Vera immagine

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    Davanti a me si stagliava il dipinto di un cane, di cui si poteva scorgere solo la testa, ammantata da sotto da una morsa scura, forse sabbia o fango, mentre sopra titaneggiava un cielo immenso e sporco. La figura della bestiola, impegnata a mantenersi a galla nell'acqua limacciosa o nella rena, era minuscola, rispetto alla totalità del dipinto. L'ispirazione a ''Il cane interrato'' di Goya era ovvia, ma il cielo era stato ampliato, come a fortificare quel sentimento di solitudine e smarrimento.
    Davvero ironico che quella cupa opera si trovasse nell'anticamera di un laboratorio, dedicato in gran parte alla sperimentazione animale.
    Veramente di pessimo gusto.
    C'erano voluti giorni per entrare lì dentro. Il governo mi aveva mandato lì, nel laboratorio di quello che consideravo solo un povero pazzo, un luminare che aveva lasciato corrompere la sua scintilla di saggezza, ora divenuta follia. Il Dr.Smirnov era un luminare della neurologia veterinaria, il prodotto delle più rigide accademie russe. Ho visto un suo video tempo fa, divenuto virale intorno al 2019. Questo tizio col camice bianco, dall'aspetto strano, che guardava un cane.
    Poi poneva delle domande all'animale, domande importanti, domande fondamentali.
    L'animale sembrava capire, aveva una luce strana negli occhi, come se capisse cosa diavolo gli stavano chiedendo. Era straniante.
    ''Vedo che anche lei apprezza il grande Goya!''
    Disse un uomo, emergendo dal suo laboratorio, col camice sporco di chi sa quale sostanza.
    ''Sì... credo...''
    Risposi io, mentre il mio corpo dimostrava tutto il disagio che quella figura mi procurava: era un uomo slanciato, longilineo, dal viso coperto da una lunga barba ispida, da cui emergeva una bocca stretta, un naso aquilino e due occhi di ghiaccio.
    I suoi occhi si socchiusero, come se fosse soddisfatto della mia instabilità.
    ''Immagino che lei sia curioso di vedere la mia ultima creazione...''
    Il sangue mi si gelò nelle vene, mentre capivo cosa era riuscito a fare.
    La sua assurda teoria era quella che gli animali, essendo a maggiore contatto con la natura, conoscono l'universo meglio di noi. Hanno un pensiero astratto e una sorta di misticismo, e sono molto più sviluppati di quelli umani. Ovviamente un cane non potrebbe mai costruire un aereo o anche solo un bastone, o accendere un fuoco, ma per qualche motivo, secondo Smirnov, hanno più risposte di noi, alle grandi domande.
    ''Chi siamo? da dove veniamo? dove andiamo? E soprattutto perché?''
    E io sapevo già cosa aveva fatto.
    Annuii solamente, mentre il mio cuore rallentava.
    ''Sa cosa significa sfinge, in antico egizio?''
    Chiese il dottore, lasciandomi senza parole. Cosa diavolo c'entrava ora quella domanda?
    ''No... Non lo so, risposi io''
    ''Significa ''vera immagine''...''
    Concluse l'uomo, mentre i suoi occhi di ghiaccio si voltavano verso il dipinto del cane, come a scorgere qualcosa, qualcosa oltre quel cielo sporco e quella morsa di rena.
    Non parlammo oltre, l'uomo mi indicò un cubicolo, da cui si apriva una rampa di scale a chiocciola, prive di qualsiasi illuminazione.
    Discesi in quell'oscurità, che sembrava non aver fine.
    L'unica cosa che faceva da colonna sonora era il mio respiro, e i miei passi incerti. L'unica, tenue luce discendeva dalla sala, in cui lo scienziato era rimasto.
    Presto, un suono cominciò a riecheggiare nelle tenebre: un respiro.
    Sentii il piatto di un pavimento adagiarsi sotto le mie suole, e io non volevo continuare.
    Il respiro si fece più forte, mentre io trovavo, non so neanche come, il coraggio di continuare a camminare.
    Il respiro si increspò, mentre, davanti a me riuscivo a notare una linea di sbarre d'acciaio.
    Dall'altro lato qualcosa a cui non voglio pensare, ne a cui voglio ricordare.
    Ma devo farlo.
    Lì potevo vedere quella che Smirnov chiamava la Sfinge, l'oracolo.
    Il volto dell'essere era quello di una donna dai lunghi capelli corvini, e dalle palpebre spalancate spasmodicamente, come in eterna contemplazione.
    ''Posso farti delle domande...?''
    Chiesi io, mentre un misto di curiosità e terrore mi attanagliava.
    La testa si mosse, annuì spasmodicamente, facendomi notare il resto del suo corpo.
    Non vidi a che animale doveva appartenere quel tronco, perché il mio sguardo vi rifuggì. Una cosa era sicura: non era umano.
    ''Da dove veniamo?''
    Domandai io, mentre sentivo la follia scorrermi dentro, come un veleno.
    ''Voi venite, o noi veniamo? Non siamo la stessa cosa, non credi?''
    Rispose la creatura, con una voce rantolante e terrificante.
    ''Da dove... noi... veniamo?''
    Continuai io, mentre la mia paura per la verità cresceva.
    ''Noi veniamo dal caso, e per caso finiremo, come il respiro di un uomo che si spegne in una tempesta... Siamo tutti parte, ma nessuno è indispensabile''
    "Siamo tutti parte di cosa?"
    ''Di un meccanismo che non possiamo inceppare...''
    Concluse la sfinge, mentre notavo che il suo volto aveva qualcosa di davvero strano: la pelle sembrava cera. Era pallida, ma era, in qualche modo ''oleosa'', come se fosse stata instabile.
    ''Cosa sta succedendo al tuo corpo... Sfinge?''
    Chiesi io, stringendo con le mani le sbarre di metallo che ci dividevano.
    ''Quello che succederà a tutti prima o poi, quando le vostre stesse armi vi sfuggiranno di mano, come è successo già decine di volte...''
    Sussurrò, mentre notavo il suo corpo bestiale adagiarsi. Capii che avevo ben poco tempo.
    ''Chi siamo?''
    Chiesi, con un filo di voce.
    ''Chi siamo? Chi siete? Non ha molta importanza ora...''
    Sussurrò la sfinge, mentre i suoi occhi, neri come l'inferno, si voltavano verso di me.
    ''Le differenze saranno annullate, quando qualcuno di... decisamente oltre la nostra portata arriverà qui... Abbiamo visto l'umanità cadere, ho visto Tev sommersa dalle prime armi nucleari, ho visto la collera degli dei che gli uomini erano diventati e Kumari Kandam inabissarsi senza lasciare traccia. Ho visto miliardi di guerre e di popoli sottomessi, ho visto razze sottomesse a specie più intelligenti... Perché il vostro destino non dovrebbe essere diverso?''
    Sussurrò la creatura, mentre ciò che stava accadendo si stava facendo evidente: la pelle, sia nella parte animale che in quella umana stava letteralmente cedendo, generando piaghe da cui non usciva sangue, ma uno strano liquido bianco.
    Rifuggii ancora, mentre al terrore si aggiungeva una pena esistenziale.
    ''Esiste un dio?''
    Chiesi, capendo che il tempo stava finendo.
    ''Sì...''
    Rispose l'oracolo.
    Una sottile molecola di speranza si levò nel mio cervello martoriato, mentre la sfinge si decomponeva davanti a me. La rivelazione di quella verità attutiva quell'orrore, concedendomi almeno un attimo di calma.
    ''Aspetta... Uomo...''
    Sussurrò, la creatura, mentre fiotti biancastri colavano fuori dalla sua carne, che rivelava muscoli e pian piano lo stesso scheletro.
    ''Se fossi in te non sarei felice di questa rivelazione... se tu sapessi quanto me saresti molto meno sereno...''
    Sussurrò, mentre il suo corpo stramazzava a terra.
    Il terrore del non detto invase il mio corpo, mentre la follia si ramificava nelle mie arterie, fino a raggiungere la mia mente.
    Finalmente capii il significato del quadro all'ingresso di quel luogo: il cane che tenta disperatamente, e inutilmente, di sfuggire al grande meccanismo della natura non rappresenta gli animali usati per creare quell'abominio. Rappresenta noi.
    Quel cane siamo noi, che cerchiamo di non affogare in una natura ostile, che ci ha portato a sviluppare le armi. Eppure queste o ci sfuggiranno di mano o saranno totalmente inutili.
    Abbiamo rotto l'equilibrio con la natura solo perché non abbiamo ammesso la nostra disarmante debolezza rispetto a qualsiasi altra specie animale.
    Siamo una razza lontana da ogni altra, in un pianeta lontano da qualsiasi altro.
    Siamo soli.
    Nessuno potrà sentirci urlare.

    Edited by Erein Uzuki - 13/9/2018, 19:26
     
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    Un posto brutto, molto brutto!

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    Un racconto un po'strano, ma ha almeno il suo perché. Forte anche la riflessione finale, mi è piaciuta parecchio. Avrei aggiunto qualcosina in più per allungare la parte narrativa (soprattutto nel finale), ma è comunque buona come storia.
     
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    CITAZIONE (_DarkPrince_ @ 21/9/2018, 10:35) 
    Un racconto un po'strano, ma ha almeno il suo perché. Forte anche la riflessione finale, mi è piaciuta parecchio. Avrei aggiunto qualcosina in più per allungare la parte narrativa (soprattutto nel finale), ma è comunque buona come storia.

    Grazie ^^
     
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    "Il solo immaginare che ti sto uccidendo mi ha fatto venire un sorriso in volto "

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