Colui che sussurrava nelle Tenebre - HP Lovecraft

Pt. VI

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  1. Cavagar
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    Il mercoledì mi misi in viaggio, portando con me il rullo inciso, le fotografie e tutte le lettere di Akeley. Aderendo al desiderio di quest'ultimo, inoltre, non avevo rivelato a nessuno il luogo della mia destinazione. Se il pensiero di instaurare un contatto mentale con entità aliene ed esterne appariva più che sorprendente a una persona come me, preparata e in un certo senso pronta all'eventualità, quale sarebbe stato l'effetto sulla massa della gente comune? Non saprei dire se prevalesse in me la paura o l'attesa febbrile dell'avventura, ma cambiai treno a Boston e incominciai il lungo tragitto verso l'ovest attraverso una zona che conoscevo poco. Waltham, Concord,Ayer, Fitchburg, Gardner, Athol, si susseguirono rapidamente, poi il treno arrivò finalmente a Greenfield. Aveva qualche minuto di ritardo, ma l'espresso diretto al nord l'aveva aspettato e non mancai la coincidenza. Mentre il convoglio s'inoltrava in una regione che conoscevo bene attraverso le mie letture, ma che non avevo mai visitata, mi sentii invadere da una curiosa agitazione. Sapevo che penetravo in una regione della Nuova Inghilterra molto più primitiva delle zone industrializzate del sud e della costa dove avevo trascorso tutta la mia vita; una regione lontana dalla civiltà moderna, in cui non c'erano ciminiere di fabbriche né strade asfaltate, forestieri e cartelloni pubblicitari. Avrei conosciuto affascinanti sopravvivenze di quelle forme di vita regionale che affondano le radici direttamente nell'ambiente, tanto da potersi considerare suoi prodotti: forme di vita che alimentano il terreno dal quale scaturiscono di rigogliose e tenebrose credenze, leggende rare e meravigliose. Ogni tanto vedevo luccicare al sole le acque azzurre del Connecticut, che oltrepassammo dopo Northfield. Presto sorsero davanti a noi dalle colline verdeggianti e il controllore mi disse che eravamo nello Stato del Vermont. Mi avvertì di ritardare il mio orologio di un'ora, perché la gente del luogo si è sempre rifiutata di adottare l'ora estiva. Nell'adeguarmi al suo consiglio, pensai che con quello stesso gesto riportavo il calendario indietro di un secolo. Il treno costeggiava adesso un altro fiume. Sulla riva opposta, nel New Hampshire, vedevo avvicinarsi i ripidi pendii del Wantastiquet, sul quale circolano tante leggende. Sulla mia sinistra vedevo delle strade, sulla destra comparve un'isola verde nel mezzo della corrente. I passeggeri si alzarono e si diressero all'uscita; io li seguii. Poco più tardi, il treno si fermò a Brattleboro e io scesi insieme ad alcuni altri viaggiatori. Diedi un'occhiata alla fila di macchine in attesa e indugiai un attimo per individuare la Ford di Akeley, ma fui riconosciuto prima che fossi io aprendere l'iniziativa. Tuttavia la persona che veniva verso di me con la mano tesa, e che mi chiese in tono cortese se fossi proprio il signor Albert N. Wilmarth, di Arkham, non poteva essere il mio amico. Quel giovanotto gentile, con i sottili baffetti neri, vestito impeccabilmente, non assomigliava per nulla allo studioso dalla corta barba grigia di cui avevo visto la fotografia. La sua voce mi sembrò stranamente familiare, ma non seppi a chi attribuirla. Mentre lo esaminavo, mi spiegò che era un amico di Akeley e che era venuto da Townshend in sua vece, poiché per il momento il mio ospite non poteva uscire a causa di un violento attacco di asma. In ogni caso, nulla sarebbe cambiato per quanto riguardava la mia visita e il mio soggiorno. Non riuscii a capire ciò che il signor Noyes (così si chiamava il giovanotto) sapesse delle ricerche di Akeley: il suo comportamento disinvolto me lo fece giudicare un profano. Fui un po' sorpreso che il mio ospite avesse trovato così facilmente un amico per sostituirlo, data la vita reclusa che aveva finora condotto; tuttavia questo non mi impedì di salire nella macchina che Noyes mi indicò con un gesto della mano. Non era la vecchia automobile che m'ero aspettato di vedere, ma una bella vettura di modello recente, con una targa di immatricolazione del Massachusetts. Doveva appartenere evidentemente alla mia guida. Conclusi che probabilmente si trattava di un visitatore di passaggio, venuto per l'estate nella regione di Townshend. Noyes prese posto accanto a me e mise subito in moto. Notai con piacere che sembrava voler mantenere il silenzio, giacché l'ansia di arrivare da Akeley mi toglieva ogni voglia di chiacchierare. La città mi parve molto simpatica sotto, il sole di settembre, e sonnecchiava come le vecchie città della Nuova Inghilterra rimaste nei ricordi della nostra infanzia. Il singolare profilo dei tetti, dei campanili, dei comignoli, dei muri di mattoni faceva vibrare corde profonde dell'anima e suscitava antiche emozioni. Mi sembrava di essere ai confini di una regione stregata dal susseguirsi ininterrotto delle generazioni; una regione dove si libravano strane presenze che lì erano cresciute e lì indugiavano perché mai nessuno eravenuto a risvegliarle.Quando uscimmo da Brattleboro, la mia impressione cambiò: la contrada montagnosa, col suo ammasso di pendii granitici, sarebbe parsa sinistra anche a chi non avesse saputo ciò che sapevo io. Per un po' costeggiammo un largo corso d'acqua proveniente da nord, e rabbrividi iquando il mio compagno mi disse che era il West River: ricordavo, infatti, che nelle sue acque era stato visto galleggiare uno dei mostri simili a granchi l'indomani dell'inondazione. A poco a poco il paese diventava più selvaggio e deserto. Vecchissimi ponti coperti scavalcavano torrenti dalle acque tumultuose in mezzo alle colline, e dalla strada ferrata in riva al fiume sembrava emanare una cupa desolazione. Nelle vallate più ampie si ergevano alte rupi scoscese dove il granito vergine formava un brusco contrasto col verde che vi si arrampicava. Tumultuosi ruscelli si inabissavano nelle gole portando con sé i segreti di mille cime inaccessibili. Sia a sinistra che a destra della strada una serie di viottoli si addentravano nel fitto di antiche foreste dove potevano rifugiarsi interi eserciti di demoni. Ricordai che, proprio su quella strada, Akeley era stato molestato da entità invisibili, e non mi sorpresi che potessero accadere cose simili. Il grazioso villaggio di Newfane, dove arrivammo in meno di un'ora, fu il nostro ultimo legame con il mondo che l'uomo può rivendicare come suo per diritto di conquista e di occupazione esclusiva. Dopo, rinunciammo alla tranquillità dell'immediato e del tangibile penetrando in un universo fantastico, irreale, dove lo stretto nastro della strada saliva, scendeva, serpeggiava come un essere vivo fra le cime deserte. A parte il brontolìo del motore e i rumori lontani provenienti dalle fattorie solitarie, non sentivo, a tratti, che un gorgoglìo di sorgenti nascoste nel cuore dei boschi. La vista delle colline tondeggianti mi mozzò letteralmente il fiato. I fianchi erano più erti e scoscesi di quanto avessi immaginato basandomi sulle descrizioni; il paesaggio non aveva nulla in comune con il mondo prosaico dell'esperienza quotidiana. I boschi fitti e impenetrabili che ricoprivano quelle balze remote davano l'impressione di ospitare presenze strane e inafferrabili; ebbi l'improvvisa e nettissima sensazione che i contorni stessi delle cime possedessero uno strano significato: si sarebbero detti geroglifici colossali lasciati da un'antica razza di titani, la cui gloria non viveva più che nella fantasia di qualche squilibrato. Tutte le leggende del passato, tutte le rivelazioni stupefacenti di Henry Akeley mi si affacciarono alla memoria, accrescendo i miei sinistri presentimenti. Lo scopo della mia visita e l'idea delle terrificanti rivelazioni che mi attendevano, mi diedero improvvisamente un'apprensione così viva da raffreddare parecchio il mio ardente desiderio di scoperte. Noyes dovette indovinare il mio turbamento, poiché, a mano a mano che la strada saliva e che la nostra andatura rallentava, i suoi rari commenti si fecero più frequenti e più lunghi. Mi parlò della straordinaria bellezza del paese e mostrò di essere al corrente degli studi di Akeley. Tuttavia, sembrava non avere idea del tipo di conoscenze a cui era giunto il suo amico. Dato il suo atteggiamento cordiale e disinvolto, quelle osservazioni avrebbero dovuto rassicurarmi: al contrario, mentre proseguivamo il cammino attraverso il deserto di colline boscose la mia inquietudine continuava a crescere. Mi sembrava a tratti che il mio compagno mi studiasse per capire ciò che sapevo dei mostruosi segreti della regione e, ad ogni frase, il suono della sua voce mi dava una sconcertante senzazione di "già sentito". Benché fosse una voce educata e di timbro gradevole, non evocava in me ricordi piacevoli; anzi, la ricollegavo vagamente a incubi dimenticati. Se avessi potuto addurre una qualsiasi scusa valida, credo che avrei rinunciato alla mia visita. Date le circostanze ero costretto a proseguire, e pensai che le spiegazioni scientifiche del mio ospite, appena fossi arrivato, avrebbero contribuito a farmi riacquistare la calma. Per di più, nel paesaggio lungo il quale salivamo e scendevamo senza tregua c'era un elemento di bellezza stranamente riposante, eterna. Il tempo si era smarrito nei labirinti che lasciavamo alle nostre spalle, intorno a noi i secoli passati irrompevano con un fascino inesprimibile tra i boschi vetusti, i prati verdeggianti variegati da fiori autunnali dai vividi colori e qualche capanna di boscaioli annidata ai piedi di rocce scoscese, ricoperte di rose canine. Perfino il sole aveva uno splendore soprannaturale. Non avevo maivisto niente di simile salvo che nelle magiche lontananze che fanno da sfondo a certi quadri dei maestri italiani. Artisti come Sodoma e Leonardo concepirono simili immensità, ma in una prospettiva distante, inquadrate dagli archi di un porticato rinascimentale. Noi invece ci facevamo strada, per così dire, nel cuore della composizione; e mi parve di scorgere nel suo contenuto magico un elemento che, innato dentro di me oppure acquisito, invano cercavo da sempre. Improvvisamente, dopo una brusca curva in cima a un ripido pendio, la macchina si fermò. Sulla sinistra, oltre un prato ben curato e circondato da pietre bianche che arrivava fino alla strada, si ergeva un'abitazione spaziosa, di una linea e un'eleganza poco comuni nella regione. Un po' indietro, sulla destra, c'erano granai, tettoie e un mulino a vento. Riconobbi subito la fattoria di Akeley come l'avevo vista in una delle fotografie e non mi sorpresi di leggere il nome del proprietario sulla cassetta delle lettere. A una certa distanza dietro la casa si stendeva un terreno umido dove erano piantati alberi ben distanziati l'uno dall'altro; più in là si scorgeva un'altura dai pendii boscosi e dalla cima frastagliata: la sommità della Montagna Nera.Noyes scese dalla macchina prendendo la mia valigia e mi pregò di attendere un momento mentre andava a informare l'amico del mio arrivo. Lui non avrebbe potuto fermarsi, perché un affare importante lo chiamava altrove. Mentre percorreva a passi rapidi il viale che conduceva all'ingresso della casa, scesi a mia volta per sgranchirmi subito le gambe. Mi trovavo sul teatro degli avvenimenti descritti da Akeley nelle sue lettere e la mia tensione nervosa aveva raggiunto il colmo. Notai distrattamente che non c'erano cani intorno alla casa. Akeley li aveva venduti dopo aver fatto la pace con Quelli-di-Fuori? Malgrado tutti i miei sforzi, non riuscivo a credere alla sincerità di una simile pace: ero lontano dal condividere la serena fiducia manifestata dal mio amico nella sua ultima lettera. Dopotutto Akeley era un uomo semplice, affatto privo di furberia: non poteva essere caduto in un sinistro tranello? Guidati da questi pensieri, i miei occhi si volsero verso la superficie polverosa della strada che aveva registrato testimonianze così orride. Benché la regione fosse molto poco frequentata, orme di ogni specie vi si accumulavano, incluse tracce di ruote di veicoli. Tentai, per pura curiosità, di definirne i contorni, sforzandomi di frenare le lugubri fantasticherie che mi ispirava quel luogo popolato di ricordi. C'era una sorda minaccia nel silenzio funereo, nel mormorio soffocato dei ruscelli lontani, nelle cime verdeggianti e nei precipizi tappezzati di alberi neri che chiudevano l'orizzonte.Un'immagine mi si parò all'improvviso alla coscienza facendo impallidire quelle vaghe minacce e quei voli della fantasia. Ho raccontato come in strada avessi sfogliato le foto con una sorta di languida curiosità, ma a un tratto la curiosità si trasformò in un'ondata di autentico terrore. Le tracce, per lo più confuse e sovrapposte, difficilmente avrebbero richiamato l'attenzione, ma il mio sguardo inquieto si soffermò su certi particolari nel punto dove il sentiero proveniente dalla casa confluisce sulla strada principale, e intuii senza ombra di dubbio, e senza lasciare margine alla speranza, il loro significato mostruoso. Non avevo studiato invano, e per ore, le fotografie delle impronte aliene inviatemi da Akeley. Troppo familiari erano i segni lasciati dalle orribili pinze, quel loro procedere ambiguo che preannunciava errore come non potrebbe fare nessuna creatura di questo pianeta. Nessuna possibilità di cullarmi in pietose illusioni. Davanti ai miei occhi c'erano, chiare e nette nell'evidenza dell'obiettività, tre orme risalenti a poco prima: spiccavano, ampie e inconfondibili, in mezzo alla massa delle altre impronte che venivano dalla casa di Akeley o vi andavano.
    Erano le tracce infernali degli esseri di Yuggoth.
    Ripresi il mio sangue freddo appena in tempo per soffocare un grido. Dopo tutto, cosa c'era di così sorprendente, se davo credito alla lettera di Akeley? Mi aveva detto di aver fatto la pace con quei mostri: non era forse naturale che alcuni di loro avessero visitato la sua casa? Tuttavia, il terrore permaneva. Come avrei potuto contemplare per la prima volta, senza esserne sconvolto, le impronte di esseri venuti dalle regioni più lontane dello spazio? Proprio in quel momento vidi Noyes uscire dalla casa e dirigersi verso di me a grandi passi. Dovevo mantenere un volto assolutamente impassibile; probabilmente quel giovanotto non sapeva nulla del vero scopo della mia visita, e Akeley poteva aver avuto le sue ragioni per tenerlo all'oscuro di tutto. Noyes mi informò che il suo vecchio amico era molto felice del mio arrivo e disposto a ricevermi subito. Tuttavia, la sua crisi di asma gli avrebbe impedito di essere sollecito e premuroso verso di me come avrebbe voluto. Per tutta la durata di quegli accessi - mi spiegò il giovanotto - Akeley non poteva far quasi nulla, parlava a bassa voce, si muoveva con molta difficoltà. I piedi e le caviglie gli si gonfiavano: doveva fasciarli come se avesse sofferto di gotta. Oggi si sentiva così debole che avrei dovuto provvedere io stesso alle mie necessità, ma non per questo era meno desideroso di parlarmi. L'avrei trovato nel suo studio, a sinistra dell'anticamera: la stanza con le tapparelle abbassate. Durante le crisi non poteva sopportare la luce, perché i suoi occhi erano estremamente sensibili.Mentre Noyes, dopo essersi congedato, si allontanava, io mi diressi lentamente verso la casa. La porta era socchiusa; tuttavia, prima di entrare,mi guardai intorno per cercar di scoprire perché, anche indipendentementeda ciò che sapevo, quella fattoria mi sembrasse così strana. I granai e le tettoie avevano un'aria del tutto normale; una grande rimessa aperta ospitava la vecchia Ford di Akeley. D'un tratto, capii la ragione della stranezza del luogo: il silenzio assoluto che vi regnava, la mancanza del sia pur minimo segno di vita. I cani potevano essere stati venduti: ma dov'erano gli animali da cortile di cui Akeley, a quanto m'aveva scritto, si occupava lui stesso? Se c'erano, erano singolarmente silenziosi. Senza indugiare oltre, spinsi risolutamente la porta e la richiusi dietro di me. Quel gesto mi costò un grande sforzo di volontà, e, una volta all'interno, provai per un attimo il desiderio di battere in ritirata precipitosamente. Non che l'anticamera avesse un aspetto sinistro: al contrario, ne ammirai le proporzioni e l'arredamento di ottimo gusto. Il mio desiderio di fuggire era dovuto a qualcosa d'indefinibile, forse era da attribuirsi all'odore curioso che impregnava l'aria, eppure sapevo bene che c'è sempre un certo odore di muffa nelle fattorie, anche in quelle meglio tenute.

    Parte 7 >

    Edited by & . - 24/6/2020, 20:25
     
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