Votes taken by DamaXion

  1. .
    #1

    Brezza sul suo viso sudato, brezza sul suo corpo dolorante: il vento faceva frusciare la gabbia di canne dove era rinchiuso. Una panacea per il suo mal di testa pulsante.
    Un soffio, ogni tanto, faceva suonare un tronco cavo, un suono profondo e caldo su cui lui concentrò tutta la sua attenzione per far riprendere il proprio cervello confuso: dove si trovava?
    Il sole cocente feriva i suoi sensi, e per poter distinguere qualcosa, egli dovette farsi scudo con la mano e tirarsi su dalla posizione supina in cui si era risvegliato: la gabbia era giallognola ed aveva l'aria piuttosto fragile, ma venti tra uomini e donne dalla pelle scurissima popolavano la radura che si stendeva per qualche metro, indossando maschere di foglie che coprivano le loro fattezze. Il verde intenso della foresta cozzava contro il grigio incredibile dell'erba, cosparsa di piante, funghi e teschi. Ogni tanto qualcuno si alzava in piedi e camminava, e dal suono soffice che emettevano i passi strascicati, si rese conto che non erano piante a costellare quello strano spiazzo, ma folti mucchietti di muffa.
    E poi l'odore.
    Come un pugno sul naso, il lezzo di quel cerchio di marciume lo colpì all'improvviso, facendogli lacrimare gli occhi: la sua lingua pareva di colpo fatta di stoffa e il contenuto del suo stomaco ribollì, cercando una fuga verso l'esterno che lui dovette reprimere, emettendo un verso strozzato che attirò l'attenzione dei suoi carcerieri.
    –Ehi tu!
    Sbattendo gli occhi confuso, il prigioniero si alzò e vide con una leggera soddisfazione lo sguardo sgomento dell'uomo davanti a lui mentre alzava il viso di un buon palmo per guardarlo negli occhi.
    –Dicci, mostro: che cosa hai fatto alla nostra terra?
    Parlava nella Lingua del vento, comune a tutte le creature senzienti, ma con piccole pause e strascichi date da un accento a lui sconosciuto.
    –La... la vostra terra?
    –Guardala, mostro! È marcia e puzzolente: cosa hai fatto? Perché?
    Una lancia passò rapida in mezzo alle sbarre, ma il "mostro" fu destro ad afferrarla con una delle sue gigantesche mani, spezzandola con poco sforzo: anche quel legno, si trovò a notare, era marcio.
    –Io ero solo di passaggio, in cerca di uno sciamano. Non so niente di tutto ciò! Perché pensate ne sia io il colpevole?
    –Tutto ciò è accaduto quando hai messo piede nella nostra foresta! Proprio TU, guarda un po'... perché pensi crediamo che sia tu la causa, uomo bestia? Sarà il tuo aspetto maledetto ad aver... aver...
    L'uomo non finì la frase: il suo prigioniero aveva afferrato le sbarre e le aveva sbriciolate con uno sforzo esiguo ed ora era libero e si ergeva in tutta la sua possanza. Occhi color ambra si posarono sui volti spaventati e stanchi dei presenti, occhi freddissimi di rettile.
    –Io sono Atali'i, figlio di Matiu e degli dèi: non vi permetto di mancarmi di rispetto in questo modo!
    La sua voce era tonante, risuonava di comando; la voce di un guerriero abile ma giovane e caparbio il cui orgoglio era stato ferito da un gruppo di sempliciotti: il suono possente fece rabbrividire, e come il pericolo fa nascondere la tartaruga nel guscio, i colli dei presenti si ritrassero al sicuro tra le spalle.
    –E ora dite, capo di questi sciocchi: cos'è successo realmente qui?

    #2

    Un'ora dopo, Atali'i e Nadì, il capo del gruppo di cacciatori, erano giunti al villaggio e fecero il loro ingresso tra esclamazioni di paura e meraviglia: Atali'i di certo impressionava nella sua altezza, ma ancor di più nel suo aspetto ibrido tra l'umano e il rettile; le sue scaglie liscie luccicavano nella luce del tramonto, che faceva sembrare il loro normale color sabbia un oro delicato, e il corto mantello di lino intrecciato che indossava copriva a malapena l'intricato tatuaggio che gli ornava il petto e il braccio destro.
    Nadì gli aveva spiegato che la terra della radura era marcita nel giro di un'ora in un cerchio che si era allargato a vista d'occhio, senza alcuna ragione apparente. Si scusava della propria stupidità, ma lui e i suoi uomini erano stanchi e preoccupati che la muffa raggiungesse i campi, non troppo lontani: ogni insetto che toccava il suolo era morto, e temevano che questa sorte sarebbe toccata prima alle bestie e poi, inevitabilmente, a loro.

    –Capo Moto mbawa, ho sentito di una terribile situazione accaduta alle vostre terre, e nonostante il trattamento ricevuto...
    Nadì poté sentire quasi fisicamente, nella penombra, l'occhiata gelida che gli fu lanciata. La tenda del Capo, rialzata e larga, era comunque scura e soffocante, profumata da incensi e ammobiliata di maschere di foglie e stoffe intrecciate, e nonostante non fosse la prima volta che entrava, il capo cacciatore si sentì minuscolo accanto a quei due uomini formidabili.
    –...voglio aiutarvi. Ditemi, Capo: ci sono sciamani qui, nel vostro villaggio?
    Moto mbawa, straordinariamente giovane nonostante il proprio ruolo, sussultò a quella domanda, chinando il capo con mestizia e un dolore profondo negli occhi neri come l'abisso. Parlava in modo chiaro e scandito, senza dimostrare il sentimento intrappolato nel suo sguardo, indomito.
    –No... un'anziana viveva qui e aveva scelto una succeditrice, ma entrambe morirono misteriosamente lo stesso giorno, aggredite da qualcosa o qualcuno. Da allora, nessuno ha potuto sostituirle.
    –Dove posso trovare la loro tenda, se mi è concesso?
    –No. Non ti è concesso. Puoi riposare qui, mangiare qui, danzare attorno al fuoco, ma ciò che desideri ti è proibito.
    Atali'i chinò il capo senza discutere, anche se una fitta di curiosità gli aveva attraversato il petto. Aveva il sentore dell'inganno, o di verità celate, ma non dimostrò alcuna sfiducia, facendosi indicare il proprio giaciglio, leggermente isolato dal resto del villaggio che ancora lo temeva.

    #3

    Attorno al fuoco, le persone del villaggio cercarono perlopiù di ignorarlo, mentre i bambini lo osservavano da lontano con stupore, tenuti stretti dalle madri diffidenti: la vita in quel posto era semplice e tranquilla, e per quelle poche ore Atali'i si sentì quasi riportare all'adolescenza, a ricordi in cui batteva le mani a tempo di una musica quasi dimenticata e suo padre lo guardava da lontano, fiducioso ma triste per la sua vicina partenza. Il piccolo amo di osso legato al suo polso tintinnava ad ogni colpo.
    –Ehi, bestione! Fai posto?
    Una delle cacciatrici, di nome Maua, si sedette sul tronco accanto a lui, sorseggiando qualcosa di alcolico da una ciotola di legno. Era giovane, estremamente magra e definita: troppe poche curve, notò con sguardo critico suo malgrado, cercando di scacciare dalla mente i fianchi sinuosi di una donna che non vedeva da troppo tempo. Aveva bevuto anche lui, e lo spirito lo rendeva malinconico.
    –Ciao, Maua. Ti annoiano i ragazzi che danzano?
    –Vogliono che danzi anch'io! Con loro? Bah! Non riuscirebbero a colpire un mawindo neanche fosse sotto il loro naso! Non mi meritano...
    Lo sguardo che gli lanciò successivamente, gli fece capire che, nei pensieri della ragazza, c'era qualcuno che lei riteneva degno delle sue attenzioni e si sentì infiammare. Scacciò però i pensieri superflui, aveva un compito importante e gli servivano informazioni.
    –Dimmi, Maua... Capo Moto mbawa è giovanissimo! Com'è che è il vostro capo?
    –Pfff! Suo padre è morto troppo presto, ecco perché! Ma lui non è un capo vero, un capo vero non gira dietro la prima ragazza bella di turno, lui... lui sceglie in base al merito, in base a...
    Maua si incupì all'improvviso, perdendo la voce in un soffio tetro e guardando le fiamme come se volesse spegnerle con la forza del proprio dolore. Poi si rianimò, ingollando una lunga sorsata, e senza che Atali'i dovesse chiederle di continuare, riprese:
    –Insomma, Sauda era bella, bellissima! E lui l'amava... e lei lo amava. E poi è morta... e io non sono contenta, ovvio! Tutti soffrono, e lui e io pure e... e...
    La ragazza si accasciò addormentata tra le braccia dell'uomo, che la adagiò con delicatezza sul tronco mentre rimuginava su quello che aveva saputo: era ovvio che il Capo sapeva molto di più sulla morte della ragazza, Sauda... e aveva il presentimento che il marcire improvviso della terra fosse legato a lei. Non sembrava che la tragedia fosse accaduta da molto tempo, e questo non faceva che accrescere i suoi sospetti.
    Era l'ora di fare visita all'abitazione della sciamana, e quella notte era perfetta dato che nessuno lo stava considerando.
    Man mano che il tempo passava, i canti e i balli si affievolirono, e la notte venne allietata dai suoni frenetici dei grilli e dai canti di uccelli sconosciuti. Un cielo stellato lo accompagnò nel tragitto, in una quiete placida ma fremente di attività, mentre odori familiari come la terra e forestieri come i fiori tropicali placavano la sua anima. Sapeva bene che ciò che faceva era un insulto all'ospitalità di Moto mbawa, ma in cuor suo trovava il rifiuto inaccettabile e terribilmente sospetto.
    "Una giovane amata muore, e dopo poco la terra marcisce... "
    Rimuginò, mentre scostava silenzioso l'entrata della tenda della sciamana, la più bassa e larga del villaggio: dentro il buio era assoluto, ma i suoi occhi di rettile potevano vedere chiaramente ogni ninnolo, maschera e vasi gettati alla rinfusa. Tutto era coperto di polvere e topi ed insetti avevano iniziato ad abitare quei resti abbandonati, tuttavia... un sottile odore familiare lo colpì, sorprendendolo: fumo ed incenso.
    Una singola, lignea ciotola era posata sul pavimento e mucchietti di erbe, funghi e terriccio di colore strano la circondavano, chiaramente ingredienti per un incantesimo eseguito di recente: Atali'i prese una ditata della polvere violacea e la sputò subito, per non subirne gli effetti. Quando capì di cosa si trattava, una fitta di quella che gli parve pietà gli attraversò il petto.
    "Oh, povero sciocco... il suo spirito non-"
    Ma i suoi pensieri vennero interrotti dal frusciare della stoffa. Qualcuno lo aveva seguito!
    –Maua?
    Si trovò a mormorare, ma il suono metallico di una punta di lancia che tintinnava contro un sasso gli fece capire che il suo ospite era molto più spiacevole.

    #4

    Un'ombra si stagliava contro la luce della Luna, dal respiro silenzioso come brezza, immobile come una statua: Atali'i fece appena in tempo a notarla che quella attaccò, mancandolo di poco. Era chiaramente un uomo ed indossava una delle maschere di foglie dei cacciatori.
    L'assalitore iniziò a girargli attorno come una pantera, saggiandolo dalla testa ai piedi, studiando come sopraffare una preda di una testa più alta di lui, ma anche l'uomo rettile non era da meno e seguiva ogni suo movimento, specchiandolo.
    Poi un altro affondo, ancora più rapido, che gli sfiorò il braccio tagliando la pelle in una netta striscia bruciante, ma Atali'i fece un movimento circolare con il gomito ed afferrò l'asta, tirandola verso di sé: traendo vantaggio dallo sbilanciamento dell'avversario, ne approfittò per tirargli un pugno dritto in faccia, ricevendo in cambio un gemito soffocato.
    Non voleva ucciderlo, nè farlo scappare: chi lo aveva attaccato lo aveva fatto per non fargli scoprire qualcosa, non c'era alcun dubbio su questo, e lui aveva già i suoi sospetti.
    –Non dovevi ficcare il naso!
    Sibilò l'uomo misterioso, mentre il sangue colava da sotto la maschera: era meno stabile di prima, ma più che altro il colpo sembrava averlo fatto arrabbiare, rendendo i suoi colpi più rapidi ed imprevedibili.
    Altre due ferite decorarono il corpo di Atali'i negli attimi successivi, e la sua sicurezza iniziò a vacillare, rendendosi conto tardi dello svantaggio dell'essere disarmato. Non voleva ricorrere a metodi estremi, ma il suo orgoglio lo stava facendo perdere e ciò era inaccettabile. Iniziò a mormorare la formula, mentre allontanava l'avversario con uno spintone, ma per farlo rimase immobile, completamente indifeso.
    L'aggressore rimase confuso per un attimo, poi prese la rincorsa e balzò, mirando dritto al suo cuore
    e colpendo con forza e precisione ciò che aveva davanti.
    Per un secondo, il tempo parve fermarsi mentre era a mezz'aria e l'aria sfrigolò di magia: tra le mani di Atali'i era apparso il suo Wahaika, con cui aveva parato il colpo, e poi...

    WHAM!

    La gigantesca mazza ad uncino colpì l'uomo in pieno stomaco, con un urto così forte che venne lanciato fuori dalla tenda strappando la stoffa. Un solo, soffocato gemito ruppe il silenzio della notte, seguito dal sibilo di chi cerca invano di respirare.
    Atali'i si avvicinò al fagotto inerte che era stato il suo avversario che, colto dal panico, cercò di alzarsi dandogli le spalle ma crollò sulle gambe tremanti, tenendosi la pancia e sputando sangue.
    –Perchè sei venuto qui? Perchè?
    La voce era patetica e colma di pianto, ma perfettamente riconoscibile.

    Parte 2

    Edited by DamaXion - 28/12/2017, 19:24
  2. .
    Homer Lusk Collyer e Langley Collyer sono stati due eccentrici fratelli statunitensi nati verso la fine dell'800, famosi per la loro bizzarra ossessione e la loro altrettanto bizzarra (e terribile) dipartita.
    Entrambi nascono a New York a quattro anni di distanza, in una famiglia agiata: il padre Herman Livingston Collyer fa il ginecologo e la madre Susie Gage Frost, sua cugina di primo grado, è una cantante d'opera di talento. Entrambi i fratelli si laureano alla prestigiosa Columbia University, Homer in diritto della navigazione e Langley in ingegneria, dilettandosi in invenzioni stravaganti tra cui un'automobile Ford T modificata per produrre elettricità.
    Si trasferiscono ad Harlem, ai tempi un quartiere elegante, in un palazzo di quattro piani, dove inizia la loro ossessione e dove moriranno entrambi in circostanze estremamente sfortunate.

    Homer parla a dei poliziotti (sopra) Langley, quello con in mano il cappello (sotto)
    Homer_Collyer_1939Langley_Collier_with_attorney_1946



    Tutto parte con la separazione dei genitori: il padre si trasferisce altrove, mentre la madre resta con i due fratelli. Alla morte dell'uomo, nel 1923, ereditano tutti i suoi averi ed ha inizio l'accumulo: tutti gli oggetti presenti nella casa di Herman Collyer, definiti "spazzatura" da una donna che acquistò la casa del defunto, vengono sistemati nella loro abitazione di Harlem. Tutto quanto fu fatto entrare in quella singola casa, tra cui la Ford T, smontata per farcela stare.
    Quattro anni dopo muore la madre, lasciando anch'essa tutti i suoi averi ai figli, che continuano pazientemente ad accumulare ma a vivere vite normali, lavorando e frequentando amici. Ma la normalità non dura molto.

    La casa di Harlem
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    Nel 1929 iniziano i problemi ad Harlem: la grande depressione e gli scontri razziali marcano il drastico cambiamento del quartiere: non più di lusso, inizia a popolarsi e diventare un ghetto, caratterizzato dall'alto tasso di criminalità e scontri con la polizia. È in questo periodo che i fratelli Collyer subiscono un tentativo di rapina in casa e decidono di mettere sbarre alle finestre, creare trappole da piazzare in giro per la casa e barricarsi dentro per la maggior parte del tempo. Vivono delle eredità dei genitori e dei soldi guadagnati con il lavoro.
    In più, Homer, già reso zoppo da terribili reumatismi, diventa cieco dopo un'emorragia ai bulbi oculari e deve smettere di lavorare, affidandosi alle cure di Langley che idea per lui una dieta a base di arance, pane nero e burro d'arachidi: per lui i dottori erano inutili, la natura doveva fare il suo corso da sola.

    I fratelli, sempre più scostanti e misantropi, smettono di pagare le tasse, usando una stufa a cherosene per scaldarsi e cercando di riutilizzare la Ford T per la loro elettricità: Langley inizia a prendere l'acqua da una fontanella in un parco pubblico ed esce solo la notte tarda per comprare cibo, arrivando a percorrere quasi sei chilometri per acquistare il pane; colleziona giornali di tutti i tipi, con la speranza che, quando sarebbe guarito, Homer potesse leggerli e ragguagliarsi sulle cose successe mentre era disabile.
    Nel 1942, la banca invia degli uomini a svuotare la casa per rivenderla, dato che voleva sfrattare i fratelli per il mancato pagamento delle tasse: gli operai riescono a fatica ad aprire la porta principale, trovandosi davanti ad uno spettacolo inimmaginabile.

    L'interno di casa Collyer
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    Scatoloni pieni di carabattole e vecchi giornali sono impilati ovunque, in torri alte come i due uomini: ogni angolo della casa è coperto di oggetti di ogni tipo, da soprammobili a pianoforti, accatastati alla rinfusa. Trovano Langley in una "radura" in mezzo alla spazzatura e lui, furioso di quella invasione, compila un assegno che dà da portare alla banca, mandandoli via in malo modo. Da quel momento non accetta più visite o interviste e si fa vedere solo alla finestra per mandare via i curiosi o per rassicurare la polizia, che saltuariamente viene avvertita dai vicini della morte di uno dei due fratelli, probabilmente per vedere se avrebbero aperto la porta per osservare l'interno della casa.
    Una volta la polizia riesce ad entrare e, attraverso tunnel creati per passare attraverso i cumuli di roba, trovano Homer: è emaciato ma vivo, siede su un sacco di tela e tiene le gambe costantemente contro il petto perché, a detta sua, i reumatismi ormai gli impediscono di camminare. Anche lui scaccia gli agenti, arrabbiato per essere creduto morto.

    Langley Collier grida dalla finestra
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    Il 21 marzo del 1947, un anonimo chiama il distretto di polizia: c'è un cadavere nel palazzo e i miasmi iniziano a sentirsi nelle case vicine. Sette persone vengono inviate per entrare nella casa, dato che stavolta Langley non risponde dalla finestra, ma porte e finestre sono bloccate: l'unico modo per entrare è forzare una porta sul retro e buttare nel giardino pile e pile di oggetti. Una folla di curiosi si accalca sul luogo.

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    La casa è in uno stato ancora peggiore, gatti e topi girano liberi e pullula di nuova spazzatura, che gli agenti faticano a rimuovere. Poi, finalmente, trovano Homer: è seduto sul suo sacco di tela con indosso solo un accappatoio, le ginocchia perennemente piegate e il viso abbandonato sul petto. È morto di stenti da dieci ore e non può essere certo lui la causa del terribile odore, ma Langley non si trova.
    Da principio si pensa sia fuggito dopo la morte del fratello per la propria incuria, ma continuano i lavori per svuotare la casa: vengono trovati scheletri umani lasciati dal padre, tremila libri e altri giornali. In tutto, diciannove tonnellate di spazzatura vengono rimosse dal piano terra della casa.

    I pezzi dell'automobile
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    Un mese dopo, ad aprile, avviene la terribile scoperta: il cadavere di Langley, decomposto e parzialmente mangiato dai topi, viene rinvenuto a tre metri dal punto dove è morto Homer, schiacciato da pile di giornali. Aveva attivato una delle sue trappole ed era finito sotto l'enorme peso della carta, morendo asfissiato.
    I giornali dell'epoca ne parlano fino allo sfinimento, e numerose teorie e leggende iniziano a nascere sul loro conto.

    "Collyer muore come è vissuto"
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    Il caso è stato così eclatante e bizzarro che la disposofobia, il disturbo di cui sicuramente soffrivano, viene chiamata anche "sindrome dei fratelli Collyer".
    Il sito dove sorgeva la loro casa è stato trasformato in un piccolo giardino dedicato a loro, per ricordarne la memoria e forse come monito per evitare che fatti simili accadano ancora.

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    Edited by DamaXion - 7/8/2017, 09:16
  3. .

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    Return to Babylon è un film muto e in bianco e nero diretto da Alex Monty Canawati nel 2012: racconta la vita delle più scandalose star dei film muti, come Rodolfo Valentino e Clara Bow. È stato girato con una telecamera dell'epoca, a manovella e la colonna sonora presenta tutte canzoni degli anni '20. Nulla nella storia ha alcun elemento pauroso, insomma.

    Allora vi chiederete: ma perché allora ne voglio parlare? Beh, voglio mostrarvi uno screen del film:

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    Return to Babylon viene considerato infestato da spiriti e fantasmi e su questa pellicola, secondo alcuni, le prove di fenomeni paranormali sarebbero numerose: molte persone avrebbero visto i volti degli attori deformarsi, i loro corpi contorcersi e diventare orripilanti e addirittura sarebbero apparsi i volti fantasma dei personaggi su cui il film è basato.
    Gli interpreti hanno confermato i fenomeni, affermando di essersi sentiti osservati e toccati da entità misteriose.

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    Il regista stesso ha affermato di essersi accorto dei misteriosi fenomeni solo dopo aver sviluppato il negativo e che nulla di tutto ciò era apparso ai suoi occhi prima della revisione delle registrazioni. Canawati non è mai riuscito a distribuire il film, per problemi sia economici che a causa di una serie di eventi sfortunati; egli pensa che gli strani fenomeni siano frutto di un'entità che vuole comunicare qualcosa e che le figure spaventose non siano demoniache ma piuttosto rappresentino immagini sacre ed angeli.
    Dopotutto, l'idea del film gli è venuta grazie ad una casualità, ovvero il trovare numerose pellicole di film muti abbandonate per strada ad Hollywood. Un segno divino di fare il film, insomma.

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    Numerose teorie, dalle più fantasiose alle più plausibili sono nate nel frattempo, e ignorando un attimo quelle paranormali, c'è chi ha cercato di dare una spiegazione logica alle deformazioni: secondo alcuni, il passaggio dalle pellicole a 16fps al digitale a 24fps avrebbe in qualche modo "mescolato" le immagini, deformandole.
    Ad esempio, in molte scene le dita degli attori si allungano in modo bizzarro o si fondono assieme, ma ciò potrebbe essere dato da uno "strascico" dell'immagine, che rimane impressa nonostante il movimento dell'attore/attrice:

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    I misteri sul film sono ancora molti, c'è chi pensa sia tutto vero, chi invece che tutto questo mistero sia soltanto uno stunt pubblicitario di Canawati. In ogni caso, paranormali o no, le immagini sono seriamente inquietanti, e di certo il regista, seppure a detta sua per sbaglio, ha creato un film che fa molto discutere e che la comunità dell'Horror ricorderà per molto tempo a venire...





    Edited by DamaXion - 29/7/2017, 18:30
  4. .
    Anch'io a valutarla ero già lì: uffa vabbè ma che banale, insomma. Poi l'ho finita e: oooh **
  5. .
    La descrizione delle sue vertigini le fa venire a me e io non ho particolarmente paura dell'altezza!
  6. .
    Come sempre la rivelazione nell'ultima vignetta è fortissima, è davvero troppo bravo
  7. .
    Preparati, è lungo

    Prima di tutto c'è il soggetto, detto anche "sinossi": la storia riassunta estremamente in breve, in 5-6 righe, dall'inizio alla fine. L'idea di base, insomma. Bisogna essere estremamente lapidari e non perdersi in dettagli inutili, solo l'essenziale.

    Bisogna poi strutturare la storia, ovvero dividerla in cinque punti chiave: introduzione, colpo di scena, sviluppo, secondo colpo di scena e risoluzione (non è obbligatorio, ma tantissime storie vanno così ed aiuta molto. Per le storie più brevi è ancora meno obbligatorio) I colpi di scena sono fatti che spostano l'azione da un luogo ad un altro, o in generale da una direzione della storia ad un'altra.

    CITAZIONE
    Esempio: Star Wars episodio IV
    -Introduzione (introduzione personaggi e le loro motivazioni): arriva il cattivo, i piani vengono rubati, viene introdotto Luke.
    -Colpo di scena (la storia cambia direzione): Luke trova i droidi, scopre che Obi Wan conosceva suo padre e partono a salvare la principessa, l'azione di sposta perciò, altrove.
    -Sviluppo (ciò che è stato introdotto si evolve): Beh, tutto ciò che succede dopo, Han Solo, principessa salvata eccetera.
    -Secondo colpo di scena (Svolta): ecco i piani, si scopre il punto debole della Morte Nera, si va a distruggerla.
    -Conclusionee: Morte Nera distrutta, Fener sembra sconfitto e tutti vengono premiati.

    Ora che si ha lo scheletro della storia, bisogna raccontarla in almeno una pagina e creare il foglio personaggi, dove vengono descritti i personaggi principali e gli antagonisti: bisogna mettere tutto, anche cose che nella storia non vengono introdotte, bisogna essere pignoli e descrittivi. Se in una scena il cattivo sceglie il pugnale invece dell'ascia, magari c'è un motivo e tu, autore, devi saperlo.
    Un personaggio è descritto in cinque punti, più ovviamente la descrizione dell'aspetto fisico:

    1. Esigenze drammatiche: quello che il personaggio vuole nel corso della storia
    2. Punto di vista: il modo in cui vede il mondo, il carattere
    3. Cambiamento: quello che gli accade
    4. Atteggiamento: come si atteggia, appunto
    5. Biografia: la sua storia prima dell'inizio del racconto

    Si passa al secondo trattamento, ovvero strutturare ancora e ancora, ampliare il tutto a quattro pagine (una per ogni punto, mezza per descrivere i colpi di scena), aggiungere dettagli e così via. Per lo scrittore questo è l'ultimo passo prima di scrivere il romanzo/il racconto vero e proprio...
  8. .
    L'orologio gli fu dato per il suo decimo compleanno. Era un orologio da polso di plastica grigia, ordinario in ogni aspetto tranne per il fatto che faceva il conto alla rovescia. "Questo è il tempo che ti rimane da vivere, figliolo. Usalo saggiamente". E in effetti lo fece. Mentre l'orologio ticchettava, il ragazzo, ora uomo, visse la sua vita al massimo. Scalò le montagne e nuotò negli oceani. Parlò e rise, visse ed amò. L'uomo non aveva mai paura, perché sapeva esattamente quanto tempo gli restava.

    Infine, l'orologio iniziò il conto alla rovescia finale. Il vecchio uomo guardò tutto quello che aveva fatto, tutto ciò che aveva costruito.

    5. Strinse la mano al suo partner d'affari, l'uomo che era stato più a lungo suo amico e confidente.
    4. Il suo cane arrivò e gli leccò la mano, guadagnandosi una carezza sulla testa per la sua fedeltà.
    3. Abbracciò suo figlio, sapendo di essere stato un buon padre.
    2. Baciò sua moglie sulla fronte un'ultima volta.
    1. Il vecchio sorrise e chiuse gli occhi.



    E poi, non accadde nulla. L'orologio suonò una volta e poi si spense. L'uomo rimase in piedi, molto vivo. Penserete che in quel momento sarebbe dovuto essere felicissimo.
    Invece, per la prima volta, l'uomo aveva paura.



    Edited by WDR - 10/7/2017, 14:56
  9. .
    Uhm non saprei, mi consulto e ti dico
  10. .
    Se prendi una storia da internet sarebbe meglio però che citassi l'autore (se è conosciuto) oppure in caso sia una traduzione di una storia inglese, il traduttore.
    So come ci si sente quando si subisce il furto di una storia e ti dico che si rimane davvero male a vedere il proprio lavoro non propriamente riconosciuto
  11. .
    Quando qualcuno segnalò il mio canale YouTube alla polizia, mi preparai mentalmente e infatti, una settimana dopo arrivò un poliziotto a fare un controllo: portai Kevin alla porta con me ed accolsi l'agente con la mia faccia migliore.
    -Buongiorno agente, qualche problema?
    -Beh... mi è stato segnalato anonimamente che lei pubblica su internet numerosi video in cui si vedono maltrattamenti verso un... beh un animale non identificato. Vorrei fare un controllo.
    Risi, e Kevin rise con me senza perdere mai il sorriso.
    -Un animale? Guardi che quei video sono solo cazzate per spaventare la gente, è mio fratello con una maschera da scimmia! E mica lo picchio davvero, è qui vivo e vegeto!
    Gli mostrai la maschera ed uno dei video e lui notò che effettivamente l'animale sembrava proprio un ragazzino in costume che camminava a quattro zampe. Si scusò per l'equivoco e ci consigliò di evitare di continuare con quelle idiozie e giocare un po' all'aria aperta.
    Lo salutammo, poi Kevin iniziò come al solito a piagnucolare. Continuò nonostante gli avessi dato il biscottino premio per essere stato un così bravo bambino. Fece un vero capriccio da poppante, gridava e batteva i pugni come un ossesso ma dopo un po' iniziò a barcollare come ubriaco, e io lo presi tra le braccia e lo infilai nella sua gabbietta.
    Misi la telecamera sul treppiede, e vestii il mio fratellino a dovere.
    -Fallo per le views, Kevin, per le views...
    Alzai la mazza e mi preparai a colpire.

    Edited by DamaXion - 14/6/2017, 15:04
  12. .
    Mia figlia non dormiva da giorni, potevo leggerglielo in faccia: sospirava ad ogni movimento e due grosse borse nere spiccavano sul pallore della sua pelle. Anche a igiene era messa maluccio, non avevo sentito la nuvola di profumo del suo bagnoschiuma preferito da ormai più di una settimana, e non parliamo poi di quanto era diventata scorbutica!
    Mi doleva il cuore vederla così, e più di una volta le avevo domandato cosa non andasse, ma non aveva voluto dirmelo: si chiudeva in camera tutto il giorno e la sentivo borbottare appena sotto le note assordanti della canzone romantico/deprimente del momento.
    Decisi di parlarne ai professori: mi avevano chiamato a colloquio per l'ovvio calo del suo rendimento e io mi ero precipitato a scuola sperando di poter capire cosa non andasse nella mia bambina.
    Fu praticamente inutile all'inizio: io ero troppo timido per chiedere esplicitamente se i docenti avessero notato qualcosa e loro non furono di alcun aiuto. Tranne la professoressa di storia.
    Acuta e sottile come un furetto, ad un certo punto iniziò a parlare a voce bassa in tono cospiratorio, con un sorrisetto stampato in faccia:
    -Vede, una settimana fa abbiamo iniziato le religioni africane, vudù e tutto il resto, e Anna sembrava molto interessata ai riti d'amore... ha drizzato subito le orecchie quando li ho nominati, e giuro di averla vista lanciare un'occhiatina ad un suo compagno. Glielo dico, ne sono sicura: è innamorata!

    La notizia mi fece piacere, ma allo stesso tempo di preoccupò, soprattutto se la stava facendo stare così male. Volevo parlarle ma ero sicuro che non mi avrebbe mai detto nulla, ma allo stesso tempo mi rifiutavo di frugare in camera sua, sapendo che non mi avrebbe mai perdonato. Ero davvero in pensiero.
    Poi un giorno la vidi tornare un pomeriggio quatta quatta, con un sacchetto colorato stretto tra le mani: quando le chiesi cosa fosse, arrossì e mi disse solo che era un libro, scappando in camera sua e facendolo sparire.
    E all'improvviso il suo umore migliorò: i giorni successivi la vidi distesa e rilassata, aveva sempre un po' i nervi a fior di pelle ma quando a cena arrivava tutta profumata del solito, melenso gelsomino, capii che stava tornando la ragazza di prima e ne fui felice. Niente più musica da lacrime tutto il pomeriggio, si prospettavano giorni felici!
    Pensai che il libro fosse un qualche romanzetto romantico semi-erotico e per questo fosse così restia a parlarne; magari l'aveva fatta ragionare sulla sua cotta e le era passata, oppure l'aveva aiutata a trovare il coraggio di darsi da fare per conquistare il ragazzo... chissà.

    Non ero più lontano dalla verità di così.

    Fu quando un giorno prese l'influenza che iniziai a preoccuparmi di nuovo: cagionevole com'era, si era presa tutti i sintomi peggiori, tra cui una febbre altissima. Rimaneva a letto tutto il giorno e io dovevo portarle da mangiare e raffreddarle la fronte tutto il pomeriggio e la sera, mentre la mattina se ne occupava una mia vicina finché non tornavo da lavoro.
    In una di queste occasioni, la donna mi aveva sussurrato che mia figlia aveva parlato nel sonno e diceva cose proprio strane, poi si era fatta il segno della croce e mi aveva messo in mano un sacchetto colorato appallottolato, quello del libro: sopra, in lettere eleganti c'era scritto "Emporio Laveau". Quel nome fece risuonare un campanello nella mia mente, ma non riuscii subito a capire perché, cosa mi ricordasse.
    Mi segnai l'indirizzo distrattamente e poi salii in camera di mia figlia per controllare come stesse e sentii che sussurrava qualcosa. Mi sedetti a lato del letto e le accarezzai la fronte, quando lei spalancò gli occhi all'improvviso, iniziando a parlare a voce alta.
    -NO! Non è giusto!
    -Anna, tesoro... cosa c'è?
    -Papà, papà... io volevo solo piacergli... ma gli piace lei... e io volevo solo... non volevo papà, non volevo... ma Lui voleva di più, e io... io...
    Scoppiò a piangere e la strinsi, sentendo il suo corpo magro scosso da violenti singulti, mentre il mio cuore mi sprofondava nel petto come una pietra: Lui... voleva di più? Lui chi? Il ragazzo? L'aveva per caso...
    Il pensiero mi diede la nausea, assieme ad una rabbia incontenibile: dovevo trovare quel ragazzo e capire perché mia figlia avesse detto quelle cose. Se le aveva fatto del male, io...
    Iniziai ad informarmi in modo molto cauto controllando, perdonami Anna, il suo computer e cercando di capire dai professori chi fosse il ragazzo che le piaceva. Intanto, lei peggiorava, la febbre era sempre più alta ed iniziai a capire che quella non era un'influenza normale: non aveva più delirato, ma un'ombra scura le pesava sul volto e io non sapevo proprio cosa stesse succedendo.

    Finalmente dopo giorni di ricerca febbrile trovai il ragazzo, e una volta che lo notai da solo mi avvicinai, cercando di restare calmo ed affabile. Era mulatto, un bel ragazzo robusto notai. Abbastanza robusto da poter sopraffare facilmente una ragazzina gracile com'era Anna...
    -Ciao, Alex sono il papà di Anna.
    -Ah, salve! Come sta Anna? Non la vediamo a scuola da un sacco, Jenny si chiedeva...
    -Tra te e mia figlia è successo qualcosa?
    Lui mi guardò spiazzato, mentre un'ondata di rosso gli attraversava il viso. Strinsi i pugni dentro le tasche dei pantaloni.
    -Io... e Anna? B-beh siamo usciti un paio di volte... cioè niente di serio... come amici... cioè lei mi piace ma sto già con Jenny e...
    Non ce la feci più per la tensione e gli saltai al collo, prendendolo per la collottola.
    -HAI FATTO DEL MALE A MIA FIGLIA??
    -NO! Io... no io non ho fatto niente! Lo giuro, non ci siamo nemmeno baciati! Mi ha chiesto lei di uscire!
    Era in lacrime e di colpo mi resi conto dell'idiozia che stavo facendo e lo mollai, imbarazzato. Mi scusai profusamente, spiegandogli la questione e lui fortunatamente capì: era un ragazzo intelligente, e mi aiutò a calmarmi, nonostante fosse ancora pallido. Gli dissi del libro e dell'Emporio Laveau, e lui si fece d'istinto il segno della croce.
    -Mia nonna mi dice spesso di stare lontano da quel postaccio... dice che fanno del vudù lì, vudù cattivo. Lei ogni tanto lascia qualche offerta, ma gli incantesimi sono pericolosi! Se c'entrano quelle robacce forse è meglio se va a controllare lì...

    Le parole di Alex mi risuonavano ancora nella mente mentre mi dirigevo verso il "negozio vudù". Non potevo crederci, non poteva essere vero! Magari le avevano dato qualche strano intruglio mascherato da pozione d'amore e si era avvelenata, magari uno strano insetto esotico l'aveva punta... doveva essere così, non era possibile altrimenti!
    Il luogo odorava di ogni cosa e di niente che mi fosse familiare; ogni genere di osso, ninnolo e pianta secca pendeva dal soffitto, oscurando le flebili lampadine che davano al locale un aspetto fumoso ed inquietante: una ragazza di colore, parecchio annoiata, sedeva al bancone sfogliando una rivista di moda e togliendosi da davanti agli occhi una treccina colorata: era vestita in modo bizzarro, una specie di parodia di uno sciamano.
    -Salve.
    Lei alzò la testa e nascose il misfatto sotto il tavolo, sorridendomi. La felicità nei suoi occhi la faceva brillare, non doveva vedere un cliente da ore. Mi guardò e per un attimo il suo entusiasmo scemò, come se stesse aspettando qualcun altro.
    -Buongiorno, benvenuto all'Emporio Laveau! Come posso esserle utile?
    -Giorni fa una ragazza è venuta a comprare un libro... una ragazza minuta con i capelli rossicci, alta così...
    -Anna? Sì, si è comprata un libro di incantesimi, mi ricordo. Come sta? Non la vedo da un po', ogni tanto veniva a farmi compagnia, è una cliente abituale.
    -Sta molto male e volevo sapere se lei potesse aiutarmi.
    Le spiegai tutto e lei ascoltò serissima senza mostrare segni di scetticismo: sapeva di cosa stavo parlando, e quando finii era scura in volto ed estremamente preoccupata.
    -Una settimana fa sua figlia è venuta qui e mi ha fatto vedere una foto... mi spiace fare la spia ma devo davvero fargliela vedere!
    Prese il cellulare e mi mostrò un oggetto che mi fece morire dentro: era una bambolina di paglia, vestita di rosso con i capelli fatti di lana, biondi. Jenny, capii che rappresentava Jenny.
    -Devo andare! Grazie!

    Arrivato a casa, tutte le luci erano spente e non c'era segno della mia vicina: un post-it mi avvertiva che Anna stava meglio e che lei era dovuta scappare per prendere i figli all'asilo, tanto c'era una sua compagna di classe con lei.
    E poi le grida mi fecero fermare il cuore, le grida di una ragazza che non era Anna.
    Corsi su per le scale e spalancai la porta della stanza, trovandomi davanti uno spettacolo terrificante: la stanza era adornata di candele nere, tutte accese, che davano alla stanza un aspetto da incubo, assieme alla grossa croce di legno che torreggiava sopra al letto.
    Anna era in piedi, gli occhi bianchi come una cieca e rideva in modo sguaiato, mentre una ragazza bionda, immaginai fosse Jenny, si contorceva sul pavimento gridando per il dolore. In mano a mia figlia c'era la bambola, che lei stringeva e punzecchiava con uno spillone.
    Le ombre danzanti che la circondavano non riflettevano il suo corpo gracile di ragazza, ma quello di un uomo con cilindro e bastone: si muoveva da solo, indicando la vittima e ridendo, muto, levandosi dalla bocca quello che mi sembrò un sigaro. Era ripetuto più volte sulle pareti, una volta per ogni candela accesa.
    -Lui è mio, MIO!
    -ANNA! FERMATI!
    -Ciao papà!
    Si voltò verso di me, sorridendo, parlando normalmente come se niente di tutto ciò stesse succedendo e guardandomi senza sbattere le palpebre.
    -Il Barone mi ha detto che Alex si innamorerà di me se Jenny muore... puoi lasciarci da sole un attimo? Scendo tra poco!
    Mi avvicinai e le presi le mani, ma la sua stretta era sorprendentemente forte e faticai ad impedirle di trapassare ancora la paglia. Lei iniziò a dimenarsi e intanto io feci segno a Jenny di scappare, che non se lo fece dire due volte e strisciò fuori dalla stanza, per poi alzarsi e barcollare giù per le scale. Mia figlia mi guardò confusa, mentre lampi di rabbia brillavano in quegli occhi non suoi e dalla sua bocca uscivano oscenità di ogni tipo, di mezzo tra frasi in una lingua che non capivo. Più tardi scoprii che era francese.
    Anna all'improvviso smise di fare resistenza e mi conficcò lo spillone sul dorso della mano: barcollai all'indietro ed urtai una candela, che cadde e si spense... e una delle ombre scomparve. Capii cosa dovevo fare, e mentre evitavo i colpi iniziai a spegnerle tutte, finché non ne rimase solo una.
    Il "Barone" gesticolava frenetico ad Anna, gridando qualcosa nella sua testa, e lei prese la candela cercando di colpirmi con la sua fiamma, ma fu una scelta avventata: abbracciandola di getto, il mio corpo e il suo la spensero, anche se ci bruciammo entrambi. Un vento terribile inondò la stanza mentre un grido silenzioso fece tremare la casa fin nelle fondamenta, facendoci cadere a terra entrambi. Io coprii mia figlia con il mio corpo ma fortunatamente non crollò nulla. Lei era svenuta e la collocai nel mio letto, mentre io mi stesi sul divano, facendo la notte in bianco.

    Ci vollero altri due giorni perché Anna si riprendesse del tutto, dato che era ancora sotto shock. Nel frattempo io feci benedire la mia casa sia da un prete cattolico che da un dottore vudù... non si sa mai.
    Mia figlia era distrutta, disperata: mi disse che nel libro aveva imparato un rito per far innamorare di sé Alex e lo aveva provato ma le aveva risposto il "Guédé" sbagliato che l'aveva posseduta e portata a cercare di uccidere Jenny. Non le chiesi cosa significava, né che cosa le avesse detto il misterioso Barone mentre cercava di farmi del male: non lo ricordava ed era meglio così, ero solo felice di aver riavuto indietro la mia bambina.

    Edited by DamaXion - 25/5/2017, 11:58
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    La serie di LISA è una trilogia di giochi RPG iniziata con LISA, soprannominato LISA: THE FIRST per non creare confusione, creata da Austin Jorgensen e dalla Dingaling Production (ora conosciuta come LoveBrad Games).
    Si tratta di una serie post-apocalittica, dove droghe, violenza e tradimenti sono all'ordine del giorno, in ambienti spogli e deprimenti popolati da mutanti, banditi e disperati. Non sono considerabili veri e propri horror, ma gli argomenti disturbanti e disgustosi li fanno rientrare in pieno nel "creepy".

    -LISA: THE FIRST
    Primo gioco della serie di Lisa, LISA: THE FIRST è un gioco creato in RPG Maker 2003 e rilasciato nel 2012, ispirato fortemente a Yume Nikki per la prospettiva dall'alto e il concetto di base, ovvero l'immersione in un mondo immaginario nella mente della protagonista. È l'unico titolo gratuito dei tre, e l'unico che non si svolge in un ambiente post-apocalittico. Non è un gioco allegro, e i suoi temi sono pesanti quindi consiglio di pensarci due volte a giocarci se siete sensibili a certe cose come abusi sessuali ed incesto.

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    Nel gioco interpreteremo Lisa Armstrong, una ragazza che, abusata verbalmente e fisicamente dal padre Marty (e forse da un suo amico), intraprenderà un viaggio dentro se stessa alla ricerca di videocassette che contengono i suoi ricordi, ognuno caratterizzato dalla violenza e meschinità del genitore. Nel farlo, Lisa si avvicinerà sempre di più alla pazzia.

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    (Non vi dirò come va a finire se raccoglierete tutte le videocassette, ma purtroppo per iniziare a parlare del seguito, dovrò farvi uno spoiler sul destino di Lisa)

    -LISA: THE PAINFUL
    Seguito ufficiale di LISA: THE FIRST, è stato sviluppato con RPG Maker VX Ace ed è uscito nel 2014, grazie ad una campagna di Kickstarter. Stavolta il titolo non è più gratuito ma acquistabile su Steam, e la sua inquadratura cambia, diventando laterale. Anche la pixel art migliora, non somigliando più a Yume Nikki ma acquisendo un proprio stile molto caratterizzato.

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    Il gioco inizia con un flashback del periodo pre-apocalittico: Brad, un ragazzino, torna da scuola dopo essere stato malmenato da dei compagni, e arrivato a casa riceve lo stesso trattamento da suo padre, che non è altri che Marty Armstrong. Brad è il fratello piccolo di Lisa, la protagonista del primo gioco.
    Dopo una dissolvenza in nero, appare il menu principale, che ci farà capire cos'è successo a Lisa e metterà in chiaro il tono del gioco:

    Molti anni dopo, uno strano fenomeno ha ucciso la maggioranza delle donne sulla Terra, facendo cadere la società nel caos: l'umanità sta scomparendo e film e riviste pornografiche sono la nuova moneta di scambio. Per sopportare la situazione, molti uomini assumono una droga chiamata "Joy" che rende apatici alle emozioni.
    Brad è ora un uomo di mezza età, dipendente da droga ed alcol ed ancora ossessionato dalla morte della sorella Lisa, che trova per caso una bambina e decide di allevarla in segreto chiamandola "Buddy". Anni dopo, la figlioccia gli viene misteriosamente rapita e il viaggio per ritrovarla mette in moto la storia.

    screenshot1


    Il gioco è un RPG a tutti gli effetti con livelli, combattimenti e molti personaggi con cui interagire. Potremo assoldare moltissimi npc diversi per aiutarci nelle battaglie: è da considerarsi vitale, dato che se cadranno in battaglia non sarà possibile resuscitarli e potrebbero addirittura morire fuori dai combattimenti. I nostri nemici saranno sopratutto mutanti e personaggi bizzarri. Non ci si può fidare di nessuno, neanche degli amici. Neanche di Brad.
    Tradimenti, rapimenti e violenza sono all'ordine del giorno, il gioco non è affatto semplice e ci costringerà a dover, a volte, scegliere i punti esperienza contro la vita di uno dei membri del party, oppure tra usare droga o rimanere con i punti vita pericolosamente bassi.

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    -LISA: THE JOYFUL
    Ultimo titolo ufficiale della serie, ad oggi, LISA: THE JOYFUL è uscito nel 2015 ed è una sorta di espansione oltre che un seguito per LISA: THE PAINFUL (richiede infatti il gioco precedente per funzionare). Lo stile rimane lo stesso, così come i temi pesanti.

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    Il gioco, come gli altri, inizia con un flashback, prima della sparizione di Buddy: Brad porta in casa un uomo dopo averlo malmenato e legato e costringe la figlioccia ad ucciderlo, per insegnarle a non avere pietà e generalmente la durezza di quel mondo.
    La storia si svolge esattamente dove il precedente si è interrotto, ma stavolta interpreteremo Buddy in persona, che nasconde la propria identità e viaggia per Olathe alla ricerca delle persone più importanti del mondo per ucciderle. Se credevate che fin'ora, mentre LISA: THE PAINFUL andava avanti, la ragazza fosse stata trattenuta e maltrattata... sbagliate di grosso.
    Il gameplay rimane invariato, Buddy è più veloce di Brad e si muove più facilmente nel mondo di gioco, ma per il resto il sistema di combattimento è uguale.

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    Non posso dirvi molto di più, perché cadrei nello spoiler pesante, sappiate solo che le nostre scelte porteranno a due finali diversi, dove scopriremo il destino di Brad, di Buddy e del mondo intero...

    Quindi, siete pronti ad attraversare Olathe e scoprire la storia di LISA?

    Potete scaricare LISA: THE FIRST qui.


    Edited by WDR - 19/5/2017, 15:11
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    Hi Robert! I saw your drawings and i have to admit, they look a bit stiff and unnatural: Matt Groening's style is very difficult to emulate and if you want to start drawing i would advise you to start from something easier.

    If you really want to draw Simpsons charachters, you should start by copying real drawings of them until you can draw them from scratch, it's the best method to emulate a style.
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    Harriet arretrò adagio verso la porta quando sua madre cominciò a parlare. Anche se erano appena le due del pomeriggio, la stanza era buia. Le pesanti tende di velluto schermavano la luce del giorno. A illuminare la stanza c’era solo una lampada al centro di un tavolo ovale, attorno al quale sedevano otto donne, i cui volti traboccanti d’attesa erano rischiarati da un bagliore verdastro.
    «C’è nessuno?», chiese la madre di Harriet con quella strana voce dell’oltretomba che riservava a simili occasioni, una voce che le sue clienti sembravano trovare ammaliante, ma che per Harriet era sempre stata un po’ ridicola.
    «C’è qualcuno nel mondo degli spiriti che vuole farsi avanti e mettersi in contatto con i propri cari?».
    In realtà Maud non era affatto la madre di Harriet e quella non era la sola menzogna che raccontavano; no, non lo era affatto. Tanto per cominciare il vero cognome di Maud non era Lyons ma Briggs. Avevano adottato quel cognome su suggerimento di Harriet, che in realtà si chiamava Foster, perché suonava più sofisticato.
    Dicevano di essere madre e figlia per mettere a proprio agio la gente. Si assomigliavano quanto bastava perché la cosa funzionasse; in ogni caso, da artiste della truffa quali erano, sapevano che in generale la gente prendeva per buona qualsiasi cosa, purché fosse credibile.
    Harriet e Maud si erano conosciute in una casa di correzione a Kilburn Road. Escogitarono l’idea della truffa quando sentirono un’altra detenuta raccontare di una seduta spiritica a cui aveva assistito in casa della sua padrona, all’epoca in cui faceva la domestica. La domestica aveva derubato gli ospiti, era stata colta in flagrante ed era stata sbattuta fuori, finendo così nella casa di correzione, ma Harriet aveva subito capito che si potevano fare un mucchio di soldi muovendosi nel modo giusto.
    Perfezionarono lo stratagemma assumendo il controllo delle sedute. Pubblicarono un annuncio su una delle migliori riviste femminili e si presentarono come la medium esperta e la figlia affettuosa.
    Lo spiritismo furoreggiava e si accorsero che non occorreva darsi tanta pena per convincere le clienti credulone.
    Maud aveva il compito di comunicare con gli spiriti dei defunti e mentre le signore (e talvolta anche i signori) erano intente ad ascoltare i suoi gemiti e mormorii, Harriet razziava soprabiti e borse, trafugando oggetti piccoli ma preziosi della cui scomparsa non ci si sarebbe resi conto troppo presto.
    Se una settimana dopo si fosse scoperto che erano spariti degli orecchini o una tabacchiera d’argento, non si sarebbe sospettato un coinvolgimento della madre e della figlia devote che avevano fatto da tramite per contattare i cari estinti.
    E se pure se ne fosse sospettato, a quell’ora avrebbero già preso il largo da un pezzo.
    Avevano già deciso di lasciare Londra per andare a esplorare nuovi pascoli. Maud aveva delle conoscenze a Manchester.
    A nord c’erano molti soldi. Tra una settimana o due avrebbero cambiato nome e comprato i biglietti alla stazione di Euston.
    Harriet finì in corridoio, uscendo dalla porta e camminando all’indietro, come aveva fatto in molte case negli ultimi mesi. Una volta fuori dal tetro salotto, batté le palpebre per abituare di nuovo gli occhi alla luce. I raggi del sole pomeridiano entravano dalla vetrata colorata sopra la porta d’ingresso creando delle gemme di luce sulle pareti.
    Dall’altra stanza giungeva la voce di Maud, tremula e lamentosa.
    Harriet sorrise tra sé, percorse il corridoio e salì le scale. Su loro suggerimento, alla servitù era stata concessa una giornata libera, ma come sempre Harriet badò a non entrare nella stanza sopra quella in cui si svolgeva la seduta per evitare che un’asse scricchiolante allertasse qualche membro del gruppo.
    Aprì una porta e sbirciò dentro, pronta a ricorrere alla scusa di essersi persa nel caso vi avesse trovato qualcuno.
    Ma non c’era nessuno nella camera, che evidentemente apparteneva ai bambini… bambine, a giudicare dai pizzi e dall’enorme casa di bambole. Non era di alcun interesse per Harriet, che chiuse alla svelta la porta e proseguì.
    In realtà nessuna stanza si dimostrò interessante. Chiaramente la signora Barnard non si fidava della servitù e aveva messo sotto chiave ogni cosa che avesse un valore. Benché Harriet fosse riuscita a sgraffignare alcuni oggetti degni di nota e del denaro dalle borse e dai soprabiti delle donne che partecipavano alla seduta, non aveva certo racimolato un bottino memorabile.
    Tornata al pianterreno, alla sua sinistra vide due porte che prima non aveva notato e si chiese se valesse la pena di entrare a dare un’occhiata. Girò la maniglia della porta di sinistra. Nel medesimo istante, una voce alle sue spalle la fece sobbalzare.
    «Se fossi in te non entrerei». Harriet si voltò e vide una ragazzina poco più giovane di lei. Indossava abiti costosi, anche se fuori moda.
    «Ciao», disse Harriet, sfoggiando il suo sorriso più accattivante.
    «Come ti chiami?» «Olivia».
    «Olivia?», disse Harriet. «Che bel nome. Be’, Olivia, mi dispiace, temo di essermi persa».
    «Persa?», disse la ragazzina, sbuffando appena. A Harriet non piacque molto il suo tono.
    «Sì», disse Harriet. «Ma la porta era chiusa a chiave. Mi sono accorta solo ora che ho sbagliato strada».
    «La porta non è chiusa a chiave», disse Olivia, avvicinandosi con un fare che a Harriet sembrò indicibilmente minaccioso.
    «È bloccata. La chiamiamo la “non-porta”».
    «La non-porta?», disse Harriet. Olivia annuì, esibendo un sorriso.«La chiamiamo così», disse, «perché è una porta ma non è una porta. Capisci?»
    «Be’, se la porta è bloccata, Olivia, perché mi dici di non entrare?», chiese Harriet, cercando di trattenere la stizza.
    «Non potrei passare attraverso una porta bloccata, no?».
    Olivia continuava a sorridere ma non rispose. Harriet si accigliò.
    «Ad ogni modo», disse Harriet, voltandosi, «devo andare». Si diresse in salotto, dove la seduta spiritica era ancora in corso. Aprendo la porta si girò, ma la ragazzina era scomparsa.

    Harriet si riunì alla seduta in silenzio come se n’era andata.
    Quando, dopo qualche secondo, i suoi occhi si riabituarono al buio, vide Maud che fissava il vuoto, come in trance. Harriet dovette ammettere che Maud era davvero perfetta nella parte.
    Gettò un’occhiata intorno al tavolo, e vide il solito miscuglio di donne curiose e disperate: vedove vestite a lutto con i gioielli di ambra nera, mogli annoiate in cerca di emozioni.
    Soffocò uno sbadiglio. A un tratto Maud cominciò a urlare.
    «Ti prego!», urlò. «Maud! Per l’amor di Dio! Aiutami! Aiutami!».
    La sua voce era così stravolta che lasciò l’intera stanza a bocca aperta e Harriet fu colta alla sprovvista come tutti gli altri, soprattutto nel sentire Maud che pronunciava il proprio nome. Per un attimo restò impalata.
    «Aiutami!», urlava Maud. «Per l’amor di Dio! Aiutami! Maud! Maud!».
    Harriet si precipitò verso Maud, la afferrò e cercò di calmarla.
    Se non avesse saputo che Maud era una ciarlatana, avrebbe detto che era posseduta; il suo corpo sembrava in preda agli spasmi, come se fosse stata colpita da un fulmine.
    «Buon Dio!», disse una voce esagitata alla sua sinistra.
    «La signora Lyons sta bene?»
    «Sì», rispose Harriet bruscamente, e infatti Maud stava tornando in sé. Ammiccò a Harriet.
    «Qualcuno conosce una certa Maud?», disse la signora Barnard, rivolgendo uno sguardo intorno al tavolo.
    «Che succede?», disse Maud, stupita nel sentire il suo nome.
    «Va tutto bene, mamma», disse Harriet, guardandola con disapprovazione. «Hai appena pronunciato il nome “Maud”».
    Maud la fissò, confusa. «Penso che mia madre si sia strapazzata troppo», disse Harriet. «Forse dovremmo finirla qui».
    Dal consesso femminile si levò un mormorio di disappunto, ma la signora Barnard disse che la signora Lyons non doveva affaticarsi e che forse era il caso che facesse una passeggiata in giardino.
    Harriet era della stessa opinione e portò fuori Maud mentre le invitate raccoglievano le proprie cose e cominciavano ad andarsene, con la signora Barnard che le ringraziava una per una. Harriet prese Maud per il braccio e la condusse in un angolo appartato del giardino.
    «A che diavolo di gioco stavi giocando?», le sibilò. «Hai usato il tuo nome, il tuo vero nome! Volevi che finissimo di nuovo al fresco, stupida sgualdrina?»
    «Non parlarmi in questo modo», disse Maud, che si sentiva ancora rintronata. «Oppure…».
    «Oppure cosa?», sussurrò Harriet. «Pensi che abbia paura di te? Non farmi ridere. Cosa ti è passato per la testa?».
    Maud si liberò dalla presa di Harriet e fece un respiro profondo.
    «Non lo so», disse Maud, con aria assonnata. «Non ricordo.
    Era come se la voce provenisse da qualche altro posto. Piuttosto, non crederai che io sappia veramente, insomma…?». Harriet rise. «Cosa? Parlare con quegli stupidi morti? Hai ricominciato a bere?».
    Maud non rispose. Aveva una strana espressione sconcertata sul volto, e Harriet cominciò a domandarsi se non avesse avuto una specie di crisi.
    «Stai bene, Maud?», chiese, più infastidita che preoccupata.
    «Non lo so», disse Maud, rivolgendosi a Harriet. «Non lo so».
    Harriet vide arrivare la signora Barnard e diede un colpetto a Maud.
    «Signora Lyons, devo ringraziarla ancora», disse la signora Barnard, avvicinandosi alle due. «Le signore si sono trovate d’accordo sul fatto che questa seduta è stata di gran lunga la più illuminante tra quelle a cui abbiamo partecipato.
    In particolare alla fine, quando ha ospitato quella povera creatura. Ha idea di cosa possa essere successo? Siamo rimaste perplesse».Harriet inarcò un sopracciglio. «No», disse Maud a disagio. «Temo di no».
    «Magari era uno spirito errante che cercava aiuto», suggerì Harriet.
    «Oh, cara», disse la signora Barnard, torturandosi le mani. «Crede davvero? Poveretto». Scosse mestamente il capo, gli occhi chiusi come se pregasse. Harriet strabuzzò gli occhi in direzione di Maud che, però, sembrava fissare il vuoto. Un attimo dopo barcollò, finendo tra le braccia di
    Harriet.
    «Buon Dio», disse la signora Barnard. «Penso che la signora Lyons si senta svenire. Vuole tornare dentro?»
    «No, no», disse Maud. «Sono certa che mi riprenderò subito».
    «Insisto», disse la signora Barnard. «Forse un bicchiere di sherry…».
    «Sì», disse Maud, ravvivandosi all'idea di un goccetto. «È un po’ presto, ma magari per una volta… per ragioni terapeutiche».«Che problemi hai?», sibilò Harriet mentre seguivano la signora Barnard dentro casa. «Avresti dovuto trattenerla fuori».
    «Non mi sento molto bene», disse Maud con tono miserando.
    «Sul serio».
    «Non stai bene con la testa, se vuoi sapere come la penso», disse Harriet, sfoggiando un sorriso amabile non appena si accorse che la signora Barnard stava guardando nella loro direzione.
    La signora Barnard le fece entrare dalla porta principale.
    «Si accomodi, signora Lyons», disse. «Si sieda pure, vado a prendere lo sherry. Manderei a chiamare un medico ma la servitù rientrerà solo tra un’ora».
    «Non è necessario», disse Maud, facendo per aprire la maniglia della porta più vicina.
    «Quella no, mamma», disse Harriet. «La porta è bloccata».
    «Bloccata?», disse Maud.«Sì», rispose Harriet. «La chiamano la non-porta, credo».
    La signora Barnard la fissava interdetta. «Come lo sa?».
    Harriet si sentì a disagio: aveva commesso un passo falso, lasciando intendere che aveva dato un’occhiata per casa mentre si svolgeva la seduta spiritica. Mai mentire più di quanto non sia strettamente necessario, si disse. La verità risulta sempre più convincente.
    «Me l’ha detto sua figlia», spiegò Harriet, che aveva ripreso il controllo.
    «Mia figlia?», chiese la signora Barnard allibita.
    «Olivia», disse Harriet con un sorriso.
    «Olivia?», ripeté la signora Barnard. «Ha incontrato Olivia?»
    «Be’, ero uscita per prendere aria», continuò Harriet spigliata.
    «Avevo bisogno di un bicchiere d’acqua e stavo cercando di aprire la porta quando…». «Olivia», ripeté la signora Barnard. «Quando è comparsa Olivia e mi ha detto che la porta non conduceva da nessuna parte e che la chiamate la non-porta».
    «Non importa?», fece Maud, sempre più disorientata.
    «La non-porta, signora Lyons», disse la signora Barnard.
    «E gliel'ha detto Olivia? Com'è furba. Prego, venite da questa parte».
    La signora Barnard le portò nella stanza dove si era svolta la seduta spiritica. Le tende erano state scostate e la luce del giorno aveva spazzato via l’atmosfera che Maud e Harriet avevano creato con tanta cura a beneficio delle signore.
    La stanza era tornata a essere un normale e soffocante salotto.
    La signora Barnard aprì una portafinestra per far entrare un po’ d’aria, poi andò verso il mobile bar e versò tre bicchieri di sherry.
    «Venite con me, signore», disse, porgendo a ciascuna un bicchiere. Mentre faceva strada, Maud fissò Harriet con aria interrogativa, ma Harriet si limitò ad aggrottare le sopracciglia ed entrambe seguirono la signora Barnard in corridoio.
    «Vedete che queste due porte sono disposte a una distanza regolare?», disse. Maud e Harriet annuirono. «Be’, pare che molti anni fa venne abbattuta una parete per fare un’unica stanza delle due camerette attigue. Mi hanno detto che questa porta è stata lasciata qui per non rovinare la simmetria del corridoio». Indicò la porta di sinistra, poi girò la maniglia della porta alla sua destra. Entrò, e Maud e Harriet la seguirono.
    «Come potete notare», continuò, «da questa parte della parete la porta, la non-porta, non si vede».
    Maud fece un lieve cenno del capo a Harriet indicando la vicina vetrinetta piena di ninnoli d’argento facilmente occultabili. Harriet le restituì il cenno. «Venite, c’è un’altra cosa che vorrei mostrarvi», disse la signora Barnard. «Sempre che si sia ripresa, signora Lyons».
    «Io?», disse Maud. «Oh, sto benissimo, cara. È gentile da parte sua preoccuparsi. Ma ora dovremmo proprio andare, vero Harriet?».
    «Oh, non avete un po’ di tempo per vedere la casa di bambole?», domandò.
    «La casa di bambole?», disse Harriet.
    «Non credo che…», cominciò Maud, ma la signora Barnard le stava già accompagnando fuori dalla stanza e faceva strada verso le scale. Dopo un attimo di pausa, la seguirono.
    La signora Barnard le portò di sopra e aprì la porta che prima aveva aperto Harriet.
    «Sono sicura che Olivia non se ne avrà a male», disse.
    «Oh, guarda, Harriet», disse Maud,fingendo interesse.
    «Guarda, la casa di bambole. Non mi pare di averne mai visto una così bella».
    «Già», disse la signora Barnard. «È una miniatura di quella in cui ci troviamo. In effetti, era già qui quando nostro padre comprò la casa. L’abbiamo ereditata dagli inquilini precedenti».
    «È bellissima», disse Harriet, sinceramente ammirata.
    «Mi sarebbe piaciuto averne una così quand'ero piccola».
    La signora Barnard sospirò. «Se devo essere sincera, questa casa non mi è mai piaciuta», disse con l’aria triste. «Dividevo la stanza con mia sorella; in realtà, la casa era sua.
    Ci giocava per ore e ore. Ma aveva qualcosa che mi dava i brividi. A dire il vero, me li dà ancora».
    «I brividi, signora?», fece Harriet. «Perché?»
    «Be’», disse la signora Barnard con un sospiro. «Mia sorella era piuttosto ossessionata dalla casa di bambole, temo. Ci si sedeva di fronte come se pregasse, mormorando e borbottando. Se solo mi azzardavo a toccare una delle bambole andava su tutte le furie. Per lei erano vere».
    «Ma non succede lo stesso a tutti i bambini, signora Barnard?», disse Harriet.
    «Sì», rispose la signora Barnard con un sorriso triste. «Ma mia sorella era diversa dagli altri bambini. Aveva perso… il senso della realtà. Suppongo avesse perso la testa. Un giorno la trovai raggomitolata in un angolo che rideva come una folle, aveva gli occhi spiritati e indicava la casa di bambole. Non tornò mai in sé. Era sempre eccitata, in un perenne stato febbrile, e non c’era dose di laudano che potesse calmarla». La signora Barnard aveva gli occhi lucidi quando si voltò verso Harriet. «Alla fine le cedette il cuore. Aveva appena dodici anni». Harriet si sorprese quando sentì che provava una fitta di compassione per la signora Barnard. «Deve essere stata dura per lei», disse.
    «Già», disse la signora Barnard. «È stata dura. Ma è successo tanto tempo fa. La vita continua».
    La signora Barnard tornò a fissare la casa di bambole.
    «Come potete vedere», disse, indicandola, «nella casa di bambole la stanza del pianterreno è rimasta com’era prima che fosse abbattuta la parete. Nella casa di bambole, la non-porta dà su uno stanzino. Vedete?».
    Harriet e Maud si soffermarono a osservare la casa di bambole. Era una copia davvero ben fatta di quella in cui si trovavano, salvo che il tetto e la facciata erano stati rimossi.
    C’era la stanza dove si era tenuta la seduta spiritica, c’era il corridoio, c’era la camera in cui si trovavano adesso e, incredibile ma vero, conteneva una miniatura della casa di bambole. E c’era la stanza che non esisteva più: quella a cui conduceva la non-porta. Harriet notò che c’erano diverse bambole sedute in poltrona.
    «Usi questa», disse la signora Barnard, porgendo a Harriet una lente d’ingrandimento. «I dettagli sono straordinari».
    Harriet scrutò le bambole. Avevano qualcosa di inquietante.
    Non solo i dettagli erano eccellenti, ma sulle teste di porcellana di alcune bambole erano stati dipinti i tratti con grande perizia, mentre altre erano state lasciate stranamente bianche.
    «Be’», disse Maud, ormai preoccupata per il tempo che avevano trascorso in quella casa. «Penso che dovremmo ringraziare la signora Barnard per averci fatto fare questo giro… Ma ora dobbiamo proprio andare».
    «Certo», disse la signora Barnard.«Non avevo intenzione di trattenervi». «Qualcuno ci gioca ancora?», chiese
    Harriet, mentre tornavano di sotto. «Con la casa di bambole?»
    «Oh, Olivia ci giocava di continuo», rispose. Si fermò e si voltò verso Harriet. «Che resti tra noi, ma penso ci giochi ancora». Allungò la mano e sfiorò dolcemente il braccio di Harriet.
    La signora Barnard le accompagnò alla porta d’ingresso e poi in giardino. Prima che arrivassero al cancello, la signora le pregò di aspettare mentre rientrava un momento in casa.
    «Quando torna», sussurrò Harriet, «tienila occupata, e io vado dentro a rubare una cosa. Mi piace un pezzo d’argenteria che ho visto nella vetrinetta al pianterreno».
    «Aggiudicato», disse Maud, dandosi dei colpetti sul naso e facendole l’occhiolino.
    Harriet scosse il capo. «Sei ubriaca, vecchia imbecille?» sibilò. «Devi stare all’erta.
    Guarda come ti riduce un goccetto di sherry».
    «Se facessimo una gara a chi regge meglio l’alcol dovrei raccoglierti col cucchiaino», sibilò Maud. «Mostra un briciolo di rispetto».
    La signora Barnard ricomparve, Harriet e Maud subito si separarono e sfoggiarono due sorrisi amabili da esibire mentre si avvicinava. La donna si fermò con loro al cancello, all’ombra di un enorme agrifoglio potato, ed estrasse una banconota dalla tasca del vestito.
    «Non è necessario», disse Maud, togliendogliela dalle mani.
    «Per coprire le spese, signora Lyons», disse la signora Barnard.
    «Grazie», disse Harriet. «È molto gentile. Oh!». Harriet si afferrò lo stomaco ed emise un gemito.
    «Signorina Lyons?», disse la signora Barnard.
    «Temo che lo sherry mi abbia scombussolato lo stomaco», disse. «Di solito non bevo. Posso usare il bagno?»
    «Certo», disse la signora Barnard. «Le mostro…».
    «No!», disse Harriet, risoluta. «Grazie. Conosco la strada».
    Harriet se ne andò di corsa, tenendosi lo stomaco. Maud sorrise ammirata.
    «Povera ragazza», disse la signora Barnard.
    «Già», rispose Maud. «È proprio una creaturina delicata».
    «Presumo che abbia a che fare con l’emozione per avere incontrato Olivia. Non avevo capito che anche sua figlia avesse il dono, signora Lyons», disse la signora Barnard.
    «Harriet?», disse Maud, diffidente. «Dono? Non la seguo, signora Barnard», disse Maud, preoccupata che a dispetto dell’apparente ingenuità la donna cominciasse a sospettare qualcosa.
    «Ma Harriet ha visto Olivia in corridoio». «Sua figlia?», disse Maud perplessa. «Non vedo come…».
    «Purtroppo non ho figli», disse la signora Barnard. «Olivia era mia sorella».
    Maud corrugò la fronte.
    «Non la seguo, signora Barnard». «Olivia è morta quando eravamo bambine», spiegò la signora Barnard,
    «Come le dicevo prima quando eravamo al piano di sopra. Harriet ha avuto la fortuna di vederla e parlare con il suo spirito».
    Del tutto sbigottita, Maud spostò lo sguardo dalla signora Barnard alla casa e di nuovo alla signora Barnard.
    Harriet fu sorpresa di trovare la cosiddetta “non-porta” leggermente socchiusa. Quella storia era assurda! Ma perché mentire su una cosa simile? Forse avrebbe dovuto dare una rapida occhiata.
    Non appena Harriet aprì la porta ed entrò, fu accecata da una luce abbagliante che irrompeva da un lato della stanza, come in una serra. Si voltò per andarsene. Ma quando afferrò la maniglia, quella non si mosse. La porta era chiusa a chiave.
    Perlustrò la stanza con lo sguardo, alla ricerca di una porta comunicante o di un’altra via d’uscita. In quell'istante vide una bambola stagliarsi dalla luce sfolgorante e incombere verso di lei. Dietro la bambola, scorse altre ragazze che sedevano sulle poltrone disseminate per la stanza: gli occhi sgranati come fossero in trance, i volti pitturati in modo pacchiano con le guance rosee e le sopracciglia inarcate, accasciate in pose rigide e sgraziate.
    All'inizio aveva creduto di non poter distinguere i lineamenti della ragazza che si avvicinava perché la luce la colpiva alla nuca, ma ora, con una terribile sensazione di vertigine, come se stesse precipitando da un’alta scogliera, si rese conto che la ragazza era priva di tratti.
    Harriet picchiò alla porta per chiamare aiuto.
    «Ti prego!», urlò. «Maud! Per l’amor di Dio! Aiutami! Aiutami!».
    Ma quel colpo impercettibile sulla porta della casa di bambole non fu udito da nessuno. Da nessuno, a parte Olivia.

    Tratto da "Le Terrificanti storie di Zio Montague di Chris Priestley


    Edited by DamaXion - 11/5/2017, 21:54
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