Una storia su mio figlio

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    Hai presente quelle bambole realistiche di neonati? Talvolta le persone le comprano perché hanno qualche handicap mentale e non sarebbe sicuro per loro crescere dei figli, ma vogliono comunque la sensazione di allevare e amare qualcosa di così piccolo e di loro, ma senza la responsabilità.

    Lo capisco. Davvero.

    Ho amato crescere i miei figli, vederli mentre si facevano grandi, sentire le loro risate, metterli sdraiati sul mio petto mentre dormivano il pomeriggio quando erano ancora neonati. Ho amato tutto quanto.
    Ma le responsabilità sono molte. Ci sono molte preoccupazioni. Li vuoi al sicuro, ma non troppo viziati, svegli, ma non ansiosi. È un costante lavoro di bilanciamento, tra le tue preoccupazioni e ossessioni materne.

    L’ho amato però. Anche le preoccupazioni. Non mi sono mai dispiaciute troppo, perché la gioia era così intensa. La gioia e l’amore.
    Un amore così contagioso, si espandeva per la nostra casa come l’edera, dalla copertina in soggiorno dove giocarono da piccoli, allo sgabellino che utilizzavano in bagno quando decidemmo che erano abbastanza grandi da lavarsi i denti da soli, agli speciali coltelli a prova di bimbo nel nostro cassetto delle stoviglie (il secondo da destra) così che potessero aiutarci a tagliare i pomodori per cena, fino ai loro letti, nelle loro camere, dove la lucina notturna restava accesa per tenere lontani gli incubi.

    Non mentirò dicendo che non ci sono stati momenti spiacevoli o difficili. Ce ne furono molti. Ma tutto viene superato da ciò che c’è stato di buono.

    Alla fine abbiamo avuto tre figli, io e mio marito.
    Meredith è la più grande. Ora ha trentadue anni. Lei stessa è un genitore. Mi chiama ogni settimana e parliamo e ridiamo e io posso parlare con i miei nipotini. Li amo alla follia. È un amore del tutto diverso da quello genitoriale. Le preoccupazioni sono più controllate. Non c’è più responsabilità. È amore incondizionato e senza limiti goduto appieno. Anche se Miles è un piccolo stronzetto. Ha sette anni. Non lo invidio.

    Troy è il figlio mediano. Ha trent'anni, e suo marito cucina la cena tutte le sere perché Troy è un pessimo cuoco. Ma è un fantastico programmatore. Parla una lingua così estranea per me e il mio cuore trabocca di orgoglio.
    Adora essere zio. Vizia quei ragazzini fino al midollo. So che lui e Henry stanno programmando di adottare, ma è difficile anche per loro, che sono persone così equilibrate e amabili. Qualche volta piange quando va a trovarli, vuole essere padre così tanto da fargli male. Non posso farci molto. Lo accarezzo sulla schiena e lo ascolto.
    Sono pur sempre sua madre dopotutto.

    Verrebbe da pensare che Troy sarebbe stato il classico figlio mediano, un po’ schiacciato tra due grandi personalità, ma il mio figlio più giovane nacque quando Troy aveva già dieci anni. È stato un incidente, il mio piccolo Elias. Il mio ultimo bambino. È sempre stato più audace degli altri due. Si azzuffava all’asilo, veniva mandato nell’ufficio del direttore per aver disturbato la classe. So che ha cominciato a fumare a tredici anni. E a bere non molto dopo.

    Eravamo preoccupati per lui, molto. Una preoccupazione differente da quella che avevamo quando Meredith e Troy erano piccoli. Sembrava che si stesse sabotando apposta con le sue mani. Come se qualcosa nella sua testa fosse in guerra con lui.
    Venne una volta in soggiorno quando aveva sedici anni, mise la testa sulle mie gambe e iniziò a piangere, dicendomi tra le lacrime che voleva finisse. Tutto doveva finire. Che potesse solo svanire. Lasciarsi dietro nessun dispiacere o dolore, ma solo il buco della sua esistenza facilmente sostituibile.
    Non posso dire quanto piansi quella notte quando ne parlai con mio marito.

    Decidemmo di non mandarlo a scuola per un po', e lo facemmo seguire da un nuovo psicologo. Fu seguito da alcuni specialisti tramite la scuola, ma non riuscì ad ambientarsi con nessuno. Troppo pacati e compassionevoli. Questo non era così. Ce lo raccomandò il nostro vicino, il colonnello Brandon, un uomo che potrei descrivere solo come temprato, che andò in pensione circa dieci anni prima, e che andò da questo psicologo per disturbo da stress post-traumatico. Gli è sempre stato simpatico Elias. Credo sentisse un qualche genere di legame con lui. Mai un rapporto inappropriato, ma forse vedeva in lui un po' della sua infanzia.

    Il nuovo psicologo fece meraviglie. Davvero. Elias stava fiorendo. Tornò di nuovo a scuola. Gli venne diagnosticato un deficit di attenzione, il che sembrò stranamente calmarlo. Gli vennero dati dei farmaci. Per la prima volta sentii che i suoi sorrisi erano liberi da preoccupazioni.

    Decise di arruolarsi nell’esercito quando compì diciotto anni. L'idea non mi faceva impazzire. Ero preoccupata. Per quanto sarebbe stato difficile per lui sopportare la rigidità, quanto organizzato e preciso avrebbe dovuto essere. Era un altro mondo rispetto all’adolescente disordinato con cui mi ero abituata a convivere. Ma fu irremovibile. Non negherò che ero anche fiera. Il colonnello si mise a piangere quando lo venne a sapere. Commosso. Anche mio marito era raggiante.

    Andò e si fece tagliare i capelli a zero. Fu quello il primo cambiamento. La sua lunga e ispida criniera di cui dovevo sempre rimuovere i capelli dallo scarico della doccia era svanita. Lo punzecchiai molto sulla sua nuova acconciatura e così fecero suo fratello e sua sorella. Eravamo tutti così fieri. E lui si distinse nell’esercito. Era ben visto, lavoratore instancabile e carismatico, quindi non sorprese nessuno quando attirò presto l’attenzione dei piani alti. Gli diedero una grande opportunità e lui fu euforico di coglierla.

    Questa fu l’ultima notizia che ebbi.

    Ho detto molto su Elias. Soprattutto per non dimenticare. Sarebbe dovuto tornare a casa un fine settimana dell’anno scorso. Saremmo dovuti andare a prenderlo all’aeroporto. Eravamo così emozionati. Avevo parlato con lui al telefono il giorno prima. Mi disse quanto aspettasse di ritornare a casa.

    “E magari rimanere un po’?” disse, e la sua voce si ruppe un poco per quella che credetti fosse stanchezza.

    “Oh, vorrei che potessi tesoro, ma dovrai tornare a lavoro, vero?” dissi.

    “Non voglio più farlo. È troppo. Troppo sacrificio, sai? Ci sono un sacco di cose che mi mancheranno. Come i figli di Mere. Mi mancano. Non gli mancherà il loro zio Eli?” disse, e suppongo di avergli dato ragione. Fu l’ultima volta che ci parlammo, ma ricordo solo dei pezzi. È questa la fregatura di quando non sai che è l’ultima volta. Non ti sembra poi così speciale.

    Il giorno della festa domandai a mio marito chi sarebbe andato a prenderlo. Mi chiese di chi parlavo, se avessi invitato qualcuno. Mi disse che non conosceva nessuno di nome Elias. Sentii il gelo corrermi su per lo stomaco, in quella familiare sensazione di preoccupazione logorante.
    Ero troppo giovane per avere un marito con la demenza senile.

    Provai a cercare una foto di Elias, per rinfrescargli la memoria, ma non ce n’erano. In tutte le foto dove avrei giurato di poter vedere mio figlio, sorridente, c’erano degli spazi vuoti o c’era qualcun altro al suo posto. La foto di lui che mangia il gelato sul pontile era in realtà di Troy.
    Lui che ballava all’impazzata con la sua ragazza del tempo al matrimonio di Meredith era diventata un’istantanea di mio nipote e sua moglie. Elias non c’era da nessuna parte.
    Andai nella sua cameretta, che abbiamo mantenuto quasi intatta per quando tornava a casa nei fine settimana. Era ancora decorata in maniera infantile, ma c’erano due letti singoli, troppo nuovi per essere stati suoi, e i nomi dei miei nipotini erano scritti sulla porta.

    Annullai la festa. Mio marito fu contento di assecondarmi. Siamo rimasti a letto, mentre piangevo sul suo petto, pianse anche lui. Sentivo di aver perduto mio figlio. Lui sentiva di star perdendo sua moglie.

    All’inizio sembrava uno scherzo di cattivo gusto, ma i giorni diventarono settimane e le settimane mesi. Se mi capitava di accennare a lui in qualche conversazione, la gente mi chiedeva con chi stessi parlando. Chiesi a Meredith chi ebbe la bici rossa brillante dopo di lei, mi disse che la regalammo a suo cugino, anche se ricordo benissimo di aver fatto una foto a Elias a cavallo di quella bicicletta per il suo ottavo compleanno. Il colonnello mi disse che credeva fossi io quella andata dallo psicologo. Cercai di dimenticare. Per tutto il resto ero sana di mente.
    Il dottore disse a mio marito che dovevo aver avuto un caso di delirio da disidratazione, diagnosi a cui era più facilmente disposto a credere.
    Alcuni giorni ci credo anche io.

    Ma c’è una dipendenza che lega me e Elias.

    Chiamala l’amore di una madre, chiamala pazzia. Ma la mia vita dipende dalla sua come gli anelli di una catena. Non c’è un “senza di lui”.
    E ho la mia prova, per quando comincio a dubitare.
    Una cartolina che abbiamo mandato una settimana prima della festa, rimandata a casa nostra perché il destinatario non esiste. Una cartolina che inizia con “Caro Elias” e finisce con la mia firma. E quella di mio marito.

    Hai presente quelle bambole realistiche di neonati? Talvolta le persone le comprano per ricordare i propri figli perduti.
    Magari sono cresciuti e non sono più così piccoli e facili da tenere in braccio o magari il piccolo è nato morto. Io non giudico. Capisco. Ti serve qualcosa di tangibile per ricordare quanto amiamo ciò che abbiamo perso. Qualche volta ti serve solo di aggrapparti a ciò che hai perso. Forse è il motivo per cui sto scrivendo questo. Sto dimenticando. La maggior parte delle volte non riesco a ricordare il suo nome. Devo sforzarmi per ricordare il suo volto. Penso che portasse i capelli lunghi. Penso che fosse un combina guai. Non voglio essere come mio marito. Non voglio dimenticare.
    La mia vita dipende da quella di Ethan.

    Elias. Scusami. Non Ethan. Elias.

    Vedi, è per questo che ho paura. Ieri sono entrata in cucina e mio marito non mi ha riconosciuto per i primi cinque minuti. Mi stava urlando contro di uscire da casa sua.
    Meredith non mi chiama più. La sono andata a trovare l’altro giorno, pensava fossi la sua vecchia maestra.

    La mia vita dipende da questo. Non mi rendevo conto che fosse lo stesso per la mia esistenza. E ora che sto dimenticando lui, gli altri si stanno dimenticando di me.

    Non dimenticarmi.

    Ti prego.




    Original: A story about my boy
    Written by u/LemonKurt on r/nosleep

    Edited by Er Mortadella - 19/12/2020, 21:00
     
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    Happy Urepi Yoropiku ne~

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    Non ho capito al 100% il finale ad essere sincera, fino alla parte dove solo lei si ricorda di Elias ho capito ma quando la gente inizia a dimenticarsi di lei, meno.

    Mi è piaciuta comunque eh, è piuttosto triste e la metterei in Drammatico

    Edited by & . - 14/1/2021, 22:43
     
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    Io l'ho interpretata come una sorta di "buco nella realtà"; il figlio svanisce senza lasciare traccia e tutti lo dimenticano all'improvviso come se non fosse mai esistito, ma la madre ha una connessione particolare con il figlio (un po' come tutte le madri si potrebbe dire) e percepisce la sua scomparsa, magari è proprio questa connessione che sta portando gli altri a dimenticarsi anche di lei, forse il semplice fatto di ricordare il figlio la rende una sorta di anomalia o paradosso che l'universo sta cercando di eliminare... mi ricordava un pochino l'Effetto Mandela
     
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    Uh, bella, molto triste ma forse la vedrei anche in HS in un certo modo. Almeno, a me, una situazione come questa terrorizzerebbe.

    Mi chiedo se ci sia una qualche relazione tra il 'piano' dell'esercito e questa anomalia.

    Edited by & . - 14/1/2021, 22:43
     
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    people who think oikawa should've gone to shiratorizawa are banned.

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    Io direi Drammatico. Mi ha spezzato in due. Per qualche assurdo motivo mi fa pensare a Donnie Darko, forse perché l'analisi di Morty mi ha dato la sensazione che potesse trattarsi della scissione di un universo parallelo a causa di un vortice spazio-temporale. Per chi ne sa un po', è ipotizzabile che queste realtà siano delle dimensioni temporanee profondamente instabili, dalla durata limitata e destinate quindi a collassare su se stesse provocando la distruzione dell'esistenza. Qualcuno ha avuto la stessa sensazione o sono l'unico pazzo?

    Edited by & . - 14/1/2021, 22:43
     
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    Personalmente non mi è piaciuto molto l'uso eccessivo dei punti e il posizionamento a fine frase dei soggetti, ma è una cosa presente anche nell'originale, dunque non è totalmente imputabile a te.

    Anche per me è Drammatico.
    Io pensavo che Elias fosse una "bambola realistica", e che lo fosse anche la moglie a sua volta, tuttavia mi pare più plausibile e meno contorta l'interpretazione di Er Mortadella.

    Edited by & . - 14/1/2021, 22:44
     
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    Corretto boyz!

    CITAZIONE (´ kagerou. @ 18/12/2020, 12:42) 
    Comunque io direi Drammatico. Mi ha spezzato in due. Per qualche assurdo motivo mi fa pensare a Donnie Darko, forse perché l'analisi di Morty mi ha dato la sensazione che potesse trattarsi della scissione di un universo parallelo a causa di un vortice spazio-temporale. Per chi ne sa un po', è ipotizzabile che queste realtà siano delle dimensioni temporanee profondamente instabili, dalla durata limitata e destinate quindi a collassare su se stesse provocando la distruzione dell'esistenza. Qualcuno ha avuto la stessa sensazione o sono l'unico pazzo?

    Non conosco Donnie Darko ma stavo pensando proprio a una cosa di questo genere, tipo che in un attimo, per eventi sconosciuti e incomprensibili, ti ritrovi in un universo parallelo, condannato a svanire senza lasciare alcuna traccia come se non fossi mai esistito. Fa paura davvero.
     
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    Allora avevo capito bene cosa intendessi. Sì, spaventoso.

    Recupera Donnie Darko, è un capolavoro.
     
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    Smisto in Drammatico.
     
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