Votes taken by Libertus1998

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    CITAZIONE (Devilz @ 4/9/2018, 05:53)
    Il titolo mi ricorda il videogioco Darksiders

    In ebraico antico significa ''Luogo di rovina'', o ''abisso'', è anche il nome dell'angelo Apollyon.
    CITAZIONE (Sandwich @ 4/9/2018, 07:57) 
    Dal titolo pensavo fosse il memoriale di dimissioni alla pugliese di Pasqui

    E niente, sarà per la prossima

    Perché vuoi che mi dimetta? XD
  2. .
    ABADDON
    Solo i raggi del sole, sfiniti dal continuo cadere delle bombe, coprono tutta la grande piana di Tev. Sono opachi, plumbei, come se le schegge di metallo che emergono a migliaia dalla terra rossa.
    Ciò che prima era una rigogliosa pianura è ora un deserto, il più grande del mondo.
    Scheletri di grandi palazzi, gigantesche biblioteche ed enormi torri, ora giacciono sotto metri di sabbia. Mani e dita di giganti di pietra emergono dalla rena come quelle di un uomo sepolto frettolosamente. D'altronde hanno incontrato dei titani troppo mostruosi anche per loro.
    Gigantesche colonne di fumo giganteggiano sulla piana, costellata di città morte.
    Rimangono lì, come mostri senza nome, rimasti a contemplare l'orrore che hanno generato.
    Le bombe non sono riuscite a distruggere del tutto questa nazione, anche se di questa città importante piana rimangono solo le grandi piramidi per la distribuzione dell'Energia, ormai inutilizzabili.
    Risalendo il grande fiume Iteru, cuore della nazione, ci sono decine di capitali che si armeranno e lanceranno le loro armi, come in un coro di morte contro il nemico, che risponderà a sua volta.
    Questo è il giorno in cui gli uomini piangeranno; anche gli dei lo faranno.
    Piangerà l'acqua del mare, rossa di sangue, piangerà la terra, resa sterile, benedetta dalla pioggia, annerita dalle scorie tossiche.
    Io sono qui a scrivere solo con la scusa di essere un saggio, uno scriba, ma tra poco anche la mia vita finirà, insieme a miliardi di altre.
    Proprio dalla piana di Tev sono partiti i missili che hanno distrutto il piccolo regno neutrale di Di-Nar. Le immagini della sua gigantesca piramide ormai ricoperta da metri di cenere mi getta nel più profondo terrore.
    Pensare che in quella polvere sono sublimate centinaia, migliaia di persone, mi blocca le mani.
    Anche lì i pini sono diventati pietra, e l’erba poco meno di polvere.
    Devo continuare a scrivere, altrimenti come faranno i posteri a non commettere di nuovo questo terrificante errore?
    I re-sacerdoti della Coalizione intendono reagire, l'ho saputo ora.
    La Coalizione a cui questo stato, questo continente, Kumari Kandam, fa da capo.
    I canali di informazione sono stati riempiti per qualche minuto e poi più niente, solo statico.
    La mia città è vuota, anche se qui non è ancora successo niente.
    Da noi i missili sono solo partiti, almeno per adesso.
    Le mura sono indifese contro quelle armi e non ci sono più guerrieri, ma tanto nemmeno loro potrebbero fare qualcosa. I posti di blocco sono abbandonati. L'unico esercito qui è quello degli avvoltoi, che per la prima volta non sono gli unici a fiutare la morte nell'aria.
    Non c'è più nessuno, sono tutti fuggiti nelle campagne, cercando disperatamente una via di fuga nelle foreste rigogliose di questa provincia.
    Perché abbiamo cominciato una guerra a cui non potevamo sopravvivere?
    Nel momento in cui questo regno, Kumari Kandam, ha dichiarato guerra a Wenhua, la terra del sud, il destino del mondo è stato scritto. Tutte le nazioni del mondo si sono aggregata all'una o all'altra alleanza, facendo cadere il mondo in una guerra globale.
    Guardo fuori dalla mia finestra, un attimo prima che il vetro esploda in mille pezzi, rivelando l'orrore più grande che questo mondo abbia mai visto.
    Un carro volante, un Vimana, di dimensioni gigantesche sfreccia nei cieli, tinti di rosso dal morire del sole, con un terrificante ronzio di ruote infuocate.
    Basta il suo grido a far crepitare il vetro a terra.
    Il macchinario emette un urlo tremendo, che mi fa cadere al suolo, mentre davanti alla sua bocca si condensa una fiamma primordiale, che scinde un singolo atomo.
    La parte più piccola del mondo basta a annientarne buona parte.
    Un singolo proiettile, carico con tutto il potere dell'universo si schianta a terra.
    Il vento è così forte da strappare i palazzi sin dalle più profonde fondamenta, come se fossero fatti di carta.
    Una colonna incandescente di fumo e fiamme, brillante come mille soli.
    Un'esplosione verticale che spiana le nuvole come argilla, creando intorno a sé cerchi incandescenti di vapore acqueo, come se la natura stessa cercasse di scappare da quel fuoco inestinguibile.
    Un'arma sconosciuta, un fulmine di ferro, un crepitante messaggero di morte.
    La foresta è divenuta sabbia e chiunque ha voltato lo sguardo verso la luce è stato infettato. I cadaveri dei malati sono più simili a statue di sale che a esseri umani.
    Questa è la fine dell'inizio.
    Anche il signore di quel carro ora morrà, gli dei si stanno riprendendo ciò che era loro, mentre i ghiacci ricoprono le infami città di Wenhua, trasformandole in gelide catacombe.
    Ormai il ghiaccio e il fuoco purificatore stritoleranno il mondo, per cento secoli.
    La scienza e la blasfemia sono divenuti un tutt'uno, facendoci diventare Morte: distruttori di mondi.
    Siamo tutti equamente sconfitti oggi.
    L'oceano divora questa terra, per non permetterle di avvelenare il continente a cui è aggregato da un sottile istmo, come il medico che taglia un arto in cancrena.
    Le montagne diventano isole, mentre la mia tunica di sacerdote brucia, insieme alla mia biblioteca e a tutte le altre.
    Il carro volante cade nei flutti, spinto dalla forza superba degli dei, implodendo in un ringhio metallico, in una pioggia d'acciaio.
    Tutto il mondo brucia in un olocausto di libertà.
    Oggi è Sodoma, oggi è Gomorra, questa è Atlantide che si inabissa.
    È questo l'ultimo momento dell'età dell'oro, prima che i pochi sopravvissuti si rintanino nella sicurezza di una nuova età oscura.
    Sarà oggi il giorno in cui El mandò in frantumi Babele e la nostra maledetta ignoranza.
    Oggi cade, oggi sorge Babilonia la grande.
    Sono ora tutte le piaghe dei Signori e diluvio giunto a fare giustizia.
    Infinite apocalissi spianeranno la terra così come infinite apocalissi l'hanno spianata per far posto a altri, che cadranno sempre nello stesso errore.
    Le fiamme avvolgono tutto, questo sogno non mi lascia svegliare.
    Sempre, la mano dell'uomo verrà a portare la spada, finendo per rivolgersi sempre verso sé stessa.
    Continueremo a lanciare le nostre frecce dalla torre di Babele, ma non riusciremo mai a colpire Dio.

    Edited by RàpsøÐy - 1/9/2018, 20:52
  3. .
    Davanti a me si stagliava il dipinto di un cane, di cui si poteva scorgere solo la testa, ammantata da sotto da una morsa scura, forse sabbia o fango, mentre sopra titaneggiava un cielo immenso e sporco. La figura della bestiola, impegnata a mantenersi a galla nell'acqua limacciosa o nella rena, era minuscola, rispetto alla totalità del dipinto. L'ispirazione a ''Il cane interrato'' di Goya era ovvia, ma il cielo era stato ampliato, come a fortificare quel sentimento di solitudine e smarrimento.
    Davvero ironico che quella cupa opera si trovasse nell'anticamera di un laboratorio, dedicato in gran parte alla sperimentazione animale.
    Veramente di pessimo gusto.
    C'erano voluti giorni per entrare lì dentro. Il governo mi aveva mandato lì, nel laboratorio di quello che consideravo solo un povero pazzo, un luminare che aveva lasciato corrompere la sua scintilla di saggezza, ora divenuta follia. Il Dr.Smirnov era un luminare della neurologia veterinaria, il prodotto delle più rigide accademie russe. Ho visto un suo video tempo fa, divenuto virale intorno al 2019. Questo tizio col camice bianco, dall'aspetto strano, che guardava un cane.
    Poi poneva delle domande all'animale, domande importanti, domande fondamentali.
    L'animale sembrava capire, aveva una luce strana negli occhi, come se capisse cosa diavolo gli stavano chiedendo. Era straniante.
    ''Vedo che anche lei apprezza il grande Goya!''
    Disse un uomo, emergendo dal suo laboratorio, col camice sporco di chi sa quale sostanza.
    ''Sì... credo...''
    Risposi io, mentre il mio corpo dimostrava tutto il disagio che quella figura mi procurava: era un uomo slanciato, longilineo, dal viso coperto da una lunga barba ispida, da cui emergeva una bocca stretta, un naso aquilino e due occhi di ghiaccio.
    I suoi occhi si socchiusero, come se fosse soddisfatto della mia instabilità.
    ''Immagino che lei sia curioso di vedere la mia ultima creazione...''
    Il sangue mi si gelò nelle vene, mentre capivo cosa era riuscito a fare.
    La sua assurda teoria era quella che gli animali, essendo a maggiore contatto con la natura, conoscono l'universo meglio di noi. Hanno un pensiero astratto e una sorta di misticismo, e sono molto più sviluppati di quelli umani. Ovviamente un cane non potrebbe mai costruire un aereo o anche solo un bastone, o accendere un fuoco, ma per qualche motivo, secondo Smirnov, hanno più risposte di noi, alle grandi domande.
    ''Chi siamo? da dove veniamo? dove andiamo? E soprattutto perché?''
    E io sapevo già cosa aveva fatto.
    Annuii solamente, mentre il mio cuore rallentava.
    ''Sa cosa significa sfinge, in antico egizio?''
    Chiese il dottore, lasciandomi senza parole. Cosa diavolo c'entrava ora quella domanda?
    ''No... Non lo so, risposi io''
    ''Significa ''vera immagine''...''
    Concluse l'uomo, mentre i suoi occhi di ghiaccio si voltavano verso il dipinto del cane, come a scorgere qualcosa, qualcosa oltre quel cielo sporco e quella morsa di rena.
    Non parlammo oltre, l'uomo mi indicò un cubicolo, da cui si apriva una rampa di scale a chiocciola, prive di qualsiasi illuminazione.
    Discesi in quell'oscurità, che sembrava non aver fine.
    L'unica cosa che faceva da colonna sonora era il mio respiro, e i miei passi incerti. L'unica, tenue luce discendeva dalla sala, in cui lo scienziato era rimasto.
    Presto, un suono cominciò a riecheggiare nelle tenebre: un respiro.
    Sentii il piatto di un pavimento adagiarsi sotto le mie suole, e io non volevo continuare.
    Il respiro si fece più forte, mentre io trovavo, non so neanche come, il coraggio di continuare a camminare.
    Il respiro si increspò, mentre, davanti a me riuscivo a notare una linea di sbarre d'acciaio.
    Dall'altro lato qualcosa a cui non voglio pensare, ne a cui voglio ricordare.
    Ma devo farlo.
    Lì potevo vedere quella che Smirnov chiamava la Sfinge, l'oracolo.
    Il volto dell'essere era quello di una donna dai lunghi capelli corvini, e dalle palpebre spalancate spasmodicamente, come in eterna contemplazione.
    ''Posso farti delle domande...?''
    Chiesi io, mentre un misto di curiosità e terrore mi attanagliava.
    La testa si mosse, annuì spasmodicamente, facendomi notare il resto del suo corpo.
    Non vidi a che animale doveva appartenere quel tronco, perché il mio sguardo vi rifuggì. Una cosa era sicura: non era umano.
    ''Da dove veniamo?''
    Domandai io, mentre sentivo la follia scorrermi dentro, come un veleno.
    ''Voi venite, o noi veniamo? Non siamo la stessa cosa, non credi?''
    Rispose la creatura, con una voce rantolante e terrificante.
    ''Da dove... noi... veniamo?''
    Continuai io, mentre la mia paura per la verità cresceva.
    ''Noi veniamo dal caso, e per caso finiremo, come il respiro di un uomo che si spegne in una tempesta... Siamo tutti parte, ma nessuno è indispensabile''
    "Siamo tutti parte di cosa?"
    ''Di un meccanismo che non possiamo inceppare...''
    Concluse la sfinge, mentre notavo che il suo volto aveva qualcosa di davvero strano: la pelle sembrava cera. Era pallida, ma era, in qualche modo ''oleosa'', come se fosse stata instabile.
    ''Cosa sta succedendo al tuo corpo... Sfinge?''
    Chiesi io, stringendo con le mani le sbarre di metallo che ci dividevano.
    ''Quello che succederà a tutti prima o poi, quando le vostre stesse armi vi sfuggiranno di mano, come è successo già decine di volte...''
    Sussurrò, mentre notavo il suo corpo bestiale adagiarsi. Capii che avevo ben poco tempo.
    ''Chi siamo?''
    Chiesi, con un filo di voce.
    ''Chi siamo? Chi siete? Non ha molta importanza ora...''
    Sussurrò la sfinge, mentre i suoi occhi, neri come l'inferno, si voltavano verso di me.
    ''Le differenze saranno annullate, quando qualcuno di... decisamente oltre la nostra portata arriverà qui... Abbiamo visto l'umanità cadere, ho visto Tev sommersa dalle prime armi nucleari, ho visto la collera degli dei che gli uomini erano diventati e Kumari Kandam inabissarsi senza lasciare traccia. Ho visto miliardi di guerre e di popoli sottomessi, ho visto razze sottomesse a specie più intelligenti... Perché il vostro destino non dovrebbe essere diverso?''
    Sussurrò la creatura, mentre ciò che stava accadendo si stava facendo evidente: la pelle, sia nella parte animale che in quella umana stava letteralmente cedendo, generando piaghe da cui non usciva sangue, ma uno strano liquido bianco.
    Rifuggii ancora, mentre al terrore si aggiungeva una pena esistenziale.
    ''Esiste un dio?''
    Chiesi, capendo che il tempo stava finendo.
    ''Sì...''
    Rispose l'oracolo.
    Una sottile molecola di speranza si levò nel mio cervello martoriato, mentre la sfinge si decomponeva davanti a me. La rivelazione di quella verità attutiva quell'orrore, concedendomi almeno un attimo di calma.
    ''Aspetta... Uomo...''
    Sussurrò, la creatura, mentre fiotti biancastri colavano fuori dalla sua carne, che rivelava muscoli e pian piano lo stesso scheletro.
    ''Se fossi in te non sarei felice di questa rivelazione... se tu sapessi quanto me saresti molto meno sereno...''
    Sussurrò, mentre il suo corpo stramazzava a terra.
    Il terrore del non detto invase il mio corpo, mentre la follia si ramificava nelle mie arterie, fino a raggiungere la mia mente.
    Finalmente capii il significato del quadro all'ingresso di quel luogo: il cane che tenta disperatamente, e inutilmente, di sfuggire al grande meccanismo della natura non rappresenta gli animali usati per creare quell'abominio. Rappresenta noi.
    Quel cane siamo noi, che cerchiamo di non affogare in una natura ostile, che ci ha portato a sviluppare le armi. Eppure queste o ci sfuggiranno di mano o saranno totalmente inutili.
    Abbiamo rotto l'equilibrio con la natura solo perché non abbiamo ammesso la nostra disarmante debolezza rispetto a qualsiasi altra specie animale.
    Siamo una razza lontana da ogni altra, in un pianeta lontano da qualsiasi altro.
    Siamo soli.
    Nessuno potrà sentirci urlare.

    Edited by Erein Uzuki - 13/9/2018, 19:26
  4. .
    Il banditore era un uomo alto e slanciato, dalla pelle bianca, di una consistenza che appariva tra il candido e il molliccio.
    Sventolava un campanaccio tra le baracche e le giostre allestite per la fiera, facendo vibrare ogni centimetro dello smoking a strisce bianche e nere.
    Il continuo trillare dell'arnese attirava persone di ogni età.
    Dopo uno sguardo al braccio dell'uomo, tenuto forzosamente incastrato nel tronco, la gente ascoltava le sue parole.
    ''Venite sulla passerella! È completamente gratuito e potrà sicuramente darvi una nuova prospettiva delle cose!''
    Ammise l'uomo, continuando a sventolare la sua campana, facendo scorrere il suo sguardo su quella miriade di occhi bloccati a metà tra la sorpresa e il timore.
    Dietro di lui vi era una rampa, una passerella di legno che continuava a oltranza, superando il centro della città, fino a giungere chi sa dove.
    Io ero tra gli spettatori di quell'uomo, lì, pronto a salire su quella strana costruzione.
    La figura si fece da parte, togliendo il lungo cappello a cilindro, anch'esso a strisce, invitandoci a muovere i nostri primi passi.
    Il crepuscolo che avvolgeva la fiera riecheggiava sulle assi di legno, dipinte di un rosso penetrante.
    Il percorso cominciava dal lungomare, avvicinandosi sempre di più alla costa della città.
    Ero a metà del percorso quando le mie gambe si bloccarono di colpo.
    Un uomo guardò indietro, verso di me.
    Senza dire niente mi guardò nel modo più penetrante che io potessi immaginare.
    Salì sul parapetto e si lanciò nel vuoto. Senza dire una parola. Come se nulla fosse.
    Non sapevo se lì sotto ci fosse la terra o l'acqua del mare. Fu comunque terrificante. Il mio sguardo si bloccò sull'orizzonte rossastro, attraversato da nuvole frastagliate.
    Forse quell'uomo non era morto, forse laggiù c'era il mare. Il mare della nostra città era piuttosto profondo, forse, aveva solo voglia di farsi un bagno. Il bagno più strano che io avessi mai visto.
    Tutt'intorno, gli altri visitatori non sembravano curarsi dell'accaduto, forse avevano visto quell'uomo entrare in acqua, senza preoccuparsi.
    Mi incamminai, circondato dalla sinfonia di scricchiolii della passerella.
    Una catena di raggi giallastri si espandevano all'orizzonte, coperto da un sole morente.
    Mi avvicinai al parapetto, deciso a vedere se da lì si potesse vedere il mare. La verità era che non si poteva vedere la superficie dell'acqua.
    Lanciai un urlo, che non riuscii in alcun modo a trattenere, mentre il mio sguardo notava il motivo di quel mistero.
    L'azzurrastro del mare era interamente coperto da piccole carogne.
    Pesci, insetti, granchi e molluschi giacevano in quel sudario d'acqua, a migliaia, forse a milioni.
    Non vi era neanche uno specchio libero, da quante erano le carcasse, che ormai rendevano invisibili gli scogli sotto la superficie.
    Notai che vi erano anche altri animali, assolutamente non appartenenti all'acqua.
    Cani, uccelli marini e terricoli.
    Di colpo notai qualcosa galleggiare: era il corpo senza vita di un essere umano.
    Alla sua vista rifuggii quella visione orripilante, cercando conforto nella terra, nella fiera, che ora, aveva smesso di fare rumore.
    Niente più grida per le giostre o per le bancarelle, niente più rumore di freni e binari per le montagne russe.
    Solo un silenzio profondo, chiazzato da una continua nota aspra, quella di un campanaccio.
    ''Venite, venite gente! Venite alla rampa, venite a vedere, venite a vederli gente!''
    Disse l'uomo, attorniato ora da decine, centinaia di sguardi.
    Il suono del campanaccio si interruppe, venendo sostituito da un rumore ancora più orrendo: il continuo sbattere di nuovi corpi, che si gettavano in mare, ora ridotto a uno sconfinato cimitero.
    Il banditore rise fragorosamente, lasciando steso il braccio, rivelando uno strano bozzo poco sotto di esso.
    Si strappò la camicia, continuando a ridere.
    Lanciò via l'abito, che colò a terra, come catrame, mentre la cosa rivelava la sua forma, o meglio, la sua totale assenza di senso o coerenza.
    Un ammasso di aggregati ossei simili a denti e filamenti organici, coronati da un unico occhio che si dischiuse, mentre la figura tutta scivolava fuori dal corpo ospite, cominciando a emettere un verso, una sorta di respiro, ma in una sua versione più antica e perversa.
    L'occhio si aprì, il mio sguardo rifuggì da lui. Nel mentre, quella gente che il banditore aveva chiamato si mise in cammino verso la passerella.
    Suono di passi.
    Non seppi cosa fare, e allora puntai il mio volto ormai tremante verso l'acqua, cercando solo un attimo di sollievo, vedendo uno specchio d'acqua libera dalla carne in putrefazione.
    Lo cercai, lo trovai.
    Non avrei mai dovuto farlo.
    Avrei voluto dare un nome a ciò che vidi, ma, semplicemente non era possibile.
    Quello che notai fu al di là di qualsiasi cosa io avessi visto, in quel giorno e in tutta la mia vita. Un filamento di massa protoplasmatica strisciava sotto lo stuolo di cadaveri e carcasse, afferrando, nutrendosi.
    Loro sono qui.
  5. .
    ''Potrebbe essere un tempio importante per la loro religione... o qualcosa di simile, tipo una specie di loro cattedrale... ''
    Con queste parole un uomo chiuso nel suo impermeabile scuro accompagnava il gracidio meccanico dei mezzi pesanti, intenti a far emergere dal fango quelli che un tempo dovevano figurare come imponenti basamenti di pietra, ora così tanto incrostate di fango da rimaner sudicie anche sotto la pioggia incessante.
    ''Proprio per questo sono assolutamente contrario all'utilizzo di mezzi simili per spiantare dalla terra quello che in Austria avrebbe un museo dedicato dopo massimo un mese dalla scoperta''
    Ringhiò un ragazzo sul metro e settanta in tuta sportiva, stringendo i pugni in una mistura di rabbia e desolazione, tradendo ancora più la sua natura di studioso.
    ''Sai come vanno le cose qui, e soprattutto come va il nostro malandato stato... Occhio non vede cuore non duole, Aurelio. La gente non vuole musei, ne abbiamo anche troppi, e io sono qui per questo no?''
    Disse l'uomo rinchiuso nella lunga cerata nera, mentre alcune gocce di pioggia gelida scorrevano sui rozzi tratti somatici.
    ''Siamo amici, non è vero?''
    Domandò l'uomo, accendendosi una sigaretta e accorgendosi dell'espressione del suo compare.
    ''Si, ma anche molto diversi''
    Sospirò Aurelio, mentre i suoi occhi color rame risplendevano nella nebbia di quella piovosa mattina.
    ''Allora ti faccio un regalo: tra sette giorni quella... specie di fossa verrà ricoperta da una colata di cemento che la sigillerà per sempre, hai tutto nella settimana che gli rimane sei libero di farti un giretto la sotto, tanto tu l'hai studiata quella roba, non è vero? E già che io non me ne faccio nulla... tieniti ciò che trovi''
    Ammise l'uomo, mentre un lungo sorriso si delineava sulle sue labbra rugose, tradendo una ferma convinzione di giustizia.
    Lo studioso annuì, abbozzando un sorriso precario quanto l'attuale stato dell'archeologia, mentre le ruspe si zittivano, cavando fuori l'ultimo pezzo vendibile almeno al mercato nero: un bassorilievo di bronzo rappresentante una strana divinità.
    Ricordava vagamente Turan, per le lunghe ali che partivano da quelle che sembravano le spalle. ''Sembravano'' perché quelle non erano, realmente le spalle, o almeno il pessimo stato di conservazione non lasciava intendere la vera natura del nume.
    La cosa più interessante che Aurelio riuscì a adocchiare era che, quello che sembrava il volto, era stato deturpato, non dallo scorrere dei secoli, ma era stato letteralmente amputato, con martello e scalpello, probabilmente dal suo stesso creatore.
    Un brivido di curiosità percorse la schiena dell'archeologo.
    '' Claudio... posso cominciare adesso?''
    Domandò, girandosi lentamente.
    ''Ovviamente ragazzo, divertiti e magari fa qualche soldo con... anfore e cose così, se le trovi''
    Sorrise il vecchio amico, sghignazzando e facendo risuonare i rauchi sintomi di tutta quell'umidità.
    Dopo qualche fugace sguardo ai dintorni Aurelio cominciò la sua camminata verso la fossa, che dopo qualche passo rivelò delle massicce fondamenta di pietra.
    Bastarono pochi, repentini balzi sul terreno scivoloso per raggiungerle.
    Dovette ammansire il suo spirito da ricercatore, quando si rese conto di camminare su un pavimento vecchio come minimo di ventiquattro secoli.
    Sotto un dito di terra si potevano tranquillamente notare antichissimi intarsi, composti da file alternate di mattonelle rosse e nere. Ma il suo sguardo incontrò presto qualcosa di molto più interessante: un arco che si apriva a metà della fossa.
    La chiave di volta aveva retto per quasi tre millenni, resistendo anche al prelievo del fregio che la abbelliva, coronata da quella strana divinità senza volto.
    L'arco dava su quella che appariva come una scalinata, che continuava fino a perdersi nelle linee sfumate di un buio talmente profondo da risvegliare l'angoscia nella mente dell'archeologo.
    Non c'era niente oltre alla sfocato bagliore del cielo, affollato di nuvole grigie.
    La in fondo, la luce non sembrava contare, erano troppi secoli che non vi giungeva.
    Aurelio fece scivolare una mano nella tasca dei pantaloni, stringendo le dita intorno a una minuscola torcia, per poi puntare il suo tenue fascio di luce nell'oscurità.
    I suoi passi risuonarono nel più completo silenzio, mentre i suoi piedi scivolavano nelle tenebre.
    Presto le ultime tracce di luce cominciarono a defluire sopra la sua testa, mentre il condotto si faceva sempre più ripido e anche il suono della pioggia scrosciante si ammutoliva.
    Di colpo la torcia riuscì a scalfire la scorza di quell'oscurità millenaria, che rivelò quella che sembrava una sorta di cella.
    Gli occhi dello studioso si rifletterono sulle imponenti pareti di pietra, mentre notava un infinità di incisioni, accompagnate da piccoli volti di terracotta che riuscì a identificare solo in un secondo momento come tali.
    ''La copertura fittile non è stata danneggiata...''
    Ammise tra se e se, inspirando l'aria fredda e gonfia d'umidità, ammirando il volto di Tinia, che col suo aspetto possente capeggiava la schiera delle divinità.
    Era incredibile che quei bassorilievi fossero ancora lì dopo decine di secoli.
    Il fascio della torcia guidò l'attenzione del ricercatore più in basso, lontano dagli architravi dove le divinità celesti avevano dimora.
    Tra i visi resi anonimi dal tempo sbucarono due volti conosciuti tra universitari e archeologi: Aita il dio dell'oltretomba e Charun, l'ambigua guida delle anime, con il suo pesante martello stretto tra le mani.
    Intorno a loro una corte di demoni e furie dai volti sbiaditi, che permisero un'altra osservazione: qualcosa di molto strano si poteva notare.
    Quegli dei non erano fermi.
    Erano raffigurati in movimento, come se stessero scappando da qualcosa.
    Solo Aita rimaneva fermo, ma i suoi rozzi lineamenti di terracotta rivelavano una profonda angoscia.
    I suoi occhi scorsero sulla lunghissima lastra di creta, fino a giungere a qualcosa che arrivò a un passo dal turbarlo.
    Una figura era stata presa a martellate, non rimaneva niente, se non un'iscrizione praticamente illeggibile, di cui rimanevano solo pochi segni.
    Qualsiasi cosa fosse, per gli antichi era capace di far capitombolare l'ordine divino.
    L'archeologo girò lo sguardo, notando che la galleria continuava, scendendo ancora di più nelle viscere della terra.
    Il silenzio si fece sempre più assordante mentre Aurelio, spinto da una curiosità insaziabile scendeva la scalinata successiva.
    Di colpo gli sembrò di sentire qualcosa da quanto vuota era la sua mente, e da quanto era profondo il silenzio, che permetteva forse anche ai suoi stessi pensieri di risuonare nel nulla più assoluto.
    Aurelio si bloccò di colpo, capendo di avere urtato qualcosa con il piede.
    Di scatto puntò la luce contro ciò che si trovò davanti, rivelando un'angosciante scoperta: un grande blocco di granito, perfettamente intagliato al centro.
    Un brivido colpì la schiena di quell'improvvisato scopritore.
    Stava iniziando a immergersi in enigmi ben più grandi di lui.
    Aveva notato qualcosa, qualcosa che non sarebbe mai e poi mai dovuto trovarsi lì.
    La solita scritta confusa si trovava anche laggiù, in quel blocco di granito che il popolo etrusco non avrebbe mai potuto lasciare, era qualcosa di molto più antico.
    Ma non era neanche questa la cosa a aver percosso la schiena di Aurelio con un brivido: c'era qualcosa, in qualche modo, rannicchiato sul fondo del sarcofago.
    Non era una statua e soprattutto non era un essere umano mummificato, era qualcosa che non voleva e non poteva vedere.
    La sua mente rifuggì quella visione e si isolò nel silenzio.
    I suoi sensi vennero rapidamente meno, ma non svenne, rimase cosciente senza di loro.
    Presto i confini tra Io e realtà cominciarono a farsi sempre più sottili, mentre un suono affollava di colpo l'oscurità più profonda.
    Avvertì solo il suo peso cedere e i suoi occhi chiudersi, mentre la sua mente si perdeva rapidamente in visioni tanto meravigliose quanto indescrivibilmente terrificanti.
    Il suo Io si perse in quelle linee sfumate che gli antichi filosofi traducevano con inni e calcoli infiniti, mentre il tempo cessava di avere valore. I suoi occhi color rame si riaprirono di scatto, mentre riprendeva coscienza di dov'era e cosa ci faceva lì.
    Il tempo non bastò a risolvere quegli interrogativi.
    Qualcosa si mosse nell'oscurità.
    Un urlo straziante riecheggiò nel silenzio, mentre il giovane archeologo fuggiva, appellandosi a tutte le sue forze per sottrarsi a un destino che era stato volutamente tenuto taciuto per millenni.
    Presto il suono dei suoi passi venne come inglobato dal silenzio, che nonostante le sue urla, i suoi affanni e i suoi movimenti rimaneva indistruttibile.
    Lo studioso riuscì a captare con la coda dell'occhio la seconda sala, con i suoi bassorilievi e per un attimo la speranza riempì la sua mente.
    Un tonfo spezzò il silenzio, prima che esso si riappropriasse della cella.
    Una colata di cemento bloccava l'arco da cui era entrato.
    Cominciò a battere e a spingere sul pesante materiale finché non sentì la pelle delle mani lacerarsi e sanguinare.
    iniziò a urlare, ma era come se il silenzio divorasse ogni suono.
    Nessuno poteva sentirlo ora, rimase totalmente solo.
    A esclusione dei suoi battiti cardiaci impazziti ogni suono si era zittito.
    Di colpo qualcosa emerse dal silenzio.
    Un battito costante, unito a un sibilo continuo.
    Non era un suono definito, o meglio, non era un suono definibile.
    Ci sono cose che gli uomini non possono capire, ci sono cose che gli uomini non devono sapere.
    L'ultima cosa che il giovane capì era il significato di quei simboli sconnessi, trovati nella sala dei bassorilievi e sul sarcofago.
    ''Colui che abita l’ombra''.

    Edited by Rory - 22/3/2016, 19:53
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    stò shittando alabarde spaziali
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    lezard dai non fare il perbenista, ci sono persone che meritano di essere punite e altre che non lo meritano ;) comunque torniamo IT
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    CITAZIONE (Megaton © @ 26/9/2012, 13:44) 
    CITAZIONE (nicciolino1 @ 25/9/2012, 20:39) 
    no comunque ''questa scienza non gioverà a nessuno'' è proprio una grande cazzata! se un giorno terraformeremo un pianeta o ne colonizzeremo uno sarà solo merito di laika e della scienza!

    Allora la prossima volta ci spediamo te in orbita.
    Volevo sono fare commuovere, e poi che sia morta per soffocamento è una leggenda, perchè non si è sicuri come sia morta.

    ne sarò felice, sarò ricoradato e mi faranno pure una marca di cioccolata dedicata, cosa vuoi di più dalla vita?
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    ......
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    CITAZIONE (Masashige @ 17/8/2012, 21:10) 
    "Non c'è niente di peggio che tentare di rimediare a una gaffe (oddio, qualcosa c'è. Gli snuff movie, per esempio)." [cit.]

    Io ne ho visti alcuni, mi fanno ridere, non so trovo veramente divertente l'idea che uno si ammazzi in "diretta". Fa tanto "sono così disperato che spero che qualcuno mi guardi morire". Sono veramente divertenti alcuni, sopratutto quando si sparano in testa o cose del genere. Dovrebbero assoldare questi idioti per fare gli Horror. Almeno potrei farmi due risate su qualcosa di vero asd.

    massige.... lo sai di fare veramente schifo?

    poi lo sò io sono un pervertito, sono di li e di la, insomma ammetto di non essere una persona proprio raccomandabile ma io almeno non mi ci definisco uno per bene! non sono fottuti film di tarantino! sono fottute persone che schiattano! poi però i più grandi stronzoli li ho trovati qui ! www.bestgore.com/
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    OMMIODDIO
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    ti sei confuso tra pentacolo e pentagramma... il pentacolo se rovesciato è il simbolo satanico per eccellenza il pentagramma è quello su cui si scrivono le note... comunque ottima traduzione e ottima pasta ;)
12 replies since 3/2/2011
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