Faith's Game - The Second Day

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    Ser Procrastinazione

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    Era un posto scosceso e difficile da raggiungere. Quella notte, la dottoressa Waters mi fece restare nel campus, in dormitori normalmente riservati a studenti tirocinanti di medicina. Devo dire che non era molto invitante. I dormitori erano mal tenuti e le ragnatele dominavano gli angoli di tutte le stanze. Giuro di aver percepito un odore di muffa o di spore. Tuttavia, considerando le mie altre opzioni, rimanere nel campus era l’unica a non puzzare di fallimento, o meglio, a non fare un buco nel portafoglio. In ogni caso, la notte fu dura. Mentre ero sdraiata, con il mio sguardo che trapassava l’unica finestra presente, non riuscivo a scrollarmi dalle spalle la creatura che riposava a neanche un chilometro da me. La creatura che avrei dovuto fronteggiare all’alba.

    Quando incontrai di nuovo la dottoressa Waters nello stesso edificio, il sole rosso-sangue si era appena affacciato all’orizzonte. Non ero un’amante dei risvegli mattutini, ma di nuovo, non puoi svegliarti presto se non hai mai dormito. Chiusi la porta della macchina e andai a prendere gli attrezzi nel cofano. Waters alzò un dito, fermandomi.

    “Non oggi” disse freddamente. “Prima di tutto, deve conoscerti.”

    “Non oggi?” ripetei incredula. “Quanto pensi che ci voglia?! Mi serve solo un’ora di pellicola!”

    “Sei. Giorni. Non di più, non di meno. Devi provare a noi e a lei che sei ciò che dici di essere.” Disse.

    Quella donna era pazza. Cosa dovevo provare? Erano loro a dovermi provare qualcosa! E non c’era verso che sarei rimasta qui altri cinque giorni! Mi girai, pronta a saltare nella mia Nissan arrugginita per il lungo tragitto a casa. Nessun documentario ne valeva la pena.

    “Ricorda, signorina Jacobson!” mi urlò la dottoressa Waters. Non ero sicura del perché le sue parole mi fecero fermare in quel modo. Era come se fossi disperata per avere un motivo di rimanere. Una ragione… quella avrebbe fatto la differenza in tutto ciò per cui credevo. “Se te ne vai adesso, il mondo non saprà mai cosa si nasconde dietro quelle porte! Sei l’ultima speranza per questa bambina!”

    “E se non restassi?”

    Non aveva bisogno di rispondermi. Dal mero grigiore di quegli occhi potevo vedere quale destino attendesse quella ragazzina giovane e innocente. Quella gente era davvero pronta a scendere così in basso? La bambina era davvero così pericolosa? E… restando lì, come avrei cambiato le cose? Avevo troppe domande a cui rispondere in una volta. Mi comportai normalmente, tenni la bocca chiusa e le orecchie e gli occhi aperti, e lei mi portò di nuovo oltre quel cartello sciagurato che recitava “Pazienti violenti”. Nelle fauci del demone. Cos’avevo da perdere arrivati a quel punto? Era fortunata che avevo una settimana libera nelle vacanze primaverili.

    La seguii, a testa abbassata, in punta di piedi. Porte di legno piacevoli alla vista furono lentamente rimpiazzate da mura colossali di acciaio che avrebbero potuto reggere una testata nucleare. Tutto ciò che le sentinelle imperturbabili sorvegliavano non fece nulla per coprire il suono che veniva da dentro: spesso incrociavamo pazienti in mezzo alle loro scenate o ai loro borbottii senza senso. Alcune porte erano resistenti; altre avevano vetri d’esame resistenti o delle sbarre. Ai miei occhi era come una prigione e ogni passo mi ricordava sempre di più il manicomio di Mount Massive. Per un secondo tolsi lo sguardo da ciò che mi circondava e guardai la porta solitaria alla fine del corridoio… lì dove c’era la mia destinazione.

    Il cuore mi salì in gola. Il mio colletto era stato afferrato e sbattuto al lato. Metallo duro e freddo si scontrò con la mia testa, e il rimbombo risuonò per il cranio. Unghie sfatte mi rastrellarono il collo, il fiato della donna mi entrava nella bocca e nel naso come se fosse fumo. Il mio sguardo si raddrizzò quando la dottoressa Waters mi aveva preso le spalle e mi aveva spinto nella direzione opposta. Era tutto accaduto così in fretta che barcollai prima di ritrovare l’equilibrio e fissare negli occhi il mio aggressore. Non ebbi neanche il tempo di urlare.

    “Non ENTRARE” il paziente urlò, afferrando il metallo tra le sbarre. La dottoressa Waters mi aiutò ad alzarmi, dandomi del tempo per ricompormi. Iniziò ad accompagnarmi alla porta, anche se i miei occhi vacillavano. “La bambina dannata vive! Vive dietro quella porta! Quella bambina dannata! Quella bambina DANNATA!”

    La sua voce si smorzò gradualmente mentre attraversavamo la porta e mi condusse ad una stanza di passaggio con un’altra porta ancora. La dottoressa Waters mi scrutò agitata, cercando segni di ferite sulla mia testa. “Mi dispiace tanto per quello che è successo. È uno dei casi peggiori di schizofrenia che abbiamo. Pazienti come lei sono il motivo per cui spesso non facciamo entrare qui i visitatori.” Indicò la porta. “Entri da qui, è il passaggio per la stanza dei bambini.

    Una stanza dei bambini? Non avevo mai sentito un manicomio che ne aveva una. Era una stanza come tante, solo con un po’ di più di imbottitura. Le infermiere sorvegliavano di continuo ogni angolo della stanza. Ogni giocattolo e ogni superficie era del tutto resistente agli urti, senza alcuno spigolo. Anche la carta da parati aveva sacche d’aria, come se interi teli di pluriball fossero stati incollati sulle mura. La stanza era abbastanza spaziosa e dava tanti stimoli ai bambini; questi ultimi avevano attorno ai dieci anni, anche se non sembravano avere le capacità mentali di una persona sopra gli otto. Anche con un’occhiata superficiale, sapevo che qui stessero ricevendo le cure migliori.

    “Perché questa stanza è nell’Area Donne Violente?” chiesi non appena mi venne in mente. “Qui vedo sia bambini che bambine.”

    La dottoressa Waters mi passò davanti e mi fece cenno di seguirla. “A nostro parere la presenza dei bambini è più rasserenante per la persona qui presente. A volte, se si comportano sufficientemente bene, possono visitare questa stanza sotto stretta sorveglianza. Sono molto più sicuri qui che nell’Area Uomini. Di solito l’istinto materno ha il sopravvento e i bambini sono abbastanza al sicuro.”

    Mi portò al lato estremo della stanza. Fino ad allora non avevo visto quella cosa… no… lei… raggomitolata tra le lenzuola, con gli occhi incollati sul Nintendo DS. Era pallida, come se la sua pelle non fosse mai stata a contatto con la luce solare, e magra, come se non avesse mai mangiato per bene. Un paio di altri bambini erano seduti dietro di lei e la loro attenzione fu rotta solo dal nostro arrivo. Si alzarono e il loro sguardo intenso si impresse sulla mia carne, per poi correre a cercare qualcos’altro da fare. La bambina, notando subito l’assenza del pubblico, si guardò attorno prima di vedere i nuovi arrivati. I suoi occhi erano iniettati di sangue, ma brillavano come quelli di nessun altro, in questo posto dimenticato da Dio.

    La dottoressa Waters si rivolse a lei. “Faith… lei è la signorina Jacobson.”

    Lo sguardo di Faith non mi lasciò per nulla. Era come se mi stesse esaminando, o come se fosse completamente sconvolta da me. Non sapevo cosa fare se non sorridere. Forse anche salutarla con un dito. Quando finalmente ruppe il contatto visivo lacerante, il suo sguardo tornò subito sul suo portatile. Le dita non ripresero il loro movimento sui bottoni come avevo previsto. Al contrario, i suoi palmi fragili si diressero verso di me, presentandomi il suo tesoro più prezioso.

    “Vuoi giocare?” mi chiese con tono dolce e delicato.

    Mi bloccai. Le immagini dell’altro giorno riempirono la mia mente. Era davvero la stessa bambina? Senza troppi indugi, alzai la mano, con un sorriso nervoso. “Uhm, non oggi, tesoro.”

    Non cedette. A dire la verità, spinse con più fermezza il Nintendo verso di me. Prima che potessi dire altro, la dottoressa Waters si intromise. “I prossimi giorni la signorina Jacobson sarà la tua nuova amica e giocherà con te.”

    “Sul serio?” accigliai la fronte, ma stetti al gioco dopo aver visto lo sguardo abbattuto di Faith. Non avevo firmato per tutto ciò. “Cioè, sì, lo sarò.”

    Faith chiuse il Nintendo e lo accostò. Per qualche ragione, mi mise più a mio agio. Parlò con un tono più grave di quello che avrebbe dovuto avere. “Quindi sei qui a sostituire la signorina Annabelle?”

    “No, no” tagliò di nuovo corto la dottoressa Waters. “Non la rimpiazzerà. Nessuno può sostituire la signorina Annabelle. Ti farà solo compagnia. Ora, torniamo subito.”

    Mi riportò nella stanza di passaggio, stando attenta a non far passare alcun bambino tra le fenditure. Sbirciai dietro le spalle, aspettandomi in parte che Faith avrebbe riacceso la sua console per riprendere ciò che stava facendo. Ma non avvenne. Il suo sguardo non mi lasciò mai e, anche se l’avevo vista sorridere per la prima volta, non ero sicuro. Sapevo già che questa bambina mi avrebbe messo alla prova in tutti i modi che sapeva che mi facevano paura. Non era uno sguardo maligno. Era piuttosto lo sguardo che ogni studente lanciava al proprio supplente. Dopo che la porta fu chiusa, feci chiaramente vedere alla dottoressa la mia irritazione.

    “Sono venuta a fare un documentario, non la babysitter!” Non ricordo esattamente come andò la conversazione, come d’altronde tutto il resto, ma questa interpretazione ci va vicino.

    “Questo è il nostro accordo, Jacobson. Prendere o lasciare.” Waters si fece risoluta. “È la paziente schizofrenica più giovane che abbiamo mai ricevuto. Sei stata fortunata ad averla perfino guardata, per non parlare della possibilità di interazione che ti sto dando! Guardala da questo punto di vista: la documenti, provi a capirla, e mentre fa ciò, credo che riuscirai ad aiutarla!”

    “E come?! Che posso fare?!”

    “Tocca a te capirlo! Abbiamo fatto tutto ciò che potevamo, signorina Jacobson. È diventata un pericolo per se stessa. Se Faith non farà presto progressi, il suo dolore potrà portarla a fare qualcosa di ancor più dannoso… magari pure fatale.”

    “Non è il tuo lavoro far sì che ciò non avvenga?”

    Waters scosse la testa, pronta a mettere da parte questa discussione. “È diverso, signorina Jacobson. Magari adesso non lo comprende, ma questa bambina è fuori dal nostro controllo. O accetta questa possibilità, o vada via adesso. Domande?”

    Troppe, pensavo. Nulla di tutto ciò aveva il minimo senso. qualche minuto in più di registrazione come aveva potuto trascinarmi lì? Ogni argomentazione che avevo contro quella donna era in netto contasto col mio senso di umanità. Ero troppo gentile. Volevo aiutare Faith più di ogni altra cosa. Come ci sarei riuscita, non ne avevo idea. Se una professionista non c’era riuscita, come poteva una studentessa che faceva riprese? Non ero neanche sicura di quale fosse il mio scopo. Come dovevo sapere se la stessi ‘aiutando’ o no? Perché mi stavo ponendo tutte queste domande ipotetiche a cui non ci sarebbe mai stata risposta? Non lo so. Erano tutte cazzate.

    “Allora?” chiese Waters. “Domande?”

    Sbuffai frustrata e pescai una domanda a caso nella mia testa. “Il suo Nintendo. A che serve? Sembra che sia l’unica bambina ad averne uno.”

    “Quel giocattolo?” La dottoressa era inizialmente confusa. “Non sono sicuro di cosa sia o che cosa ci faccia. Un’infermiera l’aveva preso dall’ufficio oggetti smarriti. Uno degli studenti lo aveva perso.”

    “Quindi perché adesso Faith ce l’ha?”

    “Beh, prima Faith era una bambina molto fredda e spastica. Pensavamo che tutto ciò di cui aveva bisogno fosse interagire con altri bambini, ma gli altri avevano paura di parlarle e lei non voleva avere nulla a che fare con loro. Quando l’infermiera le fece vedere il gioco, si calmò e si concentrò su di esso. Così diventò approcciabile dagli altri. Quindi, abbiamo pensato, perbacco. Lasciamoglielo. Da allora, i suoi scatti d’ira sono passati dall’essere quotidiani al capitare una volta ogni due o tre giorni.” Waters si girò facendo ondeggiare i suoi capelli mori. “Ora, se non le dispiace, ho cose più importanti a cui pensare.”

    “Mi sta lasciando qui?”

    “Certamente. La scorsa notte sono stata chiamata ad una conferenza a Washington. Andrà tutto bene. Ci sono tante infermiere preparate che ti daranno una mano se necessario. Ti auguro buona fortuna per il documentario, signorina Jacobson.” Disse, mentre apriva la porta. Prima di sgusciare fuori, si girò un’ultima volta. “Potrebbe piacerti o non piacerti quello che scoprirai..”

    … E finì lì. Questo termina quanto mi ricordo fino a quel punto. Il racconto è abbastanza scarno, ma i ricordi funzionano così. Non mi aiuta il fatto che ogni parola che scrivo si basi sui miei battiti rapidi. Fortunatamente non mi serve ricordare ogni dettaglio. Pensai al da farsi. Dopo che il secondo giorno era giunto alla sua conclusione, mi misi a cercare qualsiasi pezzo di carta avessi portato. Non ero una giornalista, ma sapevo come organizzare i miei pensieri come se lo fossi. Trovai un blocconote piccolo e immacolato nelle mie bisacce, e di notte trascrissi quanto il più possibile. Un rapporto. Direi che al tempo avevo pensato che lo avrei usato come blocconote per il documentario che non ci sarebbe mai stato. Ora è soltanto una cronaca maledetta dei veri orrori che giacciono dietro le loro porte.

    E ne condividerò ogni parola:


    - 14 aprile 2014. Oggi è stato il primo giorno passato con Faith.

    - Poco dopo essere stata lasciata a me stessa dalla dottoressa Denise Waters, la raggiunsi nella stanza dei bambini. Passai i primi istanti seduta accanto a lei, in silenzio, osservandola mentre giocava con il suo Nintendo DS. Lo riconobbi subito, dal momento che ero una giocatrice appassionata. Era uno dei primi giochi a cui avevo giocato sul DS. Era Kirby Super Star Ultra e devo dire che era arrivata abbastanza lontano, per una ragazzina della sua età. Stava già affrontando le boss battle consecutive nel livello chiamato “L’Arena Finale”. Per completare quel livello in questione ci misi una vita.

    - Dopo aver visto la sua sconfitta contro il boss Wham Bam Rock, finalmente si rivolse a me e, fredda come una pietra, mi disse: “Non mi piaci.” Le chiesi perché. “Sei qui per rimpiazzare la signorina Annabelle. A me piaceva la signorina Annabelle.”

    - In quel momento avevo sentito quel nome un paio di volte. La mia curiosità si impennò. “Chi è la signorina Annabelle? Cosa le è successo?”
    - Faith chiuse il suo DS e si girò quasi malinconicamente. “La scorsa notte gli è venuta fame. Lei lo ha nutrito.”

    - Non ero esattamente sicura di cosa intendesse con ciò. Forse quando la signorina Annabelle è andata in ferie, aveva detto a Faith che un suo cucciolo aveva bisogno di essere nutrito. Optai per quella teoria, considerando il fatto che non ero riuscita a ottenere altro da lei.

    - Faith è una tipica paziente affetta da schizofrenia. Fortunatamente ho portato il mio computer per condurre delle ricerche quando possibile. Non riuscendo a dormire la scorsa notte, ho cercato su Google la schizofrenia per avere una breve panoramica. Come avevo notato, Faith non era esattamente la persona più concentrata con cui abbia passato del tempo. A volte, era come se non mi stesse neppure parlando. Era abbastanza spastica e cambiava di continuo argomento su cose a caso, che il più delle volte avevano a che fare con quel gioco. Ero grata di sapere ciò di cui stesse parlando; sono sicura che chiunque altro di questo istituto che sia riuscito a parlarle non poteva seguire una conversazione sul ruolo gerarchico di King Dedede o sulle basi fondanti della Mecharagosta. È una bambina intelligente, considerando il suo stato mentale.

    - Iniziai a piacerle di più dopo che iniziarono quelle conversazioni sul gioco. All’inizio, era fissata su un’unica cosa: farmelo giocare. Mantenni le mie posizioni e rifiutai sempre. Non avevo molta familiarità con i casi di schizofrenia e avevo paura delle conseguenze che avrebbero potuto esserci se avessi tenuto il DS troppo a lungo. Forse si sarebbe scordata di avermelo prestato e mi avrebbe attaccato per riaverlo. Certamente non era troppo contenta dell’infermiera che glielo aveva preso l’altro giorno. Non avrei preso un rischio con una bambina che a malapena conoscevo. Era stata insistente, ma una volta saputo che conoscevo un po’ il gioco, le sue suppliche di certo non sparirono.

    - Anche se aveva giocato al grosso del gioco, mi chiedeva spesso consigli su come andare più avanti. Il suo intero mondo era affisso su quel gioco. Sembrava che fosse l’unica cosa che dava significato alla sua vita, connettendola a chi le stava intorno. Gli altri bambini erano affascinati da quel piccolo dispositivo, che l’aveva resa una celebrità locale. Capisco perché le fosse così caro.

    - Una volta acquisita confidenza l’una con l’altra, iniziammo a fare di più insieme. Giocare semplicemente a passaggi con una pallina è stato intrattenente per lei: sorprendente in qualche modo, considerando il genere di stimoli che riceve dal gioco. Suppongo che non desiderasse il gioco in sé, ma la compagnia. Forse questo è ciò che intendeva la dottoressa Waters quando disse che avrei potuto aiutarla. Essere una regista implica avere una mente aperta, essere persistenti e lavorare duramente, con pochi pregiudizi dietro. Forse ha fatto la scelta giusta chiamandomi. Il resto della giornata passò svolgendo attività casuali, e presto si scordò perfino di menzionare il gioco.

    - Me la presi con calma, fino alla fine. All’imbrunire, Faith era perfino triste nel vedermi andare via. Non scoprii molto su di lei, ma almeno adesso ha più confidenza con me. Non è chi pensavo che fosse. A differenza degli altri pazienti, è umana. Ha la testa apposto. Per ogni secondo che passo con lei mi sembra sempre più… umana. Sa cosa succede. Non è pazza come dicono. È una bambina, come tante che ho visto. Qualcosa qui sembra fuori posto… e voglio andare in fondo a tutto questo.
     
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