The Friend Zone

The Asylum Series, IV parte.

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    "Everyone wants to be Er Mortadella. Even I want to be Er Mortadella." ~ Cary Grant

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    Dopo gli eventi di oggi, non sono sicuro di voler continuare la mia indagine.

    Ho deciso di parlare direttamente con i pazienti, piuttosto che limitarmi a leggere le loro schede; ho avuto l'idea che, se c'è qualche agenzia che agisce contro di me – probabilmente coinvolgendo anche il primario di medicina – dovrei cercare pazienti senza resoconti scritti o registrati. Gli unici a non aver rilasciato dichiarazioni sono i casi più gravi... ma io sarò l'unico a conoscere le loro storie, e ciò mi darà un vantaggio.

    Decisi di iniziare con il paziente dalla storia più straziante. Per molti mesi è stato indifferente ad ogni tentativo di aiutarlo. Non riesco a immaginare come possa essere trovarsi nella sua situazione... ma ultimamente l'avevo visto comunicare con l'infermiera che si prende cura di lui.


    “Oh hey, non la avevo notata. Volevo ringraziarla per aver gestito la posta per me mentre ero fuori,” mi salutò lei, sorridendo calorosamente.

    Preso alla sprovvista riuscii solo a dare una risposta insicura. “Di nulla.” Mi sentivo sempre un po' impacciato quando le parlavo.
    Per preservare il suo anonimato, la chiamerò... Claire. Era una delle infermiere più carine dello staff, e potevo constatare che anche i pazienti più gravi tendevano a fidarsi di lei.

    “Potrà sembrarti una cosa strana, ma ho un favore da chiederti...”

    All'inizio sembrò scettica e un po' diffidente, ma alla fine cedette.

    E fu anche piuttosto efficiente.


    Lei e Mabel, un' infermiera che lavorava qui da molto tempo, misero in sicurezza la stanza per una sessione di registrazione. Non che il paziente fosse pericoloso – infatti era l'esatto contrario – ma le sue condizioni speciali meritavano maggiori attenzioni, nel caso fosse successo qualcosa.

    Claire aveva portato del caffè – mi diede personalmente la tazza. “è bello vedere che ti interessi personalmente ai pazienti. Agli altri dottori non potrebbe importarne di meno.”

    Sorrisi imbarazzato e sicuramente diventai rosso. “Grazie!”
    Storsi il naso appena si allontanò. Mi sentivo di nuovo come un ragazzino impacciato.

    Mi fermai all'improvviso, poco prima che la tazza di caffè arrivasse alle mie labbra. Abbassai lo sguardo sulla vorticosa crema color marrone, ripensando ai dettagli nauseanti della storia di un'altra paziente. Vinto da un'ondata di disgusto, posai la tazza, incapace di bere.

    Cercai di non pensarci e mi concentrai sul mio compito attuale.

    L'uomo era sdraiato sul letto, immobile, non dava segno di aver notato la mia presenza.

    “Quando sei pronto...” dissi, con un filo di esitazione.

    Mabel era lì accanto, con il registratore acceso.

    “Va avanti, tesoro,” gli disse Claire.


    Iniziò immediatamente a parlare, Mi stupì – non era affatto catatonico. La sua voce era chiara e ben scandita, con uno strano tono di triste scherno, come se egli fosse a conoscenza di un grosso scherzo di cattivo gusto che si era tenuto tutto per sé:






    Quindi vuoi che ti racconti la mia storia? Non sono sicuro che tu lo voglia davvero. È molto più vicina a te di quanto tu possa pensare.

    Ok, ma ricorda, l'hai voluto tu...

    Come tutte le storie, anche nella mia c'entra una ragazza.

    Oh, lei era carina. Bellissima, direi. Spesso la ammiravo da lontano. Lei non sapeva nemmeno della mia esistenza, e probabilmente nemmeno voleva saperne.

    Ma io non gettavo la spugna... [risata beffarda]... Non è che non avessi una ragazza. Era come se fossi sempre alla ricerca di quella che non potevo avere.
    Con il tempo cominciai a sentirmi fuori luogo anche nei posti che frequentavo abitualmente, ero più vicino ai trenta che ai venti, e la mia vita sembrava farsi sempre più scura... ma poi, una luce apparve davanti ai miei occhi – lei.

    Non ero ossessionato. Voglio che sia chiaro. Pensavo solo che fosse carina. Non mi illudevo di avere qualche possibilità, e infatti non feci alcuna mossa.

    Però sono felice che le cose siano andate come dovevano andare.


    Una notte ero nel solito bar, seduto da solo, gli altri tavoli erano tutti occupati.
    Lei e le sue amiche entrarono, in tutto erano tre ragazze, e si sedettero al mio tavolo. Come un cervo stordito dai fari, le lasciai presentarsi senza dire una parola.

    “Ti ho visto in giro che mi fissavi,” disse lei, sorridendo. “Sei un tizio strano, o sei solo un bravo ragazzo incompreso?”

    Mi stava davvero parlando!

    “Sono un bravo ragazzo!” insistei. “Qualcuna di voi vuole un drink? Offro io.”

    Accettarono la mia offerta, ovviamente.

    Una delle sue amiche sembrava interessata a me, ma io avevo occhi solo per lei. L'amica mi invitò ad un party più tardi, ed io le seguii, eccitato dalla possibilità che mi si parava davanti.

    Una volta arrivati alla festa, scaricai l'amica e trovai lei che chiacchierava con un tizio. Nessun problema – era solo uno stronzo, e sapevo che alla fine l'avrei avuta vinta io, anche se fosse stato lui a portarla a casa quella notte. Mentre mi facevo largo tra le chiacchiere, cominciai a sentirmi un po' il terzo incomodo in quel piccolo angolo della stanza.

    “Vammi a prendere da bere,” mi disse, con una risatina imbarazzata.

    “Certamente” acconsentii io.

    Mi feci largo nella sala affollata fino al fusto della birra e riempii un bicchiere, tornando velocemente da lei.

    “Grazie,” disse, sorridendo.

    Per un po' mi sentii... patetico, lì. Ero solo un tizio qualunque, che girovagava impacciato, cercando affetto in modo del tutto sbagliato...

    ...finché non finì la festa, e la vidi seduta sola sul divano. Stetti a sentirla mentre si lamentava di come tutti fossero stronzi e viscidi per circa due ore. Il tipo con cui stava parlando l'aveva piantata lì per poi scappare con un'altra.
    Annuii, felice di aver avuto ragione... alla fine lei era lì, a confidarsi con me.

    Fu lì che lo disse.

    “Sei un tipo simpatico. Ti va... di uscire domani?”

    Colto di sorpresa, l'unica cosa che riuscii a dire fu sì.

    Ci incontrammo al centro commerciale, e passai tutto il giorno con lei, mentre si provava vestiti e me li mostrava. Le comprai perfino qualcosa, chiamandola scherzosamente “tesoro”... ma lei si limitò a sorridere, senza correggermi.

    Ero al settimo cielo.

    Passammo insieme quasi tutti i giorni, dopo quella volta. Devo ammetterlo, talvolta era doloroso. La volevo così intensamente, ma lei non sembrava interessata a restare in intimità con me... altri stronzi andavano e venivano, e cercai di sabotarli quasi tutti.

    Quasi tutti.

    In fondo mi stavo battendo per il suo amore, quindi non mi pento di ciò che ho fatto.

    Oh, no, mi hai frainteso – non feci nulla di illegale. Solo qualche commento malizioso – piccole bugie su di lei, quando non mi sentiva... o su di lui, quando invece ascoltava.

    Mentre la mia vita era imprigionata in una gabbia di dolore e negatività, con quella costante guerra per tenere quella ragazza al sicuro da tutti che prosciugava ogni mia energia, lei cominciò a percorrere una brutta strada a sua volta. Iniziò a drogarsi, non importava quanto la dissuadessi – le dicevo, “sono il tuo migliore amico, mi preoccupo per la tua salute, non farlo...” ma sembrava solo incoraggiarla a continuare.

    Fortunatamente si tenne alla larga dalla roba più pericolosa; usava solo droghe che non rovinavano il suo aspetto o il suo status sociale.

    Un giorno non ce la feci più. Eravamo nel suo appartamento ed io le confessai, la investii, esplosi del mio amore infinito per lei. “Farei qualsiasi cosa per te,” le dissi infine, speranzoso.

    Non sembrò entusiasta delle mie parole. Mi sembrò quasi arrabbiata... ma, dopo qualche minuto, rientrò nella stanza e mi chiese: “Qualsiasi cosa?”
    Tutto ciò che dovevo fare era provarle che non mentivo, mi disse, e forse anche lei sarebbe riuscita ad amarmi.

    Qualsiasi cosa, le promisi.

    Passai i mesi a venire a svolgere le sue faccende, a comprare cose per lei. Presi addirittura un secondo lavoro per sostenere le sue spese abituali.
    Ogni volta, mi diceva, era quasi sul punto di corrispondere ai miei sentimenti.
    Intanto si iscrisse in una specie di scuola di specializzazione, di cui mi aveva vagamente accennato in passato.

    Pagai volentieri per quanto potevo permettermi.

    Con il passare del tempo la situazione peggiorò, lei divenne sempre più cupa ed irascibile. Spesso la trovavo euforica o stordita dopo aver assunto qualche sostanza, e se provavo a lamentarmi lei... cominciava a colpirmi. Pensavo: sono un uomo, in fondo posso anche sopportarlo.
    Un giorno, quando le dissi che ero rimasto senza soldi e che non potevo più permettermi di pagarle le tasse scolastiche, lei... mi ferì.

    Ci separammo per un po', e io sentii come se il mio mondo stesse collassando.
    Lei era quasi sul punto di amarmi, mi urlò rabbiosa, eravamo così vicini...

    Tornai da lei con delle rose ed un assegno. Avevo preso un grosso prestito per finanziare i suoi studi.

    Mi accolse a braccia aperte, addirittura mi baciò sulle labbra per la prima volta.

    “Qualsiasi cosa,” mi ordinò. “Qualsiasi!”


    Accettai. Avrei fatto qualsiasi cosa per lei. Era il mio mondo. Finché mi avesse solo considerato, io sarei stato al settimo cielo.

    La sua violenza e la sua rabbia non si fermarono... anzi, iniziava a piacerle. Ne sono sicuro.
    Aveva un bisturi adesso, e lo usava per tagliarmi. Le spalle, la gamba, solo piccole ferite... ma sempre di più, ogni volta. Se piangevo per il dolore o mi rifiutavo mi minacciava di scaricarmi.
    La lasciavo fare... e sai, cominciava anche a piacermi un po'. Ogni atto di violenza ci rendeva più vicini... una volta addirittura ci baciammo, mentre sanguinavo copiosamente da uno squarcio sul mio braccio.

    Eravamo così uniti in quel periodo... e lei ebbe un idea, disse che ci stava pensando già da un po'.

    So che penserai che è da pazzi, ma lo volevo. Era il giusto prezzo da pagare.
    In fondo tu cosa faresti per amore?

    Tutto stava finalmente andando per il verso giusto.

    La lasciai fare, e... alla fine facemmo l'amore.

    Sembrava valerne la pena. Tutte le delusioni ed il dolore, i sotterfugi, i sabotaggi ai danni degli altri bastardi... ne era valsa la pena.
    Mi abituai piuttosto bene alla mia vita senza la mano sinistra. È sorprendente vedere quante leggi esistono per aiutare le persone disabili.

    Ovviamente, le cose ricominciarono ad andare male. Senza la mia mano sinistra persi uno dei miei lavori. Lei mi scaricò di nuovo per un po', urlando che era a metà strada con la scuola di specializzazione.
    Le promisi di nuovo che l'amavo, che avrei fatto qualsiasi cosa per lei, e lei mi disse di dimostrarlo.

    Questa volta si prese il mio intero braccio sinistro, amputato fino alla spalla.

    La eccitò abbastanza che facemmo sesso per almeno un mese.
    Il miglior mese della mai vita, ti dico.

    E poi, sai come vanno queste cose... le relazioni hanno alti e bassi... ma me lo aspettavo. Mi ero spinto troppo avanti per mollare. Ero sconvolto dall'idea di perderla dopo aver sacrificato un braccio e una gamba in questa relazione.

    [risatina]

    No, ero veramente terrorizzato dall'idea di perderla.
    Lei mi ripeteva che nessuno avrebbe mai amato qualcuno come me, non con quelle mutilazioni. E io sapevo che aveva ragione.

    In ogni caso, rinunciai all'altro braccio e alla mia gamba per dimostrarle il mio amore.
    Da quel momento il nostro legame si consolidò. Sapevo che si sarebbe presa cura di me, ora che avevo un'ingente pensione di invalidità da offrirle in cambio.

    Quando mi cavò gli occhi non potei far nulla, tranne che urlare. I vicini ci sentirono e chiamarono la polizia. Quei bastardi... finalmente avevo la relazione perfetta, che desideravo da sempre, lei mi amava, e loro hanno tentato di rovinare tutto!







    Ero accanto a lui, sbigottito. Mi ero sempre chiesto come avesse fatto a ridursi in quella maniera – cieco, ridotto ad un torso, una testa e una bocca – ma la sua vera storia andava oltre la mia comprensione.

    Questa... questa era pazzia.
    Per pochi attimi potevo vederla, toccarla. Non era una semplice malattia, o uno squilibrio chimico, era semplicemente umanità, aspirazioni e bisogni spinti all'estremo...

    “Aspetta” insistei, con il cuore che batteva all'impazzata. “Non hai mai detto che qualcuno ti ha fatto questo. Qual è il suo nome?”

    Sulla sua faccia inespressiva, la bocca si contorse in una smorfia.

    Continuai. “Avanti, ti ha abbandonato, bisogna prenderla in custodia e sottoporla a dei trattamenti. Lei è pericolosa! Potrebbe fare del male a qualcuno! Perché continui a proteggerla?”

    Cominciò a ridere, un suono cupo e inquietante. “Lei non mi ha mai abbandonato...”

    Guardai alla mia destra, cercando Mabel per avere un suggerimento su cosa rispondere – ma lei era a terra, svenuta, con il caffè che ancora gocciolava lungo la maglietta.

    Il mio corpo reagì prima che mi rendessi conto di quanto davvero fossi in pericolo.

    Fu lo stridio ad allertarmi, appena mezzo secondo prima. Mi girai e indietreggiai in un solo movimento, evitando le pinze da elettroshock che stavano per raggiungere la mia testa da dietro. Gli elettrodi mandarono una scarica letale quando si toccarono nel punto dove poco prima c'era la mia testa.
    Claire cercò di avvicinarsi, le tirai addosso un vassoio per il cibo, facendole cadere dalle mani le pinze da elettroshock che si ruppero sul pavimento. Tornò di nuovo all'attacco.

    Il bagliore argenteo mi mancò di poco, e io la spinsi via più forte che potei. Scivolai sul pavimento, cercando invano di difendermi da Claire che intanto si era lanciata verso di me, il suo bisturi mi trafisse la mano sinistra.

    “Cristo!” strillai, sentendo l'adrenalina e la rabbia offuscarmi la mente.

    Posseduto da quella forza che solo l'istinto di sopravvivenza può dare, la spinsi di nuovo, incurante della ferita, facendola schiantare sul muro opposto.

    Mi rialzai, pronto a colpirla – ma lei era già svenuta.
    La immobilizzai, mi fasciai la ferita alla mano – nulla di troppo grave per fortuna, il bisturi non doveva essere molto affilato – e controllai Mabel. Era viva, ma stordita dal narcotico.

    La stanza era un macello, macchie di sangue e strumenti medici da tutte le parti.

    Sdraiato sul letto, cieco e orribilmente mutilato, lui continuava a piangere, chiamando la sua Claire.

    Lo ammetto, le labbra mi tremavano, ero scioccato e non potei evitare di versare qualche lacrima. Ero sopraffatto dagli eventi... non avevo idea di cosa pensare o cosa fare in quel momento. Lei aveva appena provato ad uccidermi... e non posso nemmeno immaginare cosa avrebbe fatto a me e a Mabel se fosse riuscita a narcotizzarci e immobilizzarci entrambi...

    Il caffé. Aveva drogato il caffè... mi ero salvato solo grazie alla storia di quella ragazza...



    Ho solo ricordi offuscati di ciò che accadde l'ora successiva.

    Furibondo, andai nell'ufficio del primario di medicina.

    “Pretendo di sapere cosa sta accadendo qui,” dissi. “Come diamine abbiamo fatto a non accorgerci di niente? Come è possibile che Claire sia stata qui tutto questo tempo senza che nessuno se ne accorgesse? Persino io...”

    “Cosa?” mi domandò il primario, voltandosi verso di me. “Persino tu... cosa?”

    “Chiamerò la polizia,” risposi, cambiando argomento.

    Le sue labbra formarono un sorriso sottile, e fece un gesto con la mano, come ad invitarmi a prendere il telefono. “Prego.”
    Raggiunsi l'apparecchio.

    “Non chiamerai la polizia,” continuò lui. “E sai perché lo so?”

    Fece una pausa.

    “...perché?” chiesi.

    Riprese subito, quasi interrompendomi. “Perché stai dimostrando un comportamento ossessivo, proprio come i nostri pazienti. Passi la notte a leggere le loro schede, sei convinto che ci sia un filo conduttore, o una cospirazione, e stai cominciando a prendere seriamente le loro storie senza nemmeno uno straccio di prova.”

    Sentii lo stomaco attorcigliarsi.

    “L'unica differenza tra te e loro,” disse quasi sotto voce. “è un cartellino. Una parola – schizofrenico – e niente di ciò che farai verrà mai preso seriamente. Non potrai più uscire da qui.”
    Le sue parole mi convinsero – quasi. “Tutto ciò è ridicolo. Riuscirò a cavarmela comunque.”

    Si girò sulla sua poltrona da ufficio, contemplando un punto imprecisato della stanza. “Forse. Sei intelligente, te lo concedo. Ma cambiamo scenario – tu chiami la polizia, loro chiudono l'istituto, perdiamo tutti il nostro lavoro e tu non troverai mai più un impiego in questo campo.”

    Diedi un pugno sulla sua scrivania. “Non me ne frega niente!”

    Lui emise un sospiro sconsolato, poi ricominciò a sorridere. “Ti credo. Sei un uomo con dei principi . E sei intelligente. Invece di minacciarti, permettimi di farti un'offerta: se farai chiudere questo posto, non potrai più avere accesso ad alcun documento o paziente. Non potrai mai scoprire dove porta la pista che stai seguendo.”

    Ritirai la mano bendata dal telefono, respirando rabbiosamente.

    Il primario fece un ampio sorriso. “Bravo ragazzo.”

    Lo odiai profondamente, ma aveva ragione. Non avrei mai abbandonato quella povera gente al loro destino.



    Poco tempo dopo, mi ritrovai a sbirciare nella finestrella della cella di isolamento di Claire. Era surreale vedere qualcuno dello staff indossare la camicia di forza... lei, dall'altra parte del vetro, mi implorava di farla uscire, promettendomi di amarmi se lo avessi fatto... lei mi aveva visto, e sapeva che ero interessato alla proposta...

    “ È proprio una cosa strana, la pazzia,” Disse il mio mentore. Era più vecchio di me, ma non come il primario, io ero il suo diretto subordinato – e lui divenne qualcuno di cui mi potevo fidare.

    “Cosa sta succedendo?” gli chiesi, sentendomi senza più speranze. “Lei non ha notato nulla di sospetto ultimamente?”

    Lui continuò a fissare l'interno della cella. “Mi sei sempre stato simpatico, quindi ti darò qualche consiglio. Spero che ne farai tesoro.” Si voltò, guardandomi negli occhi. “Il mondo è popolato da circa otto miliardi di persone al momento. Riducendo il tutto ad un puro calcolo matematico, possiamo dire che il numero di... malati... è destinato ad aumentare. La gente si sta inventando modi nuovi e sempre più terribili per perdere la ragione, mentre ognuno di loro diventa sempre più un'anomalia, nel buio sempre più profondo...”

    Cominciò a camminare, ed io lo seguii.

    “Intanto, le risorse diminuiscono,” continuò. “I fondi che la società è disposta a dedicare per il trattamento dei pazienti sono sempre meno. Il numero dei malati aumenta, i soldi per prendersene cura diminuiscono... il problema è evidente.”

    Lo guardai insospettito, ma non lo interruppi.

    “Ora, se dipendesse da me... beh, mettiamola in questa maniera: alcuni pazienti sono pericolosi o “non funzionali”, altri invece sono abbastanza stabili mentalmente, tant'è vero che sono innocui... o potremmo dire... utili. Ecco, io impiegherei questi pazienti per prendersi cura degli altri.”

    Cominciai a sentirmi a disagio – raramente il mio mentore mi aveva parlato in maniera così inquietante. “Cosa intende dire? Pensa che il primario sapesse che Claire...?”

    Alzò una mano come per interrompermi. “Non intendo dire proprio nulla.”
    Aumentò il passo, lasciandomi immobile in mezzo al corridoio. Si fermò a circa dieci passi da me, ma senza girarsi.

    “Ed è plausibile,” aggiunse. “è solo una congettura, tienilo a mente... che alcuni pazienti possano soffrire di psicosi che, come molecole casuali, riescano a svilupparsi in maniera da diventare...”

    “Contagiose?” chiesi, pensando subito ad un virus, plasmato e costruito ad arte dalla casualità per essere contagioso e mortale.

    “Sono solo congetture,” ripeté lui. “Sempre più pazienti, meno attenzioni, fondi sempre più scarsi... insomma, fai attenzione quando ti occupi delle storie di quei pazienti. Non c'è modo di difendersi da un'idea.”

    Lo guardai per tutto il giorno mentre continuava a svolgere il suo normale lavoro, ero più confuso di prima – ma assolutamente sicuro che qualcosa di terribile stava accadendo. Questo ospedale, come un cadavere lasciato a marcire e infestato da virus sconosciuti era... cosa? Una prigione?... o forse... una specie di incubatrice?

    In ogni caso, era ora di decidere quanto volessi spingermi a fondo in questa ricerca.

    Parte 5 >



    Edited by & . - 24/6/2020, 15:59
     
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    Ser Procrastinazione

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