Colui che sussurrava nelle tenebre

H.P. Lovecraft\Parte 1

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  1. Smertefull_Dodskamp
         
     
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    La traduzione è stata condotta sul testo stabilito da S. T. Joshi, che ri-produce quello del manoscritto d'autore.

    Traduzione a cura di "Giuseppe Lippi"

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    Sia ben chiaro: non fu una visione d'orrore quella che si parò alla finedavanti ai miei occhi. Tuttavia, affermare che le conclusioni cui sonogiunto siano il frutto di un puro e semplice disturbo psichico, e che, comela goccia che fa traboccare il vaso, sia stato questo a farmi abbandonare aprecipizio la solitaria fattoria di Akeley, a fuggire nel cuore della notte inuna vecchia automobile e ad attraversare le nere colline del Vermont,significherebbe ignorare i dati tangibili dell'esperienza. Ammetto di nonpoter provare niente, pur avendo condiviso le informazioni di Akeley eavendo elaborato con lui determinate congetture: ho visto e udito moltecose, e l'impressione che ne ho ricevuto è stata estremamente vivida, maancora oggi non sono in grado di dimostrare che le terribili deduzioni dame tratte abbiano un fondamento. Quanto alla sparizione di Akeley, essanon prova granché. Nessuno ha rilevato qualcosa di sospetto nella casa,all'infuori di qualche traccia di pallottola all'esterno e all'interno: sipotrebbe credere che Akeley fosse uscito a fare una passeggiata sullacollina e non fosse ritornato. Nessun indizio rivela che il padrone di casaabbia ricevuto un visitatore, né che quegli orribili cilindri siano staticollocati nel suo studio. Certo, Akeley ha sempre manifestato un terroremortale per le scure colline attraversate da una miriade di ruscelli fra lequali è nato, ma nemmeno questo prova nulla, giacché tante persone sonosoggette a paure morbose dello stesso tipo. Senza contare che, agiustificazione del suo bizzarro atteggiamento e delle paure che nutriva, sipotrebbe invocare l'indole eccentrica dello scomparso.Per me, la faccenda incominciò con i grandi allagamenti che si pro-dussero nel Vermont al principio di novembre del 1927. A quell'epocainsegnavo letteratura inglese alla Miskatonic University, ad Arkham, nelMassachusetts, ed ero appassionato del folclore della Nuova Inghilterra.Fra le storie che riempivano i giornali a proposito dell'inondazione,apparvero bizzarre notizie di creature sconosciute che erano state vistegalleggiare sulle acque di alcuni fiumi in piena. I miei amici e colleghidell'università s'impegnarono subito in gran discussioni sull'argomento,ricorrendo spesso a me per chiarimenti. Lusingato che si prendessero sulserio i miei studi sul folclore della regione, feci il possibile per

    ridimensionare alcuni racconti stravaganti ovviamente ispirati da vecchiesuperstizioni campagnole. Mi divertì molto vedere gente colta affermareche quelle voci avrebbero potuto benissimo essere basate su fatti reali piùo meno deformati.Le storie che vennero così sottoposte alla mia attenzione provenivano daritagli di giornali; tuttavia una di esse era stata raccontata a voce a uno deimiei amici da sua madre, che abitando ad Handwick, nel Vermont, neaveva poi scritto al figlio. Comunque le descrizioni concordavano sualcuni punti essenziali. Notai che le creature in questione erano statescoperte in tre punti: nel fiume Winooski, vicino a Montpelier; nel WestRiver, a valle di Newfane, contea di Windham e nel fiume Passumpsic, amonte di Lyndonville, nella contea di Caledonia. Non mancavano cennisparsi ad altri casi, ma a un'analisi più attenta pareva che si riducesse tuttoa questi tre. Abitanti delle zone interessate dichiaravano di aver scortoorganismi bizzarri nelle acque tumultuose che si scaricavano dalle collinesolitarie; e la tendenza generale era di ricollegarli a un ciclo primitivo dileggende quasi dimenticate, che i vecchi riesumavano per l'occasione.Ciò che la gente credeva di aver visto, erano delle forme organichediverse da quelle finora conosciute. Naturalmente numerosi corpi umanifurono trascinati dalle acque in quel tragico periodo; ma chi descrisse gliesseri misteriosi pareva convinto che non si trattasse di uomini, malgradocerte rassomiglianze superficiali di dimensioni e di contorni. Non potevanonemmeno essere, secondo i testimoni, animali familiari agli abitanti delVermont. Erano creature di un colore tendente al rosa, lunghe circa unmetro e mezzo; il loro corpo, avvolto in un involucro da crostaceo, eradotato di un paio di grandi pinne o ali membranose dorsali, e di diversigruppi di membra articolate; una specie di ellissoide ricoperto da unamoltitudine di brevi antenne teneva il posto della testa.Era davvero significativo come le diverse descrizioni coincidessero neipunti essenziali, tuttavia non bisognava meravigliarsene troppo, poiché levecchie leggende un tempo diffuse nel paese contenevano appuntoimmagini di questo genere e la fantasia dei testimoni poteva esserne stataimpressionata. Conclusi che tali testimoni, boscaioli dallo spirito ingenuo,dovevano aver scorto i cadaveri gonfi e mutilati di uomini e di animalinelle acque turbinanti, e che i loro confusi ricordi di antiche tradizioniavessero dotato quei resti pietosi di attributi fantastici.Il vecchio folclore della regione, quasi dimenticato dalla generazioneattuale, aveva un carattere molto particolare perché aveva subito

    l'influenza dei racconti indiani che l'avevano preceduto. Benché non avessimai visitato il Vermont, lo conoscevo a fondo grazie alla rarissimamonografia di Eli Davenport, che è particolarmente ricca di documenti difonte orale forniti dagli abitanti della regione prima del 1839. I documenticoincidevano con alcuni racconti che io stesso avevo udito dalla bocca divecchi montanari del New Hampshire: gli uni e gli altri menzionavano unarazza di esseri mostruosi che si nascondevano negli oscuri boschi sopra lecolline meno accessibili, e in fondo alle valli dove passavano corsi d'acquadi misteriosa provenienza. Li si vedeva raramente, ma qualche prova dellaloro esistenza era stata scoperta da chi si era avventurato sui picchi più alti,o in gole scoscese che perfino i lupi evitavano.Strane impronte di piedi o di artigli erano state trovate sulla riva deiruscelli o in tratti di terreno argilloso, come pure curiosi circoli di pietre,che, costruiti in mezzo a spiazzi di terreno dai quali l'erba era statastrappata, non sembravano né foggiati ad arte né posti lì dalla natura.Sul fianco delle colline c'erano, inoltre, caverne inesplorate il cuiingresso era chiuso con massi che non si trovavano lì accidentalmente: ungran numero di impronte conduceva verso la loro imboccatura e se neallontanava (senza che si potesse dire, data la loro stranezza, quali fosserovolte in un senso e quali nell'altro). Infine, ed era la cosa più paurosa,c'erano mostruose creature che i montanari di tanto in tanto intravedevanonella penombra di vallate lontane o nel cuore dei fitti boschi situati supendii inaccessibili.L'orrore sarebbe stato meno inquietante se le varie descrizioni delleentità mostruose non fossero state così concordi. Allo stato dei fatti, ledicerie avevano numerosi punti in comune. Quegli esseri fantastici erano,appunto, una specie di enormi granchi rosati, muniti di parecchie paia dizampe e di due grandi ali membranose fissate a metà della schiena. A voltecamminavano su tutte le zampe, a volte unicamente sul paio posteriore,utilizzando le altre per trasportare oggetti di natura indeterminata. Uno deitestimoni ne aveva osservato un giorno un gruppo compatto cheattraversava a guado un corso d'acqua poco profondo: essi avanzavano atre a tre, in file bene ordinate. Una sera ne era stato visto uno che prendevail volo: dopo essersi lanciato dall'alto di una collina solitaria, erascomparso nel cielo sotto i raggi della luna piena.In linea di massima i mostri sembravano disposti a lasciare gli uomini inpace, ma si imputava loro la scomparsa di alcuni individui temerari cheavevano costruito la propria casa troppo vicino a certe vallate o alla sommità di determinate montagne. Si finì per ammettere che in alcunelocalità era imprudente stabilirsi, e questa convinzione persistette a lungo.La gente continuava a guardare, rabbrividendo, i picchi scoscesi, pur nonricordando che cosa ci fosse di vero nei racconti di gente sparita e difattorie ridotte in cenere.Ma se, stando alle primitive leggende, quelle creature non avevanomolestato che i disturbatori dei loro rifugi, racconti più recenti parlavanodella loro curiosità nei confronti dei semplici mortali e dei tentativi distabilire avamposti segreti nel mondo degli uomini. Si parlava di straneimpronte di artigli scoperte al mattino sotto le finestre delle fattorie e disparizioni in luoghi anche molto lontani dalle regioni infestate. Siaccennava a voci ronzanti simili a quella umana che facevano straneofferte ai viandanti ritardatari nelle strade solitarie e nei sentieri tra iboschi più fitti. Diversi bambini erano rimasti terrorizzati fino a perdere laragione per ciò che avevano visto e sentito ai margini delle foreste doveabitavano. Infine, le ultime leggende (quelle che precedevano l'abbandonodi determinate località vicine ai luoghi temuti) facevano allusioni inorriditead abitanti di fattorie isolate che, in un determinato periodo della loroesistenza, avevano subito una ripugnante trasformazione mentale ed eranostati accusati di essersi venduti alle strane creature. In una contea del nord-est, dove c'era una casa di pena, sembra che verso il 1800 fosse invalsa lacredenza che gli ergastolani fossero alleati o rappresentanti degli aborritimostri.Per quanto concerne la natura di questi ultimi, le spiegazioni differivano.Generalmente venivano chiamati Quelli-di-Là oppure i Grandi Antichi,benché esistessero altre denominazioni puramente locali. I coloni puritani,considerandoli progenie del diavolo, ne facevano soggetto di speculazioniteologiche terrificanti. Coloro che avevano sangue celtico, in particolaregli irlandesi e gli scozzesi del New Hampshire e i loro discendentistabilitisi nel Vermont in seguito alle concessioni di terreno ottenute dalgovernatore Wentworth, li ricollegavano vagamente al leggendario"piccolo popolo" delle torbiere e delle colline e li esorcizzavano conincantesimi approssimativi, tramandati di generazione in generazione. Maerano gli indiani che professavano le teorie più fantastiche. Se le leggendedelle diverse tribù presentavano alcune divergenze, esse eranounanimamente concordi su un punto: i mostri non appartenevano a questaterra.I miti dei Pennacook erano i più pittoreschi e i più coerenti. Insegnavano

    che Quelli-dalle-Ali-Nere venivano dall'Orsa Maggiore e possedevanonelle nostre montagne alcune miniere da cui estraevano un minerale chenon potevano procurarsi su nessun altro mondo. Non risiedevano sullaTerra: vi mantenevano semplicemente degli avamposti e ritornavano suiloro pianeti trasportando grandi carichi. Non facevano del male agliuomini, salvo a quelli che si avvicinavano troppo o li spiavano. Gli animalili evitavano, non perché loro li cacciassero, ma per un'avversione istintiva.Non potevano mangiar nulla di ciò che si trovava sulla Terra e dovevanoportarsi il nutrimento dai loro pianeti. Non era prudente avventurarsi inprossimità di questi rifugi: parecchi cacciatori che s'erano spinti dalle loroparti non ne erano più tornati. E nemmeno era prudente ascoltare ciò cheessi bisbigliavano la notte nella foresta, con voci da insetti che sisforzavano di imitare quelle umane. Conoscevano tutti i dialetti: quelli deiPennacook, degli Uroni, delle Cinque Nazioni, ma non avevano una pro-pria lingua. Per le cose loro s'intendevano con le mani, il cui colore mutavaa seconda di ciò che volevano esprimere.Nel XIX secolo, naturalmente, a tali leggende - sia quelle della po-polazione bianca, sia quelle della popolazione indigena dei pellerossa - siera smesso di credere davvero, salvo qualche improvviso rifiorire di mitiatavici. La vita degli abitanti del Vermont era ritornata tranquilla, e, unavolta che abitazioni e itinerari furono definiti secondo un pianopreordinato, nella memoria collettiva sbiadì il ricordo delle paure e dellerestrizioni che esse avevano determinato. Si può dire che il ricordo stessosi fosse dileguato. La maggior parte della gente sapeva solo che alcunezone montagnose erano considerate malsane, poco redditizie e, in generale,iellate, e che quindi più se ne stava lontani, meglio ci si trovava. Conl'andar del tempo la forza della consuetudine e la spinta dell'interesseeconomico identificarono in modo piuttosto netto certi luoghi, al punto chenon ci fu alcuna ragione per andare altrove. Le colline maledette rimaserodeserte più per caso che per intenzione. A parte qualche raro timore locale,solo alcuni nonagenari chini sul loro passato e qualche nonna innamoratadel meraviglioso ricordavano la presenza di creature bizzarre sulle colline;ma quegli stessi vaneggiatori ammettevano che non c'era più nulla datemere ora che le strane creature si erano abituate alle case degli uomini, ea loro volta costoro non disturbavano più i loro rifugi.Avevo appreso tutto questo nel corso delle mie letture e grazie a certestorie udite da contadini del New Hampshire. Ecco perché, quando le vociche seguirono l'inondazione incominciarono a diffondersi, potei facilmente

    riportarne l'origine a quelle leggende. Mi sforzai di spiegarlo ai miei amicie mi divertii a sentire quegli spiriti polemici sostenere che le leggende,dunque, potevano racchiudere un elemento di verità. Le antiche leggende,insistevano, si assomigliavano in modo significativo e avevano un elevatogrado di uniformità. Le colline del Vermont, praticamente inesplorate,suggerivano di non fare affermazioni categoriche su chi o che cosa potesseannidarvisi. Nemmeno riuscii a convincerli quando spiegai loro che imotivi principali di quei miti si trovavano in tutto il mondo, e che eranodeterminati da fasi primitive di esperienza immaginativa, che conducevasempre allo stesso tipo di illusione.Dimostrai invano che le superstizioni del Vermont differivano po-chissimo, nella loro essenza, dalle leggende universali che tendono apersonificare le forze della natura: da quelle leggende, cioè, che avevanoriempito il mondo antico di fauni, satiri e driadi, che avevano fatto nascerei "kallikanzara" della Grecia moderna e avevano dotato l'Irlanda e il Gallesdelle loro terribili razze di piccoli trogloditi. Illustrai senza maggior successo un mito ancora più significativo, la credenza degli indigeni delNepal nei terribili Mi-Go, ricordando pure, naturalmente, lo "yeti"nascosto tra i ghiacciai e le rupi sulle vette dell'Himalaya. I miei avversariritorsero queste cose contro di me dichiarando che esse implicavano unabase storica delle antiche leggende: cioè l'esistenza di una razzaextraterrestre molto antica che era stata costretta a nascondersi dopo lavenuta degli uomini, e che poteva benissimo essere sopravvissuta, innumero assai ridotto, fino a un tempo abbastanza recente se non fino alnostro.Più mi burlavo di quelle teorie, più i miei amici le sostenevano conaccanimento; secondo loro, anche prescindendo dalle vecchie tradizioni, levoci recenti erano troppo chiare, coerenti e dettagliate, perché ci si potessepermettere di non tenerne conto. Due o tre fanatici arrivarono a trovareplausibili i racconti indiani che attribuivano agli esseri misteriosiun'origine ultraterrestre: a sostegno delle loro argomentazioni citavano lestravaganti opere di Charles Fort, secondo cui esseri provenienti da altriuniversi avrebbero spesso visitato il nostro pianeta. A mia volta, io liaccusai di essere in realtà degli spiriti romantici, che si sforzavano ditrasportare sul piano della vita reale la demonologia volgarizzata daisuggestivi racconti fantastici di Arthur Machen.

    PARTE 2 >

    Edited by & . - 24/6/2020, 20:19
     
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