Votes given by Devilz

  1. .
    Quindi non é una congiunzione. Ci va un e o una virgola o meglio un punto prima di esso.

    Scusate, ma per me questa cp è un gigantesco Mah!

    Mi aspettavo di più, vista la presentazione in homepage
  2. .
    No il liceo è una merda. E gli sport di squadra se non sei integrata sono ancora peggio.

    Non ho mai avuto modo di parlare con te ma se vorrai io ci sarò. So cosa si prova.

    Innanzitutto tuo padre non può impedirti di frequentare chi ti pare. Se ci tieni davvero alzati e lotta.
    Te le devi prendere le cose nella vita. Non so come tu sia di aspetto fisico quindi non ti dirò le solite cazzate tipo: "Ma sei bellissima eccetera" ma ricordati che tutti abbiamo paura di quello che guardiamo allo specchio. Dalla piú figa al piú brutto.
    Tu sei chi scegli di essere.

    Invece di tagliarti prendi i tuoi difetti e usali come se fossero un armatura come dice Tyrion Lannister. Impara a conviverci perchè gli altri non li dimenticheranno.

    Hai la mia spada e il mio sostegno ma sei tu quella che deve rialzarsi.

    La vita è come Dark Souls verrai backstabbata, ferita, dilaniata ma ogni volta ripartirai dal falò. Sempre piú forte, sempre piú livellata. Fino a quando il sole tornerà a splendere sul tuo cammino.

    \[T]/

    Edited by Cavaliere Nero 94 - 22/9/2016, 14:31
  3. .
    Duecento anni fa ho cominciato una partita a scacchi.
    Quando la Morte è arrivata al mio cospetto, io ero già pronto. Avevo messo in pratica uno stratagemma per costringerla ad accettare una sfida con la mia anima immortale in palio, come in quel vecchio film con quell'attore svedese.
    Rassegnatevi, non vi dirò mai in cosa consisteva.
    Per la sfida non potevo non scegliere gli scacchi, dopotutto mi reputo un ottimo giocatore e devo ammettere che ero curioso di cimentarmi con un'entità ultraterrena. Nella peggiore delle ipotesi avrei allungato la mia vita fino a quando mi avrebbe dato scacco matto.
    Sono anche stato abbastanza spavaldo da concedere i bianchi alla mia avversaria.
    La Mietitrice non ha potuto fare altro che accettare. Si è messa seduta di fronte a me e ha detto "Quali sono le regole?"
    Un teschio non può avere un'espressione, ma potrei giurare di aver visto una smorfia di rassegnazione.

    ***

    Duecento anni fa ho cominciato una partita a scacchi.
    È da allora che me ne sto seduto qui a fissare la scacchiera, le pedine ancora al loro posto. Ormai conosco a memoria ogni singolo granello di polvere e venatura del legno.
    La Morte non ha ancora fatto la sua mossa d'apertura. Si limita a massaggiarsi il mento ossuto e a grattarsi poco al di sopra la tempia. Certe volte sembra stia per afferrare un pedone, ma poi ritrae subito la mano scuotendo la testa.
    Prima di iniziare a giocare, stavo morendo per un tumore ai polmoni. Ora ogni volta che provo a respirare è come inalare del plasma bollente. Ho contratto il Parkinson cento-centocinquanta anni fa, insieme a decine di altre malattie, e mi tengo stretto alle ginocchia per non tremare troppo.
    Oggi, per la prima volta, la Mietitrice ha alzato il volto verso di me. Le sue orbite vuote hanno incontrato il mio sguardo. Ha inclinato la testa di lato e ha detto "Perdonami, quali hai detto che sono le regole?"
    Un teschio non può avere un'espressione, ma potrei giurare di aver visto un ghigno.

    Edited by o.O.o - 15/9/2016, 11:43
  4. .
    Toccante.

    Di tutti gli assassini i piú vili sono quelli che prendono di mira i bambini.
  5. .
    Tra i tanti luoghi comuni idioti sui gemelli, ce ne è uno veritiero: alcuni gemelli possono parlare tra di loro telepaticamente. Non so se possono farlo tutti i gemelli, io e mio fratello Stephen sappiamo farlo, ma lo teniamo nascosto a tutti.
    Io e Stephen siamo nati il sei Giugno, io alle 05.56 di mattina, Stephen quattro minuti dopo. Abbiamo 15 anni e frequentiamo il secondo anno alla Victoria High School.
    Stephen è un genio in quasi tutte le materie, io sono stato rimandato in Matematica. Siamo fisicamente uguali, ma siamo anche molto diversi.
    Avevo il test di matematica, quel giorno, e dovevo assolutamente passarlo. Lo so cosa state pensando: "Scambiati con tuo fratello", ecco, questo è un luogo comune idiota. Se due fratelli gemelli si scambiassero non sarebbe così difficile notare la differenza. Abbiamo un modo di parlare, di muoverci, di gesticolare molto diversi, un occhio attento noterebbe subito un eventuale scambio, il mio professore di matematica se ne sarebbe accorto subito.
    Eravamo seduti sul tavolo a fare colazione, nostro padre e nostra madre erano seduti con noi, quindi usai la telepatia per fare una richiesta a Stephen.
    "Mi devi aiutare" - gli chiesi con la mente mentre il mio sguardo era rivolto al piatto di uova e bacon.
    Stephen diede un'occhiata a mamma e papà, poi abbassò lo sguardo.
    "Cosa vuoi?" - la voce di Stephen si intrufolò nei miei pensieri, erano passati quindici anni ma non mi ero ancora abituato alla telepatia.
    "Mi devi aiutare con il test di Matematica, ti leggerò le domande con la mente e tu mi darai la risposta"
    "Scherzi? Non posso farlo! Come farò a seguire la mia lezione?"
    "A quell'ora devi seguire Francese, la conosci bene la lingua, no? Non devi seguire la lezione"
    "Ma che dici? Non posso"
    "Ti prego, Stephen. Devo passare quel test, assolutamente!"
    Non so come feci, ma riuscii a convincere Stephen.
    Giunse l'ora del test, il professore Lam mi mise davanti il foglio con le domande.
    Erano difficilissime.
    Mi concentrai.
    "Stephen, ci sei?" - gli chiesi telepaticamente
    "Sì" - sentii nella mia testa
    "Ok. Domanda numero uno: Quale è la condizione necessaria affinché una retta nel piano cartesiano si possa rappresentare con un equazione del tipo ax+by=0?"
    Stephen non rispose.
    "Hai sentito? Devo ripetere?" - gli chiesi
    "No" - fu la risposta
    "Non hai sentito? Oppure non devo ripetere?" - gli chiesi agitato
    Nessuna risposta.
    Cominciai a preoccuparmi.
    "Stephen, tutto bene?" - gli chiesi ancora telepaticamente
    Ad un tratto, tra i miei pensieri, udii una risposta.
    "Deve passare dall'origine". La risposta C, finalmente. La voce di Stephen era leggermente diversa dal solito. Non so come spiegarlo, ma era più fredda, molto più cupa. In quel momento non ci feci caso, sbarrai la casella 'C' e passai alla domanda successiva.
    "Perfetto Stephen, domanda 2: Quale delle seguenti equazioni rappresenta una coppia di rette incidenti? Ok, Stephen, ora ti dico le varie opzioni. Sei pronto?"
    Nessuna risposta. Il tempo stava scorrendo e mancavano altre tredici domande. Cominciai ad agitarmi sul serio.
    "Stephen ci sei?" - domandai, ancora una volta.
    "Donovan" - disse all'improvviso.
    Pronunciò solo il mio nome e nient'altro, sempre con una voce cupa. Non mi aveva mai chiamato così, di solito mi chiamava Don o Donny, non usava mai il mio nome per intero. Rimase in silenzio. Pensavo si fosse arrabbiato.
    "Stephen, che ti prende? Mi hai detto che mi avresti aiutato"
    Nella mia mente udii solo i miei pensieri, quelli di Stephen sembravano svaniti nel nulla.
    Finché, ad un tratto, sentii quella voce.
    "... entrez, entrez, petits enfants...", mi ricordava la voce di Stephen, ma non era la sua, era molto più profonda, mi terrorizzò.
    "Cosa stai dicendo? Stephen, che ti prende?"
    "Ils n’étaient pas sitôt entrés..." - fu la risposta. Solo in quel momento mi resi conto che la voce parlava in francese. Cominciai a tremare, a sudare, sentivo una strana fitta al cuore.
    "Tutto bene?" - Il professore Lem mi osservava con aria preoccupata.
    Annuii con la testa.
    "Stephen, come riesci a far cambiare la voce dei tuoi pensieri?" - gli chiesi, sperando in uno scherzo.
    "... que le boucher les a tués!" - fu la risposta.
    Pur conoscendo il francese non riuscivo, in quel momento, a capire bene cosa dicesse, capii qualche parola, come "macellaio" e "uccidere". Ad un tratto mi ricordai che Stephen stava seguendo la lezione di francese e mi tranquillizzai.
    Probabilmente non riusciva ad usare contemporaneamente i suoi poteri telepatici e a seguire la lezione, avrà fatto confusione e questo avrà influito anche sulla voce, che mi è parsa diversa.
    Tirai un sospiro di sollievo. Avrei fallito il test, ma almeno non era successo nulla di preoccupante.

    Finite le lezioni, aspettai che Stephen uscisse da scuola. Quando mi raggiunse mi diede una pacca sulla spalla.
    "Non ci posso credere!" - mi disse - "Mi hai chiesto aiuto per una sola domanda, per il resto sei riuscito a fare tutto da solo!"
    A quanto pare, Stephen non aveva nemmeno sentito la seconda domanda che gli avevo inviato telepaticamente. Decisi, però, di non dirglielo.
    "Esatto, le altre domande erano molto più semplici" - gli mentii.

    Era una domenica mattina, guardavo il TG con mia madre. Ad un tratto il giornalista disse che avevano trovato il corpo dei due ragazzini scomparsi qualche giorno prima, un pazzo li aveva accoltellati, decapitati e poi aveva gettato i pezzi nelle acque vicino il Victoria Harbour. Mia madre scoppiò in lacrime, disperata, si mise la mano nei capelli, era visibilmente sconvolta, anche io lo ero, ma i miei pensieri no. Lo so, è difficile da credere. Ma nella mia testa sentii una risata. Qualcuno stava ridendo nella mia testa, una risata grassa, malvagia. Mi alzai di corsa dal divano.
    "Stephen, dove sei?" - gli chiesi telepaticamente
    Sentii la voce di Stephen. Ancora oggi, se ripenso a quelle parole, un brivido mi percorre la schiena.
    "Donovan" - disse - "Li ho uccisi io. Sono un assassino"
    Mia madre mi abbracciò, era terribilmente scossa.
    "Andrà tutto bene, oddio, tutto bene" - mi disse.
    Mi divincolai dalla presa e tornai a comunicare con mio fratello.
    "Stai scherzando Stephen?" - gli chiesi - "Dove sei?"
    " Entrez, entrez, petits enfants" - disse, nella mia testa, una voce, non era quella di Stephen, non poteva essere la sua.
    "Cosa significa? Che ti prende?" - gli chiesi
    "... ils n’étaient pas sitôt entrés, que le boucher les a tués..."
    Solo in quel momento capii cosa mi stava dicendo Stephen, era la filastrocca, la famosa filastrocca di San Nicola, quella dove c'è un macellaio che uccide dei bambini! Infatti i ragazzini sono stati uccisi con un coltello da macellaio. Durante l'ora di francese, qualcosa si è impossessato di Stephen e lui li ha uccisi, capito? Dovete credermi.

    Il dottor Roy e la dottoressa Brown si lanciarono un'occhiata fugace.
    'Come fa a sapere che sono stati uccisi con un coltello da macellaio? Non è stata riportata come notizia'
    Il ragazzo cominciò ad agitarsi.
    'Stephen, me l'ha detto, telepaticamente... no? Mi pare ovvio? No?' - disse, mentre si grattava istericamente la testa.
    La dottoressa scrisse qualcosa sul suo taccuino. 'Grazie, Martin' - disse al ragazzo - 'Vai a riposarti ora'.
    Un uomo in divisa prese il ragazzo da un braccio e lo trascinò via.
    'Non sono Martin, sono Donovan!!' - disse il ragazzo mentre veniva trasportato via.
    Rimasti soli, il dottor Roy si rivolse alla collega. 'Che ne pensa?'
    '... un caso interessante' - rispose la Brown - 'Martin Tremblay ha ucciso Donovan e Stephen Tremblay, i suoi due fratelli minori e poi si è impossessato dell'identità di uno dei due inventandosi la storia della telepatia'.
    'I genitori non si sono accorti di nulla?'
    'Forse erano turbati per la scomparsa dei figli, avranno notato degli squilibri in Martin, ma forse hanno pensato fossero una sua risposta alla mancanza dei fratelli'
    'Ma perché? Non ha precedenti, un ragazzo all'apparenza normale, perché ha ucciso i fratelli?'
    La dottoressa chiuse il taccuino. 'Gelosia. Si sa, i fratelli gemelli hanno maggiore affinità, forse Martin si sentiva escluso'
    Il dottor Roy annuì.

    Martin era rannicchiato a terra, con gli occhi chiusi, in quella stanza completamente bianca.
    "Ehi Martin..." - sentì ad un tratto la voce di Donovan - "Ci leggi di nuovo quella filastrocca?"
    "Sì" - sentì la voce di Stephen - "Come si chiama? Ah sì, La leggenda di San Nicola"
    Martin aprì gli occhi. 'Dove siete?' - chiese con voce tremante
    'Volevi il nostro potere, no?' - chiese Donovan
    'Ora sentirai le nostri voci nella tua testa' - disse Stephen - 'le sentirai per sempre'

    Edited by Rory - 19/9/2016, 16:54
  6. .
    Dopo una ventina di chilometri, la statale ventuno subisce un'innalzatura vertiginosa. Il percorso si fa ricco di tornanti, l'asfalto cosparso di buche. Su un lato, ci sono - anche se trascurate dai più a causa dell'alta velocità di passaggio - due croci di pietra conficcate nel terreno, incise con una data e due iniziali, ormai coperte dal muschio e scavate dalla pioggia. Sono quelle di un pilota aereo e della sua spalla morti in un incidente molti anni addietro. Proseguendo ancora per qualche chilometro, sull'altro lato si apre una stradina. Piccola, buia, nascosta tra le steppe incolte. Ai pochi occhi che riescono a coglierla sembra un'illusione. Ma esiste e si stende per diverse centinaia di metri. Imboccandola, si prosegue prima su una strada sterrata, poi sulle foglie umide, che si incollano alla suola delle scarpe. Il bosco digrada ai lati e pare di passeggiare sull'orlo di un pericoloso precipizio. Si cammina, cercando di ignorare il fruscio delle code dei serpenti che frustano la vegetazione e il ronzio incessante degli insetti. Il volo obliquo delle falene e l'ululo dei lupi. Uno scalpiccio di passi, che qualcuno cerca di camuffare con scarso successo.
    A un certo punto, illuminato da una luna che non osa infiltrarsi tra le fauci del bosco, si nota un cartellone. Campeggia sul nulla e presenta una scritta mezza mangiucchiata: è quella di un distributore di benzina. Poi appare l'insegna di un McDonald's, che si illumina a scatti irregolari solo nella parte destra.
    Fondato anni addietro e con notevole spreco di denaro, l'autogrill è rimasto abbandonato nel giro di qualche mese. Isolato com'era, i clienti erano pochi e di conseguenza i soldi insufficienti. Ora rimangono i ruderi, il bosco e la paura. Quella non muore mai.
    Guardo la luna piena, mi rincuora un po'. Sono le tre di notte, mi fa male la testa e ho la nausea.
    E non so come mi trovo qui.
    Cerco una cabina telefonica nei dintorni. Non c'è, ovviamente. Mi piego sulle ginocchia. Non ricordo nulla, o quasi. La musica, l'alcol, le sirene della polizia. E poi?
    Entro nel McDonald's: magari avranno un telefono, anche se lo credo improbabile. Avrò comunque un luogo riparato in cui dormire. Il vecchio locale puzza di urina, alcol, marijuana. Forse anche sangue. Mi faccio luce con l'accendino, riesco a vedere a malapena ciò che c'è a due metri da me. Cocci di vetro a terra, un materasso sporco, sedie di plastica rotte. Poi le macchie di umidità sul muro. Ma nessuna traccia di un telefono. Rassegnato, mi accascio sul materasso. Sento come una patina appiccicosa avvolgere il mio corpo e vengo scosso da un brivido. Poi colgo un ragno zampettare sul mio viso. Lo scaccio schifato.
    Cerco ancora di ricordare, ma non riesco. Mi sento svanito, il cervello leggero di un fantasma, lo stomaco in subbuglio. Mi alzo per andare in bagno, facendomi ancora luce con l'accendino. Il cesso è sporco e puzza, c'è un ronzio indefinito nell'aria. Dopo aver pisciato, vado d'istinto al lavandino, ma ovviamente non c'è acqua. Ci sono due mosche: una mi ronza intorno e mi saltella addosso, l'altra è immobile sul lavello. In quel silenzio, mosso solo dal ronzio dell'altra, sembra quasi che mi stia fissando. Vomito nel lavandino.
    È a quel punto che il gas nell'accendino finisce. Cerco di riaccenderlo, non ci riesco. Spero di trovarne un altro nelle tasche, ma invano. Respiro, il buio mi scorre addosso come lava rovente. Ricordo la strada sino al materasso e dovrei essere in grado di arrivarci. A tentoni, proseguo. Trovo la porta, la sorpasso; cammino rasente al muro, cercando di capire quando devo discostarmi.
    Un paio di passi dietro di me. Attutiti da qualcosa di morbido, ma comunque distinguibili. Il cuore mi sale in gola. Lo scalpiccio si fa più fitto, io prendo a correre verso quello che credo che sia l'ingresso. Inciampo nei cocci e mi taglio, ma devo rialzarmi e proseguire. Di sfuggita, mi pare di vedere il mio inseguitore, ma sono sicuro di essermi sbagliato: non può esistere qualcosa del genere. Supero il portone e subito sento il vento freddo sferzarmi il viso. La luce è sollievo lieve. Continuo a correre, ma ormai sono a corto di forze e sento quella cosa sempre più vicina. Mi piomba addosso quando sono ormai in prossimità del bosco, mi sbrana le caviglie e risale verso le cosce. Il dolore mi acceca, cerco di divincolarmi e mi ritrovo sdraiato supino, il mostro ai miei piedi. Rivedo il suo volto peloso, le sue fauci enormi, mi si ripresenta il calore del suo abbraccio. Poi guardo in alto, verso quelli che saranno gli ultimi colori della mia vita.
    In cielo c'è la luna piena.

    Edited by Tommas02 - 11/9/2016, 04:06
  7. .
    CITAZIONE (InKubus @ 4/9/2016, 18:58) 
    Mitico!
    Sono potente.

    Sei comunque piú utile di acquaman. O meglio di Acquaman prima che diventasse Khal Drogo col potere di far bagnare le patatine con uno schiocco.
  8. .
    CITAZIONE (Rory @ 2/9/2016, 23:10) 
    Le promozioni più meritate della storia.

    E non lo dici perchè c'è di mezzo il tuo waifu kohei vero? :asd:
  9. .
    Il mondo è bello perché è vario.
    Quando ha cominciato a svilupparsi in me l'idea di fare un secondo articolo di questo tipo ho subito pensato: "Sì, sarà impossibile trovare qualcosa di pari livello all'articolo precedente".

    Mi sbagliavo. Eccome se mi sbagliavo. A quanto pare la natura è sempre pronta a regalarci qualche emozione, dando vita a creature che non dovrebbero stare manco in un racconto del terrore. O uno splatter.

    Iniziamo subito con qualcosa di leggero, per andare man mano a peggiorare. La Brugia malayi è un piccolo verme parassita dell'uomo. Questo Nematode sfrutta le zanzare e le loro punture come metodo di trasmissione. Le microfilaria (le sue uova) penetrano nell'intestino dell'insetto e successivamente migrano verso i muscoli del volo, dove iniziano a crescere per poi svilupparsi in larve. Una volta pronte queste si spostano nella ghiandola salivare della zanzara, dalla quale fuoriescono nel momento in cui essa va a pungere un essere umano per nutrirsi, per penetrare nel loro ospite definitivo.
    Una volta all'interno del corpo le larve si addentrano nel sistema linfatico, dove si sviluppano fino a diventare vermi adulti, per poi accoppiarsi e produrre fino a 10.000 microfilarie al giorno. E gli adulti possono vivere lì dentro fino a 15 anni. Fate due calcoli.
    Per completare il cerchio, un'altra zanzara andrà a nutrirsi del sangue infetto, permettendo alle microfilarie di schiudersi e infettare un altro umano.

    L'ospite può presentare sintomi come gonfiore dei linfonodi nella zona inguinale, infiammazione dell'apparato circolatorio linfatico, gonfiore smisurato degli arti o dei genitali e infezioni batteriche.



    Il secondo parassita di oggi, seppur non così pericoloso o disgustoso, è il Pthirus Pubis meglio noto come pidocchio del pube o piattola. Questo piccolo insetto alloggia in posti poco puliti, aspettando di incontrare l'ospite ideale, per propagarsi nella zona genitale e riprodursi.
    Dopo l'accoppiamento le femmine producono da 4 a 11 uova che vengono attaccate ai peli pubici con la saliva.
    Nutrendosi del sangue dell'ospite e passando la sua intera vita tra i peli del pube, i soli sintomi che si possono riscontrare sono il prurito dovuto alla saliva anticoagulante e la presenza di piccole cacchette sulla cute.
    In caso di parassitosi intensa il Pthirus Pubis può proliferare anche tra i peli delle ascelle e delle gambe. Sono state inoltre riscontrate delle variazioni nel colore degli individui, per adattarlo all'etnia dell'ospite.



    Le cose iniziano a peggiorare con la Vandellia Cirrhosa. Meglio noto come candirù o canero, il pesce stuzzicadenti è tristemente noto per il suo adattamento alla vita da parassita. Grazie al colore semitrasparente e alle piccole dimensioni, riesce ad infilarsi all'interno delle branchie di altri pesci, strapparne pezzi con i piccoli e affilati denti e nutrirsi di carne e sangue dell'ospite.
    E fin qui, tutto bene.
    Il nostro piccolo amico, però, individua le branchie dei pesci tramite il flusso di acqua calda che viene espulso da esse, questo è un comportamento istintivo e quindi, il candirù non fa differenza tra apertura e apertura. Se non avete ancora capito dove voglio andare a parare, vi porrò questa domanda: avete mai fatto pipì in acqua? Ecco.
    Non facendo distinzione tra i vari flussi di liquido caldo, il pesce si infila spesso nel pene e nell'uretra femminile dei mammiferi, in particolare dell'uomo. Una volta lì il candirù inizia a nutrirsi di sangue e carne, ingrossandosi, per poi, però, morire a causa dell'ambiente inadatto. Purtroppo però, far uscire un pesce ingrossato e in controsenso con le squame risulta impossibile e, nella maggior parte dei casi, l'ospite involontario muore dallo shock dovuto al dolore. E, ovviamente, risulta anche impossibile urinare.
    Essendo impossibile estrarlo a causa della direzione delle squame, delle pinne e delle spine branchiali, l'unico modo per rimuovere il candirù è tramite chirurgia. La ciliegina sulla torta sta nel fatto che, a causa delle zone in cui vive il pesce, è altamente improbabile reperire in tempo un chirurgo in grado di effettuare l'operazione e quindi l'unico modo per avere salva la vita è l'amputazione.



    Il quarto parassita risulta talmente crudele che persino un osservatore imparziale come Charles Darwin ne rimase sconvolto, facendolo addirittura riflettere su come Dio potesse permettere una simile atrocità. Gli Icneumonidi sono delle vespe che scavano la loro tana sottoterra, dove poi andranno a riprodursi.
    Una volta pronta a deporre le uova, la vespa cerca un bruco e lo punge, iniettando un veleno che paralizza la vittima, mantendola, però, in vita.
    Una volta trasportato lo sventurato bruco nella tana, la vespa depone le sue uova al suo interno.
    Quando queste si schiuderanno, le piccole larve avranno carne fresca con cui nutrirsi. La vittima rimane viva e anche perfettamente cosciente, visto che il veleno paralizza solo i muscoli. Dato che la carne putrefatta non è di utilità per i neonati, essi iniziano a mangiare dapprima i depositi di grasso e gli organi della digestione, lasciando intatti il cuore e il sistema nervoso centrale, in modo da mantenere l'ospite in vita il più a lungo possibile.
    Esistono varie specie di Icneumonidi, che differiscono per la scelta di prede, non tutti, infatti, scelgono i bruchi. Alcuni prediligono i ragni, altri le larve del legno.



    L'ultimo parassita di oggi è il Leucochloridium Paradoxum. Per poter parlare di lui, però, bisogna fare una premessa. Le lumache, si sa, sono creature timide, che passano poco tempo allo scoperto e che prediligono uscire dopo la pioggia per evitare la calura di un sole che le seccherebbe, portandole alla morte. Inoltre, questi invertebrati hanno un pessimo sapore che scoraggia la maggior parte dei predatori e questo è un gran problema per i parassiti delle lumache, il cui complesso ciclo vitale richiede di passare da un ospite all'altro.
    Il nostro Leucochloridium, però, ha trovato il modo più efficace e disturbante possibile per risolvere questo problema!
    Nell'intestino di un uccello, le larve del parassita si sviluppano in esemplari adulti ed ermafroditi, che cominciano ad accoppiarsi e fecondarsi selvaggiamente, sia da soli che con un compagno occasionale. Attaccatisi alle pareti intestinali per succhiare nutrimento, depongono le loro uova che vengono espulse dal volatile tramite defecazione.
    Le deiezioni degli uccelli, si sa, si spargono dappertutto e questo aiuta molto la diffusione.
    A questo punto entra in gioco una sfortunata lumachina che, nutrendosi di fogliame su cui sono presenti gli escrementi di uccello, fa entrare nel proprio organismo numerose uova. Queste andranno poi a finire nell'intestino dell'invertebrato dove si schiuderanno e daranno vita a numerosi vermi neonati, che comincieranno a scavarsi una via dall'intestino fino all'apparato digerente della chiocciola, per poi trasformarsi in sporocisti, iniziare a riprodursi e riempirsi di nuovi giovani parassiti.
    Le sporocisti sono lo stadio del parassita che dovrebbe finire in bocca e successivamente nell'intestino di un uccello passeriforme, ma abbiamo detto prima che le lumache non sono una preda appetibile. Come risolvere?
    Le sporocisti si colorano di vistose strisce bianche e verdi, muovendole molto rapidamente per poter essere facilmente identificate, dopodichè esse si spostano all'interno dei tentacoli oculari del gasteropode, accecandolo e impedendogli di ritrarre le antenne. In questo modo egli comincia a vagare senza meta, senza sapere dove si trova e non riuscendo più a nascondersi, diventando facilmente individuabile dagli uccelli, che scambiano i suoi occhi per due ciccioni e succulenti bruchi.
    E così, il passero di turno strappa gli occhi della lumachina, facendo ricominciare il ciclo vitale del Leucochloridium Paradoxum.

    Visto che però al peggio non c'è mai fine, vorrei far nota del fatto che raramente l'uccello inghiotte tutta la lumaca o tutto il verme, limitandosi spesso alla zona ripiena di larve. Le antenne ricrescono e un altro parassita prende il posto di quello vecchio.

    c'est la vie.



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    Edited by InKubus - 12/8/2017, 16:35
  10. .
    Benvenuto.

    Sembri la versione drogata e svitata di Misterpoe.

    Non ho capito un cazzo di tutto quello che hai detto ma buona permanenza.
  11. .
    Se è una creazione di fantasia nulla da dire; se vuole essere scientifica, allora c'è della confusione.
    Satana (chiamato in vari modi) è una figura che compare nella religione ebraica attorno al V secolo a.C.
    Nei secoli precedenti, il credo ebraico riteneva Dio origine sia del bene che del male, in quanto Signore onnipotente e creatore del tutto. Ci sono molti passaggi del Vecchio Testamento in cui Dio mette alla prova l'uomo per vedere se è degno e lo punisce se disubbidisce (ad esempio, punisce Davide perché aveva risparmiato delle capre di un popolo sconfitto, quando Dio aveva ordinato di sterminarlo fino all'ultimo animale).
    Le concezioni teologiche dell'ebraismo mutarono col tempo, come è ovvio, e si giunse a ritenere privo di senso che Dio fosse anche origine del male. Compare per la prima volta la figura di Satana (che non ha attributi caprini o cornuti, è un angelo), il quale è un cortigiano di Dio che tenta Dio affinché metta alla prova l'uomo, per vedere se l'uomo è davvero fedele e meritevole della grazia divina. Satana, in origine, dunque, non è propriamente malvagio, ma svolge il suo ruolo presso Dio.
    Col tempo (verso il II secolo a.C.) Satana acquista connotati diversi. Si è sviluppata una nuova e vasta demonologia nel mondo ebraico e Satana ne è messo a capo: diviene dunque l'avversario di Dio e si sviluppa il germe del racconto della caduta.
    Tale demonologia, e la relativa concezione di Satana, vengono assorbiti dal cristianesimo, il quale al contempo ritenne gli dèi greco-romani dei diavoli (quindi tali entità esistevano, ma non erano dèi bensì demoni, secondo i cristiani).
    Nei primi secoli del cristianesimi Satana ed i suoi diavoli sono deboli, sono già stati sconfitti da Cristo in croce ed ormai è prossima la loro sconfitta definitiva; questo perché il cristianesimi dei primi tempi credeva fosse prossima la fine del mondo.
    Passando i secoli, le concezioni sui diavoli mutano; ad esempio, da avere corpi aerei (cioè più leggeri della materia normale, ma comunque di materia) divengono puri spiriti. Essi sono presenti nella vita di tutti i giorni e tentano costantemente l'uomo. Nei secoli dopo il 1000 sono così potenti che perfino l'ostia e le preghiere hanno poco effetto contro di loro. La demonologia di stampo ebraico si amplia ed acquista sempre più forza. Si inizia a credere che Satana abbia servitori anche fra gli umani (idea, questa, che era comparsa nei manoscritti del Mar Morto, circa all'epoca di Cristo). Ancora, il diavolo cornuto non è l'immagine preminente, il gatto nero ed il rospo sono molto più spesso associati al diavolo.
    Nell'Età Moderna, con la riscoperta in grande stile dei classici greci e romani, avvengono anche molti cambiamenti. Le concezioni che avevano iniziato a formarsi nel Basso Medioevo (Satana con servitori umani) acquisiscono forza, fino a portare alla caccia alle streghe del XVI e XVII secolo. Per influsso della cultura classica, Satana acquista l'aspetto con cui ora è più noto, il caprone nero, che presiede i sabba. I suoi poteri sono quasi sconfinati, rendendo quasi il cristianesimo una religione dualistica.

    Per chi vuole approfondire, e come bibliografia a quanto ho detto:
    COHN NORMAN, I demoni dentro. Le origini del sabba e la grande caccia alle streghe, Milano, Edizioni Unicopli, 2011
  12. .

    polaroid
    Inciampai sul ciglio della porta, mezza bottiglia di vodka sguazzava nel mio stomaco.
    In qualche modo riuscii ad attraversare il salotto, oltrepassare le fotografie che affissi alle pareti dopo essermi trasferita e ad arrivare nel mio angusto bagno per togliermi le lenti a contatto.
    Ma, quando mi piegai sul gabinetto per vomitare, trattenendo le lenti per evitare di farle cadere in acqua, capii una cosa. Quelle immagini. Le attaccai io stesso. Alcune di loro le scattai persino io. Le ho guardate ogni singolo giorno, dopo il lavoro (o dopo aver fatto tardi al bar), per ricordare a me stessa la famiglia che raramente ho avuto occasione di vedere.

    Dopo essermi ripulita dal vomito, le labbra ormai violacee, mi diressi in soggiorno, solo per dimostrare che quelle cose non le avevo viste davvero, che era stato sicuramente l’alcol ad annebbiare la mia mente. Invece no… Quando guardai il ritratto di famiglia vecchio di vent’anni che ritraeva mamma, papà e me, vidi un volto in mezzo ai miei genitori. Una faccia che non apparteneva a quella foto.

    Sembrava avere la stessa età di mio padre, con gli stessi capelli rossi e un sacco di lentiggini. Gli stessi occhiali rotondi e lo stesso vestito. Anche le loro espressioni facciali combaciavano. Erano completamente identici…

    Idiota del cazzo.

    Devo averci visto doppio. Ho visto due maniglie della porta sul corridoio e due rotoli di carta igienica in bagno. Ho bevuto metà del mio peso corporeo in liquore. Che cos’altro avrei dovuto aspettarmi?

    Senza preoccuparmi di lavarmi i denti o di togliermi il mio vestitino rosso, mi sono buttata sul divano. Avevo bisogno di dormire.

    Il sole mi ha accolta con un gran mal di testa, uno così grande che neanche una montagna di Advil sarebbe riuscito a placare. Ci è voluta tutta la forza che mi era rimasta in corpo per riuscire ad alzarmi, con la speranza di farmi una tazza di caffè, buono almeno la metà di quello che mia madre è solita preparare. Uscendo dal salotto, mi soffermai un momento a guardare la foto che mi aveva spaventata la notte prima.

    O almeno, provai a guardarla. Quella dannata cosa era sparita, mancava dalla cornice. C’era solo il telaio e il pezzo di cartone all'interno.

    Il resto delle foto era al loro posto. Ne avevo quindici che coprivano le pareti, in file di cinque, ed erano tutte a destra…

    No. Una di loro era diversa. È rimasta lì, ma era diversa. Ritraeva me e i miei cugini intorno ad un albero di Natale. Ognuno di noi aveva un regalo nelle nostre piccole mani, mentre i nostri zii e zie, che stavano in piedi dietro di noi, reggevano i loro bicchieri di zabaglione. Ma c’era un volto in più nella foto. Un volto che sembrava essere proprio mio padre.

    Mio padre non era presente quando abbiamo scattato il ritratto di famiglia che amavo tanto, ma non ci lasciò per molto. Ha avuto alcune storie con qualche cameriera e poi è ritornato strisciando quando ero adolescente.

    Non mi importava quanto tempo fa la foto era stata scattata o quanto la mia memoria potesse essere corta. Non era lui. Non avrebbe potuto essere. In nessuna maniera.

    Ma ho chiamato la mamma per sicurezza. Le ho chiesto se avesse avuto qualche contatto con papà durante la loro “pausa” e cominciò a lamentarsi di quando non rispondeva alle sue chiamate, anche se a lui non sarebbe costato nulla farlo. Cominciò senza sosta a raccontarmi di come lui fosse uno stronzo per circa venti minuti prima di riuscire a liberarmene, dicendole che l’avrei chiamata un’altra volta. Probabilmente litigarono quella notte, a causa mia.
    Ma avrei voluto ascoltare il loro litigio al posto delle lagne che avevo appena concluso. Arrivato il momento di chiudere la giornata con una bella bottiglia di vino (che giuro di non aver mai aperto, ma che ho trovato senza il tappo), cominciai a sentire dei rumori. Scricchiolii, cigolii e gemiti.

    Invece di farmi alzare, il mio culo da rammollita mi aveva già costretto a tirar su le coperte per provare a dormire.

    Il mattino seguente, prima di fare colazione e dare un’occhiata al profilo Facebook, ho controllato il muro delle foto. L’immagine del giorno prima, quella di Natale, mancava. Rimaneva soltanto una cornice vuota appesa ad un gancio.

    Spostai gli occhi sull’immagine successiva. Era una foto mia, nel periodo pre-adolescenziale, e del mio vecchio terrier al parco per cani. Eravamo da soli, lui con la lingua che penzolava fuori dalla bocca e io con le labbra attaccate alla sua fronte pelosa. Pensai che fosse fatta, che il mio sbandamento mentale fosse finito, ma poi mi avvicinai.

    In realtà c’erano molte più persone, dalle piccole dimensioni, che si muovevano vivacemente nello sfondo. E proprio sopra la mia spalla, in piedi sul prato con un Labrador, c’era mio padre.

    Questa volta, chiamai lui al posto della mamma. Gli dissi che stava comparendo in tutte le mie fotografie, una per una, e lui ridacchiò, facendo una battuta da padre su come stessi cominciando a vedere la sua faccia ovunque io vada, per colpa della sua mancanza. E poi fece un’altra battuta su come tutti stessero cominciando a copiare il suo stile a causa del suo incredibile senso della moda.

    Quando riattaccai, mi sentivo meglio dopo aver ascoltato le sue promesse riguardo quanto fosse sicura la casa e che sicuramente c’era una spiegazione razionale a tutto ciò. Ma quelle promesse non fermarono i cigolii e i gemiti quando andai a letto.

    Due settimane. Due settimane di sentire suoni inquietanti prima di andare a letto. Due settimane di trovare il volto di mio padre in una foto e di vederla scomparire il giorno successivo.

    Ho pensato di chiamare la polizia, ma gli sarebbe sembrata soltanto una storia di fantasmi. Non mi avrebbero creduto in nessun modo. Neanche i miei amici mi credono. Ho chiesto alla mia migliore amica di ospitarmi a casa sua, o almeno se potesse venire a farmi compagnia, ma ha rifiutato. Mi ha detto di smetterla con l’alcol.

    L’ho fatto. Così quando l’ultima immagine è sparita, mi è venuto un attacco di panico al posto di un colpo di tequila. Mi sentivo come se il muro fosse diventato un calendario, il conto alla rovescia dei miei ultimi giorni, che ormai erano passati. Ero così convinta che sarei morta che cominciai a cercare altre foto da appendere al muro, così da comprarmi altro tempo. Ma da cosa lo stavo comprando il tempo?

    La casa non voleva uccidermi. Mio padre non voleva uccidermi. Ci doveva essere una spiegazione ragionevole.

    Ma non l’ho trovata.


    Quella notte, la notte in cui per la prima volta le pareti erano vuote, sentii qualcosa di diverso dai soliti scricchiolii e gemiti. Ho sentito dei passi. Passi leggeri, che si avvicinavano in camera mia. Poi sentii la porta.

    “Papà?” sussurrai, ma non poteva essere lui. Era un pianificatore. Mi avrebbe chiamato settimane prima, mi avrebbe chiesto aiuto per prenotare il volo e poi di andare a prenderlo all’aeroporto. Anche se mi avesse voluto fare una sorpresa, avrebbe bussato come un normalissimo essere umano.
    E – non che io creda nel soprannaturale – non è come se fosse morto, morente o malato di raffreddore, quindi non sarebbe potuto essere un fantasma.

    Ma… Vidi un volto nello spiraglio di luce che le mie tende lasciano entrare, ed era il suo volto. Familiare e più sottile. Molto, molto più sottile. Ma era lui.

    Si avvicinò a piccoli passi e tutto quello che ho potuto fare è stato stringere più forte la mia coperta. Avevo infilato un coltello sotto al cuscino quando il disastro era iniziato, ma non ho avuto il coraggio di prenderlo. Ho potuto soltanto guardare.

    E quando lasciò cadere qualcosa su di me, io trasalii. La mia immaginazione cominciò a farmi vedere vermi, budella o lame di rasoio. La peggiore, ma la più credibile. Ma, quando focalizzai bene, vidi che erano soltanto le mie foto.

    “Le ho modificate,” disse. La sua voce era tesa, come un sordo che si ferma nei momenti sbagliati. “Io… Io non so come dirti che ero qui. Non volevo spaventarti. Volevo darti degli indizi. Ti sono sempre piaciuti gli indizi. Ogni volta che giocavamo.”

    Non sapevo se potevo parlare. Non volevo farlo.

    “Pensi davvero che io ti abbia lasciato?” Era sul bordo del letto adesso, spostandomi una ciocca di capelli dal viso. Trasalii, un occhio aperto e l’altro chiuso.

    “Quell’uomo,” continuò. “Quello con cui hai parlato al telefono un paio di settimane fa. Quello che è tornato per tua madre. Quello che ti ha cresciuto. Quello non ero io. Sono io il tuo vero padre.”

    “Ah sì?” Gracchiai, trovando finalmente la forza per infilare la mano sotto al cuscino e prendere il manico del coltello.

    Annuì. “Sono stato rapito. Da lui. È saltato fuori dal sedile posteriore della macchina mentre stavo venendo da te, diciotto anni fa, e lui… Lui mi teneva rinchiuso. Quasi senza cibo. Niente interazione sociale. Per decenni. Disse che era il mio gemello, ma non ho un gemello. So di non averlo.”

    Le mie dita sfiorarono la lama, che mi tagliò il mignolo.

    “Non so da dove provenisse. Chi lo ha creato. Ma ha rubato tutto. Mi ha rubato la vita. E nessuno lo ha nemmeno notato.”

    La mia mano infine, si chiuse intorno al manico del coltello. Lo sfilai lentamente da sotto il cuscino per non farmi notare, ma dei rumori mi fermarono. Scricchiolii. Cigolii. Gemiti.

    Lo guardavo dritto negli occhi. Al mio presunto padre legittimo. Non era lui a fare quei rumori, almeno non quelli.

    “Oh no,” disse. “No, no, no, no, no, no, no.”

    Prima che potessi muovermi, parlare o respirare, sentii di nuovo la porta.

    Una donna attraversava la stanza adesso. La mia età. La mia altezza. Il mio peso. I miei capelli. I miei occhi. Il mio sorriso. Sembrava fossi proprio io.

    Come una mia gemella.




    Edited by DamaXion - 13/8/2017, 16:37
  13. .
    Siamo nel 2016 e questa pasta è ancora viva, ho trovato un foglio stampato proprio nella mia città (inutile dire che avevo il telefono scarico quindi niente immagine... Rimedierò con un'altra OT), ad ogni modo, bella CP, bizzarra, ma bella.

  14. .
    Ecco da dove deriva il detto: in culo alla balena.
  15. .
    Signori, secondo me, avete confuso il commento di Barachiel. Detto questo, vi invito a non proseguire con le vostre considerazioni e ritornare IT.
585 replies since 8/2/2010
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