Votes taken by FlesCurtis

  1. .
    CITAZIONE
    Mi deludi. Credevo che mi conoscessi abbastanza da capire che il mio disprezzo non si basa semplicemente su una questione razziale (bensì su una più ben radicata questione etica e politica), dato che non ne sono proprio il tipo.

    Allora, dipende... se uno è razzista perché si basa su vecchi preconcetti o stereotipi, allora non lo considero.

    Se invece una persona diventa razzista perché ha subito dei torti da una o più persone di un'etnia o nazionalità, allora ci si può immedesimare nella persona e ci si può parlare civilmente.
    Ad esempio: perché buonaparte delle ditte italiane di tessitura chiudono? Per vacanza? No, perché la manodopera cinese costa meno, di conseguenza i prodotti costano meno... e quindi buona parte della gente preferisce spendere poco ed acquistare un prodotto cinese piuttosto che spendere di più e prendere un prodotto italiano.


    Edited by Fles Curtis - 26/4/2013, 01:11
  2. .
    L'orologio segnò le 18:00, ed Erik non era ancora arrivato. Il dottor Swinn, impazientito dalla lunga attesa, tamburellò energicamente le dita sul tavolo. Fuori pioveva a dirotto, mentre il cielo nuvoloso si imbruniva sempre di più. Il dottor Swinn afferrò la sua penna e incominciò a rigirarsela tra le dita, sbuffando e fischiettando impazientemente.

    Ad un tratto, sentì qualcuno salire le scale, e il cuore iniziò a battergli impazzito. Dalla fronte scese un rivolo di sudore e le mani incominciarono a tremargli. I passi si avvicinavano sempre di più, e quando i passi si fermarono dietro la porta, il fiato gli si bloccò in gola. La maniglia ruotò e la porta si aprì. Erik entrò in aula, e salutò il medico.

    - B... buonasera. - balbettò Erik, intimorito. Il dottore lo accolse con un largo sorriso.
    - Buonasera a te, caro Erik. - rispose cortesemente il dottore. Il dottor Swinn era uno dei migliori psicologi di tutta la zona, perché riusciva ad immergersi nei pensieri del paziente, e da lì riusciva ad estrarre e a dissipare tutti i problemi insiti nella mente del soggetto. Era amato dai suoi pazienti e non c'era persona più in gamba di lui.

    Il ragazzo si sedette sulla sedia, posta davanti alla scrivania del dottore. Dopo essersi seduto, ci fu qualche secondo di silenzio, poi il dottore parlò.
    - Bene, allora... come stai Erik? - domandò allegramente al ragazzo, dandogli una pacca sulla spalla.
    - Male... - rispose Erik, con lo sguardo rivolto verso il basso. - Va tutto male. -
    Il dottore inarcò le sopracciglia. - Come sarebbe a dire? Perché? Che cosa ti è successo? -
    - La mia vita è una merda, una lurida merda. Tutto va da schifo. La scuola, le amicizie, la famiglia... tutto. - rispose Erik. Il dottore lo osservò, aveva il volto pallido, e gli occhi erano avvolti da due occhiaie violacee. Dai suoi capelli neri spettinati alcuni ciuffi scendevano sugli occhi. Pareva che il giovane non dormisse da giorni.

    - Perché? Qual'è il problema che ti affligge? - disse il dottore, preoccupato.
    - E' la vita che mi affligge, questa vita del cazzo che sto vivendo. - rispose il ragazzo.
    -Beh... parliamone! Sono qui per aiutarti! - lo incitò il dottore, adottando un tono allegro e confidenziale.
    - Certe volte, mi chiedo quale sia lo scopo della mia esistenza.- disse Erik.
    - Che cosa intendi dire? - domandò il dottore.

    Erik emise un lungo sospiro, e poi parlò. - Ci ho riprovato, ieri sera.-

    Il dottore aggrottò la fronte. Gli occhi, dietro le lenti degli occhiali, fissavano ininterrotamente il ragazzo. Ci fu qualche secondo di silenzio.
    - Ma, non ne avevamo già parlato? Mi avevi detto che non lo avresti più fatto! Sei così giovane, perché buttare la tua vita così? - chiese il dottore ad Erik.
    - Perché è una merda, ecco perché. - rispose Erik, turbato dalla domanda del dottore.
    - Io non so... capisco che quando si è giovani si vivono sempre dei periodi in cui si è scontenti. Ma è una cosa passeggera, perché con la crescita si matura e si percepiscono le cose belle della vita. Te lo ripeto: sei giovane, non buttare la tua vita così! - esclamò il dottore.
    - Lei non è nella mia situazione, come può capire? - domandò seccato il ragazzo.
    - E' proprio per questo che ti voglio aiutare, voglio immedesimarmi nella tua situazione... e voglio risolvere i tuoi problemi. Tutti hanno dei problemi che non riescono a risolvere, spetta a me aiutare queste persone. - disse il dottore, sorridendo.
    - Allora non sono la persona giusta da aiutare. - rispose ostinato il ragazzo.

    Il dottore prese un block notes e scrisse alcune cose. Mentre scriveva, rassicurò il ragazzo.
    - Tranquillo, riusciremo a trovare una soluzione. -

    Il ragazzo continuava a guardare la scrivania, mentre la pioggia tamburellava sul vetro della finestra e l'orologio sulla parete ticchettava ininterrottamente.

    Il dottore smise di scrivere.
    -In famiglia come va? -
    - Da schifo, mio padre non c'è mai la sera. E i miei fratelli stanno sempre per i fatti loro, senza preoccuparsi di nessuno. - disse il ragazzo.
    - ...è a causa della morte di tua madre? - domandò il dottore.
    - No, non è per quello. Anche se ci fosse stata lei, non sarebbe cambiato nulla, non sarebbe... - improvvisamente, una lacrima scese dalla guancia del ragazzo e il dottore ansimò.

    - Cielo, mi dispiace. Non dovevo riparlarne. - si scusò il medico. La madre di Erik era morta in un incidente stradale, e la sua morte aveva sconvolto moltissimo il ragazzo.

    Il giovane Erik si strofinò le guancie.

    - Sembra quasi che a mio padre e ai miei fratelli non importi nulla. - disse Erik, balbettando.

    - Non gliene frega niente di mia madre! - urlò il giovane, tirando un pugno sul tavolo.
    Il giovane tremava... dai suoi occhi grondavano lacrime e rabbia.

    - Non so, non ti conviene parlarne con loro? - chiese il dottore a Erik.
    - E cosa servirebbe?? A niente!! Non è mai servito a niente!! Di me non gliene importa nulla!! - urlò il ragazzo.

    - Tutte le volte che ho provato ad ammazzarmi... per porre fine alla mia lurida vita, a loro non gliene mai importato nulla!! Pensavo che se avessi incominciato con la pillola... mi sarebbe tornato su il morale. Dicevano che solo lì potevo buttare la mia depressione... non ci sarebbe stato altro! Nient'altro!! - Erik urlava e piangeva impazzito, mentre tempestava di pugni il tavolo.
    Il dottore era lì... sconvolto, mentre il giovane piagnucolava come un bambino.

    Erik era un ragazzo depresso... disturbato. Tipico di tanti giovani. Scontenti della loro vita, si buttano nel fumo, nell'alcol e nella droga... per poi condurre la propria esistenza alla più totale rovina.

    E poi? Chi li deve aiutare? I genitori? I genitori fanno tutto il possibile per aiutarli.

    Li sfamano... li accudiscono... li proteggono anche a costo della loro vita. E questi ragazzini come li ripagano? Li insultano, li minacciano, li sfottono e disobbediscono alle loro regole. Perché è proprio questo il bello dell'essere giovani: ribellarsi ai più grandi. Oh, ma questo lo credono loro...

    - Mamma... perché mamma? Perché sei morta? Perché?? - strillò il ragazzo.


    - L'hai lasciata morire... - sussurrò pacatamente il dottor Swinn.

    Il ragazzo si pietrificò. Alzò lo sguardo. - Co... come? - domandò incredulo.

    - L'hai lasciata morire... - ripetè l'uomo.

    - C... chi? - il giovane non credeva alle proprie orecchie.

    - Chi? Ma quell'emerita stronza di tua madre... chi se no? - rispose l'uomo.

    Il dottore sbarrò gli occhi e sorrise, mostrando i denti. Il ragazzo spalancò la bocca in una smorfia d'orrore. Poi, balzò dalla sedia e si allontanò. Il dottore sapeva di aver fatto centro. Era il momento giusto per colpire fino in fondo quell'indifesa e squisita mente da cucciolo.

    - Lo sai che a nessuno importa di te? Se tu sparissi nessuno piangerà la tua scomparsa. Anche tuo padre mi ha detto che di te non gliene importa niente. Anzi, una spina nel fianco in meno! Oh, mi spiace non avertele dette prima queste cose... ma sai, io sono qui per aiutare la gente. Se poi devo sopportare un emerito moccioso depresso come te, allora quello da aiutare sono io! Chi mi aiuta a me? -
    Quelle del dottor Swinn non erano tutte menzogne, lui era davvero stanco. Stanco di una società di giovani svogliati, egoisti e buoni a nulla. Ha passato anni e anni a parlare con i giovani, a conoscere i loro banali problemi, e ad aiutarli. Aveva sempre fatto tutto il possibile per loro... e lo avevano sempre ringraziato in questo modo.

    Come può capire lei? Cosa ne può sapere? Lei non sa come mi sento! Lei non capisce! Lei non è in grado! Lei... lei... lei...

    Povero dottore... non ne poteva più dei problemi della gente. Pensate: uno psicologo che diventa misantropo. Nulla di più controverso.

    Il ragazzo, spaventato, si precipitò alla porta. La aprì e scappò fuori, dimenticandosi di chiuderla. Il dottore, tranquillamente, uscì dalla porta ed urlò:

    - Mi raccomando... una cosa veloce! Qui non c'è più niente per te! - il dottore si abbandonò ad una folle e maligna risata. Poi, tornò nella stanza. Si mise la giacca, ripose tutte le sue cose nella sua ventiquattrore. Uscì dalla stanza e chiuse la porta a chiave. Scese le scale e si incamminò verso l'uscita.

    Il dottor Swinn sapeva che non c'era niente di cui preoccuparsi. Il ragazzo si sarebbe ammazzato, i parenti avrebbero pianto per giorni e giorni, li avrebbe spedito una lettera di condoglianze e avrebbe partecipato al funerale del ragazzo. Poi, sarebbe toccato al prossimo.

    Era questo il suo modo di liberarsi degli adolescenti.
    Fingeva di aiutarli, li ascoltava, e mentre loro parlavano... lui, come un bimbo curioso, rovistava nella loro mente... e poi, al momento giusto, li mostrava che volto aveva il Male. E dopo, i piccoli avrebbero fatto da sè... nulla di più semplice! Alle autorità il dottore avrebbe finto di essere sconvolto della loro morte, e come in un lampo, l'ambaradan sarebbe scomparso e la morte sarebbe stata dichiarata come semplice suicidio... fine della storia.

    Il giorno dopo avrebbe avuto un colloquio con una giovane fanciulla. La giovane era tormentata dal rimorso di aver venduto i gioielli della madre e di essersi offerta a degli estranei... tutto ciò soltanto per racimolare soldi ed acquistare delle scarpe firmate e un cellulare di ultima generazione. Il dottore, mentre pensava alla ragazza e alla reazione che avrebbe avuto alla fine della tredicesima seduta, contrasse la bocca in un divertito e diabolico sorriso.

    Aprì la porta, ad accoglierlo all'uscita il rumore incessante della pioggia. Prese il suo ombrello nero, lo aprì, e si incamminò... fischiettando allegramente.

    Edited by Fles Curtis - 27/4/2013, 13:40
  3. .
    CITAZIONE
    Cerchiamo di evitare bisticci, e se uno dice ''bella grammatica'' non è offesa, ma una sorta di impulso a correggere gli strafalcioni grammaticali.

    Eh ci son modi e modi comunque. Se è la prima volta che uno scrive bisogna adottare un tono si, duro, ma non deve avere alcun "sentore" di scherno. "Bella grammatica" è un eufemismo che a prima vista suona chiaramente come scherno... e questo può sia dar fastidio, sia inasprire il rapporto con gli altri utenti. Forse non ve ne rendete conto, ma non potete sempre sapere come viene recepito il messaggio dall'altra parte dello schermo.
  4. .
    CITAZIONE
    Sono costretto ad aggiungerti tra i crediti, grazie per la segnalazione.

    Tranquillo, non sei costretto ad aggiungermi ai crediti, ho solo sistemato due frasi che non suonavano bene.

    CITAZIONE
    Pulire il topic, facile scriverlo.

    Ahhh lo staff esiste anche per questo, non preoccuparti. ;) No beh, se volete più bisticci che commenti, fate pure...ehehehe.
  5. .
    CITAZIONE (~Roluga @ 2/4/2013, 16:36) 
    Cos'è questa caverna?
    Le foto che ha fatto cosa rappresentano?

    Ipotesi 1
    La caverna è il luogo dove tutti si ricongiungeranno... quando la vita terminerà. La caverna è dentro le viscere dell'immensa ed antica Creatura. Essa è nata dapprima della nascita del nostro pianeta e dell'intero cosmo. Al suo interno, quando moriremo, le nostre anime si inabisseranno nelle profondità della grotta... e verranno consumate, disperdendosi per sempre.

    L'audio che ho postato è molto simile al suono che rieccheggia al suo interno... una specie di cupa melodia che dura all'infinito.

    Questa è l'ipotesi dell'oscura caverna... le viscere dell'Antica Creatura... il Grembo della Tartaruga.


    Ipotesi 2
    Hans ha delle patologie ben definite. Durante la notte, può aver fatto un incubo talmente vivido da restare impresso nella sua mente fino alla sua morte... influenzando sia la sua stessa vita, sia quella della dottoressa Karmann.

    La dottoressa accennò ad una curiosa fobia del soggetto a proposito delle zucche... dell'interno delle zucche. Quindi quelle foto potrebbero essere l'interno di una zucca... ma Hans, stando ad alcune testimonianze, non era mai entrato nelle cucine dell'ospedale... quindi il come sia riuscito a fare quelle strane foto... resta un mistero.

    Edited by Fles Curtis - 7/4/2013, 14:01
  6. .
    Questa è la storia di Paolino (chiamiamolo Paul) e dei suoi quattro amici. Paul e i suoi quattro amici erano sempre stati compagni di classe per tutto il periodo dell'infanzia. Purtroppo, in terza media, il giovane lasciò la scuola. La sua famiglia era troppo povera per acquistare i libri scolastici... e questo rattristò molto i suoi amici. I ragazzi fecero di tutto per tirarlo su di morale . Lo invitavano alle feste, gli facevano regali... come dei veri amici. Con le superiori l'amicizia si rinforzò ancor di più. Quand'eran tutti diciassettenni, i giovani venivano sempre nel locale di Paul. Paul lavora con la sua famiglia in una piccola e modesta trattoria fuori paese. Come si divertivano! Quando andavano a casa sua passavano pomeriggi interi ad accarezzare Ettore, il Labrador nero di famiglia. Ma Paul era triste.
    Mentre gli anni passavano e i suoi amici si avvicinavano al diploma, lui era rimasto ancora indietro.

    Dopo le superiori, i quattro ragazzi andarono tutti all'università. Erano mesi che Paul non li rivedeva. Provava a chiamarli ma la chiamata risultava sempre inesistente. Provò a contattarli su internet, solo uno dei suoi quattro amici rispose. "Purtroppo in questo periodo siamo pieni di esami e ci risulta difficile svagarci" disse il suo amico. Paul comprende, e lo saluta. La crisi economica aumenta sempre di più e ogni serata alla trattoria è sempre più scarsa. Gli incassi diminuiscono e le bollette rincarano. Il papà di Paul invecchia ogni giorno che passa e riesce a sfamare a stento una famiglia di tre persone. La mamma piange tutte le notti, suo fratello e sua sorella vogliono scappare di casa. Migrare altrove, alla ricerca di un futuro. La famiglia di Paul ha alzato i prezzi della trattoria, ma la situazione non migliora affatto.

    Era un sabato sera e nel locale non c'era nessuno. Ad un tratto, la porta si aprì ed entrarono i quattro vecchi amici di Paul. Erano tutti attillati, eleganti e con abiti di moda. Avevano genitori benestanti e non potevano provare il terribile sconforto della povertà. Insieme a loro c'erano quattro splendide ragazze. Quando Paul le vide, arrossì. -Hey ciao ragazzi!- disse il giovane ai suoi vecchi amici. Solo uno si girò a guardarlo. Gli fece un cenno con la mano e Paul ricambiò con un sorriso. Si avvicinò al tavolo e i suoi amici aggrottarono la fronte. Egli notò che i suoi amici non erano poi così disposti a parlare con lui, quindi Paul li lasciò stare. Mentre era in cucina, li sentiva parlare. Parlavano dei prezzi, del locale, e di lui. A sentire quelle parole al ragazzo venne da piangere. -La topaia non è cambiata...- disse uno. -Che razza di prezzi fanno??- disse l'altro. -Dopo dite al vostro amico di docciarsi.- disse a voce bassa una ragazza. Ci fu un susseguirsi di risatine ed imitazioni. -Hey ciao ragazzi!- disse uno, imitando la sua voce. Era pietrificato, erano sempre stati i suoi vecchi amici. Gli bruciava la gola e gli veniva da vomitare. A stento tratteneva le lacrime. Poi, si ricordò che doveva andare a prendere l'ordine al loro tavolo. Prese coraggio, afferrò il suo block notes e si diresse verso il tavolo. Le ragazze sviarono lo sguardo e suoi amici guardavano altrove. Solo uno dei suoi amici ordinò qualcosa, quello che lo aveva salutato prima. Ordinò una porzione di patatine fritte. Gli altri non ordinarono niente, nemmeno da bere. Paul se ne andò in cucina per riempire la friggitrice di patatine. Mentre friggevano, si mise a piangere. Sua madre accorse ad abbracciarlo. I suoi amici non lo consideravano più. Era come un estraneo. Andò il fratello di Paul a servire la porzione di patatine.

    Pochi minuti dopo, il tavolo si svuotò. I ragazzi se ne andarono senza salutare, parlottando tra di loro. Paul si avvicinò al tavolo per portare in cucina il vassoio di patatine. Il vassoio era praticamente pieno di patatine e sul tavolo c'erano delle banconote da 5 euro ed alcune monete, lasciate come mancia. Raccolse il denaro, e prima di metterlo in cassa, lo contò. Tra banconote e monetine, la mancia risultava 28,50 euro. Da un lato, Paul se ne rallegrò Dall'altro, la cosa lo rattristava. I suoi amici avevano intuito la loro situazione economica, e quella mancia rappresentava per lui solamente una bieca azione di carità.
    Quando ritornò a casa, Paul scatenò la sua rabbia. Prese a pugni il muro e si strappò i capelli. Si morse e si graffiò la faccia. Poi, si buttò nel letto e scoppiò in lacrime.

    Passarono tre anni, le tasse aumentarono e la madre di Paul vendette la sua macchina. Il fratello sta raccogliendo i soldi per andarsene in America e Paul ha notato che sua sorella torna a casa sempre più tardi. La sentì rientrare alle 3:00 di mattina e quando sua sorella salì le scale sentì il rumore inconfondibile di tacchi a spillo percorrere il corridoio, per poi sparire nella camera da letto. La mattina seguente trovò tre banconote da 50€ sul tavolo. Per tre giorni non vide più sua sorella, in casa si dice che il papà l'abbia riempita di botte.

    Una sera, tornarono i vecchi amici di Paul. Questa volta, si dimostrarono molto più amichevoli, lo invitarono pure a tavola, dopo aver cenato. Il giovane si sentiva a disagio a stare tra di loro, trasandato com'era. Ormai mancava poco al termine dell'università e l'argomento della serata era la tesi di laurea. Alcuni l'avevano già iniziata ed erano decisi su quale argomento portare, altri invece no. Paul non sapeva molto di quelle cose, pronunciavano termini a lui sconosciuti. Non sapeva nemmeno che cosa stessero studiando e in che cosa si stessero laureando. Parlavano di attualità, di politica, di economia e di futuro. Uno di loro chiese a Paul il suo parere sullo spread. Una ragazza chiese, ironicamente, se sapeva almeno cosa fosse lo spread. Il giovane chinò lo sguardo e balbettò. Si sentì come alle elementari, durante un interrogazione, quando non sapeva come rispondere a una domanda. Solo che alle elementari era la maestra a fare le domande, non i suoi vecchi compagni. Un altro amico chiese a Paolino cosa ne pensava del fatturato del proprio locale. Paul disse. senza sapere di che cosa stesse parlando, che ne era felice e i suoi amici si misero a ridere, perche sapevano che Paolino non era a conoscenza di cosa fosse il fatturato di una attività. Gli amici rincararono la dose di domande, alcune amiche fecero notare degli errori grammaticali nel menù. Poi, Paolino se ne andò. Sentì uno dei loro amici gridargli alle spalle. -Dove vai??- per poi segure una graffiante risatina. Povero Paolino, umiliato nella sua ignoranza.

    I mesi passano... e a Paolino incominciano a passare per la testa strani pensieri. Erano anni che lo umiliavano, nel suo locale! Come si permettevano! Oh oh! Ma Paul ha strani pensieri per la testa... brutti e strani. Cioè, insomma: il lavoro va da schifo, la sua famiglia vive da schifo, lui viene trattato da schifo dai suoi ami...ex-amici che entrano nel suo locale per sedersi, umiliarlo e fingere di aver pietà di lui come fosse un cucciolo abbandonato. Come si può andare avanti così?

    Dopo lavoro, quando tornò a casa con la famiglia, aspettò che suo padre se ne andasse a dormire, lasciando libera la cucina. Paolino entrò in cucina e aprì il frigo. Prese l'utimo yogurt rimasto. Dopodichè, aprì il cassetto delle posate per prendere un cucchiaino. Mentre lo cercava, i suoi occhi si posarono su un grande e affilato coltello da cucina. La lama scintillava alla luce della lampada. Lo afferrò e, ad un tratto, incominciò a solleticargli il palmo della mano. Un delizioso formicolio gli percorse il braccio, salendo poi per il collo e arrivandogli nel cervello. Era come se al sua rabbia si fosse concentrata tutta nella sua mano. Rigirò il coltello, guardando la lama come fosse la cosa più bella del mondo. Poi, poggiò il coltello sul tavolo e aprì lo yogurt, trangugiandolo con gusto.

    Ogni mese che passa Paul non pensa ad altro. Passa pomeriggi e notti intere a scervellarsi su come farlo. Nel locale? No no... figurarsi! Attirarli in bagno? Chi per primo? Quando? Pensando pensando... Paul riuscì a decidersi. Domani li avrebbe aspettati in bagno e li avrebbe sistemati... una volta per tutte.

    La sera seguente. in trattoria, i genitori di Paolino discutevano: avevano deciso di vendere il locale. Il difficile era trovare un acquirente che avrebbe pagato bene. Ad un tratto, la porta si aprì ed entrarono i vecchi "amici" di Paul. Paul li sorrise, in fin dei conti... era contento di vederli, no? Si sedettero al tavolo e incominciarono a discutere sulla tesi di laurea, ormai mancava poco. Paulie non si inserì nel discorso, doveva tenere d'occhio la situazione. I minuti passarono e Paolino incominciò ad innervosirsi. Gli sudava la fronte e sentiva il coltello nascosto dietro la cintura tremare e sussultare. Poteva persino sentire la sua voce, nella sua mente. Una voce che insisteva e insisteva. Una voce che chiedeva GIUSTIZIA. Ad un tratto, uno degli amici si alzò, e a Paolino incominciò a ribollire il sangue. Ma la preda non puntò il bagno, puntò invece l'uscita. Il tizio uscì dalla porta e si accese una sigaretta. Pochi minuti dopo, se ne andarono tutti, lasciando i soliti 20 euro sul tavolo... come commiserazione. Povero Paul... aveva fallito. E un dubbio lo assaliva: e se non fossero più tornati? Ormai l'università stava finendo e dopo sarebbero spariti tutti. Paulie non resisteva più. Ogni volta che pensava a loro e a quello che gli avevano fatto, il cervello gli pulsava e si contorceva come se una piovra vi si fosse avvinghiata e lo stesse stringendo. Doveva farla finita, era questione di giorni.

    Durante la settimana Paolino fece una strana scoperta. Anche il papà rientrava tardi. Colto da un presentimento, Paolino sbirciò nel protafoglio di suo papà, e trovò ben tre banconote da 100! Dove le aveva guadagnate? Con quei soldi riuscirono, in ritardo di una settimana, a pagare la bolletta della corrente... ma sai com'è, quando si finisce di pagare una bolletta subito ne spunta fuori un'altra.

    Tutte le volte che il telefono squillava, tutti si precipitavano alla cornetta con la speranza di parlare con un acquirente che avrebbe pagato bene il locale. Ma ogni volta erano le compagnie telefoniche con le loro pubblicità. La situazione in famiglia era al limite e spesso nella cassetta della posta compaiono lettere anonime contenenti delle banconote da 50 euro. E ogni volta che mia mamma le vede, scoppia a piangere. Tutti i nostri parenti sapevano della nostra situazione ed era ingiusto ricevere soldi da loro. Il cibo incomincia a scarseggiare e il povero Ettore sta giornate intere in soggiorno con la ciotola in bocca, nella speranza che qualcuno lo sazi.

    Il fratello sta risparmiando i soldi per acquistare un biglietto per lo Utah, mentre la sorella non si fa più vedere in trattoria. Nel locale di Paul in una settimana si sono fatti vedere appena dieci clienti. A volte entrano delle persone strane in sala che chiedeno del padre di Paul... e che appena lo vedono, prontamente, lo accompagnano fuori dal locale. Dal vetro della porta vede suo padre ridere e scherzare... ma Paul lo sa che c'è poco da scherzare, e lo sa anche suo padre. La famiglia di Paul passa le notti insonne e l'unica fonte di guadagno è il lavoro "redditizio" della sorella.

    La mattina seguente Paul si svegliò col cuore in gola. Dal piano di sotto proveniva un trambusto di grida e vetri spaccati. Paul corse di sotto e vide in cucina il padre buttare a terra i bicchieri nella credenza e prendere a calci le sedie, mentre la mamma lo implorava di smettere. Paolino afferrò il corpo imponente di suo padre e lo bloccò, poi giunsero anche i suoi fratelli che lo immobilizzarono. Il padre si inginocchiò e scoppiò in lacrime. La moglie lo abbracciò e insieme a lei si unirono pure i fratelli. -E...Ettore... Ettore!!- esclamò il padre, mentre singhiozzava. Paul e i suoi fratelli si catapultarono fuori dalla porta di casa. Ettore era sdraiato sull'erba, a pochi passi dalla veranda davanti casa. Paul si avvicinarono ad Ettore e appena videro il volto, la sorella lanciò un grido d'orrore. La testa di Ettore era totalmente fracassata e il corpo del povero cane era dilaniato da lacerazioni. La pelliccia grondava di sangue e il terreno intorno al corpo senza vita del cane ne era totalmente zuppo. Accanto al corpo senza vita dell'animale, c'era un foglio con un pezzo di carta con sopra scritto in un elegante calligrafia "Speriamo abbiate compreso." e accanto ad esso c'era un pacchetto di fiammiferi. I vicini giunsero in massa e pochi minuti dopo giunse pure la polizia. Chiesero al padre se aveva già subito delle minacce in passato e se conosceva delle persone poco affidabili. Il padre mentì, dicendo che non conosceva nessuno. La polizia aprì un'inchiesta e il corpo di Ettore venne portato via. Quello fu il giorno più brutto che la famiglia avesse mai vissuto. Paul passò il pomeriggio intero ad auto-lesionarsi e a strangolarsi, per poi disperarsi e piangere da solo, nella sua camera... al buio. Uno scemotto direte voi, ma il povero Paul non se la passa poi così tanto bene!

    L'inverno stava arrivando e la famiglia teme il peggio. Poteva essere il loro ultimo inverno. L'insegna e le luci in sala erano accese. Il locale era pulito e luccicante. Il padre e la madre erano in cucina e il fratello stava passando lo straccio sul lungo bancone di legno accanto alla cassa. C'era pure la sorella di Paul, con il suo grembiulino nero e la sua lunga treccia castano. Stava dando una spazzata al pavimento, mentre il nostro Paul attendeva accanto alla porta, in attesa di un cliente da accogliere con un sorriso. La famiglia di Paul aspettava...aspettava l'arrivo di clienti affamati che, dopo aver consumato il loro pasto, se ne sarebbero andati soddisfatti e con la voglia di ritornarci di nuovo. Se ne sarebbero andati a casa e avrebbero detto alla loro famiglia dove fossero andati. Avrebbero detto come si mangiava bene, in quel luogo. Avrebbero decantato il filetto arrosto che la mamma aveva preparato con cura... avrebbero riverito la cameriera, i cuochi e il proprietario del locale. Migliaia di speranze perseveravano nella mente dei nostri amici, mentre i minuti passavano e i minuti diventavano ore. Ad un tratto, arrivò una macchina.

    Ne uscirono quattro ragazzi più una ragazza. Si avvicinavano lentamente all'entrata del locale e quando entrarono, il nostro Paul non poteva far altro che sorridergli. Erano loro! I suoi vecchi amici! Quelli che avevano trattato per anni il nostro mitico Paul come una pezza da piedi! Erano arrivati... finalmente! Paul era felicissimo di vederli, li avrebbe serviti come dei pascià, perchè questa era l'ultima volta che sarebbero venuti. Paul corse in cucina a preparare una maxi porzione abbondante di patatine fritte. Poi corse da loro e arzillo e pimpante chiese che cosa volessero ordinare.

    Questa volta, gli amici ordinarono una cena completa di tutto. Antipasto, primo e secondo. E ovviamente, una bella birra media dorata e rinfrescante. La loro ordinazione occupava ben due pagine intere del block notes e quando Paul ritirò i menù sul tavolo, corse in cucina a prendere le patatine, che oramai erano fritte a puntino. Le sistemò su un ampio vassoio ovale e le condì con salse varie. Sorridendo, le portò al tavolo dei bastardi e lo posò sul tavolo. -Offre la casa!- disse Paul ai suoi vecchi amici. Poi, sgattaiolò in cucina. Incominciarono a papparsele con gusto. Che cosa strana, tutti i suoi famigliari erano tristi, mentre lui era allegro. Ogni ordinazione arrivò al tavolo e i suoi amici incominciarono a mangiare. Ma loro non avevano fame in verità... mangiavano così per accontetarlo. Come l'avevo chiamata prima? "Bieca azione di carità". E mentre mangiucchiavano, la ragazza si alzò e andò in bagno. Passarono quasi due ore tra discorsi di politica, di gossip e di università. Ormai gli esami erano vicini, la laurea era alle porte... beh, all'incirca. Paul aspettava in cucina... aspettava... aspettava. Si grattava e si mangiava le unghie, mentre muoveva freneticamente la testa. Camminava come un puma in una gabbia, avanti e indietro... avanti e indietro. -Che ti prende??- disse la madre. -Niente...ho solo freddo.- mentì quel birbante. Paul incominciò ad impazientirsi, era quasi tentato ad andare da loro e invitarli ad uscire. Pochi minuti dopo, in sala si udì il soave suono dello strisciare delle sedie sul pavimento. Si misero la giacca e buttarono sul tavolino delle banconote da venti, poi si avviarono verso l'uscita. Uno di loro, quello più amichevole, si avvicinò a Paul e gli disse: -Dopo gli esami ci trasferiremo in america, ed è improbabile che tu ci riveda ancora. Volevamo soltanto salutarti per l'ultima volta e volevo ringraziarti per ciò che hai fatto per noi. Ovviamente parlo a nome di tutti, anche loro ti sono grati e vi auguro con tutto il cuore di riuscire a passare l'inverno.- Poi gli strinse la mano e se ne andò. Quando uscì, uno di loro si girò e alzò il dito medio. Il nostro eroe si irrigidì e, come spinto da una forza sovrannaturale, si girò e uscì dalla porta sul retro.

    Girò la maniglia e uscì, l'aria era fredda e umida. Si avviò verso l'auto di suo padre, un fiorino bianco e ammaccato. Aprì la portiera e salì in auto. Solitamente suo padre non toglieva mai le chiavi dal quadro... sosteneva che l'auto era troppo vecchia e rovinata, e nessuno gliela avrebbe mai portata via. Girò la chiave, con un cupo borbottìo il vecchio motore diesel tossì. Rigirò la chiave di nuovo e questa volta il motore partì con un boato. Un fitto muro di fumo si sollevò da dietro la macchina. Paul era lì, seduto, stringendo il volante. Era sul culmine di piangere, gli si velarono gli occhi di lacrime e incominciò a mancargli il respiro. Lo stava per fare... ormai la decisione spettava a lui. Ma una domanda gli si formulò nella mente: dopo averlo fatto... che cosa gli succederà? Quali conseguenze dovrà patire? E mentre ci stava pensando, incominciò a tremare. Sentiva i bulbi oculari pulsare e gonfiarsi il sintonia con il cuore, mentre tutti i cattivi propositi gli sbranavano e corrodevano il cervello. E ripensò a tutto quello che aveva subito... a tutte le angherie. I suoi vecchi amici lo avevano tradito e abbandonato... ed era giunto il momento di pagare i conti. Il coltello sotto i pantaloni si arroventò e quando il nostro Paul perse completamente la capacità di riflettere, la voce di un grillo perverso gli sussurrò nella mente: VAI!

    Innestò la prima e accellerò a tavoletta. Le gomme slittarono nella ghiaia e il furgoncino partì. Il vecchio motore urlava come non lo aveva mai fatto e quando la macchina girò l'angolo, si ritrovò a poca distanza dal gruppo dei ragazzi che stava fumando allegramente. Il nostro Paul cacciò uno strillo acuto di guerra, e con le lacrime che gli scorrevano sulle guance, accellerò, puntando il gruppo degli schifosi. Quei poveri cuccioli non fecero nemmeno in tempo a girarsi e ad escogitare una fuga.
    Il muso della macchina colpì di netto tre delle cinque persone. Erano due suoi vecchi amici, più la malcapitata fanciulla. In un secondo sentì ogni cosa, dalle ossa delle gambe che si spezzavano fino al rumore del cranio che si spaccava come una noce di cocco sul parabrezza della macchina. Sul vetro comparve una piccola incrinatura che pareva una piccola ragnatela. Paul schiacciò il pedale del freno e vide i tre ragazzi volare e rotolare a più di dieci metri di distanza. Paul uscì dall'auto e si avventò su uno di loro, che si muoveva ancora. Tirò fuori il suo prediletto coltello e sferrò tre violente pugnalate al petto della vittima. Poi corse da uno dei due superstiti, quello che prima lo aveva ringraziato, e lo buttò a terra, uccidendolo senza pietà. L'altro scappò via a gambe levate, come una lepre che tenta di scappare da un predatore. Con la velocità di un giaguaro, si avventò sulla preda e lo accoltellò. Alla seconda pugnalata la lama del coltello si spezzò, staccandosi dal manico. Gettò a terra il coltello e incominciò a strangolare il ragazzo. Sentiva le vene del collo pulsare sotto le mani, mentre gli occhi del condannato si gonfiavano. Trenta secondi... trenta maledetti secondi. In quei trenta secondi aveva fatto quello che non aveva fatto in più di cinque anni. Vendetta, sublime vendetta. Poteva gustarsela sulle labbra, quell'immenso piacere... quella deliziosa gioia.

    Una gioia che si interruppe con l'arrivo del padre, che si avventò su Paul, immobilizzandolo. Poi giunse sua madre, suo fratello e sua sorella. Stavano in piedi, alle spalle dell'uomo, con gli occhi colmi di lacrime. Sentiva la mamma urlare impazzita. Avevano assistito ad un omicidio, e Paul ne era responsabile. Pochi secondi dopo giunsero tutti i vicini che, sentendo le urla, si erano spaventati. Stavano a fissare i corpi senza vita dei ragazzi, mentre il sangue si diramava tra i sassolini della ghiaia. Dopo di che, giunsero delle auto della polizia a sirene spiegate. Paul era confuso, non si era ancora reso conto di ciò che aveva fatto. Nella mente, cercò di svegliarsi. Cercò di convincersi che era stato tutto un incubo. E quando vide i poliziotti sollevarlo, trascinarlo verso la macchina e ammanettarlo, si rese conto della triste realtà.

    Cinque ragazzi... cinque ragazzi erano morti davanti al suo locale, per mano sua. La sua tanto attesa vendetta si era trasformata in una tragedia. I poliziotti misero il nostro Paolino in auto e lo portarono via. L'ultima cosa che vide erano gli occhi della sua famiglia, intrisi di lacrime e di odio.

    Dopo quel episodio, ci fu un periodo nero. I genitori di Paul e i parenti delle vittime piansero per mesi e mesi. Il padre non riuscì a pagare gli usurai che gli avevano fatto un prestito e l'inverno seguente il locale venne dato alle fiamme, mentre la famiglia era al suo interno, in attesa di clienti. Paolino non venne a sapere molto presto della notizia, e in quell'arco di tempo Paolino se la passò in una cella... ancora incredulo su ciò che aveva fatto.

    Ogni personaggio di questa storia ha un finale:

    -Il padre, la madre, il fratello che non era riuscito a trasferirsi in america e la sorella che passava tutte le sere su un marciapiede, bruciarono vivi all'interno del loro locale. Le autorità sono tuttora alla ricerca dei responsabili dell'incendio.

    - I vecchi amici che si stavano per laureare riuscirono tutti a trovare un'argomento per la tesi di laurea, un argomento che non tutti hanno portato agli esami e che tutti quanti un giorno approfondiremo: la morte.

    - Invece il nostro povero Paolino passerà tutta la sua vita in galera e lì imparerà il significato di "vendetta" e quali conseguenze comporta.

    E tra le fiamme, la morte, e il doloroso, feroce ed eterno rimorso, si conclude la triste storia di Paolino e della sua tragica vendetta.

    Edited by Fles Curtis - 10/5/2013, 13:44
  7. .
    CITAZIONE (Gird Killer @ 21/3/2013, 14:22) 
    Come la fiaba di hansel e gretel alla fine

    ...più gustosa e con un finale non tanto lieto. (o lieto... dipende dai soggetti)
  8. .
    Allora, io non so che cosa diavolo fosse e da dove provenisse, ma ciò che vi sto raccontando era sempre stato, fino a due sere fa, nient'altro che un sogno. Uno strano sogno che credetti di aver fatto da bambino. Un sogno...diventato realtà. Esiste davvero... non è frutto della mia immaginazione.

    Allora, tutto iniziò l'altro ieri sera. Dato che non avevo niente da fare decisi di guardarmi uno dei vecchi cartoni animati che io e i miei fratelli ci guardavamo da piccoli. Ce n'erano tantissimi, dagli episodi dei "Looney tunes" ai cartoni della "Ricerca della valle incantata". Poi, della Walt Disney non vi dico... un'infinità. Duck Tales, Cip & Ciop Agenti Speciali, Tale Spin... tutti cartoni che mio padre ci registrava quand'eravamo bambini. Li ho visti e rivisti così tanto che se guardassi solo un minuto di uno di questi cartoni li potrei tranquillamente finire nella mia mente. Presi un episodio dei Duck Tales che, purtroppo, era stato registrato a dieci minuti dall'inizio. Lo misi nel videoregistratore e lo avviai. Dopo due minuti di vecchia pubblicità dei primi anni '90 e pochi secondi di un telefilm ignoto, il cartone iniziò. Rivendendolo, mi tornarono alla mente vecchi e magnifici ricordi sepolti nella mia infanzia. Tuttavia, incominciai a sentirmi... strano. La mia mente continuava a dirmi che alla fine del cartone c'era qualcosa di insolito... qualcosa che avevo visto solo da bambino. Inoltre, mi accorsi che l'audio del cartone aveva qualche problema. Sentivo di sottofondo un uomo che cantava al ritmo di una musica. Ma ciò era normale. Se registri una trasmissione sopra un'altra trasmissione si sentono di sottofondo i suoni del programma che era stato registrato in precedenza, specie per una vecchia cassetta. Mi chiesi da quale trasmissione venisse quella canzone. Poi, il cartone finì... e incominciò stranamente a dolermi lo stomaco. Mentre i titoli di coda scorrevano, la sigla dei Duck Tales impazzava e mi venne la tentazione di cantarla a mo' di karaoke. Ad un tratto, la musica si interruppe, e un secondo dopo apparvero delle immagini. Erano delle immagini in bianco e nero che mostravano una strana e disgustosa poltiglia che veniva impastata e reinpastata. Probabilmente era uno di quei programmi dove veniva mostrata la preparazione di prodotti famosi e apprezzati da tutto il mondo. Ecco cos'era, mi dissi. Poi, apparve un'immagine e la canzone finì. Vi giuro che appena la vidi rimasi letteralmente di stucco. Praticamente, sopra uno sfondo nero c'era l'immagine di uno scheletro senza testa, senza gambe e senza bacino. Sopra c'era il vecchio logo della Walt Disney, sotto di esso sovrastava il titolo "Vomit Industries" scritto in corsivo e nella parte inferiore una scritta in inglese che diceva "We're working for you!", cioè "Stiamo lavorando per Voi!". Poi la cassetta s'interruppe. Rimandai il nastro indietro e rividi le scene una decina di volte.

    Che cos'è, un vecchio cartone della Walt Disney?

    Il giorno seguente andai su internet e cercai delle informazioni sulla "Vomit Industries", ma non trovai nulla. Cercai anche tra i nomi dei vecchi cartoni animati della Walt Disney... assolutamente niente. Ho pensato che magari qualcuno di voi sapesse dell'esistenza di quel video. Così ho deciso di comprare un USB Video Capture che avevo notato tempo fa in un negozio di elettronica. Poi ho scaricato Debut Video Capture e con l'aiuto di qualche tutorial ce l'ho fatta. Il video è praticamente perfetto, l'audio pure. Solo che il suono, per chissà quale motivo, parte in ritardo. Ho caricato il video sul tubo, ecco qui il link.


    Edited by ? ? ? - 13/11/2014, 14:55
  9. .
    Questa storia è basata su uno strano sogno che feci io stesso... molti anni fa.



    Quanto segue, è stato estratto dal diario personale di Agata Karmann, dottoressa e dipendente dell'ospedale psichiatrico "San Jürgen"di Wolfsburg.
    Abbiamo a lungo discusso a riguardo... il contenuto del diario è a dir poco terrificante.
    Siamo rimasti così sconvolti che molti di noi hanno incominciato a nutrire dei profondi dubbi non solo sulla psichiatria o sulla medicina, ma anche sulle note teorie di Darwin e sugli elementari concetti della realtà.
    Noi siamo da sempre legati a questi studi e abbiamo cercato, come meglio potevamo, di rifiutare qualsiasi teoria che riguardasse sciocchezze come la percezione extrasensoriale e altre cose che non legano e non legheranno mai con gli studi psichiatrici.
    Ma è difficile descrivere la paura che in questi giorni ci sta tormentando.
    Il caso della dottoressa Agata Karmann è stato archiviato e nella cartella clinica il paziente viene descritto come un soggetto "schizofrenico e delirante"... nulla più.
    Questa pochezza di dettagli ci fa sospettare che la dottoressa fosse a conoscenza di altre caratteristiche del soggetto e di non averle riportate nella cartella... o che la cartella stessa sia stata modificata successivamente.
    La dottoressa viveva a stretto contatto con il paziente. Non c'era giorno che lei non avesse parlato o pensato a lui. Anzi, sospettiamo che la dottoressa abbia instaurato un rapporto talmente morboso con il paziente da condizionare gli ideali e la mentalità di Agata.
    Una cosa è sicura, Hans Wernhard è il paziente più complesso che l'ospedale abbia mai ospitato e le le fotografie trovate sul letto dopo il decesso del paziente sono tutt'ora sotto analisi dai più grandi esperti dell'immagine e sono entrate a far parte dei più grandi misteri della terra.




    14 ottobre 1992
    Mi è stato assegnato un paziente nuovo. Si chiama Hans Wernhard, 36 anni, nato a Erlangen l'undici maggio del 1956. Hans è affetto da molti anni da una lieve forma di schizofrenia che lo ha portato ad abbandonare il suo mestiere (viveva ancora con i genitori e possiedono un panificio a Regensburg) e a trasferirsi qui al Wolfsburg. I genitori hanno portato qui alcuni dei suoi effetti personali. Uno di questi è una miniatura di un mulino a vento. Mi hanno detto che Hans avrebbe tanto voluto andare a vedere i mulini a vento. La casa di cura organizza solitamente delle brevi gite, ma per accontentare Hans bisognava aspettare la primavera. Oggi farà conoscenza con gli altri pazienti e domani inizieremo il primo colloquio.

    15 ottobre 1992
    Oggi ho parlato con Hans. In questi anni i genitori si erano presi tanta cura di lui. Non era pallido, era ben nutrito e riusciva a fomulare bene quasi tutte le parole. A volte balbettava e scuoteva violentemente la testa , ma credo sia dovuto dovuto alla sua timidezza. Non aveva mai parlato con nessun'altra donna se non con sua madre e aveva paura di dire qualche sciocchezza. Oggi abbiamo parlato del suo argomento preferito: i mulini a vento. A lui piacerebbe andarli a vedere, ma quando gli dissi che saremmo andati tutti a vederli questa primavera, ci rimase molto male. Gli dissi che d'inverno c'erano tante cose da vedere. Il planetario, il museo della Volkswagen e il museo d'arte di Wolfsburg... tutti luoghi amati dai pazienti dell'ospedale. Ma Hans non piacque l'idea, voleva vedere i mulini a vento. Terminai il colloquio. Domani dovrò parlare con Hilla Guthard e per via di altri impegni per tre giorni non potrò parlare con Hans.

    18 ottobre 1992
    Oggi io e Hans abbiamo parlato del suo panificio a Regensburg. Hans sostiene che i suoi Bretzel siano i più buoni di tutta Regensburg. Mi ha pure detto che Eugen Glaubrecht crede che i suoi bretzel siano i più buoni di tutta la Germania, anche se non li ha mai provati. Hans sta facendo amicizia con Eugen, mi fa davvero piacere. Eugen raramente parla con qualcuno. Ma a quanto pare trova in Hans una persona amichevole con cui parlare. Hans andò in bagno una volta sola e quando terminai il colloquio mi sorrise e se ne andò salutando cortesemente.

    25 ottobre 1992
    Hans, Eugen e altri sette pazienti sono stati condotti nell'aula di disegno. Ho visionato e valutato un suo disegno.

    550px_Shading_Step_8

    Semplicemente magnifico. Non sapevo che Hans fosse così bravo a disegnare. Inoltre, credevo che un tratto così pulito fosse insolito per un soggetto affetto da schizofrenia... ma mi sbagliavo. Gli ho chiesto in prestito il disegno per farne una fotocopia.

    30 ottobre 1992
    Oggi i pazienti hanno preparato le zucche di halloween. Si erano tutti divertiti, tranne Hans. Hans ha preferito stare nella sua stanza da solo. Volli sapere il perche, mi disse che aveva paura delle zucche. Gli dissi che non c'era nulla di cui aver paura, ma non volle sentire ragioni. Rimase seduto sul letto senza dire nulla. Domani sera porteremo i pazienti in città e poi li faremo vedere un film.

    1 novembre 1992 (ore 1:25)
    Stasera i pazienti si sono tutti divertiti. Hans invece è rimasto nella sua stanza. Ora sta dormendo e domani ci parlerò.

    1 novembre 1992
    Hans non aveva un bell'aspetto. Aveva il volto pallido e balbettava frasi insensate. Gli chiesi il motivo della paura delle zucche... lui incominciò a sudare e a tremare. Terminai il colloquio e informai i genitori. Mi dissero che fin da bambino aveva paura di guardare dentro una zucca. La polpa e i filamenti che si creano all'interno lo hanno sempre angosciato. Inoltre non ha mai mangiato alcun alimento che contenesse la zucca. Domani parlerò con le cuoche e richiederò di non servire ad Hans niente che avesse la zucca. Comunque non avevo mai sentito parlare di una fobia del genere.

    18 novembre 1992
    Hans si comporta in modo strano. A tavola si è messo a ridere senza alcun motivo, spaventando gli altri pazienti e ha insultato il suo amico Eugen. Sono andata nella sua stanza e appena mi ha visto mi ha insultata definendomi con un termine non poco scortese. L'ho lasciato stare e ho parlato con gli altri medici. Domani avviseremo i genitori, se continuerà così mi consulterò con gli altri medici sul prescrivergli del risperidone o meno.

    19 novembre 1992
    I genitori sono perplessi. Non aveva mai avuto un comportamento così in casa. Mi hanno proposto di portarlo a vedere i mulini, per tranquillizzarlo. Purtroppo non posso, è una responsabilità dell'ospedale. Solo loro possono organizzare le gite, io posso solo limitarmi a conoscerlo, a parlarci e a valutare le sue condizioni. Come vorrei fare di più.

    23 novembre 1992
    Oggi Eugen Glaubrecht, il paziente con cui Hans aveva socializzato di più, è stato portato in infermieria. Aveva il muso gonfio, due occhi neri e un incisivo spaccato. Ha detto che è stato Hans a picchiarlo. Siamo andati da Hans e appena ci ha visti si è messo a piangere. Domani gli somministreremo un calmante, non ci dovrebbero essere effetti collaterali. Hans è cambiato nel giro di un mese, sono sconvolta. Che cosa lo tormenta?

    29 novembre 1992
    Stamattina abbiamo somministrato il calmante ad Hans. E' stato calmo per tutto il pomeriggio e la sera ha dormito tranquillo. Eugen è spaventato. Ci ha chiesto che cosa avesse Hans. Anche dopo essere stato malmenato, vuole ancora essergli suo amico.

    3 dicembre 1992
    Stamattina mi hanno riferito che Hans ha passato tutta la notte ad urlare e a dimenarsi. Ha svegliato tutti i pazienti e quando sono arrivata, alle 8:30, gli avevano già iniettato da quattro ore un sedativo. Ha dormito tutto il giorno.

    4 dicembre 1992
    Stanotte Hans ha urlato ancora ma è stato sedato ancora. Almeno dorme tranquillo. Saranno due settimane che non parlo in privato con lui. In settimana organizzerò un colloquio.

    6 dicembre 1992
    Oggi ho parlato con Hans. Era in condizioni pessime. Era scarno e aveva le occhiaie. Gli chiesi che cos'era successo in queste due notti e che cosa aveva sognato. Lui non rispose...tremava e continuava a tirare su col naso. Gli chiesi ancora che cos'aveva sognato. Lui chinò lo sguardo e scoppiò in lacrime. Mi chiese scusa per come mi aveva chiamata nell'ultimo colloquio. Non voglio vederlo così. Vorrei tanto aiutarlo. Purtroppo non sono autorizzata, ma se lo fossi, lo porterei personalmente a vedere i mulini... perche potrebbero curare definitivamente Hans. Ne sono convinta. D'ora in poi, darò tutta me stessa per aiutare Hans.

    8 dicembre 1992
    Oggi i pazienti hanno preparato l'albero di natale. Si sono tutti divertiti e l'albero è bellissimo. In settimana porteremo i pazienti a comprare i regali di natale. Purtroppo Hans non è venuto. Un paziente mi ha detto di averlo sentito piangere tutto il giorno.

    10 dicembre 1992
    Oggi non sono andata all'ospedale, ma oggi pomeriggio mi hanno riferito che Hans ha pianto tutta la mattinata. Non riesce più a mangiare e a parlare. Credo sia opportuno iniziare la terapia del buspirone. Domani ne parlerò con gli altri dottori.

    18 dicembre 1992
    La terapia non funziona. I primi giorni avevamo incominciato con una dose di 3 mg, ma non hanno effetto. Oggi gli abbiamo somministrato una dose di 6 mg. Domani valuteremo le sue condizioni. I genitori sono disperati e i pazienti dell'ospedale sono preoccupati per lui.

    22 dicembre 1992
    Oggi quindici dei nostri pazienti sono tornati a casa per passare le feste dai propri familiari. Purtroppo Hans non potrà tornare a casa dai suoi, le sue condizioni, in poco più di quattro giorni, sono peggiorate. Ha perso 4 chili in due settimane e non mangia più. E quando i medici provano a nutrirlo forzatamente, vomita tutto il pomeriggio. Hans ha un problema molto grave e ci vorrà tutto l'impegno dei medici per curarlo.

    25 dicembre 1992
    Oggi sono andata a Berlino dai miei genitori a passare il natale. Le condizioni di Hans peggiorano di giorno in giorno e i suoi parenti temono il peggio.

    26 dicembre 1992
    Sono tornata all'ospedale e appena ho visto Hans mi è sembrato di stare davanti a un cadavere. Hans, il 14 ottobre, pesava 78 kg. Oggi ne pesa quasi 59 kg. E' scheletrico ed è pallido come un cencio. Non si muoveva e non sentiva più nulla. I medici gli hanno misurato la pressione. 95 mmHg la minima e 175 mmHg la massima. Hans rischia un infarto, lo abbiamo portato in ambulatorio e gli abbiamo somministrato immediatamente un antipertensivo. Siamo tutti spaventati.

    29 dicembre 1992
    Le condizioni di Hans sono al limite. I genitori sono venuti qui all'ospedale e appena lo hanno visto sono scoppiati in lacrime. Non possono vederlo in quello stato, dobbiamo fare di più, tutti dobbiamo fare di più.

    1 gennaio 1993
    Sono rimasti solamente nove pazienti nell'ospedale, ma tutti i medici hanno incentrato i loro sforzi su Hans. Ho contattato la direttrice sanitaria. L'ho supplicata di organizzare al più presto una gita al Muehlenmuseum, il museo dei mulini a Gifthorn. Mi ha detto che mi avrebbe fatto sapere in giornata.

    4 gennaio 1993
    La direttrice non mi ha fatto sapere più nulla, ma fortunatamente Hans si è ripreso. La pressione è tornata alla normalità e ha incominciato a muoversi. Siamo tutti entusiasti dei risultati e i genitori sono felicissimi. Non ci resta che continuare la terapia e sperare in meglio.

    9 gennaio 1993
    Hans ora può camminare, ha incominciato a parlare. Balbetta e farfuglia, ma almeno sta bene. Hans sta migliorando... e guarirà presto. E' solo questione di giorni. Prima l'ho visto guardare fuori dalla finestra seduto sul suo letto e con in mano il suo mulino in miniatura. Quando si sarà ripreso del tutto lo porterò a vedere i mulini. Solo i mulini lo possono salvare. Ho pianto tutta la notte. Sig è preoccupato... teme per la mia salute. Ho sentito dei passi per il corridoio... Erik mi ha sentita. Mio marito e mio figlio hanno paura... ma non devono preoccuparsi. E' solo che sono tre mesi che mi dedico totalmente ad Hans, trascurando me stessa. Ma mi riprenderò.

    15 gennaio 1993
    Alcuni dei pazienti che avevano lasciato l'ospedale sono ritornati, altri sono rimasti a casa. Appena hanno visto Hans si sono rallegrati, Hans ora sta bene... ma è ancora depresso. Mangia, cammina e dorme. Sono felicissima.

    19 gennaio 1993
    Alcuni pazienti sono venuti da me a confidarsi. Mi hanno riferito che Hans a volte si atteggia in modo strano. Dicono che Hans, in questi giorni, ha continuato a scusarsi e ad abbracciare pazienti e medici. Continuava a dire che gli dispiaceva...che gli dispiaceva di ciò che dovrà succedere. Poi mi hanno detto che a volte vedono Hans piangere sul suo letto... anche mentre dorme. I pazienti e i medici sono spaventati. Quei farmaci non avevano mai mostrato effetti collaterali nei pazienti... ho un brutto presentimento.

    21 gennaio 1993
    Hans è tornato nell'aula di disegno. Quando visionai i suoi disegni mi aspettai dei magnifici mulini... e invece ciò che vidi mi spaventò.



    disegno2

    disegno3

    disegno1

    Che cosa gli è preso? Che cosa ha sognato in queste notti?

    28 gennaio 1993
    Oggi ho avuto l'occasione di parlare con Hans. Durante il colloquio lui mi guardava con lo sguardo chinato e gli occhi infossati. Non riuscivo a vederlo in quello stato... mi sfuggì una lacrima e appena la vide si mise a piangere anche lui. Mi pulìi con un fazzoletto ma non servì a nulla. Volli abbracciarlo, ma non lo feci. Allora, riuscìi a chiedergli come si sentiva e cosa aveva provato in questi giorni. Lui, dopo pochi secondi, mi disse che aveva fatto un sogno. Gli chiesi di raccontarlo e allora lui, balbettando e con le lacrime agli occhi, incominciò a parlare.



    Mi disse che in queste notti era stato in uno strano luogo. Una caverna... una gigantesca caverna. La caverna era, in qualche modo... viva. E che, secondo lui, esisteva dapprima della nascita del cosmo. Mi disse che quel luogo era l'utero di una creatura antica... e indefinita. Nell'aria si sentiva una strana musica simile a un lamento. Mi descrisse l'odore della caverna... un odore di antico... un odore che si può sentire solo in un ventre materno.
    E che in questa caverna, perduti tra le pareti e nelle profondità dei baratri della caverna, c'erano le persone. Tutte le persone che morivano finivano in questo luogo... e si perdevano per sempre. Poi mi disse, singhiozzando, che tutti quanti si sarebbero ricongiunti all'antica creatura e che presto sarebbe toccato a tutti noi.

    Dapprima commossa, ora ero spaventata. Era uno degli incubi più oscuri che abbia mai sentito. Non riuscivo a parlare... era come se la sua mente fosse collegata alla mia. Potevo vedere il suo incubo davanti ai miei occhi... e quelle immagini erano terrificanti. Quando riuscìi a parlare, gli dissi che avremmo continuato il colloquio domani. Ci alzammo e lui mi abbracciò. Lo strinsi a me...era freddo e aveva la maglia bagnata. Lo lasciai e mentre me ne andavo, lo sentì alle spalle dirmi: loro ti vogliono bene... lo sanno che sei spaventata. E' inutile non far sapere ad Erik che stai soffrendo... lo sa già. Appena finì la frase, accellerai il passo e corsi via. Hans non poteva sapere come si chiamava mio figlio. Non era possibile!

    2 febbraio 1993
    Hans soffre di nuovo di depressione. I medici hanno ricominciato con la somministrazione di buspirone, ma in dosi minori.

    3 febbraio 1993
    I metereologi hanno previsto forti nevicate per una settimana. Se succede come l'anno scorso, non si potrà nemmeno uscire di casa.

    5 febbraio 1993
    Continua a nevicare e non sono potuta andare in ospedale. Mi hanno riferito che tre dei pazienti dell'ospedale hanno un pò di influenza... nulla di grave. Stanotte ho fatto il bagno e appena sono uscita sono svenuta. Quando ripresi conoscenza, Sig era davanti a me e mi reggeva la testa. Era paonazzo e continuava a chiedermi se ero sveglia e come stavo. Appena ho ripreso conoscenza sono andata in cucina a farmi qualcosa di caldo. Poche ore dopo essermi coricata mi è venuta della nausea e ho vomitato per terra. Incomincio a sentirmi come Hans... è come se le nostre vite si fossero in qualche modo collegate. Mi sono riaddormentata e ho fatto un sogno strano. Ero sperduta in una oscura e antica caverna e sentivo le grida di Hans riecchieggiare fioche per le pareti. Una strana melodia lamentosa proveniva nelle profondità degli abissi. Poi, sentìi la voce di Erik in lontananza.. poi uno strillo. Fu Sig a svegliarmi . Ero stata io ad urlare e il mio urlo lo aveva svegliato. Erano le cinque di mattina e la luce azzurra del mattino faceva capolino dai fori delle tapparelle.

    8 febbraio 1993
    Stanotte è passato lo spazzaneve e ora le strade sono agibili. Fortunatamente ha smesso pure di nevicare. Quando vidi Hans, stava nella sua stanza con il suo vecchio amico Eugen, intenti a fare delle fotografie per la camera. E' stata una dottoressa a dare ad Hans una macchina fotografica. Sostiene che una macchina fotografica avrebbe stimolato la sua creatività e avrebbe contribuito a liberarlo dalla depressione che lo sta distruggendo. Ma io so che non sarà solo quella macchina fotografica ad aiutarlo. Mancano pochi mesi e quando tornerà il caldo e il vento soffierà... i mulini gireranno più che mai. Devo portarlo a vederli... ne va della salute di Hans. Ho chiamato di nuovo la direttrice sanitaria dell'ospedale... ma non vuole più ricevermi! Stupida! Se solo provasse ciò che Hans sta provando in questi mesi! Ho richiesto il supporto degli altri medici... ma non mi hanno voluto rispondere. La dottoressa Sommer, neurologa dell'ospedale, mi ha addirittura riso in faccia! Incomincio ad odiarli tutti... fino all'ultimo.

    10 febbraio 1993
    Oggi Hans ha voluto farmi delle foto. Mi sono messa vicino ad Eugen e quando mi fece la foto, Eugen arrossì. Sono contenta di vederli in quello stato... tutti e due. Erano amici come prima e quando Eugen disse ad Hans che avrebbe voluto mangiare uno dei suoi Bretzel, ha gridato di gioia. Hans non balbetta più e sembra guarito del tutto. Ancora pochi mesi e potrà tornare a casa, ne sono convinta. La sera mi ha chiamata la strega... miss "Direttrice Sanitaria". Mi ha detto che se mi avesse beccato a relazionare ancora con i pazienti mi avrebbe proibito di frequentare l'ospedale. Hans sta guarendo... e anche io, come lui, incomincio a sentirmi meglio. L'incubo sta finendo.. manca poco.

    18 febbraio 1993
    I medici dicono che Hans non sta ancora bene e hanno ricominciato al terapia del buspirone... senza avvisarmi! Hans era stato affidato a me! La direttrice mi ha affidato un'altra paziente... ma ho promesso che avrei fatto di tutto per lui... e non voglio abbandonarlo.

    23 febbraio 1993
    Hans sta peggiorando di nuovo... le medicine non funzionano. Una dottoressa, forse l'unica che mi consideri sua amica, mi ha chiamata dicendomi che i medici stanno uccidendo Hans! Lo dosano continuamente di buspirone e altri farmaci antidepressivi ma Hans continua a star male! Hans deve uscire da lì!!

    26 febbraio 1993
    La direttrice mi ha chiamata a casa. Non vuole che mi faccia più vedere a Wolfsburg. Ho pianto tutto il giorno. Non posso credere che Hans mi sia stato tolto... ormai è come un secondo figlio per me. Domani tornerò a Wolfsburg e porterò via Hans!

    28 febbraio 1993 (ore 6:30)
    Fra un ora andrò all'ospedale... e porterò via Hans da quel manicomio. Sig è appena partito ed Erik sta ancora dormendo. I medici che erano stati affidati ad Hans al posto mio arriveranno alle 9:30. Non me ne importa assolutamente nulla delle conseguenze che mi spetteranno. Hans rischia ancora di morire... ed è da tanti mesi che sta aspettando di vedere i suoi mulini.


    La dottoressa Agatha Karmann provò a portare via Hans Wernhard , ma venne subito fermata da degli inservienti dell'ospedale psichiatrico di Wolfsburg. La dottoressa venne accusata dai membri dell'ospedale per sequestro di persona. Tuttavia, stando alle dichiarazioni della dottoressa, lo ha fatto per il solo motivo di salvare Hans da una cura feroce, inutile e senza scrupoli. Ad Agatha venne ritirato definitivamente il dottorato e il paziente venne affidato totalmente ai membri dell'ospedale. Le cure durarono tre anni, e in questi tre anni il paziente tentò di togliersi la vita numerose volte. Il 20 marzo 1996 il paziente Hans Wernhard è stato trovato morto ai piedi del suo letto. Stando alle dinamiche, si è ucciso urtando la testa sul muro e sollevando e lasciando cadere numerose volte la gamba del letto sulla sua testa. Per terra c'erano dei frammenti di un modellino di un mulino a vento. Il pomeriggio venne aperta un'inchiesta e la direttrice dell'ospedale venne indagata per tentato omicidio del paziente. Quando la dottoressa Agatha Karmann venne a sapere della notizia, si gettò da un ponte nei pressi di Lehre. Il corpo venne ritrovato su una sponda a pochi metri di distanza.








    Un'altra cosa, un medico dell'ospedale consegnò alla procura una lettera che era stata trovata sul letto di Hans. La lettera era indirizzata ad Agatha Karmann e all'interno della busta c'erano due foto.

















    Picture_845

    Picture_846


    Le foto sono state spedite al Dipartimento di Fotografia situato a Berlino. La direttrice sanitaria e nove medici furono arrestati per tentato omicidio e abuso di professione medica. Dieci anni dopo il caso, l'ospedale Psichiatrico "San Jürgen" venne chiuso per mancanza di personale medico. Nel corso di questi dieci lunghi anni morirono cinque pazienti schizofrenici per overdose da medicinale.




















    Background_08

    Dark_cave

    113_stream


    Disegni di Jennifer Gilliland




    Edited by Fles Curtis - 29/3/2013, 17:08
  10. .
    Ciao, benvenuta:)

    Quanto spacca il tuo avatar?
  11. .
    Riaprìi gli occhi.

    Erano ore che cercavo inutilmente di addormentarmi. Presi il cellulare appoggiato sul comodino e lo accesi, erano le tre di mattina.

    -Maledizione!- esclamai. Mi rigirai e chiusi gli occhi. Dopo cinque minuti, ero ancora sveglio. Inutile, non riuscivo a dormire.

    L'orologio ticchettava sulla parete.

    Di solito non ci facevo caso, ma in quella notte mi sembrò il suono più fastidioso che abbia mai udito. Tic...tic...tic...tic..tic..tic...

    Non potevo più sopportarlo. E per di più, ero terribilmente assetato. Mi alzai di botto dal letto e staccai l'orologio dalla parete.

    Tolsi la batteria e appoggiai tutto sulla scrivania.

    -Oh! -esclamai. -Niente più tic-tic-tic-tic!- Come se l'orologio fosse il vero responsabile della mia notte il bianco.

    Avevo lasciato la bottiglia d'acqua sulla scrivania. La afferrai e me la portai alla bocca. Ahh...rinfrescante!

    Vuotai la bottiglia e la buttai sulla scrivania. Mi asciugai la bocca e mi incamminai per il letto.

    Ad un tratto, sentii uno scricchiolio provenire fuori dalla finestra. Sulle prime non mi mossi, poi decisi di dare un occhiata.


    strada


    La strada era deserta, niente macchine.

    Il viale era coperto da una fitta nebbia spettrale e le luci emanate dai lampioni sembravano fantasmi in fila indiana.

    Mi venne la tentazione di prendere la macchina fotografica e immortalare quella magnifica e inquietante atmosfera.

    Ma rimasi lì, godendomi quel silenzio notturno.

    Ad un tratto, le luci del viale si abbassarono. - Oh accidenti...un blackout! -pensai.

    Aprii la finestra e guardai fuori... il quartiere dormiva profondamente.

    Una piacevole brezza primaverile mi accarezzò il volto.

    -Ecco... ora si che è davvero spettrale!- pensai ironicamente.

    In lontananza sentìi un rumore di un motore e due luci gialle incominciarono ad apparire nella nebbia.

    Dal suono riconobbi che era un furgone, molto vecchio. Poteva essere del '48...'50. Sentivo le ruote cigolare e stridire.

    Sembrava che fosse uscito direttamente da uno sfasciacarrozze.

    Alle spalle, lasciava un denso fumo nerastro che si dissolveva nell'aria. Il furgone si avvicinò lentamente, borbottando e stridendo.

    Improvvisamente, si fermò in mezzo alla strada.


    strada_macchina


    -Diavolo...chissà di chi è quel rottame!- esclamai. Aveva la carrozzeria completamente arrugginita e le ruote erano storte.

    Il motore del veicolo si spense e dalla marmitta uscì una folta nube di fumo.

    Il veicolo rimase lì, in completo silenzio. Era tutto davvero inquietante. E se fossero dei ladri?

    Attesi che qualcuno uscisse dall'abitacolo del furgone.

    Niente, niente di niente. Il furgone era lì, immobile, spento... e per di più in mezzo alla carreggiata.

    Tutt'a un tratto, da una finestra si accese una luce. Forse qualcuno oltre a me si era accorto del veicolo, pensai.

    Da un'altra casa, si accese un'altra finestra. Da un'altra casa lo stesso.

    Pochi secondi dopo, le porte delle abitazioni si aprirono, tutte a pochi secondi dall'altra.

    Poi, rabbrividìi. Dalle case uscirono dei bambini. Alcuni erano soli, altri in compagnia di due o tre bambini.

    Erano tutti in pigiama o in vestaglia da notte e scalzi.

    -Ma che...che sta succedendo? - dissi ad alta voce. Non potevo credere a ciò che vedevo.

    I bambini uscirono fuori di casa e si fermarono davanti al furgone.

    Sentìi un rumore di sotto, ma non me ne preoccupai. Era tipico di mio padre andare in bagno in piena notte.

    Rimasero lì, immobili. In lontananza, nella nebbia, vidi gruppi di bambini percorrere il viale e avvicinarsi al furgone.

    A colpo d'occhio, potevano essere sulla trentina e tutti potevano avere, a giudicare dalla statura, dai quattro ai dieci anni.

    I bambini si fermarono accanto al furgone.

    Vedere tutti quei bambini attorno al furgone mi ricordò il camioncino dei gelati che, appena si avvicinava al parchetto,

    attivava la canzoncina e tutti i bambini accorrevano per acquistare un gelato.

    Ma questo era diverso... era davvero assurdo! Perche mai dei bambini dovrebbero alzarsi in piena notte?

    Pochi secondi dopo, la porta scorrevole sul fianco del furgone, lentamente, si aprì con un assordante cigolio.

    Quando la portiera si aprì del tutto, il cigolio cessò. Poi, i bambini cominciarono ad entrare.

    E se prima ero spaventato, vedere che tutti i bambini stavano entrando all'interno mi terrorizzò ancora di più.

    Quel furgone avrebbe potuto contenere al massimo 10 persone. Sembrava che i bambini stessero entrando in un altra dimensione.

    E così, davanti ai miei occhi, tutti i bambini sparirono all'interno del furgone. Non riuscìi a vedere all'interno.

    Poi, la portiera incominciò a chiudersi, stridendo.

    Quando si chiuse del tutto, il motore si accese con un tonfo e il furgone, borbottando, si mosse.

    Il furgone si avvicinò al bordo del marciapiede e, lentamente, fece un inversione. Poi, il furgone se ne andò, sparendo nella nebbia.

    Ero paralizzato. Non riuscivo a muovermi. Avevo assistito alla cosa più assurda della mia vita.

    Subito, andai alla ricerca di tutte le prove che avrebbero dato una risposta materiale e razionale a ciò che avevo visto.

    Dio mio... non poteva essere vero!

    Più di trenta bambini...sparire in un istante... dentro un furgone.

    E quando le luci dei lampioni tornarono alla normalità, mi venne la tentazione di urlare e di chiamare mio padre e mia madre.

    Mi allontanai dalla finestra e, sedendomi sul letto, accesi la abat-jour.

    Rimasi sul letto seduto... in silenzio. Attivai il cellulare, erano quasi le quattro e mezza.

    Mi rimisi a letto e afferrai i lembi delle coperte,stritolandoli. Ero sconvolto, ma avevo le palpebre pesanti.

    I miei pensieri si fecero più vivi... i miei occhi si chiusero e, finalmente, riuscìi ad addormentarmi.

    Durante la notte dimenticai tutto... il furgone... i bambini... il blackout. Non sognai... ma almeno stavo dormendo... finalmente.

    Ma la mia tanto amata dormita sarebbe durata molto poco. Difatti, furono dei pianti e delle urla a svegliarmi.

    Aprìi gli occhi di scatto, avevo il cuore a mille. Saltai giù dal letto. Delle urla provenivano da fuori.

    Mi catapultai davanti alla finestra e guardai fuori. C'erano decine e decine di uomini e donne che correvano per la via.

    Alcune persone gridavano dei nomi: Veronica!!! Veronicaaa!!!!! Dove seiii?!?

    Una donna urlò: Jimmy!!! Jiiimmmyyy!!!!! La donna cacciò un urlo e si accasciò a terra, urlando e piangendo disperata.

    Degli uomini gridavano ed altri abbracciavano in lacrime la propria moglie.

    Alcuni uomini si fiondarono dentro le loro macchine e correvano via, alla ricerca dei loro figli.

    Ebbi una strana sensazione... mi girava la testa e mi veniva da vomitare. Non la trattenni e bagnai i pantaloni del pigiama.

    Che cos'era successo...stanotte? Dov'erano finiti tutti i bambini?

    Vedere i genitori accasciati a terra disperate mi nauseava. Tremavo e non riuscivo a muovermi.

    -Che cosa sta succedendo?!- sentìi mia madre di sotto.

    I miei, solitamente, si svegliavano presto per accompagnare Marta all'asilo, la mia sorellina.

    -Oh gesù...- disse mio padre di sotto.

    Ad un tratto, mia madre chiese a mio padre se aveva visto Marta. I miei occhi si riempirono di lacrime.

    Sentìi mio padre salire di corsa le scale ed entrare nella camera di Marta.

    -Marta!!! Martaaaa!!!!- urlò mio padre. Incominciò a girarmi la testa e mi si offuscò la vista.

    Barcollando, tentai di raggiungere la sedia ma non ci riuscìi. Inciampai e caddi a terra, svenuto.

    L'ultima cosa che ricordo di quella mattina furono le gomme dell'auto di mio padre slittare sull'asfalto e i pianti disperati di mia mamma...

    poi, il buio.






    Erano le sette e mezza di mattina e trentasei bambini erano scomparsi.



    bambinaia

    Edited by Fles Curtis - 4/3/2013, 16:51
  12. .
    La storia di Jenny e Tommy inizia con una splendida giornata di sole.

    Jenny e Tommy stanno giocando sul prato con il pallone, la mamma è in casa e sta facendo i biscotti.

    Il prato è tutto in fiore e le farfalle planano per l'immensa distesa verde. La primavera, con i suoi colori e i suoi profumi, è ormai giunta.

    Avanti e indietro, avanti e indietro, su e giù. La palla balzava e volava mentre i bimbi ridevan felici.

    Ad un tratto, alle spalle dei bambini giunse qualcosa...

    -Yuhuuu!- un'allegra voce li chiamò.

    I bimbi si voltarono e spalancarono gli occhi.





    flower_sunflower_field_clouds_hill_nature_1050x1






    Una grande e graziosa caramella rosa fluttuava davanti a loro. I bimbi si guardarono stupiti.

    -Yuhuuuuu!♪- la caramella li chiamò ancora. Jenny e Tommy, incuriositi, si avvicinarono alla caramella fluttante.

    La caramella balzò all'indietro.

    -Uhuhuh♫!!!- la birbantella si girò e volò via.

    Jenny e Tommy la seguirono... ma come volava quella caramella!

    -Chissà di che gusto sarà!- Pensarono i bambini.

    -Uhuhuhh...uhuhuhuh♫!!!- la caramella rideva e svolazzava, esibendosi in graziose piroette.

    Jenny e Tommy correvano. Allungarono le mani, ma non riuscivano a prenderla. Era troppo veloce!





    bosco_cerri_retro_cascina_2





    La caramella entrò nel boschetto a pochi passi da casa e Jenny e Tommy si fermarono.

    -Uhuhuhu!!♪ Venite!!- la caramella insisteva e insisteva.

    I bimbi si addentrarono nella fitta boscaglia.

    Cammina cammina, si trovarono davanti a una vecchia casa abbandonata.




    Old_house_in_the_forest_by_Nr9_Demyx





    La caramella era davanti all'entrata.

    Jenny e Tommy si guardarono e si voltarono per tornare a casa.

    -Uhuhuhu♪!!!- la caramella li chiamò.

    I bimbi si avvicinarono ma erano un pò impauriti. Cioè...insomma. Non dovevano allontanarsi troppo, avevano disobbedito alla mamma.

    Inoltre, non dovevano accettare caramelle dagli sconosciuti.... e lo sconosciuto in questione era proprio una caramella!

    Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio. Ma i bimbi sono troppo curiosi, perche la mente di un fanciullo è ingenua

    quanto innocente.

    I bimbi si avvicinarono all'entrata...e la caramella entrò all'interno. -Yuhuu!♫-

    Jenny e Tommy entrarono all'interno della vecchia casa e...



    ...oh cielo.



    Vorrei tanto finire la fiaba, ma ormai il finale lo sapete già... a che serve continuare?




    La_dolce_caramella_nell_oscurit

    Edited by Fles Curtis - 1/3/2013, 21:25
  13. .
    E' semplice. Allora. Probabilmente il tuo schermo è poco illuminato, ed editando un immagine pensi che i ritocchi non si vedano. Quando passai dal vecchio al nuovo pc notai che in alcune immagini c'erano dei ritocchi che col vecchio computer non avevo visto. Quando fai un fotoritocco in un ambiente scuro, ricordati di tenere la luminosità chiara.



    CITAZIONE (~Roluga @ 19/2/2013, 21:48) 
    ??? Ma io non vedo niente pure se mi impegno.
    Non è che forse dipende dalle capacità dello schermo e della scheda grafica??.

    Non è da escludere. Certi schermi sono più scuri rispetto ad altri. Ad esempio il monitor del mio vecchio pc era più scuro.

    Edited by FLES CURTIS - 21/2/2013, 15:47
  14. .
    Bella, davvero bella. Classica e scritta bene.
    Ma l'immagine...accidenti. Ti consiglio di scurirla ancora di più ed aumentarne il contrasto perche purtroppo si vedono i ritocchi nella parte bassa. (è successo tante volte anche a me)
  15. .
    La filastrocca preferita dal KKK...


    Se negro fosse un insulto, Vianello sarebbe già stato impiccato. (♫siamo i watussi,altissimi...♪)


    ..."negraccio" è un insulto. "NEGRO!" è un insulto.


    Edited by Fles Curtis - 18/2/2013, 00:16
17 replies since 28/8/2012
.