The Escape

The Asylum Series, V parte

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.      
     
    .
    Avatar

    "Everyone wants to be Er Mortadella. Even I want to be Er Mortadella." ~ Cary Grant

    Group
    Veterano
    Posts
    2,446
    Creepy Score
    +457
    Location
    'A Califogna

    Status
    Offline
    << Parte 1

    < Parte 4

    Qual è la natura della follia? In questi ultimi giorni, ho meditato su questa domanda fin troppo profondamente. Mi ritrovo immobile al centro del salone a pensare al sole, che non vedevo da molti giorni. Ho passato tutto il mio tempo libero a leggere cartelle e documenti finanziari. Non riesco a capire dove conduca la caotica scia di compagnie di comodo e finzioni legali. Non si riesce ad individuare con precisione chi possieda davvero questo posto – ma questo potrebbe essere solo una conseguenza dei tempi che corrono.

    Se uscissi di fuori e mi godessi i benefici raggi del sole, magari camminando di proposito nella fresca brezza invernale senza la giacca solo per sentire l'aria scorrermi addosso, come potrei riconoscere l'esperienza come reale una volta ritornato dentro? Le uniche prove che ognuno di noi ha sull'esistenza del resto della nostra vita sono... i ricordi.

    Se non puoi fidarti dei tuoi ricordi, a cosa puoi credere? Mi sembra così curioso come l'intera realtà di una persona si riduca ad una serie di fatti mentali presunti e mutabili.

    Forse è questo che succede a quelle persone. Non sono danneggiati a livello organico. Sono tutti lì, tutti funzionanti, tutti in grado di pensare... ma, per una serie di scelte, la loro realtà è diventata più oscura e dolorosa.

    Tranne in un caso... una storia non funziona.

    Dopo aver finito le mie altre mansioni, andai direttamente da lui.

    Usai il mio classico tono di voce calmo ma severo. “Hai tralasciato qualcosa.”

    Lui sosopirò e mi guardò, in silenzio. La disperazione nel suo sguardo spezzava il cuore.

    “Ho letto il tuo resoconto, nella tua cartella,” continuai io, assicurandomi di imporgli interesse e senso d'urgenza. “C'è qualcosa che manca nella tua storia”

    La sua fronte si abbassò leggermente. “Come fai a saperlo?”

    Pensai al modello che gli altri pazienti avevano seguito e a come la sua situazione fosse diversa. “Non è importante. Sono qui perché mi interessa, e penso che stia succedendo qualcosa più grande di noi due. Ho bisogno di sapere il resto della tua storia.”

    La sua faccia si corrugò; pensai che stesse sorridendo... ma poi iniziò a singhiozzare, le lacrime che scorrevano sulle sue guance. “Tu mi credi? Dio, ti prego dimmi che mi credi.”

    Ero ben conscio degli avvertimenti che il mio mentore – ed anche il primario – mi avevano dato su come consideravo le idee dei pazienti... ma avevo bisogno di sapere. “Sì, ti credo.”

    Singhiozzò più profondamente e si rannicchiò come in un profondo sollievo. “Te lo dirò, te lo dirò...”





    Mentii su come successe. Non stavo solo camminando per strada. Cosa, uno straccione qualsiasi mi schizza del sangue addosso e poi il camminatore delle ossa scappa fuori dal nulla? No, ero io.

    Lo cercai io.
    La mia vita stava già prendendo una brutta piega. Ero un nessuno. Venivo ignorato da tutti. Ero solo un tipo qualunque, niente laurea, niente reputazione, nessuna vera famiglia e nessun rapporto. Mi sentivo lasciato indietro dal mondo intero. Le persone erano spaventate da me, si rifiutavano di darmi un lavoro, solo perché avevo la fedina penale sporca... non pensare che non notassi le persone che si allontanavano da me quando passavo loro accanto di notte...

    Dato che avevo una dipendenza dalle droghe leggere, non la vera droga che ti fa fuori, non ancora almeno, frequentavo spesso i quartieri malfamati della città, gli unici posti che mi potevano accettare. C'è droga lì, sì... c'è violenza, anche, tutto ciò che vuoi... orge, persino, ma tu non vuoi sentir parlare di tutto questo, credimi.

    Quelle persone... avevano la disperazione attorno a loro. Era nell'aria, tutti lo sapevano e sembrava come se a molti di loro non importasse...

    Il camminatore delle ossa era una diceria sussurrata tra di loro. C'erano dei tossicodipendenti che non avevano bisogno di lavorare, non dovevano mettere su la facciata di una vita normale. Avevano un protettore. Bastardi fortunati, li chiamavamo.

    Ogni paria senza speranza arriva prima o poi a questo punto, dove i soldi che aveva, la forza di volontà che aveva, la vita che aveva – tutto è andato in fumo. Io raggiunsi quel punto, e mi rivolsi a quella cosa. Non era per le droghe, comunque. Infatti mi ero ripulito un bel po'. Era il potere.

    C'erano persone che rispondevano a me. Provavi a fottermi ed eri morto. Tutto quello che dovevo fare era metterti un po' di quel sangue speciale sulle unghie o sui denti ed il mio protettore ti avrebbe smembrato dall'interno. Gli piaceva farlo, sai. Ci trattava come animali domestici. Anche i soldi erano fantastici. Odiavo venir tagliato ogni volta che veniva a chiamarmi, sì, ma era il prezzo per fare affari.

    Poi... le cose si fecero più serie, e realizzai che ero più uno schiavo che un animale da compagnia. Alcune cose che mi fece fare furono... Dio, ho gli incubi... all'inizio, non capii il grande disegno.

    Eravamo tutti in balia di questa cosa perché non avevamo altri a cui rivolgerci. Una volta che hai la fedina penale sporca, una volta che sei per strada, per te è finita... e il camminatore delle ossa usò questa cosa a suo vantaggio. Aveva un numero di reclute più che sufficiente per creare una rete, un esercito. Ci vollero molte conversazioni sussurrate con gli altri schiavi per capire che eravamo implicati in qualcosa molto più inquietante del nostro inferno personale... ed il nostro padrone non era la cosa più terribile la fuori. Noi eravamo i bravi ragazzi, combattevamo la giusta battaglia con ogni mezzo necessario, ma te lo immagini? Non era una cosa buona per noi, perché sia la società che il camminatore delle ossa ci vedevano come sacrificabili...

    Lo sai perché sono in questo letto? Perché sono così depresso? Pensaci. Se io avessi paura di morire da un momento all'altro, me la vivrei. Non me ne starei seduto qui, in questa stanza, da solo... no, l'esatto contrario. Il camminatore delle ossa è morto, amico. Non tornerà. Quell'idiota l'ha ammazzato!

    Talvolta, ho immaginato di fare così, di schiacciarlo in un mucchio di ossa trattate così che non sapesse quale fosse la via per uscire, così appena le ossa fossero andate in frantumi si sarebbe spezzato... le menti geniali pensano allo stesso modo, giusto? Ma quando capii cosa stava davvero succedendo fui grato di -

    “Cosa?” Chiesi, interrompendolo. “Cosa stava succedendo?”

    “Vuoi dirmi che tu non...?” Si paralizzò, fissandomi con occhi tremanti. Le sue pupille si spostarono verso sinistra come al rallentatore, lo sguardo pieno di sgomento e apprensione. “Ho detto troppo, mi dispiace.”

    Riprese a fissare il muro, ignorando i miei successivi tentativi di indurlo a parlare.

    In un primo momento mi arrabbiai perché non mi aveva detto cosa stava succedendo... ma poi, pensai che era meglio così. Per un momento gli avevo creduto. Ho lasciato che la sua storia diventasse vera per me. Stavo correndo troppi rischi con la mia mente.

    No, il camminatore delle ossa non può essere reale... la sua dipendenza, invece, lo era. I quartieri malfamati, i reati, tutte quelle cose, sarebbe stato quello il nocciolo di verità che avrei preso dalla sua storia. L'accenno ad un disegno più grande, l'aria di disperazione...

    ...e le scelte sbagliate.

    Rientrava nel modello, adesso.

    Fermo in quel corridoio, non potei fare a meno di percorrere una delle pareti con lo sguardo, fino in fondo, poi l'altra a ritroso. Ogni singola porta imprigionava un paziente che aveva scelto la sua via da percorrere verso la pazzia e la disperazione. I loro stessi bisogni, portati all'estremo, li avevano rovinati. Non sapevo cosa volesse dire, non ancora, ma era comunque un allarme rosso.

    In realtà... camminai fino alla fine del corridoio, facendo un cenno con il capo a Mabel appena mi passò accanto – non aveva riportato alcun danno per il narcotico somministrato il giorno prima, grazie al cielo - e mi fermai fuori da una porta che non avevo mai aperto.

    La guardai attraverso la finestrella di vetro quadrata. Dato che non ha dimostrato atteggiamenti violenti, le è stato permesso di avere una penna e della carta, spesso scriveva a lungo. Scriveva persino in quel momento, rannicchiata in un angolo. Lei era uno di quei pazienti dei quali non conoscevo la storia, né avevo testimonianze.

    In nome della cortesia, bussai.

    “Entra pure,” mi chiamò.

    Appena entrai ricominciò a scrivere.

    “Ciao,” cominciai. “Sono-”

    “Sai cosa devi fare prima,” rispose, continuando a scrivere.

    Esitai. “Puoi... mettere giù la penna?”

    “Non ho mai fatto del male a nessuno. Non intendo iniziare adesso.”

    Dandole ragione, ma con un po' di apprensione, mi inginocchiai. Lei alzò entrambe le mani e mi tastò le tempie, spostandosi poi indietro seguendo la curva della mia testa.

    “Mi dispiace,” sospirò, con una punta di disappunto. “non posso parlare con te.”

    “Ne sei sicura? Io voglio aiutarti. Penso che stia succedendo qualcosa in questo posto.”
    Tornò al suo scribacchiare, senza darmi risposta.

    “Posso almeno vedere cosa stai scrivendo?”

    Mi ignorò.

    Prendendo in mano i fogli, ne guardai un paio. Non erano parole senza senso, non esattamente, i fogli erano riempiti con una sequenza di paragrafi di flusso di coscienza, scritti in buona grafia... con solo qualche strano errore.

    Agitai una mano di fronte al suo volto, ma non ebbe alcuna reazione. Rimasi a bocca aperta. “Ma tu... sei cieca?”

    Inspirò improvvisamente dal naso, ma non mi diede comunque una risposta.

    “Va bene, ignorami,” le dissi. “ma almeno dimmi perché stai scrivendo tutto questo se poi non puoi leggerlo? Qual è lo scopo di tutto questo?”

    Mi disse una sola parola. “Esercizio.”

    La sua risposta era semplice, ma profonda. La lasciai ai suoi esercizi, immaginandomi quale potesse essere la sua storia. Se sapeva scrivere e si stava esercitando a farlo, vuol dire che una volta poteva vedere... non è sempre stata cieca. Cosa poteva dirmi tutto ciò? Anche lei si era trasformata da una ragazza normale ad una paziente silenziosa e cieca che si rifiuta di parlare a chiunque non passi il suo inspiegabile rituale?

    In quel momento, mi sembrava davvero ingiusto che la vita potesse deragliare così violentemente. Tutte quelle persone – erano tutte normali, più o meno, ma hanno fatto abbastanza scelte sbagliate da finire qui.

    C'era un altro paziente cieco senza una storia. Egli aveva una cartella un tempo, ma stranamente è andata distrutta o persa. Passai attraverso una lunga serie di porte, diretto all'ala più lontana dell'edificio. Lo tenevano proprio alla fine.

    Stetti a fissarlo. Si era cavato gli occhi con una penna molto tempo prima. Giaceva nell'angolo sinistro della sua stanza, con gli occhi chiusi, ma la posizione indicava che era sveglio. Non potevo immaginare quanta noia potesse provare – rifiutava qualsiasi cosa fosse elettronica, anzi, diventava violento vicino a questi dispositivi. Una televisione, o addirittura solo una radio, avrebbero potuto alleviare la sua infinita e cupa solitudine... sinceramente non riuscirei ad immaginare di passare ogni giorno solo standomene seduto a pensare, intrappolato nella mia stessa testa.

    Vidi un pezzetto di qualcosa di bianco che spuntava da sotto la sua gamba.

    Nel pieno di una improvvisa intuizione, mi precipitai attraverso le sale. “Mabel!”

    Lei si fermò e si girò. “Grazie per ieri,” mi disse. “Mio marito sarebbe perduto se mi succedesse qualcosa. Quel vecchio pazzo barcollante.” Sorrise.

    “Certamente,” dissi, ma esitai, ricordando che sia io che quell'uomo pazzo e senza arti avevamo detto la stessa cosa a Claire. Provo un'avversione inquietante per le parole, adesso. “Uhm, non c'è di che. Mabel, per caso sei tu, o qualche altra infermiera, che sta portando dei fogli da un paziente all'altro?

    “Come sta la tua mano?” chiese lei, improvvisamente nervosa.

    Guardai giù verso il bendaggio. “Bene. Ma a proposito di quei fogli.”

    Fece un'espressione demoralizzata. “Sembra che gli piaccia scriversi tra di loro. Lui se ne stava lì seduto... da solo. Mi sentivo in pena per lui. Non volevo fare nulla di dannoso.”

    “Va bene,” le dissi. “non intendo metterti nei guai. Sai per caso cosa si scrivono?”

    Mi spiegò alcuni dettagli irrilevanti che aveva letto, solo per controllare – non avrebbe mai permesso minacce di morte o altri argomenti rudi, disse – e, quando capii, mi sbrigai a tornare alla fine dell'ala lontana.

    “Posso sentirti,” mi chiamò attraverso la porta.

    Accigliato, lo guardai mentre si sistemava, nascondendo astutamente i fogli su cui era seduto. Aspettai un momento prima di entrare, lasciandogli credere che non sapessi. Mi chiesi come facesse a leggerli – finché realizzai che probabilmente poteva percepire la traccia della penna sulla carta, come un'incisione. Interessante... mi fermai a metà della stanza, per dargli un po' di spazio.

    Anche se cieco, fece un tentativo di rivolgersi verso la mia direzione. “Sai, tu non sei come tutti gli altri.”

    “Cosa intendi?”

    Aggrottò la fronte, facendo poi un debole sorriso. “Tu non cammini come gli altri.”

    Aveva ragione. Avevo camminato velocemente, con energia e preoccupazione. Gli altri dello staff se la prendevano comoda nei corridoi – era solo un lavoro, per loro. Per me era diventato qualcosa di più.

    “Sei disposto a raccontarmi la tua storia?” Gli chiesi, sedendomi a gambe incrociate accanto a lui.

    Il suo sorriso si allargò in un ghigno beffardo. “È inutile.”

    “Raccontala comunque.”

    “Hai un cellulare?” mi chiese.

    Scossi la testa, ma poi ricordai che lui non poteva vedere il movimento. “No – potrebbe interferire con le apparecchiature mediche.”

    “Un cercapersone?”

    Guardai la mia cintura. “No,” mentii.

    “Ottimo, ottimo...” rifletté a voce alta. “hai avuto dei mal di testa ultimamente, amico?”

    Sgranai gli occhi. Li avevo avuti, in realtà. Dormivo poco e male, quando riuscivo. La saletta di reperibilità non offre le migliori condizioni per il sonno, ed era diventata il centro delle mie... attività extracurricolari... per tutta la durata della mia indagine. Ho incolpato la stanchezza per la mia emicrania, e avevo cominciato a trangugiare quantità sempre crescenti di antidolorifici... “No, niente ma di testa,” mentii.

    “Oh.” Sembrava vagamente deluso. Mi immaginai che gli schizofrenici paranoici come lui si divertissero ad indovinare queste piccole cose, perché lui aveva accennato a qualche grande e misteriosa conoscenza che loro dovrebbero possedere – ed essere in errore non era qualcosa che gli piaceva.

    “Bene,” disse dopo un istante. “Non ho niente di meglio da fare. Poi mi lascerai in pace?”

    “Sì.”

    “Va bene... ma ciò che sentirai potrebbe non piacerti.”

    “Ottimo. Ho la sensazione che stia succedendo qualcosa, e già quello non mi piace.”

    Sembrò ravvivarsi dopo ciò. “Davvero...”

    Era una domenica. Me lo ricordo chiaramente. Io -

    Io non avevo finito di scrivere gli eventi del giorno prima quando successe qualcosa.

    L'oscurità mi travolse come un'onda mentre stavo seduto nella saletta di reperibilità, scrivendo la storia che mi aveva raccontato. Facendomi luce con lo schermo del mio portatile, controllai il telefono principale – niente linea. Il ronzio costante del sistema di aerazione dell'edificio era scomparso, rimpiazzato da un silenzio mortale. Mi affacciai cautamente dalla porta e sbirciai nel corridoio.

    Il buio aleggiava tra le luci d'emergenza rosse, piazzate in modo discontinuo a lunghi intervalli.
    All'altra estremità del corridoio, sotto la lampeggiante luce cremisi, vidi qualcosa che mi raggelò il sangue. La porta della camera di un paziente si aprì lentamente, silenziosamente, come se la persona dietro non potesse credere che fosse aperta.

    Non potevo crederci neanche io. Avevo parlato personalmente solo con i pazienti più docili, ma molti di loro erano estremamente pericolosi.

    Combattendo un picco improvviso della mia emicrania, socchiusi gli occhi, faticando a capire chi fosse quello che era scappato. Il suo contorno passava dal nero al rosso mentre avanzava, guardando su e giù il corridoio. Non poteva vedermi, circondato dal buio com'ero, ma io potevo vedere lui... lo conoscevo. Non era troppo pericoloso.

    Dietro di lui, si aprì un'altra porta... e poi un'altra ancora.

    Capii che l'assenza di elettricità non era un incidente – e che qualcuno aveva sbloccato tutte le porte.

    Uno dietro l'altro, loro si insinuarono tra l'ombra e lo scarlatto, rilasciando il loro particolare effluvio di pazzia nel corridoio. Potevo sentire dei borbottii, delle grida, alcuni che cercavano armi, alcuni che cercavano... gli infermieri!

    Pensai di bloccare la porta e nascondermi – ma avrebbero certamente controllato nella saletta di reperibilità.

    Non potevo stare lì.

    Con il cuore che mi martellava nel petto, buttai il mio camice bianco e scivolai fuori nell'oscurità tra due luci di emergenza rotanti. Potevano vedere la mia sagoma contro il rosso? Li vidi trascinarsi in giro, come animali curiosi, sparpagliandosi per le sale. Mi spinsi contro il muro, qualcuno mi passò accanto, borbottando oscenità e tremando.

    Per un istante l'emicrania si acuì in un dolore accecante, fui sul punto di gemere dal dolore – ma mi tappai la bocca, costringendomi al silenzio. Le luci rotanti rosse e il buio sparavano fitte di dolore attraverso i miei occhi, dirette alla mia emicrania...

    Mi ero spostato solo di sei metri – intenzionato a correre fuori, sbattei contro un'uscita laterale dell'edificio. Non c'era nulla che io potessi fare eccetto scappare e chiamare qualcuno.

    Era chiusa a chiave. Doveva essere chiusa a chiave? Maledizione... maledizione... tra la feroce emicrania ed il mio cuore imbottito di adrenalina faticavo a respirare.

    Avevo pochissimo spazio per potermi muovere. I pazienti si muovevano nell'ombra a qualche centimetro da me; uno si fermò sotto ad una luce d'emergenza, il suo corpo che si illuminava del colore del sangue – e qualcun altro lo pugnalò, facendo fuoriuscire liquido nero dalla sua scapola. Lui urlò, e io potei percepire l'attenzione di tutti concentrarsi in quel punto.

    Sentii il suono di carne che cade, assieme a urla continue e qualcosa di viscido si sparse per il pavimento, raggiungendo la mia scarpa con un inquietate scoppiettio bagnato. Il grosso paziente che aveva fatto quel macabro lavoro guardò nella mia direzione, scrutando l'oscurità.

    D'istinto mi rifugiai in una delle camere dei pazienti, chiudendo cautamente la porta dietro di me.

    “Ti prego non farmi del male!” sussurrò una ragazza da un angolo della stanza.

    “Non ti farò nulla,” le risposi sottovoce, risollevato. “Sono del personale.”

    “Oh Dio, oh Dio, che sta succedendo?”

    La poca luce che passava da sotto la porta la illuminava abbastanza per farmela vedere oltre il mio campo visivo. Illuminata da un rosso malaticcio, lei era emaciata, una scarna e pietosa visione. La riconobbi subito. “Aspetta qui,” le dissi, con un'idea in mente.

    Sporsi la testa fuori dalla porta – guardai in entrambe le direzioni – con l'adrenalina nel sangue, scattai verso l'altro lato della sala. Afferrai un carrello del cibo e corsi indietro. Sentii un urlo rabbioso, ma non potevo dire se qualcuno mi avesse visto.

    “Mangia questo,” le dissi.

    Indietreggiò di un passo. “No!”

    “Provaci,” le sussurrai, supplicandola. “Ci sarà d'aiuto, te lo prometto.”

    Tremando, prese un po' di gelatina. Un istante dopo lo buttò a terra con un verso disgustato. Cadde nella luce che filtrava da sotto la porta, e potei vedere un pezzetto scuro di carne dentro di esso.

    “Di nuovo,” dissi.

    Lei portò una mela mezza mangiata alla sua bocca e poi la gettò, sull'orlo delle lacrime. La tenni alla luce fioca – qualcosa che sembrava un tendine reciso scivolò dal centro della mela.

    “Di nuovo,” le ordinai.

    Piangendo, prese e poi gettò a terra i resti di un sandwich.

    Raccolsi il pane da terra. “Sì!” presi la nostra scoperta, la ripulii da dei tessuti sconosciuti e la spezzai a metà.

    Lei fece una risata singhiozzante.

    Nella fioca luce rossa, impugnai due frammenti d'osso lunghi due dita, entrambi crudelmente affilati, entrambi ancora sporchi di cartilagine.

    Lei afferrò il mio braccio così da non perdermi nell'oscurità e scivolammo di nuovo fuori dalla porta, mentre urla di dolore e di giubilo risuonavano dagli angoli vicini.

    “Avanti, avanti,” sussurrai, inserendo i due pezzi d'osso nella serratura. Sapevo che l'edificio era costruito in modo scadente con scarsi finanziamenti, puntavo tutto su quella serratura, sperando che fosse facile da – sì! Si aprì con uno scatto.

    Qualcosa ci si avventò da dietro. La ragazza urlò, scappando dalla porta mentre io spingevo contro l'uomo dagli occhi allucinati. Rotolammo a terra, avvinghiandoci. Aveva un'arma; pensavo che sarei morto di sicuro, finché la luce rossa mi illuminò, e lui vide il mio sguardo da squilibrato. Sono sicuro che una settimana insonne e la mia emicrania pulsante avevano contribuito al mio aspetto trascurato.

    “Oh,” sospirò, ghignando. “Pensavo che fossi uno di loro. Avanti, usciamo da qui, fratello.”

    Meravigliato, mi fermai, guardando verso la porta laterale – una figura si diresse verso l'apertura, richiudendola violentemente.




    “Ma che diavolo stai facendo?” mi chiese il primario di medicina.

    Mi guarda in torno nel corridoio pulito, limpido, illuminato di rigido bianco. Mabel stava portando in giro dei fogli di carta giù alla postazione infermieristica. Un momento prima l'avevo visto vuoto, illuminato da luci d'emergenza rosse, gremito di ombre pericolose che si trascinavano da questa parte e che...

    “Sto recitando la storia di una paziente,” mentii in fretta. “Quella... ragazza non vedente che scrive, ha scritto una storia su un tentativo di fuga. Stavo vedendo se fosse possibile. Ne è uscito fuori che la serratura di questa porta è davvero malandata. Fortuna, eh?”

    Mi guardò dall'alto in basso per lunghi istanti, con uno sguardo duro e impenetrabile. “Non prendertela se te lo dico, ma sembri un idiota.” Guardò giù verso la porta laterale. “E contatterò la manutenzione, farò cambiare la serratura. Ottima scoperta... vai a prenderti un giorno di ferie, non hai una bella cera.”

    Annuii e mi costrinsi a fare un sorriso mentre se ne andava. Lo guardai parlare a Mabel, per poi procedere dietro l'angolo. Stranamente, potevo ancora sentire urla distanti nella sala, che si zittivano improvvisamente una dopo l'altra, come se l'illusione surreale si prendesse il suo tempo per sparire dalla mia mente...

    Cosa diavolo era appena successo?

    Avevo fatto un sogno ad occhi aperti a causa di un esaurimento nervoso? O forse qualcuno, spaventato dai miei progressi, aveva drogato le mie pillole?

    Sbalordito, tornai nella saletta di reperibilità, trovando il mio camice sul pavimento e il mio portatile senza un graffio. Stavo forse perdendo la testa? Non potei evitare di notare come ora rientravo nel percorso in cui erano caduti gli altri pazienti qui... non ero andato tanto quanto gli altri, ma ero sicuramente sulla buona strada. L'unica differenza sembrava essere che io avevo delle prove ed una pista vera; qualcosa di terribile stava davvero succedendo – o anche gli altri si erano sentiti allo stesso modo?

    Non ci trovo niente di ironico che questo quinto resoconto sia il mio.

    Ho un vantaggio, però. Io so qual è il modello, ho tutte le loro storie per aiutarmi. Se quel momento arriverà mai, quell'unico vero passo verso la pazzia quando ognuno di loro aveva attraversato il confine... non lo farò. Lo giuro a me stesso. Non puoi avere una visione oggettiva del disegno e diventare pazzo – è questo quello che credo. Le due cose si escludono a vicenda.

    Ma non mi fermerò. Non ora. Quell'ultimo racconto, quello che stavo trascrivendo quando sono stato interrotto... è disturbante. Funziona. Ho bisogno di pensarci sopra. Credo che sono sul punto di comprendere la verità dietro alla pista... anche se non sono sicuro di volerlo davvero.

    Mi sono preso una pausa per schiarirmi i pensieri. Mentre attraversavo la sala, indagando sulla mia apparente perdita di memoria per trovare ogni dettaglio su cosa sia successo durante il mio episodio allucinatorio, due cose mi si sono palesate davanti.

    La mia emicrania era scomparsa – così come la ragazza emaciata.

    Parte 6 >

    Tradotta da qui.


    Edited by & . - 24/6/2020, 16:00
     
    .
  2.      
     
    .
    Avatar

    Happy Urepi Yoropiku ne~

    Group
    Veterano
    Posts
    4,981
    Creepy Score
    +718

    Status
    Anonymous
    Ripulisco e smisto
     
    .
1 replies since 27/7/2016, 14:39   252 views
  Share  
.