Gli agnelli hanno ripreso a cantare

[ipotetica storia a capitoli]

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    people who think oikawa should've gone to shiratorizawa are banned.

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    Angolo autore: mistici amici, bentrovati. Ho deciso di postare qui questa storia perché si tratta di un mio personale bozzetto ancora in sviluppo, quindi decisamente non finito. Questa robaccia ha una storia molto particolare; avevo iniziato a scrivere questa long story circa nel 2015-2016, avevo un casino di idee e di pensieri che aspettavano solo di essere buttati giù... ma ecco, non ne avevo la maturità, né le competenze. Oggi, per puro caso, ho trovato su un mio archivio personale (che nemmeno ricordavo di avere, onestamente) due righe e tutto mi è tornato alla memoria come un velocissimo flashback e mi sono detto, "perché non provarci?".

    La trama, in anticipazione:
    New York City, giorni nostri. Un ispettore di polizia è sulle tracce di un criminale efferrato che dietro di sé non lascia alcun inidizio utile, non ci sono piste da seguire. Tutto ciò che la scientifica ha evidenziato fin'ora è che questo serial killer lascia sempre una moneta da qualche parte in ogni scena del crimine, come una sorta di "biglietto da visita". Questo lo contraddistingue da tutti gli altri criminali.
    Intanto la criminalità organizzata si fa sempre più spazio nei quartieri della città: vendita di stupefacenti, scambio illecito di armi e addirittura un traffico di organi che non risparmia proprio nessuno. Il nostro ispettore di polizia, Iyokani Kozume, ne sa qualcosa: prima di diventare un poliziotto, infatti, per anni aveva vissuto a stretto contatto con la malavita della città. Egli riuscirà, con il suo sesto senso e infallibile istinto, a guidare ogni caso verso la risoluzione, accompagnato dal suo partner, Urek Zahaard, un milionario che sbancò Las Vegas due anni prima e che, per puro caso, grazie al suo incredibile quoziente intelletivo e al suo misterioso passato, affiancherà la polizia nelle indagini.

    Avvertimenti: Tematiche delicate — (TRIGGER WARNING) La storia tratterà di omicidi, sesso (anche non consenziente), linguaggio scurrile e violenza.



    PROLOGO


    I suoi genitori avevano sempre desiderato un figlio prodigio. Ci avevano provato in tutti i modi. Suo padre era medico neurologo, ed aveva desiderato quel figlio maschio come solo un matto potrebbe. Aveva pregato ogni divnità, si era rivolto al cielo più di una volta, persino obbligato la moglie ad abortire, se si fosse trattato di una bambina.
    Alla nascita del piccolo, egli ne aveva stimolato la crescita dai primi giorni di vita: musica classica, esercizi di vario genere, elettrostimolazioni muscolari; in modo surreale, a quindici mesi il bambino già parlava, camminava e dava segni di ragionamento. Era soggetto tutti i giorni alle follie del padre, che andava anno dopo anno perdendo il controllo della propria lucidità.
    Lo aveva plasmato. Se quel bambino non fosse stato davvero già un prodigio, dopo tutto quello stress lo sarebbe diventato... O forse sarebbe diventato semplicemente un folle, un pazzo, traumatizzato profondamente da tutto ciò che la vita lo aveva obbligato ad affrontare.
    Un paio d'anni più tardi, quando iniziò ad approcciarsi allo studio e alla biblioteca privata di suo padre, Urek Zahaard giovanissimo e prematuro iniziò a scrivere la propria tesi di laurea, in Medicina e Chirurgia. Così voleva il vecchio. Attraverso una serie di iscrizioni private e vari test che ne valutassero il quoziente intellettivo, (decisamente sopra la media), suo padre riuscì ad iscriverlo a dei corsi universitari privati, pagando fior di quattrini. Tutto, per il suo prodigio.
    Aveva poco più che dodici anni e la sua preparazione era incredibile. Dopo il compimento della sua laurea ci fu un incidente d'auto che gli portò via il padre e gli rese la madre tetraplegica. Quando arrivò la polizia sulla scena del crimine, il ragazzo era scomparso. Le lamiere dell'auto accartocciata non contenevano il suo corpo, e fu dato per morto pochi mesi dopo. Circa sedici anni dopo, un ragazzo laureato in psicologia criminale sbancava Las Vegas. Il suo nome era su tutti i giornali: Urek Zahaard. Aveva solo ventotto anni.

    Preso dalla noia, Urek fece sparire la somma vinta in due anni, restando da solo con la sua villa a Long Island.
    Cercando qualche stimolo, qualche novità nella sua routine, usciva spesso di casa per impegnare il tempo; andava al bar, comprava dei libri o dei vecchi vinili, passeggiava per il parco, andava per i night club... qualsiasi cosa, pur di non rimanere a casa a far nulla. La solitudine e la noia lo stavano lentamente consumando.

    La svolta la ebbe un giorno qualsiasi mentre camminava per le strade di New York. Il suo sguardo fu rapito da un poliziotto che commetteva un arresto, spinto unicamente dal proprio intuito, a ragion dovuta: il ladro stava nascondendo nelle proprie tasche il portafoglio rubato ad una passante, ma il poliziotto era fermo di spalle con dei colleghi. Fumava una sigaretta. Se Urek non avesse visto quella scena con i suoi occhi non ci avrebbe mai creduto: una persona normale non avrebbe potuto accorgersi di un crimine del genere, a meno che non avesse gli occhi dietro la schiena... e beh, quell'uomo si voltò immediatamente. Fermato il fremito alla mano, vedendo il giovane intento a restituire il portafoglio alla ragazza sprovveduta, Urek si rese conto che sarebbe potuta essere una situazione interessante.


    E pochi giorni dopo si presentò al commissariato. Non ci aveva neppure ragionato quanto avrebbe dovuto: lo fece e basta, forse ispirato dallo stesso istinto che aveva spinto quel poliziotto ad agire.


    "Sì, salve. Che cos'altro le serve? I documenti?" Tirò fuori il portafogli dalla tasca posteriore dei suoi jeans e iniziò a rovistare tra le banconote e le cartacce che conservava. "Urek Zahaard, ho detto." Aspettava come solito l'espressione di sorpresa, nel sentire un nome così particolare. Aspettava soprattutto che quell'idiota d'un agente si sbrigasse a inoltrare la sua domanda compilata, come se ce ne fosse realmente bisogno. "Sempliciotti burocratici", pensava. Era già tanto che stesse firmando lì dove gli dicevano. Era spazientito.
    Se ripensava a quell'uomo, quel poliziotto... gli pizzicava la schiena dai brividi: aveva letto il linguaggio del corpo di quel ladruncolo alla perfezione, aveva un istinto fuori dal comune. Ripensò che suo padre ci aveva tentato per anni, con lui, ma con scarsi risultati. Leggere Urek Zahaard era impossibile. I-m-p-o-s-s-i-b-i-l-e.
    Era stato quell'incontro fortuito che lo aveva portato a fare quell'incauto passo, forse; collaborare con la polizia? Pensava "Puah, come se di idioti non ce ne fossero già abbastanza per le strade, adesso mi sono messo in contatto anche con quelli armati. Perfetto."
    I poliziotti lo accerchiarono per fargli tante domande, incuriositi. Dopotutto, un certo Urek Zahaard era uscito sui giornali di tutta New York qualche anno prima. Il suo nome aveva tappezzato le strade per settimane, era su ogni cartellone pubblicitario ed ogni lotteria ne riportava la vincita... ed era proprio lui: ora lì, davanti a loro. Perché si ritrovava in una stazione di polizia ad inoltrare curriculum?
    Quell'esserino tozzo e baffuto che aveva compilato le pratiche, ora lo riempiva di domande, non tanto sulle sue qualifiche, ma su "come vivesse un genio del suo calibro" o "perché si abbassasse a collaborare con la polizia". Dopotutto il capitale che doveva possedere superava di gran lunga tutti i risparmi della vita di ogni poliziotto lì dentro. Non serviva nemmeno chiederselo, o ipotizzare di contare i bigliettoni in banca. Era semplicemente così.
    Glielo avrebbe volentieri detto. Spiattellato in faccia.

    "Brutto ritardato, ho finito i soldi."
    Ma si limitò solo a pensarlo, per fortuna.

    Sorrise, sicuro di sé. Si limitò a dire di voler collaborare con la giustizia, mica poteva anche dirgli di voler giocare con il loro poliziotto sotto indagine?


    "Lo so di poter andare, ho firmato tutto. Aspetto una vostra chiamata per una qualsiasi indagine, Capitano." Non ebbe neppure il tempo di finire la frase, che proprio a pochi passi da loro era apparso quel poliziotto. Aveva una faccia così tesa, doveva essere in difficoltà con una indagine, o troppo stanco per seguirla a dovere. Il capitano lo salutò ma venne bellamente ignorato; gli passò alle spalle in quello stesso momento, diretto verso il suo ufficio e da nessun'altra parte, lasciando dietro di sé un dolce profumo di muschio. Urek si pietrificò. "Occristo, quanto mi piace così", pensò.




    Iyokani era su di giri. Un paio d'anni fa si sarebbe definito "scazzato", ma ad oggi un termine del genere non faceva più parte del suo vocabolario. Aveva venticinque anni suonati e poca voglia di tornare alle vecchie abitudini; le aveva abbandonate troppo tempo fa.
    Il commissariato gli parve fin troppo caotico, per i suoi gusti. Quel giorno tutti erano all'opera con fogli di carta e appunti da sistemare, ma si chiedeva, era così importante rovistare tra le varie cartelle in un momento di cronaca simile? Dopotutto, due criminali si aggiravano fuori dalle loro quattro mura di cemento: uno lo avevano preso quella stessa mattina e adesso era dietro le sbarre, l'altro era ancora a piede libero, ma il corpo di polizia era lì a perdere tempo con la burocrazia. Surreale.
    Salutò alcuni colleghi all'entrata con un cenno del capo e partì spedito verso il suo ufficio. Era sicuro che, almeno lì, sarebbe stato al sicuro da molteplici scocciature. Nel tirare un'occhiata distratta, notò il capitano che parlava con un giovane, probabilmente della sua stessa età, o giù di lì. Non l'aveva mai visto, avrebbe dovuto chiedere chi fosse? No. Non ne aveva il tempo, né la voglia.
    Firmavano delle carte anche loro, e Iyokani li sentì borbottare qualcosa su chiamate, indagini... Ma non si interessò neppure di quello. "Se la cosa dovesse essere di mio interesse, me lo verrà a raccontare entusiasta chi di dovere", pensò. Una dolce nota di sarcasmo rese i suoi pensieri meno pesanti.
    Li sorpassò tutti a passo spedito, mentre diceva a gran voce "Per qualsiasi cosa seria", quasi a farla sembrare una minaccia, "Mi potete trovare nel mio ufficio. Vi prego, non pensate neppure di portarmi pile di fogli da compilare, io il mio dovere l'ho già fatto. Il resto del lavoro, spetta a chi qui dentro non fa un cazzo, dopotutto." Quella frecciatina punzecchiò sgradevolmente alcuni suoi colleghi che, ancora una volta, erano indaffarati a fare la nona o la decima pausa caffé della prima mattinata. Iyokani spalancò la porta del suo ufficio e con ben poca grazia la richiuse alle sue spalle. Sistemò la sua giacca sull'appendiabiti, sospirò profondamente e si sedette alla scrivania. Con poca cura portò i piedi sul tavolo e si stravaccò secondo la sua abitudine e comodità.
    Pensava ai criminali, alla malavita, allo spaccio di stupefacenti, alla detenzione di armi non autorizzate. Per la criminalità era un periodo d'oro: stava notevolmente aumentando nei quartieri, nessuna strada era più sicura come un tempo. La cosa lo inquietò non poco.




    Finalmente Urek era riuscito a fuggire dal capitano, ci aveva messo veramente poco ad odiarlo. Parlava, parlava, non si fermava un attimo, e lui era rimasto lì aspettando che gli venissero restituiti i suoi documenti per troppo tempo, compatendo gli agenti di quella stazione. S'era fatto tardi. Passeggiando sul marciapiede, diretto al solito bar, il destino gli fece incrociare lo sguardo di quella stessa passante che pochi giorni prima era quasi stata derubata dei suoi affetti dinanzi a lui. La stessa giovane che era stata prontamente aiutata da Iyokani.
    Quando gli sarebbe ricapitata un'occasione del genere?

    La fermò con garbo, il suo tono di voce era fermo e rassicurante. "Ciao. Ti ho già visto da queste parti", cominciò. "Pochi giorni fa ti hanno quasi derubata, vero? Che fortuna che lì vicino c'era un agente di polizia, ho visto tutta la scena... Assurdo, vero? Troppi criminali e poche persone per bene, a questo mondo!" Una risatina smorzò l'atmosfera imbarazzante che stava per venirsi a creare. Urek era un maestro del carisma, chiunque avrebbe provato un avvolgente senso di fiducia, parlando con lui. Era magnetico.

    L'aveva portata al bar con sé, per offrirle da bere. Quale modo migliore per guadagnare punti con una persona? Non c'era niente di meglio che perdersi nei fiumi dell'alcol per lasciarsi andare.

    Ci aveva parlato un'oretta, forse due, erano ancora seduti al bancone. Lei era un po' stordita, forse Urek l'aveva fatta bere troppo. Diventava estremamente facile ordinare altro liquore mentre ci si raccontava in un flusso di coscienza confuso. Ad un certo punto ammiccò, le prese il viso con due dita e la guardò intensamente negli occhi. "Ti va di venire a casa mia?"
    Era così bello, affascinante, come avrebbe potuto rifiutarsi?
    L'aveva convinta. "Diventerà un'altra delle mie bamboline", pensò.




    Entrarono in casa, posò il suo soprabito, lasciò le chiavi all'ingresso e si tolse le scarpe. "Fa' come fossi a casa tua", le disse per rassicurarla. Lei era ormai più di là che di qua, troppo ubriaca per rendersi conto di cosa stesse accadendo. Iniziò a volteggiare per il salotto felice come una pasqua, pensando che un'occasione del genere non le sarebbe più ricapitata: un ragazzo bellissimo, una casa da sogno, probabilmente un immenso patrimonio alle spalle... stentava a crederci.
    Urek intanto era rimasto all'ingresso, armeggiava con qualcosa sul muro del corridoio; sfiorò una vite nascosta ed aprì una porta, dietro una classica libreria a parete. Un trucco vecchio come il mondo, a maggior ragione invisibile.
    "Che stai facendo?" gli domandò la voce docile della giovane, mentre gli si avvicinava.
    "Vuoi venire a vedere?"

    Non ebbe neppure il tempo di affacciarsi propriamente nella stanza che Urek aveva svelato, che ci venne catapultata dentro con uno spintone alle spalle poco delicato. Cadde rovinosamente in terra, al buio e al freddo. Non riuscì neppure ad urlare per lo spavento o per il dolore, che il ragazzo la seguì subito dopo e richiuse la porta segreta dietro di sé. "Eccoci qui", disse, mentre aveva già preso un camice bianco da un mobiletto lì vicino e lo stava indossando. Sullo stesso mobiletto sembrava essere posato un vassoio d'argento con degli strumenti chirurgici: bisturi, forbici, mascherina, guanti sterili e garze. Tutto era perfettamente organizzato ed in ordine.

    "C-che significa?" piagnucolò la ragazza, tentando inutilmente di rialzarsi dal pavimento.

    Urek si fiondò su di lei e con delle manette che aveva estratto dalla tasca del suo camice, le ammanettò le mani dietro la schiena. I polsi della ragazza avvertirono la morsa gelida e ancora una volta lei si lamentò. "C-c-cosa stai facendo? Non sarà un g-g-gioco e-erotico?" balbettò. Il ragazzo le sorrise mentre ancora una volta le guardava attentamente il viso.
    "Sì, esatto", le rispose. Il cazzo gli si drizzò nei pantaloni per l'eccitazione. Afferrò, con la mano libera, il bisturi dal vassoio e pensò da dove avrebbe dovuto cominciare. Cavarle gli occhi? Estrarle i denti? Inciderle il setto nasale?
    Avvicinò lo strumento al viso pallido della giovane donna, mentre lei si contorceva di paura e piangeva più forte. "Ti prego, ti prego, non ho fatto niente! Aiuto! Aiuto! Non ho fatto niente!"
    Scariche di piacere attraversavano il corpo di Urek, gli tremava la mano per la frenesia di incidere. "Quante volte un idiota che dice qualcosa del genere viene risparmiato?" pensò. Gli fece pena. La compatì. Si fermò, allontanò il bisturi dal suo volto e sospirò profondamente.
    La liberò delle manette e le fece un cenno; "Puoi uscire, mi hai convinto", le disse. Guardare tutta quella speranza negli occhi di lei lo arrapò in modo indicibile, soprattutto mentre quella signorina lo ringraziava, gli baciava le mani e si dirigeva verso la porta. Lo ringraziava per averla risparmiata, era terrorizzata.
    "È tardi, signorina. Semplicemente troppo tardi."

    Urek afferrò un coltello da cucina e lo affondò dieci volte nella sua schiena. Urla strazianti riecheggiarono per tutta la stanza.






    Era di nuovo al bar. Era già sera, ormai. Il locale era proprio vicino alla stazione di polizia e per questo alcuni agenti dopo il turno di lavoro si ritrovavano lì per svagarsi un po'. Urek, tuttavia, preferiva non fare amicizia e starsene in disparte, sorseggiando il suo whiskey comodamente appoggiato al bancone.

    Quando il baretto si fece troppo affollato, decise di uscire. Troppo caos lo disturbava, si sentiva agitato e nervoso. Pagò il conto e uscì di fretta, mentre si portava una sigaretta alla bocca. Inspirò profondamente ed iniziò a camminare.
    Ci vollero almeno venti minuti, ma si stava calmando. Avrebbe desiderato che certi istanti durassero per sempre. Si accese un'altra paglia, era già notte. Si rimproverò di essere stato lento, troppo lento. Il Capitano gli passò davanti, in una strada di New York molto trafficata, piena di passanti e negozi ancora aperti. L'uomo era al telefono, per questo non lo aveva notato.

    Per un secondo sperò di vedere il suo reale desiderio alle spalle dell'uomo che odiava, ma egli non passò, non c'era.

    "L'hanno già trovata", pensò.



    I. - Asfissia



    Bastò una singola telefonata; nonostante l'orario, alla stazione di polizia era scoppiato il caos. "Maledizione", pensò Iyokani, mentre sistemava le ultime scartoffie sulla scrivania di un collega. "Un corpo, un corpo", sentiva gli altri poliziotti ripetere, come una cantilena. Era da poco scesa la sera, le luci del tramonto penetravano flebili dalle finestre, e in un momento s'era passati da affari di poco conto ad un omicidio sconclusionato. Se fino a poco prima si contavano solo i ladruncoli che tiravano via portafogli dalle borsette, ora c'era da immaginarsi una scena di un cadavere fatto probabilmente a pezzi. Iyokani sapeva dalle prime ore del giorno di star perdendo tempo in stazione. I criminali erano lì fuori a sbrigare indisturbati i loro affari mentre i poliziotti poltrivano a riempire verbali di arresto dentro i loro uffici: poteva mai andare peggio di così?
    "Potrebbe essere lui..." rimuginò, mormorando sotto voce. Si assicurò di aver le pistole nelle fondine, in ordine e cariche, poi fece per uscire dall'edificio. Mosse appena due passi verso l'ingresso quando venne raggiunto da un suo sottoposto. "Ispettore Kozume!" sentì alle sue spalle. Correva verso di lui con il fiatone, affannava. "I-ispettore! So che il suo turno è finito, ma il Capitano la sta cercando! Si è allontanato da qui mezz'ora fa, hanno segnalato un corpo nel bosco!"
    Iyokani scosse la testa mentre controllava che ora fosse, scoprendo delicatamente la manica della giacca per poter controllare il suo orologio da polso. "Perché ti affanni tanto?" domandò. "Il corpo ormai è esanime e non credo che il killer sia nei paraggi", borbottò, "di certo non verrà a costituirsi più tardi."
    Il collega rimase di stucco. Possibile che Iyokani Kozume gli avesse dato una risposta del genere? Non era proprio lui che, più di tutti, si scalmanava e si metteva all'opera ad ogni nuovo inidizio e possibile pista da seguire?
    Lo lasciò lì di sasso, Iyokani, mentre con un cenno del capo lo superava in silenzio e s'avviava fuori dalla stazione. Si portò una sigaretta alla bocca, l'accese e inspirò profondamente mentre si portava all'orecchio il suo cellulare. La risposta alla chiamata non tardò ad arrivare.
    "Mi cercavi?" domandò, flebilmente. "Ho appena finito di compilare quella roba noiosissima, prega per te che domani non ce ne sia dell'altra perché io-..." venne interrotto prima che potesse finire la frase. "Fa' poco lo stronzo, non puoi immaginare cosa abbiamo trovato" rispose dall'altra parte il Capitano, visibilmente infastidito dal tono del collega, ma altrettanto preoccupato per quello che aveva già avuto modo di vedere sulla scena del crimine.
    "Non mi dire... Un corpo?"
    "Hai già saputo?"
    "Ah beh, pensavo di essere stato l'ultimo in realtà. Ne stanno parlando da almeno mezz'ora, qui."
    "Scusami, avrei voluto chiamarti prima, Kozume." Al sentir pronunciare quella frase, Iyokani non poté trattenere un risolino divertito. "Ci diamo del tu, e poi mi chiami per cognome? Va bene, capo, un po' di professionalistà non guasta", disse, iniziando a camminare sul marciapiede a passo lento, dirigendosi verso la sua auto di servizio. "Dove devo raggiungerti?" chiese, mentre cercava le chiavi della vettura nelle tasche. "Te lo dico dopo. Richiamami quando ti sarai messo in contatto con quel criminologo che è venuto in stazione stamattina. Lo avrai visto, spero. Ha firmato un contratto, è ufficialmente dei nostri e ci aiuterà nelle indagini."
    "E perché dovrei chiamarlo io?" domandò un po' sbigottito, ma senza che il suo tono di voce lo desse a capire. Se il capitano avesse potuto vedere la sua faccia in quel momento, si sarebbe rimangiato immediatamente ciò che aveva detto e lo avrebbe chiamato da sé. Peccato che, in una telefonata, non avrebbe nemmeno potuto immaginarlo.
    "Perché è il tuo nuovo partner e sei perfettamente capace di essere autonomo. Forza, sbrigati" lo rimproverò secco, mentre già gli dettava velocemente il numero di cellulare e gli passava i dati utili. Iyokani ebbe poco tempo per capire e anche poco tempo per segnare tutto ciò che gli veniva detto sullo schermo del cellulare, ancora in chiamata. "A-aspetta, com'è che si chiama? Come si legge?" domandò, ma prima che potesse ricevere risposta il Capitano aveva già riagganciato la linea. Rimase lì impalato come un cretino. "Perfetto, ed ora?", disse ad alta voce, mentre guardava e riguardava lo schermo illuminato del suo cellulare. Si schiarì la voce e compose il nuovo numero solo dopo qualche istante. "Mi merito un aumento, fare il poliziotto è stancante..." borbottò, mentre ascoltava il telefono squillare, sperando che la telefonata durasse il meno possibile.


    "Pronto?" una voce giovane aveva replicato dall'altro lato della cornetta dopo almeno otto o nove squilli. Iyokani si sentì inevitabilmente spazientito. La tempra non era il suo forte.
    "Parlo con... U-... come diavolo si legg-... Zahaard?"
    "Urek Zahaard, sì", riuscì a malapena a trattenere una risata, Urek, mentre pensava, "Diavolo, è lui, è lui!". — "Con chi parlo?"
    "Mi presento, sono l'ispettore Kozume. Mi dispiace telefonare a quest'ora, ma sono appena stato avvisato di un caso piuttosto serio e ho saputo che lei ha firmato un contratto per... Beh, lo saprà sicuramente meglio di me che cosa le hanno fatto firmare. Ha presente l'uomo con cui ha parlato stamattina? Mi ha dato il suo numero. Da oggi saremmo partner."

    Iyokani non seppe che altro dire, pensò che forse l'aveva addirittura tirata troppo per le lunghe. Quante spiegazioni doveva dare, al telefono, ad una persona con cui non aveva mai avuto niente a che fare? Nemmeno se ne ricordava più la faccia. Ma l'aveva realmente visto il suo volto, quella mattina?


    Dall'altro lato del telefono, a pochi isolati da dove si trovava Kozume, Urek Zahaard controllava di avere in tasca i suoi documenti e faceva retro-front verso la stazione di polizia. Ci avrebbe messo un quarto d'ora ad arrivare a piedi. "Non ho capito come mi avrebbe rintracciato..." disse, curioso di continuare a sentire la sua voce, per poterselo dipingere nella sua testa; pensava alla sua espressione, a com'era vestito e con quanta velocità scandiva le parole che pronunciava.
    "Poche chiacchiere" rispose Iyokani, fermamente. "Ne parleremo in un altro momento. Dobbiamo occuparci di un cadavere."

    Gli occhi di Urek si illuminarono immediatamente non appena lo sentì spiccicare parola. "Senta, io vorrei anche vederla, ma non so dove possa essere la scena del crimine, né dove si trovi lei ora, ispettore." Lo sentì immediatamente alzare il tono dall'altra parte del telefono, nella speranza di controbbattere in modo altrettanto adeguato.
    "Insiste? Sono alla stazione di polizia, e se piuttosto mi dice lei dove si trova adesso, passo a prenderla."
    Urek Zahaard non riuscì a fare a meno di ridere. Voleva già dettare leggi, la sua musa? "Uh, sa cos'ha dietro la zip..." Pensò.
    "Lasci stare, faccio io. Non si muova dalla stazione." Riagganciò il telefono senza nemmeno aspettare che il suo interlocutore aggiungesse una parola di più. Si infilò in un vicoletto della strada che stava percorrendo a piedi e trovò parcheggiata la sua moto, così come l'aveva lasciata in mattinata prima di sbrigare tutte le commissioni del caso.



    Quando arrivò alla stazione, il motore tuonava e la marmitta scoppiettava. Trovò Iyokani bivaccato sui gradoni della stazione di polizia, che fumava un'altra sigaretta. "Non te lo aspettavi, non te lo potevi aspettare" pensò, mentre toglieva dalla testa il casco e scopriva la sua espressione soddisfatta. L'ispettore lo guardò sbilenco. "Zahaard? Mi aspettavo arrivasse con un macchinone..."
    "Se ne dimentichi. Con una moto si fa prima", gli fece un occhiolino provocatorio, ma Iyokani non raccolse la sfida. Con un cenno, Urek gli disse di avvicinarsi a lui e gli passò il casco.
    "Fa guidare me?", domandò ingenuamente Iyokani. Urek non si lasciò scappare un'espressione divertita. — "Sei impazzito? Azzardati a toccare la mia moto e ti sgozzo, non prima di averti fatto ingoiare le palle", gli avrebbe voluto dire... ma fortunatamente tacque, per qualche istante. "Pochi scherzi e si sbrighi a salire, ispettore Kozume. Sbaglio o -dobbiamo occuparci di un cadavere-?" Rimarcò quella frase per prenderlo in giro. Era la stessa identica cosa che poco prima gli aveva detto Iyokani al telefono.

    L'altro si sentì inspiegabilmente oltraggiato. Ma per chi l'aveva preso? Per la sua principessa senza scarpetta? "Che arroganza, e che tipo", rifletteva, mentre afferrava il casco e lo indossava con cura. Lo fulminò con uno sguardo vitreo e fisso. Se una qualche divinità avesse potuto leggergli la mente, avrebbe trovato talmente tante maledizioni e parolacce che gli avrebbe scaricato addosso fulmini e saette. "Potrei multarla per l'assenza di un secondo casco", biascicò, mentre saliva in sella. Urek rise a gran voce. "Oggigiorno voi dell'arma sapete parlare solo così, mh?"
    Intanto a Iyokani era arrivato il messaggio che avrebbe stabilito la loro meta: "La scientifica è già all'opera nello sterrato oltre la vecchia ferrovia. Raggiungici."
    "Dobbiamo dirigerci alla vecchia ferrovia, e cerchi di rispettare i limiti di velocità", si raccomandò. Sistemò i piedi sulle pedane e si preparò alla partenza.
    "Si tenga forte e mi perdoni, però lo ha detto lei: abbiamo fretta."
    Un colpo di gas e la moto partì a tutta velocità.





    La corsa terminò con una sgommata sullo sterrato che di professionale aveva ben poco. Iyokani aveva avuto due o tre mancamenti per tutto il tragitto; quel tizio era un pazzo, guidava come uno spericolato, un ragazzino neo-patentato. Quando scese dalla moto si rese conto di aver provato un brivido che sicuramente gli mancava: rischiare di morire in un incidente motociclistico per le strade di New York. Si augurò di non dover ripetere l'esperienza.
    Urek lo guardò togliersi il casco e ne incrociò lo sguardo. Lo guardava più soddisfatto di quando si erano incontrati fuori alla stazione. "Abbiamo abbassato la cresta? Faresti meglio a rimetterti il cazzo nei pantaloni, se hai creduto, anche per un solo istante, che te lo avrei succhiato come tutti gli altri tuoi sottoposti", non poté fare a meno di pensare. Gli fece un cenno silenzioso e si avvicinarono alla scientifica. Il cadavere era parzialmente coperto da un lenzuolo. "Voglio vederlo in azione", continuava a ripetere una voce nella sua testa.

    Iyokani avanzò a passo spedito e sicuro verso i suoi colleghi già al lavoro. "Adesso, io non so bene di cosa lei si occupi nello specifico, ma da come si è presentato, credo niente di rilevante" lo punzecchiò aspramente, "...Quindi, andrà a salutare i superiori e se ne starà lì buono, mentre io faccio i dovuti accertamenti."
    "Starmene buono lì? Deve ancora crescerti la barba, non fare il grosso solo perché hai delle manette e una pistola."

    "Buonasera sprovveduti, cos'abbiamo qui?" domandò, sarcastico, mentre si chinava sul cadavere, attento a non inquinare la scena del crimine. Tutta la scientifica girava a vuoto tra le frasche cercando indizi, e Iyokani non poté fare a meno di pensare che fossero una combriccola di imbecilli, altro che sprovveduti. Il cadavere era quello di una donna, ed era tutto intero. Non era stato fatto a pezzi come invece se l'era immaginato. "Perché è così pulito?" ragionò ad alta voce. "Mi aspettavo un corpo maciullato, magari quello di una povera donna perseguitata dall'ex marito, e invece..."
    Si fece passare dei guanti sterili, indossandoli con cura e iniziando a studiare meglio la pelle candida della ragazza riversa al suolo in posizione supina. Intanto il capitano gli si era avvicinato e lo osservava in silenzio. Si salutarono con un cenno e nient'altro. Di cosa era morta quella poverina, e perché si trovava lì? Era stata assassinata proprio alla ferrovia? O qualcuno ce l'aveva portata successivamente? Iyokani era pieno di domande e sapeva che da una semplice e superficiale occhiata, non avrebbe trovato nessuna risposta soddisfacente.

    "Zahaard!" lo chiamò d'un tratto, a gran voce. Aveva già bisogno dell'aiuto del suo nuovo partner, per quanto gli pesasse ammetterlo. "Lei è un criminologo, no? Credo sia lei quello più competente, qui. Sul corpo non ci sono segni di ferite superficiali, e non vedo tagli profondi. Niente, niente di esterno e visibile in questa posizione. Va immediatamente analizzato. Bisogna chiamare i suoi colleghi e far spostare il corpo da qui, approfondire le relative autopsie e scrivere un verbale." — "Ma non mi dire! Si fa così?" lo canzonò in risposta, Urek.
    Si sollevò lentamente e si avvicinò al capitano. "Sappiamo chi è?" domandò, ma la risposta fu negativa. Tuttavia, più guardava il viso pallido, congelato in un'espressione di terrore della povera vittima, più aveva la sensazione di averla già vista. Cercò velocemente di ricollegare mentalmente perché gli fosse così familiare.
    "Aspetta..." si portò una mano ad accarezzarsi il viso. Sembrava che questo gesto lo aiutasse a pensare meglio. "Cap', questa ragazza ha subito un furto pochi giorni fa..."
    Ecco, ecco dove l'aveva già vista! Era la signorina del quasi-furto avvenuto qualche giorno prima. Alla fine del misfatto, Iyokani non aveva arrestato quel ladruncolo, perché aveva restituito il portafogli... che potesse aver deciso di punire la giovane, in un atto di ritorsione, prendendosi la sua vita?

    Urek intanto aveva indossato i guanti e si era chinato a sua volta ad analizzare il cadavere: le osservò occhi, labbra, bocca, testa. C'era un ordine, per certe cose.
    Un momento dopo, senza esitazione, si rialzò e parlò. "Qui presenta un colpo alla testa, forse è caduta o sbattuta da qualche parte, ma la causa della morte sarà stato il soffocamento. Se il coroner ha detto il contrario, e l'ho appena sentito, licenziatelo. Ha le labbra viola e gli occhi iniettati di sangue."
    Si avvicinò all'ispettore Kozume e gli chiese di dare un'occhiata in giro. Non stava aspettando nient'altro che quello. Il suo corpo fremeva dalla voglia di vederlo in azione.

    Qualsiasi stupido, al sentire quella richiesta, si sarebbe messo presumibilmente a girare in tondo cercando qualcosa di utile tra le erbacce secche, ma Iyokani no. Iyokani era geniale. Tornò a chinarsi sulla giovane donna, le chiuse le palpebre e le aprì la bocca; "Scusami, bambolina", pronunciò a bassa voce. Le infilò due dita in gola e ne estrasse una moneta. Era incastrata nella trachea.
    "È il nostro uomo, è quel cazzo di killer!" pronunciò, entusiasta di averci capito finalmente qualcosa. "Smettetela di guardare in giro, idioti! Qui intorno non c'è nulla, io voglio l'autopsia entro domattina e voglio controllare qualsiasi cosa troviate alla scientifica. Le carte sul mio tavolo entro le dieci in punto di domani mattina."
    Ripose la moneta in una bustina trasparente per la raccolta prove e la consegnò ad un collega. Finalmente si tolse i guanti.

    Urek lo guardava compiaciuto. Era riuscito a capire immediatamente che la ragazza non fosse stata strangolata con una corda, una fascetta o che altro; aveva capito immediatamente che le era stato infilato qualcosa in gola e che le si era bloccato lì. Quella giovane era morta per asfissia, e Iyokani l'aveva capito da solo e in un attimo. Era stato sublime.



    Gli agenti portarono via il corpo ed iniziarono ad interrogare la persona che lo aveva segnalato, bloccata lì sulla scena del crimine. Urek si diresse alla sua moto, ma notò che il suo partner non lo seguì a ruota. Non capì come mai: il lavoro, dopotutto, era finito.
    "Ispettore? Non viene? Mi scuso per prima, forse ho esagerato, non avrei dovuto accelerare troppo... ma sono sicuro che però tu ti sia divertito. Diamoci del tu, anche se non conosco ancora il tuo primo nome, Kozume."
    Iyokani gli sorrise. Non poteva credere che dalle labbra di un tale borioso fossero appena venute fuori delle scuse. Stava sognando? "Te lo dico se vai piano, va'", e salì in sella.




    II. - Dentro e fuori




    L'ispettore indossò di nuovo il casco, salì in sella e il cavallo tuonante partì.
    "Puoi lasciarmi alla stazione di polizia? La mia auto è lì", gli chiese Iyokani, sollevando la visiera con le mani, mentre si teneva in equilibrio facendo affidamento sulle gambe. "Non c'è problema", rispose di rimando Urek, che sfrecciava già tra il traffico, ma ad una velocità moderata. Si era sicuramente calmato e non sentiva più il bisogno di pavoneggiarsi e di dimostrare che non prendesse ordini da nessuno, né tantomeno dal suo nuovo partner. "Però, non mi hai ancora detto il tuo nome", ricordò, mentre arrestava la corsa per rispettare il rosso di un semaforo. Quando la moto si acquietò, da dietro Iyokani si avvicinò col volto alla sua spalla destra, ora che finalmente non avevano bisogno di gridare ogni parola per poter comunicare. Sapeva che, con la moto ferma, anche un sussurro sarebbe stato udibile.
    "Iyokani. Mi chiamo Iyokani."


    Il fatto che si fosse avvicinato tanto al suo orecchio e che ne avesse sentito il fiato sul collo, lo fece rabbrividire. Non era un gesto chissà quanto poco comune quando ci si trova su una moto da duecento cavalli, ma il fatto che un ispettore di polizia si avvicinasse tanto fisicamente all'uomo a cui in realtà stava dando la caccia da mesi, era sicuramente eccitante. Iyokani non lo avrebbe mai sospettato, neppure immaginato: non c'erano ancora sufficienti indizi per portarlo a dubitare del suo partner. Si erano conosciuti solo da un paio d'ore, dopotutto... ma nonostante ciò, Urek trovò la situazione estremamente godibile e iniziò a pensare per quanto ancora sarebbe andata avanti così. Quanto sarebbero entrati in confidenza prima che Urek uccidesse anche lui?
    "Particolare", rispose in un sorriso, mentre il semaforo stava per far scattare il verde. "Ti chiamerò Iyoka."

    L'altro non ebbe il tempo di controbbattere che la moto riprese velocità. In pochi minuti sarebbero arrivati a destinazione. — "Iyoka? Non pensavo avrei più sentito questo soprannome..." rifletteva.

    L'ultima volta che ci si era sentito chiamare fu quando gli sterminarono la famiglia... se tale potesse definirla.



    (flashback)
    "Iyoka! Scappa! Scappa dannazione!" gli aveva urlato Tommy, già almeno tre volte. Aveva incassato un proiettile nel fianco e perdeva sangue in modo copioso. Tutt'intorno, sui muri, sul pavimento e sul soffitto c'erano chiazze opache purpuree. L'uomo si teneva a stento in piedi.
    "Io non me ne vado senza di voi!" gli aveva urlato Iyokani in risposta, e non gli importava quante pistole gli avessero puntato alla testa: lui sarebbe morto lì, con le uniche persone che si fossero mai preoccupate di lui, con chi lo aveva cresciuto e gli aveva dato da mangiare.
    "Vattene, cazzo! Te lo ordino!"
    Gli altri erano già morti. Grida di dolore, disumane, si udivano come echi da dentro l'edificio sgomberato. Era scoppiato l'inferno, ma Iyokani voleva entrare. Impugnò la sua 9mm e, appoggiando Tommy al muro affinché non si sforzasse, gli disse di aspettarlo. "Ti prometto, ti prometto che tornerò a prenderti" gli sussurrò tra le lacrime. Voleva salire quella dannata rampa di scale e fare fuoco su qualsiasi cosa si muovesse. Voleva salvare Cain, Lee, Charles e tutti gli altri. Erano la sua unica famiglia. L'unica cosa più preziosa della sua stessa vita.
    L'uomo più grande cercò di trattenerlo per un lembo della felpa che indossava. "Iyoka, sono tutti morti, devi andartene!" gli urlò ancora, mentre con la mano si premeva il fianco malmesso, ma il giovane non volle sentire ragioni. "No! Vado a chiamare il capo! Cain saprà cosa fare!"
    Gli diede uno scossone e fece in modo di fargli mollare la presa, poi avanzò a passo sicuro. Sarebbe salito al primo piano e niente avrebbe potuto fermare la sua furia. Non riusciva a credere che la banda di criminali più ricercata di New York fosse stata polverizzata da un paio di uomini della mafia di China Town. La Black Sabbath controllava tutto l'Harlem, come era potuto succedere che venissero colti di sorpresa in questo modo?

    D'improvviso sentì un colpo secco alle sue spalle; Tommy cadde al suolo senza vita. Iyokani si voltò immediatamente e la scena che vide gli fece gelare il sangue: un altro uomo impugnava una pistola e aveva appena fatto fuoco verso il maggiore dei tre.
    "Ohohoh, Iyokani, pensavo sarei dovuto passare a prenderti più tardi..." gli aveva detto una voce profonda. "Se stai cercando il capo, Cain, posso regalarti la sua testa..." Iyokani riconobbe immediatamente di chi si trattasse, nonostante avesse il volto parzialmente coperto da una bandana: Lee. Il cinese doveva averli traditi e venduti alla mafia di China Town.
    "Tu...?" domandò, mentre iniziava a tremare. "C-come hai potuto... N-noi... Noi ti abbiamo accolto come uno dei nostri! T-tu eri mio fratello! Per Cain eri come un figlio! Si fidava di te! Lo hai tradito, ci hai traditi! Perché?! Come hai potuto?!"
    "Le cose cambiano, piccolo Iyoka. Mi dispiace farti fuori, ma-..." non ebbe il tempo di finire la frase che, a sangue freddo, Iyokani mirò un colpo alla testa. Non sapeva neppure da dove avesse tirato fuori il coraggio, ma Cain gli aveva insegnato così. "Chiunque può tradirti, Iyoka. Anche io. Ricordatelo sempre, non fidarti di nessuno..." — quelle parole riecheggiavano nella sua testa, martellanti.
    Le lacrime iniziarono a rigare il suo viso. Quel tradimento gli aveva fatto perdere tutto: la famiglia, l'affetto, la banda, la ragione di vita.

    Sentì una voce provenire dal piano superiore: lo avevano sentito e stavano scendendo a cercarlo. Ripose la pistola nei jeans, dietro la schiena, e iniziò a correre più velocemente che poteva. Sarebbe sceso per le fogne. Avrebbe trovato uno scenario meno degradante di quello a cui aveva appena assistito.



    Quando arrivarono alla stazione, i due partner si resero conto che fosse passata l'ora di cena da un po'. I loro stomaci brontolavano e reclamavano il pasto che avevano saltato. Iyokani scese dalla moto e restituì il casco. "Grazie per il passaggio, uhm..."
    "Urek, chiamami solo Urek." — "...Urek." continuò dunque l'altro, facendogli l'occhiolino. "Che ne dici se mangiamo qualcosa qui? Facciamo due chiacchiere? A meno che tu non abbia qualcuno che ti aspetta a casa, ovviamente." Gli indicò, a pochi metri, l'insegna colorata e luminosa di quella che sembrava una tavola calda. "Lì si mangia bene, ci vado spesso dopo il turno..."
    L'altro lo prese in giro, ridacchiando di gusto; "Oh, Iyoka, nemmeno due ore che ci conosciamo e mi porti già a mangiare fuori? — Scherzo! Ci sto."
    Si sorrisero e a piedi si incamminarono verso il locale.

    Non era un posto che Urek era solito frequentare: si mangiava, si beveva, c'era della musica in sottofondo e c'erano addirittura delle stripper. "Che razza di topaia..." pensò, non appena le sue inglesine derby superarono l'ingresso, ma non s'azzardò a dirlo; dopotutto, sembrava il posto perfetto per tutti quei poliziotti insoddisfatti che prima di tornare a casa dalle loro mogli si riempivano di alcol e sganciavano qualche misero centone alle belle ragazze. Non si meravigliò di trovare al suo interno molti dei colleghi di Iyokani che, in mattinata, aveva visto in stazione.
    "Andiamo, prendiamo un tavolo", lo esortò l'ispettore, facendogli cenno di accomodarsi.
    "Vieni qui spesso?" domandò Urek, mentre spostava lo sgabello per farsi spazio e mettersi seduto. — "No, non proprio. Ci passo di rado, in genere ceno a casa."
    "Vedo che i tuoi colleghi si danno da fare, invece..." disse scherzoso il moro, mentre indicava al compare alcuni poliziotti che complimentavano e lusingavano la ragazza che faceva pool dance poco distante da loro.
    "Ah, sì! Ma tranquillo, sono sposati e non osano oltre!"
    "E tu, invece?" Urek lo guardò curioso. Non stava più nella pelle di saperne di più dell'uomo che, presto o tardi, avrebbe dovuto affrontare. Voleva sapere tutto di lui; oltre alla pura curiosità di ascoltarlo e studiarne le movenze, pensò che qualsiasi dettaglio gli sarebbe tornato utile.
    Iyokani gli mostrò la mano sinistra in un gesto ironico, indicandogli l'anulare. "Vedi un anello, per caso? Va be' che io ho un occhio malconcio e potrei non averlo notato, ma..."
    Ed era vero: la benda che portava all'occhio destro doveva essere "una cicatrice di guerra"... Urek non trattenne un risolino divertito.
    "Scusa, è che non faccio caso a queste cose."

    Mentì. Eccome se ci faceva caso. Aveva già dipinto l'ispettore Kozume nella sua testa, dal loro primo incontro, quando l'altro però ancora non lo aveva mai visto; aveva già presupposto che fosse scapolo, solo, che abitasse in un appartamento tranquillo e, a giudicare da alcuni peli di colore chiaro sul suo cappotto, che avesse un animale domestico. Un gatto, forse?
    Urek non poté fare a meno di osservargli il viso: pulito, un po' pallido, nessuna cicatrice importante. L'unico segno particolare era quella dannata benda, e lo sguardo penetrante e profondo che poteva ammirare dall'occhio buono, di uno splendido color ambra.

    "E dunque... cosa prendi? Ti va un hamburger? E poi, è vero che hai sbancato Las Vegas? Potrebbe essere un pettegolezzo come un altro, lo ho sentito in centrale prima di andare via, ma mi incuriosisce. Io non ho mai giocato nemmeno un gratta e vinci in vita mia."
    "Va bene un hamburger, e... sì, è vero. Sono finito sui giornali qualche anno fa."
    "Beh, avrai capito che non compro il quotidiano da un po'..."
    Risero come due amici di vecchia data, mentre ordinavano la loro cena e una pinta di birra a testa.


    "Perché sei diventato un poliziotto?" Quella domanda ruppe il silenzio imbarazzante che stava per venirsi a creare, mentre aspettavano pazientemente il loro ordine. Sembrava un po' sconveniente fare domande troppo private e specifiche, quindi Urek cercò di contenersi; tuttavia, non poteva negare che la sete di saperne di più lo stava logorando dall'interno. Ancora, ancora e ancora, lo avrebbe ascoltato parlare di sé per ore. Ogni particolare della vita di quell'uomo lo affascinava e gli sarebbe servito a difendersi in futuro.
    "Beh... tu perché pensi che lo sia diventato?"
    "Familiari nell'arma? Una tradizione da continuare? Non saprei."
    "In realtà la legge non mi è mai piaciuta troppo", gli confessò Iyokani, a cuor sereno. In quel momento erano in confidenza, poteva permettersi di lasciarsi andare, anche perché si sentiva perfettamente a suo agio. Non era solito aprirsi così tanto, soprattutto con uno sconosciuto, ma qualcosa gli suggeriva di potersi fidare.
    "Ah no? Eppure sembri così ligio, non l'avrei mai detto."
    "Sarei potuto diventare un acerrimo nemico della polizia..."

    Ascoltando quelle parole, Urek ebbe un sussulto. Non riuscì a fare a meno di pensare: "Non sarai stato anche tu..." — milioni di congetture iniziarono a prendere spazio nella sua mente. Un assassino? Un ladro? Un rapinatore? Un trafficante di organi?
    "Ero nella Black Sabbath. Li ha sterminati la mafia cinese."


    Urek avrebbe voluto sorridere a trentadue denti e liberarsi poi in una risata assai più profonda, malvagia. "Stupidi imbecilli, i mafiosi... Fanno tanto i gradassi e poi si fanno la guerra tra loro e finiscono tutti uccisi, o arrestati..." pensò.
    "Immagino fosse una banda criminale..." lo guardò un po' perplesso, nascondendo con accortezza il senso di superiorità che lo aveva pervaso in quel momento.
    "Sì, controllavamo l'Harlem, il quartiere di Manhattan. Giri di droga, traffico di armi, operavamo soprattutto sotto terra. Non ci hanno mai presi."
    "E poi?"
    "E poi ci hanno venduto. Hanno raso al suolo ogni cosa e si sono portati via tutto, oltre che le nostre vite."
    "Deve essere stato terribile..." finse perfettamente un'espressione di sconforto. Iyokani gli fece un cenno con il capo e cercò di scacciare la malinconia che l'avrebbe inghiottito da lì a poco.
    "E beh, dunque eccomi, adesso sono un ispettore di polizia. Rispetto la legge e punisco chi non la rispetta."
    "...E insegui un serial killer di cui i giornali non parlano."
    "Hai già capito, eh?"


    I loro hamburger, ancora fumanti, vennero consegnati al loro tavolo da una giovane ragazza sulla ventina. Iyokani la salutò in modo confidenziale e ne lodò la gentilezza. Evidentemente dovevano essersi conosciuti proprio durante le pause pranzo o la fine dei turni di lui.
    "Direi. L'esclamazione che hai fatto quando hai trovato la moneta nella gola della vittima, mi fa pensare che tu stia inseguendo qualcuno da un po'... Sbaglio?"
    "Non sbagli. La città è all'oscuro di tutto, i giornalisti sono spaventati di subire ritorsioni e dunque non ne parla nessuno. Tutti pensano sia opera della mafia."
    "La mafia non lavora in modo così intelligente, sciocchini", pensò Urek. "E tu? Anche tu pensi che sia la mafia?"
    "Urek, io sono stato nella mafia." Rispose secco, Iyokani. Il suo sguardo si incupì. "Ti assicuro che questa minuziosità non esiste, lì. Esistono solo i soldi, le taglie e la puntualità. Ma della precisione non gliene frega un cazzo a nessuno. Di uccidere persone comuni, soprattutto, non gliene frega un cazzo a nessuno. La mafia cerca di restare nell'ombra."
    "Dunque non uccide chi non ha nulla a che vedere con i loro affari."
    "No. Non abbiamo mai ucciso nessuno per il puro gusto di uccidere."


    Urek sapeva cosa lo distingueva da tutti gli altri criminali di New York: l'astuzia, la bravura e la follia omicida. Il suo ego narcisista non poté che gioire del fatto che, l'oggetto del suo desiderio, pensasse che quei capolavori fossero opera di qualcuno di più competente, e non di qualche fallita banda criminale. Aveva ragione e ci era arrivato senza avere tra le mani nessun indizio concreto. Era semplicemente un genio, ed uno che sapeva guardare oltre il proprio naso.

    Mentre mangiavano, Urek rifletté di doversi informare riguardo il "proprio" caso. Doveva capire dove fosse arrivata la polizia con le indagini, con le supposizioni, e soprattutto se avessero già trovato qualche inidiziato; lui doveva ancora prepararsi un capro espiatorio e gli avrebbe fatto comodo qualcuno su cui scaricare tutta la colpa, anche inquinando le prove, se necessario.

    "Cosa è emerso dalla scientifica e quanti omicidi ci sono stati?"
    "Una decina di vittime. Nessuna correlazione tra loro. Persone tutte diverse, di ogni sesso, età ed etnia. Qualcuna di loro è stata anche... stuprata."

    Urek avrebbe voluto ridergli in faccia. Era vero: quando uccidere qualcuno gli era sembrato noioso, aveva anche osato abusare del loro corpo. Erano stati episodi singoli, ma era capitato e lui se lo ricordava bene. Aveva completato i suoi piani poco dopo l'orgasmo.

    "E come fai a sapere siano sempre della stessa persona? Non potrebbe trattarsi di più criminali?"
    "No, Urek, è una sola persona. Ed è estremamente intelligente, non ne sbaglia una. Zero impronte digitali, non un capello fuori posto, e poi lascia sempre una moneta, come quella che hai visto oggi... A volte penso che questo killer non sia umano."


    Ascoltando quelle parole, Urek avvertì una scossa di piacere corrergli lungo la colonna vertebrale: la sua ispirazione lo aveva appena riempito di lodi, inconsapevolmente. Sollevò quindi la sua pinta di birra e si sporse leggermente verso Iyokani. Sorrise compiaciuto.
    "Brindiamo, riusciremo a risolvere questo caso."
    "Sì, forse con il tuo aiuto sarà più semplice. Alla nostra collaborazione!"

    I bicchieroni di vetro si sfiorarono e il "drin" che emisero sembrò riecheggiare per tutto il locale.

    "...E alla tua prematura morte, Iyoka." pensò Urek.





    III. - Vulnerabilità (ancora da completare)


    Quando quasi fecero per lasciare il loro tavolo, Iyokani e Urek si resero conto che fossero già belli che andati. Tra una chiacchiera e l'altra, i due colleghi avevano continuato a ordinare sempre più pinte di birra, poi addirittura erano passati ad assaggiare alcuni bicchieri di liquore. Non se n'erano nemmeno accorti, all'inizio: la buona compagnia ti fa perdere il senso del tempo e della ragione, a volte. La musica ad un certo punto era diventata psichedelica, le stripper giravano tra i tavoli con vassoi pieni di alcolici e stuzzichini, e le luci soffuse che avevano trovato all'entrata adesso erano diventate fasci luminosi che alternavano colori brillanti, come fossero in una discoteca. Doveva essere passata l'ora di cena da un po', il locale aveva lentamente iniziato a cambiare forma. Molti dei poliziotti, colleghi ai due uomini, erano ancora lì che continuavano a bere e ad offrire banconote alle ragazze. Iyokani fece segno ad Urek di tirarsi su e s'avvicinò al tavolo di alcuni colleghi, che lusingavano una ragazza che per loro aveva inscenato un balletto che lasciava poco spazio all'immaginazione. Raggiunta una certa somma, si sarebbe probabilmente denudata completamente, o quasi.
    Urek raggiunse gli altri uomini e quasi sboccò, di fronte ad uno spettacolo così raccapricciante, per i suoi gusti raffinati ed eleganti. Vedere quell'ammasso di belve con la bava alla bocca, di fronte ad una mercanzia tanto scadente, gli provocava la nausea. Non poté fare a meno di focalizzare il suo sguardo sul suo partner, che in un secondo aveva già tirato fuori dalla tasca della giacca il suo portafogli. Urek pensò: "Non vorrà davvero dare soldi a questa qui?", ma prima che potesse anche terminare il suo pensiero, un po' confuso per via dei fumi dell'alcol e dell'atmosfera caotica, Iyokani le aveva già allungato un centone nella scollatura. Il maggiore si soffermò a guardarlo in volto. Non aveva per nulla l'espressione di uno realmente interessato a ciò che stava facendo. Insomma, non lo stava facendo per sé, ma per pavoneggiarsi con i colleghi e dimostrare la sua superiorità. Nessuno dei suoi sottoposti avrebbe mai sborsato tanti soldi tutti insieme. Che volesse ricordare la differenza di salario tra loro? O forse... no, no, che fosse solo per rimarcare la sua mascolinità?
    "Non hai per nulla la faccia di uno che se la scoperebbe, Iyoka" rifletté Urek, con un sorrisino compiaciuto.

    Quando l'altro ebbe finito il teatrino, si risistemò e salutando gli altri colleghi si avvicinò all'orecchio del partner, per sussurrargli: "Andiamo via, si è fatto tardi." Urek gli sorrise di rimando e lo seguì fuori dal locale. Finalmente le sue povere orecchie trovarono un po' di pace; per la strada non c'era più quasi nessuno, non trafficavano neppure le autovetture. Dovevano essere tutti a casa, a dormire già da un pezzo. Era quasi mezzanotte, dopotutto: lo aveva capito da come Iyokani s'era guardato l'orologio da polso, prima di sospirare profondamente e portarsi una mano alla fronte, forse per rimproverarsi d'aver sgarrato tanto. Doveva essere abituato a rientrare a casa presto, soprattutto quando il giorno dopo l'avrebbe aspettato una pila di fogli importanti sulla scrivania del suo ufficio.

    "Allora, domani avremo i risultati della autopsia...?" Cercò di dire Urek, visivamente più lucido del suo compagno.
    "Sì..." biascicò l'altro. Stavano camminando sul marciapiede, quando Iyoka si fermò a tirar fuori dalle tasche un pacchetto di sigarette e l'accendino. "Vuoi?" domandò, porgendo al maggiore una sigaretta. La teneva tra l'indice e il medio, con il filtro rivolto verso Urek, che avrebbe solo dovuto afferrarla e portarsela alla bocca. Il maggiore gli fece un cenno, sorridendogli, e avvicinò le labbra a quella sigaretta già pronta che Iyokani gli stava porgendo. Probabilmente le sue labbra sfiorarono per un momento le dita dell'altro, non seppe dirlo con certezza, ma Iyokani ebbe un sussulto. Urek sembrò fare finta di nulla e gli rubò dall'altra mano l'accendino, con cui accese la sua paglia. "Grazie", gli disse, mentre già espirava il fumo grigio, con tranquillità.

    Gli ci volle qualche secondo per riprendersi e rimettersi a camminare. Doveva essere proprio vero che l'alcol ti rendesse un'altra persona! Perché avrebbe dovuto sussultare, altrimenti? Forse perché era stato un gesto troppo intimo, per due che si conoscono appena? Forse perché semplicemente non se lo aspettava? O forse perché...?
    Si avvicinò al muro di un vicoletto e rimetté. Quel pensiero lo disturbava altamente.

    "Iyoka, ma quanti anni hai? Accasciarsi a vomitare così?" lo canzonò Urek, mentre gli poggiava una mano sulla schiena e con l'altra gli teneva delicatamente la testa. Vista da fuori doveva essere davvero una scena comica: un poliziotto e un criminologo che si comportano come due ragazzini ubriachi. Se li avesse visti il capitano, chissà che ramanzina avrebbero dovuto subirsi.

    Il minore si tirò su lentamente, ed Urek gli porse un fazzoletto di seta che aveva già preparato, dal taschino della sua giacca. "Tieni, datti una sistemata", disse, mentre lo aiutava a rimettersi dritto in piedi, assicurandosi che si reggesse con le sue forze. "Come ti senti?"
    "Sto bene, voglio solo andare a casa."
    "Posso darti un passaggio-..." stava per indicargli la sua moto, a pochi passi da loro, quando Iyokani lo interruppe.
    "Non ci pensare nemmeno, abbiamo bevuto entrambi! E p-poi..."
    "Va bene, va bene, ho capito. Tornerai a piedi?"
    "Chiamerò un taxi, Urek. E dovresti farlo anche tu." Aveva già preparato nella mano il cellulare per comporre il numero utile.
    "Reggi proprio male gli alcolici, eh?"
    "No, è solo che non bevevo da molto. Semplicemente io-..."
    "Come no. E da quando non bevevi, dal tuo diciottesimo?"
    "Eh, pronto? Salve, sì, un taxi. Mi trovo..."

    Urek gli scompigliò i capelli in un gesto affettuoso. Incrociò dapprima lo sguardo sbigottito di Iyokani, con fare divertito, poi si allontanò di qualche passo e gli indicò la benda. "Domattina voglio sapere di quella!"
    Voleva sapere del suo occhio malconcio? Iyokani era completamente cieco a destra, forse l'unica cosa a cui era sensibile era appena la luce. Quanti anni fa era successo? Forse più di dieci, non ricordava. "Scordatelo. Ora vattene a casa. Domani abbiamo parecchio da fare", si raccomandò, cercando di riprendere il suo tono autoritario; easttamente come se il senso di familiarità con cui s'erano trattati a vicenda fino a quel momento fosse magicamente sparito. "Che tipo", pensò Urek. Non poté fare a meno di sentirsi sempre più incuriosito dall'uomo che, presto o tardi, avrebbe dovuto tradire per poter salvarsi la pelle, la vita e la reputazione. Si sentiva egoista? Nemmeno troppo. Probabilmente nemmeno s'era reso conto di essersi messo in una situazione incredibilmente tragica, che sarebbe potuta terminare solo in tragedia: questi sono gli errori che i narcisisti, e tutte le differenti personalità drammatiche, tendono sempre a compiere, presto o tardi. Il masochismo lo faceva sentire vivo.

    Salutò il compagno con un cenno della mano e si allontanò a piedi. "Ci vediamo al lavoro", gli disse, mentre lentamente si voltava e cercava le chiavi della moto nelle tasche. Quando salì in sella, la sua mente incominciò a viaggiare a sua volta. Urek pensava al nuovo giorno, a quando si sarebbe presentato in centrale, a Iyokani che impazzisce sulla sua scrivania, o che annega tra infinite pile di documenti, o ancora che sgrida i colleghi. Si domandava, cosa avrebbe capito? Quali indizi avrebbe saputo cogliere? "Domani ci sarà parecchio da divertirsi, Iyokani Kozume. Quando troverai l'autopsia e tutti i documenti utili, chissà che faccia farai. Chissà cosa capirai, cosa penserai. Chissà se ti verrà la malsana idea di rivedere il corpo. Chissà se chiederai il mio aiuto. Chissà come giudicherai... il mio lavoro."
    Sperò di non star puntando troppo su di lui. Sperò che la sua ispirazione massima, la musa più importante che avesse mai incontrato in ventotto anni di vita, non lo deludesse. "Perché se mi deluderai, Iyokani... Il nostro lavoro finirà domani stesso." Guidò verso casa a velocità moderata. Doveva ancora ripulire a fondo lo scantinato.




    Iyokani si fece lasciare dal suo taxi sotto casa. Poteva vedere, dalla strada fuori al condominio, la luce soffusa che aveva lasciato accesa nella sua stanza. Un'abitudine che non aveva mai rimosso, quella di lasciare una luce accesa quando non era in casa e quando sapeva di mancare per molte ore.
    Salì le scale barcollando. Ci mise qualche minuto ad inserire correttamente le chiavi nella toppa e a girarle nella serratura per aprire la porta. Si maledì non appena si rese conto che la testa volesse implodergli sul collo.
    Quando riuscì a varcare l'ingresso di casa, sentì il tintinnio di un campanellino avvicinarsi nella sua direzione. Si chinò sul pavimento, mentre lentamente richiudeva la porta alle sue spalle. "Mi hai davvero aspettato sveglio per tutto questo tempo?", domandò ad alta voce, mentre dall'angolo, alla fine del corridoio, sbucava fuori una pallina di pelo color castagna. L'animale corse verso l'uomo dondolandosi e zompettando. Le sue lunghe orecchie pendenti, che cercavano inutilmente di combattere la gravità ad ogni saltello, erano protagoniste dello spettacolo trillante. L'uomo, che fino ad un attimo prima non avrebbe avuto la forza neppure di togliersi le scarpe, accolse tra le sue braccia il suo coniglietto e lo portò ad appoggiarsi sul petto. Forte, lo strinse, e si diresse verso la camera da letto per adagiarlo sul letto matrimoniale dove presto avrebbero riposato entrambi, come succedeva ogni notte da ormai tre anni.
    "Scusa Poochi, non ho proprio la forza..." cercò di dirgli, come se l'animale potesse in qualche modo comprendere ciò che aveva appena ascoltato. Iyokani faticò un po' per slacciarsi le scarpe, poi si tirò giù i pantaloni, si tolse la giacca e, ancora in camicia e boxer, si lasciò cadere sul morbido materasso di camera sua. Non ne poteva più, doveva dormire. Quanto avrebbe potuto riposare, d'altronde? Sette ore? No, forse anche meno. Sei. Non sarebbero state abbastanza e, chiudendo gli occhi, immaginava già l'emicrania fulminante che l'avrebbe colpito al risveglio. Imprecò nella sua mente, con l'ultimo barlume di coscienza che gli era rimasto, prima di addormentarsi profondamente, esausto. Come aveva potuto ridursi così dopo una giornata di lavoro?







    [Continua...]

    Edited by ´ kagerou. - 29/12/2020, 15:29
     
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    Ho trovato un paio di distrazioni:

    CITAZIONE
    suo padre riuscì ad iscriverlo a dei corsi universitari privati, pagando fuor di quattrini.

    fior di quattrini

    CITAZIONE
    quasi a farla sembrare una minaccia, "Mi potete nel mio ufficio.

    Mi sa ti sei perso un "potete" :P

    Per il resto sembra tutto ok ;)


    Mi piace, già l'inizio è denso di avvenimenti, ottimo perché di solito gli inizi mi annoiano. Sono proprio curioso di vedere come continuerai la storia, nonché di vedere lo sviluppo del rapporto tra Urek e Iyokani. Mi è anche piaciuta molto la storia di Urek, hai introdotto bene il personaggio dando subito le informazioni che servono per inquadrare il personaggio. Il colpo di scena poi non l'ho proprio visto arrivare.
    Insomma good job Kage! Non vedo l'ora di leggere il seguito.
     
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    ups, grazie per le correzioni! Non le avevo proprio notate, che sviste incredibili D:


    AAAAA sono molto felice che ti abbia preso! Veramente :love:
    Il rapporto tra Iyoka e Urek sarà legato inizialmente al lavoro e non si vorranno nemmeno troppo bene, avrai modo di capire perché. Diciamo che diametralmente ho strutturato i loro caratteri in modo molto simile, ma al contempo "opposto". Non saprei spiegarlo meglio. Ci sarà poi in seguito un avvenimento che farà in modo che i due si "debbano un piacere" e... niente, basta spoiler uwu

    Sono molto felice comunque, ti ringrazio Morty :love:
     
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    Mamma mia... meglio di un manga, mi ha preso tantissimo! Per ora è fantastica, ma bisogna ancora vedere come continuerà.
     
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    Grazie Ste! Cercherò di aggiornare quanto prima!
     
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    Amici ho aggiornato con il primo capitolo! Ho inserito sotto spoiler sennò veniva una cosa immensa. Buona lettura e fatemi sapere :peoflow:
     
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    a riempire verbali di arresto dentro i loro uffici: poteva mai andare peggio di sì?

    CITAZIONE
    Quando arrivò alla stazione, il motore tuonava e la marmietta scoppiettava.

    Scusa Kage mi viene istintivo :P


    Beh, quei due hanno fatto scintille appena si sono visti, non mi aspettavo di meno! :D
    Sbaglio o Iyokani e il capitano hanno un buon rapporto tra loro? Sembrano molto amichevoli, un po' come se si conoscessero da tempo (vabbè, lavorano insieme da un pezzo mo che ci penso).
    Ho delle domande ma voglio aspettare il prossimo capitolo, magari si rispondono da sole e devo solo pazientare ahaha!
    Comunque mi è piaciuto molto, mi sta prendendo e sono curioso di vedere come se la caverà Urek.
     
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    Aaaa, errori di battitura. Grazie per avermeli segnalati!
    Tra un paio di giorni caricherò il secondo capitolo x)
     
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    Aggiornamento: ho finito di studiare prima e ho concluso il secondo capitolo ahaha sto volando. L'ispirazione è una cosa bellissima :love: Dunque, eccomi, ho aggiornato il topic!
     
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    Devo ammettere che è una figata. Devo dire anche che il killer mi ricorda molto Light Yagami per ovvie ragioni. Ho una domanda, però. Se Iyoka era nella mafia e ha poco più di vent'anni quando inizia a lavorare con Urek, significa che non l'hanno mai catturato. Quindi perché dice a Urek del suo passato? Forse però l'hanno trattenuto poco perché ha collaborato con la polizia, non ne ho idea. Ah, un'altra cosa: con un nome del genere, mi aspetto un ruolo importante per Cain nei flashback.
     
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    Ciao Kal, e grazie di essere passato a leggere questo mio work in progress! :peoflow:
    Sono piacevolmente colpito dal fatto che tu abbia trovato una somiglianza tra Urek e Light Yagami di Death Note, perché sicuramente per la creazione del personaggio mi ci sono un po' ispirato, anche considerando che proprio durante la prima quarantena ho rivisto e finalmente apprezzato a pieno l'anime. Forse ho interiorizzato qualcosina, chissà.

    CITAZIONE
    Ho una domanda, però. Se Iyoka era nella mafia e ha poco più di vent'anni quando inizia a lavorare con Urek, significa che non l'hanno mai catturato. Quindi perché dice a Urek del suo passato? Forse però l'hanno trattenuto poco perché ha collaborato con la polizia, non ne ho idea.

    No, non l'hanno mai catturato, ma è semplicemente perché dopo il tradimento del cinese verso la Black Sabbath e l'appropriazione dell'Harlem da parte della mafia di China Town, Iyokani (spoiler)
    fa una soffiata alla polizia. Essendo all'epoca solo un ragazzino, gli sembrò una forma di vendetta verso il cinese e l'altra banda criminale rivale, quindi per la polizia Iyokani era un pentito. Venne interrogato e gli fu chiesto di tirar fuori tutti i nomi che ricordava e conosceva, affinché non venisse incarcerato, anche perché era minorenne. Ciò ti fa già capire che avrà dovuto subire un processo riabilitativo speciale. Il resto verrà spiegato ovviamente con l'avanzare della storia.


    Per quanto riguarda Cain, sarà una figura molto importante, perché è solo grazie a lui se Iyokani non è morto di stenti durante l'infanzia e l'adolescenza. Altri flashback nei prossimi capitoli contribuiranno a chiarire un po' meglio la loro storia e il rapporto che avevano. Spero di non deluderti :siga:
     
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    CITAZIONE (´ kagerou. @ 28/12/2020, 22:57) 
    Ciao Kal, e grazie di essere passato a leggere questo mio work in progress! :peoflow:
    Sono piacevolmente colpito dal fatto che tu abbia trovato una somiglianza tra Urek e Light Yagami di Death Note, perché sicuramente per la creazione del personaggio mi ci sono un po' ispirato, anche considerando che proprio durante la prima quarantena ho rivisto e finalmente apprezzato a pieno l'anime. Forse ho interiorizzato qualcosina, chissà.


    No, non l'hanno mai catturato, ma è semplicemente perché dopo il tradimento del cinese verso la Black Sabbath e l'appropriazione dell'Harlem da parte della mafia di China Town, Iyokani (spoiler)
    fa una soffiata alla polizia. Essendo all'epoca solo un ragazzino, gli sembrò una forma di vendetta verso il cinese e l'altra banda criminale rivale, quindi per la polizia Iyokani era un pentito. Venne interrogato e gli fu chiesto di tirar fuori tutti i nomi che ricordava e conosceva, affinché non venisse incarcerato, anche perché era minorenne. Ciò ti fa già capire che avrà dovuto subire un processo riabilitativo speciale. Il resto verrà spiegato ovviamente con l'avanzare della storia.


    Per quanto riguarda Cain, sarà una figura molto importante, perché è solo grazie a lui se Iyokani non è morto di stenti durante l'infanzia e l'adolescenza. Altri flashback nei prossimi capitoli contribuiranno a chiarire un po' meglio la loro storia e il rapporto che avevano. Spero di non deluderti :siga:

    Grazie per aver risposto alle mie domande. Continua così, stai andando bene (e magari insegnami come scrivere qualcosa che non sia lungo solo 3000 parole). :)
     
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    Ho un'altra domanda. Il titolo è sicuramente enigmatico. Gli agnelli che cantano mi fanno pensare alle vittime del killer che strillano come agnelli prima di essere divorati da un lupo o prima che la mannaia cali su di loro...ma dato che sto scrivendo una storia incentrata su un demone ispirato al dio greco Dioniso, un dubbio mi attanaglia la mente. La parola "tragedia" deriva da "tragodìa" che in greco antico significa "canto dei capri" o "canto degli agnelli"... Ho per caso colto un indizio o sono solo io che ho in testa un casino tra storia e mito?
     
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    Kal :love:
    dunque, il titolo è un richiamo appunto alla allegoria delle vittime che strillano prima di essere uccise/torturate. Riguardo la parola "tragedia", invece, io non sapevo neppure la metà delle cose che mi hai detto, ahahahah! Quindi il mio titolo è semplicemente ispirato alla metafora che volevo intendere :)
     
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    CITAZIONE (´ kagerou. @ 29/12/2020, 12:20) 
    Kal :love:
    dunque, il titolo è un richiamo appunto alla allegoria delle vittime che strillano prima di essere uccise/torturate. Riguardo la parola "tragedia", invece, io non sapevo neppure la metà delle cose che mi hai detto, ahahahah! Quindi il mio titolo è semplicemente ispirato alla metafora che volevo intendere :)

    Sei così divino che fai le citazioni BELLE senza saperlo. Bravo :rock2:
    Lode al sommo ´ kagerou. :gunter:
     
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