonostante tutti i guai che mi causerebbe.
    Il fatto è che avrei mantenuto il segreto senza alcun ripensamento fino a stamattina.

    Ma stamattina, quando mi sono svegliato, ho visto qualcosa sul soffitto che ha rievocato tutto il terrore che provai quella notte.

    Impronte di mani.




    Original: Every morning when I wake up, I see footsteps on my ceiling. Today I finally found out why

    Written by: u/not_neccesarily on r/nosleep.

    Edited by & . - 17/1/2021, 19:01
  8. .
    Hai presente quelle bambole realistiche di neonati? Talvolta le persone le comprano perché hanno qualche handicap mentale e non sarebbe sicuro per loro crescere dei figli, ma vogliono comunque la sensazione di allevare e amare qualcosa di così piccolo e di loro, ma senza la responsabilità.

    Lo capisco. Davvero.

    Ho amato crescere i miei figli, vederli mentre si facevano grandi, sentire le loro risate, metterli sdraiati sul mio petto mentre dormivano il pomeriggio quando erano ancora neonati. Ho amato tutto quanto.
    Ma le responsabilità sono molte. Ci sono molte preoccupazioni. Li vuoi al sicuro, ma non troppo viziati, svegli, ma non ansiosi. È un costante lavoro di bilanciamento, tra le tue preoccupazioni e ossessioni materne.

    L’ho amato però. Anche le preoccupazioni. Non mi sono mai dispiaciute troppo, perché la gioia era così intensa. La gioia e l’amore.
    Un amore così contagioso, si espandeva per la nostra casa come l’edera, dalla copertina in soggiorno dove giocarono da piccoli, allo sgabellino che utilizzavano in bagno quando decidemmo che erano abbastanza grandi da lavarsi i denti da soli, agli speciali coltelli a prova di bimbo nel nostro cassetto delle stoviglie (il secondo da destra) così che potessero aiutarci a tagliare i pomodori per cena, fino ai loro letti, nelle loro camere, dove la lucina notturna restava accesa per tenere lontani gli incubi.

    Non mentirò dicendo che non ci sono stati momenti spiacevoli o difficili. Ce ne furono molti. Ma tutto viene superato da ciò che c’è stato di buono.

    Alla fine abbiamo avuto tre figli, io e mio marito.
    Meredith è la più grande. Ora ha trentadue anni. Lei stessa è un genitore. Mi chiama ogni settimana e parliamo e ridiamo e io posso parlare con i miei nipotini. Li amo alla follia. È un amore del tutto diverso da quello genitoriale. Le preoccupazioni sono più controllate. Non c’è più responsabilità. È amore incondizionato e senza limiti goduto appieno. Anche se Miles è un piccolo stronzetto. Ha sette anni. Non lo invidio.

    Troy è il figlio mediano. Ha trent'anni, e suo marito cucina la cena tutte le sere perché Troy è un pessimo cuoco. Ma è un fantastico programmatore. Parla una lingua così estranea per me e il mio cuore trabocca di orgoglio.
    Adora essere zio. Vizia quei ragazzini fino al midollo. So che lui e Henry stanno programmando di adottare, ma è difficile anche per loro, che sono persone così equilibrate e amabili. Qualche volta piange quando va a trovarli, vuole essere padre così tanto da fargli male. Non posso farci molto. Lo accarezzo sulla schiena e lo ascolto.
    Sono pur sempre sua madre dopotutto.

    Verrebbe da pensare che Troy sarebbe stato il classico figlio mediano, un po’ schiacciato tra due grandi personalità, ma il mio figlio più giovane nacque quando Troy aveva già dieci anni. È stato un incidente, il mio piccolo Elias. Il mio ultimo bambino. È sempre stato più audace degli altri due. Si azzuffava all’asilo, veniva mandato nell’ufficio del direttore per aver disturbato la classe. So che ha cominciato a fumare a tredici anni. E a bere non molto dopo.

    Eravamo preoccupati per lui, molto. Una preoccupazione differente da quella che avevamo quando Meredith e Troy erano piccoli. Sembrava che si stesse sabotando apposta con le sue mani. Come se qualcosa nella sua testa fosse in guerra con lui.
    Venne una volta in soggiorno quando aveva sedici anni, mise la testa sulle mie gambe e iniziò a piangere, dicendomi tra le lacrime che voleva finisse. Tutto doveva finire. Che potesse solo svanire. Lasciarsi dietro nessun dispiacere o dolore, ma solo il buco della sua esistenza facilmente sostituibile.
    Non posso dire quanto piansi quella notte quando ne parlai con mio marito.

    Decidemmo di non mandarlo a scuola per un po', e lo facemmo seguire da un nuovo psicologo. Fu seguito da alcuni specialisti tramite la scuola, ma non riuscì ad ambientarsi con nessuno. Troppo pacati e compassionevoli. Questo non era così. Ce lo raccomandò il nostro vicino, il colonnello Brandon, un uomo che potrei descrivere solo come temprato, che andò in pensione circa dieci anni prima, e che andò da questo psicologo per disturbo da stress post-traumatico. Gli è sempre stato simpatico Elias. Credo sentisse un qualche genere di legame con lui. Mai un rapporto inappropriato, ma forse vedeva in lui un po' della sua infanzia.

    Il nuovo psicologo fece meraviglie. Davvero. Elias stava fiorendo. Tornò di nuovo a scuola. Gli venne diagnosticato un deficit di attenzione, il che sembrò stranamente calmarlo. Gli vennero dati dei farmaci. Per la prima volta sentii che i suoi sorrisi erano liberi da preoccupazioni.

    Decise di arruolarsi nell’esercito quando compì diciotto anni. L'idea non mi faceva impazzire. Ero preoccupata. Per quanto sarebbe stato difficile per lui sopportare la rigidità, quanto organizzato e preciso avrebbe dovuto essere. Era un altro mondo rispetto all’adolescente disordinato con cui mi ero abituata a convivere. Ma fu irremovibile. Non negherò che ero anche fiera. Il colonnello si mise a piangere quando lo venne a sapere. Commosso. Anche mio marito era raggiante.

    Andò e si fece tagliare i capelli a zero. Fu quello il primo cambiamento. La sua lunga e ispida criniera di cui dovevo sempre rimuovere i capelli dallo scarico della doccia era svanita. Lo punzecchiai molto sulla sua nuova acconciatura e così fecero suo fratello e sua sorella. Eravamo tutti così fieri. E lui si distinse nell’esercito. Era ben visto, lavoratore instancabile e carismatico, quindi non sorprese nessuno quando attirò presto l’attenzione dei piani alti. Gli diedero una grande opportunità e lui fu euforico di coglierla.

    Questa fu l’ultima notizia che ebbi.

    Ho detto molto su Elias. Soprattutto per non dimenticare. Sarebbe dovuto tornare a casa un fine settimana dell’anno scorso. Saremmo dovuti andare a prenderlo all’aeroporto. Eravamo così emozionati. Avevo parlato con lui al telefono il giorno prima. Mi disse quanto aspettasse di ritornare a casa.

    “E magari rimanere un po’?” disse, e la sua voce si ruppe un poco per quella che credetti fosse stanchezza.

    “Oh, vorrei che potessi tesoro, ma dovrai tornare a lavoro, vero?” dissi.

    “Non voglio più farlo. È troppo. Troppo sacrificio, sai? Ci sono un sacco di cose che mi mancheranno. Come i figli di Mere. Mi mancano. Non gli mancherà il loro zio Eli?” disse, e suppongo di avergli dato ragione. Fu l’ultima volta che ci parlammo, ma ricordo solo dei pezzi. È questa la fregatura di quando non sai che è l’ultima volta. Non ti sembra poi così speciale.

    Il giorno della festa domandai a mio marito chi sarebbe andato a prenderlo. Mi chiese di chi parlavo, se avessi invitato qualcuno. Mi disse che non conosceva nessuno di nome Elias. Sentii il gelo corrermi su per lo stomaco, in quella familiare sensazione di preoccupazione logorante.
    Ero troppo giovane per avere un marito con la demenza senile.

    Provai a cercare una foto di Elias, per rinfrescargli la memoria, ma non ce n’erano. In tutte le foto dove avrei giurato di poter vedere mio figlio, sorridente, c’erano degli spazi vuoti o c’era qualcun altro al suo posto. La foto di lui che mangia il gelato sul pontile era in realtà di Troy.
    Lui che ballava all’impazzata con la sua ragazza del tempo al matrimonio di Meredith era diventata un’istantanea di mio nipote e sua moglie. Elias non c’era da nessuna parte.
    Andai nella sua cameretta, che abbiamo mantenuto quasi intatta per quando tornava a casa nei fine settimana. Era ancora decorata in maniera infantile, ma c’erano due letti singoli, troppo nuovi per essere stati suoi, e i nomi dei miei nipotini erano scritti sulla porta.

    Annullai la festa. Mio marito fu contento di assecondarmi. Siamo rimasti a letto, mentre piangevo sul suo petto, pianse anche lui. Sentivo di aver perduto mio figlio. Lui sentiva di star perdendo sua moglie.

    All’inizio sembrava uno scherzo di cattivo gusto, ma i giorni diventarono settimane e le settimane mesi. Se mi capitava di accennare a lui in qualche conversazione, la gente mi chiedeva con chi stessi parlando. Chiesi a Meredith chi ebbe la bici rossa brillante dopo di lei, mi disse che la regalammo a suo cugino, anche se ricordo benissimo di aver fatto una foto a Elias a cavallo di quella bicicletta per il suo ottavo compleanno. Il colonnello mi disse che credeva fossi io quella andata dallo psicologo. Cercai di dimenticare. Per tutto il resto ero sana di mente.
    Il dottore disse a mio marito che dovevo aver avuto un caso di delirio da disidratazione, diagnosi a cui era più facilmente disposto a credere.
    Alcuni giorni ci credo anche io.

    Ma c’è una dipendenza che lega me e Elias.

    Chiamala l’amore di una madre, chiamala pazzia. Ma la mia vita dipende dalla sua come gli anelli di una catena. Non c’è un “senza di lui”.
    E ho la mia prova, per quando comincio a dubitare.
    Una cartolina che abbiamo mandato una settimana prima della festa, rimandata a casa nostra perché il destinatario non esiste. Una cartolina che inizia con “Caro Elias” e finisce con la mia firma. E quella di mio marito.

    Hai presente quelle bambole realistiche di neonati? Talvolta le persone le comprano per ricordare i propri figli perduti.
    Magari sono cresciuti e non sono più così piccoli e facili da tenere in braccio o magari il piccolo è nato morto. Io non giudico. Capisco. Ti serve qualcosa di tangibile per ricordare quanto amiamo ciò che abbiamo perso. Qualche volta ti serve solo di aggrapparti a ciò che hai perso. Forse è il motivo per cui sto scrivendo questo. Sto dimenticando. La maggior parte delle volte non riesco a ricordare il suo nome. Devo sforzarmi per ricordare il suo volto. Penso che portasse i capelli lunghi. Penso che fosse un combina guai. Non voglio essere come mio marito. Non voglio dimenticare.
    La mia vita dipende da quella di Ethan.

    Elias. Scusami. Non Ethan. Elias.

    Vedi, è per questo che ho paura. Ieri sono entrata in cucina e mio marito non mi ha riconosciuto per i primi cinque minuti. Mi stava urlando contro di uscire da casa sua.
    Meredith non mi chiama più. La sono andata a trovare l’altro giorno, pensava fossi la sua vecchia maestra.

    La mia vita dipende da questo. Non mi rendevo conto che fosse lo stesso per la mia esistenza. E ora che sto dimenticando lui, gli altri si stanno dimenticando di me.

    Non dimenticarmi.

    Ti prego.




    Original: A story about my boy
    Written by u/LemonKurt on r/nosleep

    Edited by Er Mortadella - 19/12/2020, 21:00
  9. .
    CITAZIONE
    a riempire verbali di arresto dentro i loro uffici: poteva mai andare peggio di sì?

    CITAZIONE
    Quando arrivò alla stazione, il motore tuonava e la marmietta scoppiettava.

    Scusa Kage mi viene istintivo :P


    Beh, quei due hanno fatto scintille appena si sono visti, non mi aspettavo di meno! :D
    Sbaglio o Iyokani e il capitano hanno un buon rapporto tra loro? Sembrano molto amichevoli, un po' come se si conoscessero da tempo (vabbè, lavorano insieme da un pezzo mo che ci penso).
    Ho delle domande ma voglio aspettare il prossimo capitolo, magari si rispondono da sole e devo solo pazientare ahaha!
    Comunque mi è piaciuto molto, mi sta prendendo e sono curioso di vedere come se la caverà Urek.
  10. .
    Ho trovato un paio di distrazioni:

    CITAZIONE
    suo padre riuscì ad iscriverlo a dei corsi universitari privati, pagando fuor di quattrini.

    fior di quattrini

    CITAZIONE
    quasi a farla sembrare una minaccia, "Mi potete nel mio ufficio.

    Mi sa ti sei perso un "potete" :P

    Per il resto sembra tutto ok ;)


    Mi piace, già l'inizio è denso di avvenimenti, ottimo perché di solito gli inizi mi annoiano. Sono proprio curioso di vedere come continuerai la storia, nonché di vedere lo sviluppo del rapporto tra Urek e Iyokani. Mi è anche piaciuta molto la storia di Urek, hai introdotto bene il personaggio dando subito le informazioni che servono per inquadrare il personaggio. Il colpo di scena poi non l'ho proprio visto arrivare.
    Insomma good job Kage! Non vedo l'ora di leggere il seguito.
  11. .
    DA NOTARE CHE IL PROTAGONISTA PERDE IL CONTROLLO DEL PERSONAGGIO NEI MOMENTI CRUCIALI, ESCLUDENDO SUBITO QUALSIASI REAZIONE DA PARTE DEL PROTAGONISTA E STRONCANDO IMMEDIATAMENTE PEZZI DI STORIA CHE AVREBBERO RESO LO SCRITTO PIÙ VEROSIMILE, SCORREVOLE E GODIBILE ANCHE DA UN PUBBLICO NAVIGATO. GIÀ SCRIVERE QUALCOSA A TEMA "SUPER MARIO" NON È FACILE; STIAMO PARLANDO DI UN FRANCHISING ICONICO, ROBA CHE NON CAMBIA DA PIÙ DI VENT'ANNI. SE POI IL TUTTO SI RISOLVE CON UNA CORSA AL FINALE FARCITA DI PRESUNTE ALLEGORIE CREEPY BEH, PER ME NON CI SIAMO RAGAZZI.

    CHE MI VUOI RAPPRESENTARE CON GLI SCHELETRI DI BAMBINI NELLO SCANTINATO DELLA CASA ABBANDONATA? CHE MARIO VENIVA MOLESTATO DA PICCOLO DALLO ZIO ALCOLIZZATO? CHE MI SIGNIFICA LA PERDITA DELL'INNOCENZA DI MARIO? MA SIAMO SICURI CHE MARIO SIA UN PERSONAGGIO ABBASTANZA COMPLESSO DA POTERCI SPECULARE COSÌ TANTO SENZA CADERE NEL RIDICOLO? MARIO HA MAI DETTO ALTRO OLTRE "mamMA MIA" "LEZZE GO!" E "oooOoOOF"? HA MAI PARLATO DEL SUO PASSATO O DELLE SUE ASPIRAZIONI O DEL SUO PUNTO DI VISTA A PROPOSITO DELLA SITUAZIONE SOCIO-ECONOMICA DEL REGNO DEI FUNGHI? NON MI PARE.

    ECCO, SECONDO ME TALVOLTA SI VA UN PO' TROPPO OLTRE LA LICENZA POETICA E SI CADE NEL RIDICOLO.
  12. .
    CITAZIONE (Shark Peddis @ 29/5/2018, 08:44) 
    Pornazzi

    Ma dov'è la tua propic?

    L'ho venduta per due botte di coca
  13. .
    13

    RAGAZZI DOBBIAMO ARRIVARE A DEFLORARE LA PRINCIPESSA È VITALE
  14. .
    un carlino qualsiasi: *fa saluto romano*

    opinione pubblica inglese: giphy
  15. .
    OOOOOOOW BUSTED
256 replies since 31/1/2013
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