Posts written by Silent Shadow

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    Ripulisco e smisto
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    Non meno di una settimana fa la nostra Emily è stata promossa a Supervisore. Tuttavia, dopo l'abbandono di Kung, abbiamo ritenuto opportuno promuoverla ulteriormente per i suoi meriti e la sua costante dedizione. Ci auguriamo che possa svolgere un ottimo lavoro!
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    Siamo lieti d'informarvi che la nostra cara Emily e stata promossa al ruolo di moderatrice, l'intero staff le porge i miglior auguri!
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    volevamo tenervi sulle spine un altro pò, ma ci sono troppi cuori teneri nello staff, quindi vi annunciamo chi tra i candidati che hanno sostenuto il colloquio passera alla fase successiva (quella in cui verrà frustato a sangue finché non implorerà una morte rapida)

    DarknessAwaits

    IanEmerson

    Hero

    Er Mortadella

    Swaky

    alla faccia, a questo giro siete stati tutti bravi, complimenti!

    a breve verrete sequestrati ed inizierà la vostra avventura come staffer in prova!
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    I raggi del sole illuminavano le placide acque, l'aria era pregna del tipico odore di salsedine; in sella a Rushaa stava rientrando dal suo giro di perlustrazione.
    In pieno periodo di pace era più che altro un modo per staccare un po' dagli impegni e dai doveri che gravavano su di lei, a causa del ruolo che ricopriva nella sua tribù.
    Un ultimo battito di ali e percorse i pochi metri che la separavano dai mastodontici cancelli della città sospesa di Dravaji; un'immensa isola fluttuante su di un favoloso mare azzurro, che ricopriva quasi interamente le terre di Shiru.
    L'unico modo per arrivarci era in sella ad un drago, ma solo i membri del suo popolo avevano il privilegio di riuscire ad addomesticare e cavalcare quelle fiere creature; quando era solo una bambina il suo insegnante le aveva spiegato che i draghi e i Dravaki, l'appellativo che la sua tribù usava per definirsi, avevano un antenato in comune; molto probabilmente era questo il motivo per cui i draghi si fidavano al punto da permettere loro di salirgli in groppa.

    Al suo arrivo diverse grida annunciavano l'arrivo del comandante Runa e conseguentemente ordinavano l'apertura dei cancelli.
    Rushaa atterrò con la grazia tipica della sua specie, senza scomporsi minimamente del gran viavai che ogni giorno caratterizzava il porto della città. I mercanti stavano caricando le merci sui loro draghi, pronti a scendere nelle terre degli umani per i loro scambi commerciali; era l'unico contatto che avevano con le tribù della razza da loro definita dei primati, per via della loro discendenza dalle scimmie.
    Alcuni soldati stavano sistemando i finimenti sui loro draghi, giovani reclute che avevano il compito di scortare i mercanti nel loro giro tra i villaggi umani. Per quanto, da molto tempo prima della sua nascita, vi fosse un trattato di pace tra umani e Dravaki, i loro rapporti erano comunque tesi. Le tribù delle terre sottostanti, infatti, non condividevano il loro modo di vivere e la loro cultura; molti della sua razza credevano che il vero motivo fosse l'invidia per via del loro legame con i draghi; serpeggiava il sospetto che avessero acquisito da loro quelle conoscenze che li rendevano tecnologicamente più avanzati sia nel campo militare che in quello scientifico.
    In realtà il loro sapere derivava dal passato, da molto prima che draghi e Dravaki si distinguessero in due razze: la loro tecnologia si basava principalmente sulla magia, tutto nella loro città funzionava grazie alla magia o veniva creato per mezzo di essa, dai mezzi di trasporto interni, alle armi che usavano.

    Stava osservando i soldati, mentre con un dito seguiva il profilo del corno che spiccava sulla sua fronte, un gesto inconscio che aveva sin dalla più tenera età e che la caratterizzava ogni volta che era assorta nei suoi pensieri. Uno dei soldati, l'istruttore della squadra che si sarebbe diretta ai villaggi a est, si rese conto del suo sguardo.
    Si avvicinò al drago dalle scaglie nero fumo, porse una mano alla creatura, essa l’annusò e uno sbuffo di fumo uscì dalle sue narici, segno che gli concedeva il permesso di accostarsi un po' di più senza il timore di essere colpito dalla possente coda.
    “Buongiorno, comandante Runa!”

    La giovane dall’arruffata zazzera nera riemerse dal filo dei suoi pensieri, posò sulla sporgenza della sella la mano che stava accarezzando il
    corno, i suoi occhi blu elettrici saettarono sulla figura del militare e si strinsero in un'aria truce.
    “Com’è andato il giro di pattugliamento?”
    La ragazza sospirò esasperata e, con un unico fluido movimento, scese dal drago.
    “Come al solito, noioso.”
    Scostò malamente l'ufficiale, era stufa che ogni singolo militare ci provasse spudoratamente con lei solo per il suo grado, e si avviò verso la strada principale che si trovava a pochi metri dal nido di atterraggio, poco dopo un magazzino dove venivano stipate le armature dei draghi guerrieri, a portata di mano in caso fosse scoppiata improvvisamente una guerra o avessero dovuto difendersi dall’attacco inatteso da parte di qualche misterioso nemico.

    Non volevano essere colti impreparati, soprattutto perché prima che lei nascesse avevano quasi rischiato di perdere l’isola fluttuante a causa della superficialità di un mercante; costui, non avendo controllato la merce che stava trasportando da un villaggio umano ed ignorando il nervosismo del suo drago, imputandolo solo all’arrivo di una tempesta, aveva involontariamente condotto alle porte della città un manipolo di soldati umani, i quali, appena sbarcati, avevano messo tutto a ferro e fuoco e massacrato molti, troppi Dravaki.
    Alla fine i nemici furono respinti e gettati nel vuoto dalle mura della città, ma per il consiglio militare degli anziani l’intervento era stato troppo lento e le perdite troppo pesanti; per questo le varie caserme che erano posizionate all’interno della città furono spostate a presidio dei quattro cancelli che davano sul mondo esterno. Il vero nemico non era tra loro, ma fuori.

    Runa camminava fiera tra la folla, la sua nascita aveva portato grande lustro alla sua famiglia di umili origini; semplici allevatori di Saliki, grossi uccelli inadatti al volo, ma ottimi alla brace e dalle uova estremamente nutrienti.
    Quando sua madre ancora non sapeva di essere in dolce attesa, ebbe la visita di un sacerdote del dio drago Dravani, che le comunicò che il loro dio si era manifestato e aveva indicato la nuova vita appena concepita nella sua famiglia come il nuovo Dravami, che nella loro lingua significava “figlio di Dravani”.

    Un dio tra i mortali, che nasceva dal loro sangue con il compito di proteggere il popolo Dravaki da un pericolo che avrebbe rischiato di farli estinguere.
    Anche se il suo status le dava molti privilegi, lei aveva sempre cercato di non approfittarne. L’umiltà che aveva visto trasparire dal sudore di suo padre l’aveva segnata, ai suoi occhi il potere non aveva alcuna importanza, l’unica cosa che contava era affrontare la vita a testa alta e con determinazione; il padre, nonostante fosse fiero che la sua unica figlia avesse un posto così importante nella società, aveva continuato ad allevare i suoi amati Saliki fino alla sua morte; un brutto male se lo era portato via quando lei era poco più che una bambina.
    Si era fatta strada da sola, era riuscita a mettersi in luce in varie missioni, dimostrando non solo di essere fisicamente più forte dei suoi coetanei, ma di essere in grado di comandare con pugno di ferro centinaia di rudi soldati che non avevano la minima voglia di sottostare ai capricci di una ragazzina, anche se questa era il Dravami delle loro leggende.
    Riuscì a guadagnarsi il grado di comandante supremo dell’intero esercito di Dravaji a soli tredici anni ed ora, a sedici anni, era in procinto di sposarsi.

    L’unica cosa che si era concessa grazie al suo status, era stata chiedere la mano della loro giovane regina, Saryskha, che nonostante avesse molti e molte pretendenti aveva scelto lei. Si conoscevano praticamente da sempre, il loro legame era cresciuto negli anni sino a sbocciare in quel dolce amore.
    L’unica cosa che le piaceva nell’essere il Dravami era stata la possibilità di averla conosciuta.
    Si mise in coda per usufruire del miira, il loro trasporto pubblico; il miira era molto simile ad una carrozza interamente fatta di metallo, senza ruote e con un massimo di venti posti a sedere, aperta nella parte superiore.
    Nell’isola sospesa il clima e la temperatura erano sempre costanti, in ogni stagione: il tutto era regolato da un meccanismo di natura magica situato al centro della città, proprio dove sorgeva la cattedrale del dio drago.
    Il miira viaggiava sospeso nell’aria ad una trentina di metri da terra, lungo un tragitto intervallato da sfere di rame denominate ska, che al loro interno contenevano una carica magica che rilasciavano in minima quantità al passaggio del miira, per caricarlo d’energia fino al ska successivo. Questi globi venivano ricaricati una volta all’anno, nel giorno che chiamavano del grande silenzio.
    Il miira era un mezzo molto veloce e permetteva di attraversare la città in pochi minuti.
    Rifiutò varie volte, garbatamente, le proposte di saltare la fila da parte di chi le stava davanti, anche per questo praticamente tutta la tribù l’amava.

    Quando arrivò il suo turno di salire sul miira dai colori sgargianti, si accomodò al primo posto disponibile rilassandosi il più possibile, pur sapendo che sarebbe arrivata a destinazione in meno di cinque minuti. Si perse nuovamente tra i suoi pensieri mentre guardava case e palazzi sfrecciarle accanto.
    Arrivata a destinazione un ruggito l’accolse.
    Sorrise nel vedere quel furbacchione di Rushaa che l’aspettava come un cagnolino scodinzolante alla fermata del miira. E si ripromise che un giorno avrebbe scoperto come facesse quel burlone di un drago ad eludere la sorveglianza degli stallieri e riuscire a sgattaiolare per la città senza essere visto, un enorme dragone di duecento chili nero come la notte non poteva di certo passare inosservato.
    Saltò giù dal mezzo di trasporto e si aggrappò al collo dell’animale che posò il muso sul suo naso.

    “Come fa un drago della tua età a comportarsi come se fosse appena uscito dall’uovo?!”
    Ridacchiò lasciandosi andare a terra, accarezzò il muso del drago e si avviò verso una gigantesca costruzione fatta interamente di cristallo, le cui vette aguzze toccavano i cento metri di altezza. L'intera struttura era stata creata grazie alla magia e poteva resistere a qualsiasi attacco; era antica, molto: risaliva a prima della costruzione della città sospesa, che era stata eretta intorno ad essa, veniva utilizzata come difesa ultima in caso di attacco. Poteva ospitare l’intera popolazione Dravaki. Era il Palazzo reale.

    Al cancello era stanziato un gruppetto di quattro soldati, con l’armatura da guerra e armati fino ai denti. Stavano chiacchierando, appollaiati intorno a delle carte da gioco sparse a terra.
    “Che diavolo state combinando?! Il vostro compito è di difendere il palazzo di sua maestà, non di prendervi una pausa!”
    urlò furibonda, i quattro scattarono in piedi e portarono la mano destra all’altezza del petto inchinandosi leggermente in avanti, il saluto militare.
    Runa ringhiò, le labbra le tremarono fin quasi a lasciare scoperti gli affilati canini. I soldati rabbrividirono, sapevano che far infuriare il comandante supremo significava morte certa, uno di loro tremando vistosamente si fece avanti.

    “Ci perdoni comandante, è sempre così calmo qui che ci siamo concessi un piccolo svago per non cadere vittime della noia.”
    La Dravami urlò ancora con tutto il fiato che aveva in corpo:
    “Razza d’idioti! il vostro è il più importante e anche il più onorevole dei compiti! La sicurezza della regina Saryskha è nelle vostre mani!
    E voi che fate, giocate?! Ma vi rendete conto che se ci avessero attaccati vi avrebbero assaliti facilmente e sarebbero entrati nel palazzo reale!”
    Ancora più impauriti i soldati iniziarono a balbettare:
    “C-ci scusi ancora comandante, non accadrà più”

    Un ruggito potente fece letteralmente accasciare i militari.
    “Ovvio che non accadrà più! Siete sospesi! Ora sparite dalla mia vista!”
    I quattro scapparono a gambe levate; anche se ora avevano una grossa macchia sulla loro carriera, almeno erano ancora vivi.
    “Ho bisogno di quattro soldati seri ai cancelli, ora!”
    urlò ancora una volta Runa, e in meno di due minuti altri quattro soldati arrivarono di corsa, le fecero il saluto militare e si posizionarono al loro posto.

    “Se vi spostate solo di un centimetro vi sbranerò tutti!”
    ordinò furiosa. E mentre si allontanava, mosse la mano nella direzione di Rushaa, che si accucciò accanto ai cancelli reali, puntando lo sguardo sui quattro militari; tutti impettiti, sotto i pesanti elmi, costoro sudavano vistosamente: avere il drago di Runa che li controllava era come avere lo stesso comandante che li teneva sott’occhio.
    Entrata nel palazzo si servì del miisa, una variante ridotta del miira che permetteva di salire diversi piani evitando la fatica di percorrere svariate rampe di scale.
    Runa scese dal miisa, percorse pochi metri e si fermò dinanzi ad una semplice porta di mogano scuro. Mosse la mano all’altezza della vita, una sfera incastonata nella porta s’illuminò e quest’ultima si aprì senza alcun rumore.
    La ragazza entrò nella stanza, era appena pomeriggio ma era già stanca, si avvicinò ad una specie di panca lunga ricoperta di pelli animali, iniziò a togliersi l’armatura che in quel momento le pesava come un macigno, e la buttò sulla panca.

    “Non pensi di aver esagerato con quei poveri soldati?”
    Si aspettava quella soave voce d’angelo, come si aspettava l’ennesima ramanzina sulla sua rigidità.
    “Ti ha sentito l’intero palazzo, urlavi come un’ossessa.”
    Runa sospirò e con addosso solo una semplice maglietta smanicata si buttò sul letto.
    “Finirai per perdere la voce, e anche la sanità mentale, se continui ad arrabbiarti per ogni più piccola cosa.”
    La snella figura dai lunghi capelli corvini posò il libro che stava leggendo sul basso tavolino di ciliegio dinanzi a lei, si alzò e con grazia paradisiaca, esaltata da un lungo abito azzurro che le superava i piedi, si avvicino al letto.

    “Quegli idioti non hanno la minima idea dell’immenso onore che hanno nel servire la famiglia reale e il popolo Dravaki! Perdono tempo invece di fare il loro dovere, la sicurezza di migliaia di Dravaki è nelle loro mani ma sembra non importargli.”
    Sbottò il comandante cercando di trovare una posizione comoda sul suo giaciglio.
    “Hai ragione, ma proprio perché devono difendere migliaia di Dravaki non credi che turni così lunghi, nell’unico posto della città dove non c’è molto movimento, possano tediare i soldati, alla lunga?”
    Runa fissò Saryskha negli occhi nocciola riflettendo sulle sue parole.

    “Accorcerò i turni di guardia ai cancelli del palazzo reale.”
    Rispose alla fine distogliendo lo sguardo. Gliela aveva data vinta.
    “Sono sicura che i tuoi soldati apprezzeranno.”
    Rispose Saryskha sorridendo dolcemente, un sorriso così bello Runa non lo aveva mai visto; e probabilmente era una delle tante cose che l’aveva fatta innamorare della ragazza.
    La lunga e sinuosa coda della giovane dai corti e selvaggi capelli ebano si strinse delicatamente al polso dell’altra.
    “La mia regina vuole stendersi accanto a me?”

    La ragazza sorrise ancora più dolcemente.
    “Volevo finire di leggere i mille racconti di Brasar”
    Disse, voltandosi leggermente ad osservare la copertina bluastra del libro abbandonato sul basso tavolino
    “Ma non è una raccolta di racconti erotici?!”
    Chiese Runa sorpresa.
    La regina ridacchiò sommessamente mentre si lasciava guidare sul letto dalla coda della compagna.

    ringrazio per l'aiuto Andysky21, InKubus e KungFuTzo


    Edited by RàpsøÐy - 31/12/2017, 15:03
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    ATTENZIONE: Le candidature sono ufficialmente chiuse, chi si è proposto a breve verrà contattato per essere colloquiato, buona fortuna a tutti voi!
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    ho sempre fatto il mio lavoro, se prima il mio lavoro prevedeva solo la traduzione mi dedicavo ad essa e non aprivo bocca, ora il mio lavoro è frustare i redattori, e mi piace da morire il mio lavoro
    che dire, se da una parte mi mancherà sentire in chat urlare: "E TORNATO IL ROMPICOGLIONI" con i seguenti litigi per decidere chi avrebbe avuto l'onore di ricacciarti via a calci in culo, dall'altra sento una leggerezza nel cuore... mi sento in pace con il mondo...
    e ora: *apre la porta e fa volare Sand dall'altra parte con un calciorotante* NON FATTI PIU RIVEDERE!!!!

    con amore, Silent Shadow
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    *fa saluto militare* caro collega mi dispiace non averti più a fianco in questo viaggio/avventura ma resti il mio fratello adottivo e come tale dovrai ancora sorbirti le mie cazzate in chat privata, sei stato avvertito
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    Sono otto le monache immortalate nel monastero di Torba (Varese), affrescate frontalmente e accompagnate da otto sante, forse le protettrici delle stesse monache, o le loro anime rappresentate nella visione celeste.

    C'è però un particolare che balza immediatamente all'occhio: tre di loro sono senza volto.

    Perché questa anomalia? Molte le ipotesi, tra cui la forte umidità come possibile responsabile della scomparsa dei lineamenti: negli affreschi, occhi, bocca e naso venivano solitamente dipinti sopra l'ovale del volto, mantenendo una presa debole.

    Eppure un fatto non torna: come mai i volti delle altre donne non sono scomparsi? Le tre monache senza identità hanno volti di un rosa perfetto, privo di qualsiasi traccia, come se nulla fosse mai stato disegnato sopra, come se effettivamente fossero sempre state senza viso.

    Un'anomalia spiegata con un'oscura leggenda: sembra che mentre veniva realizzato l'affresco, tre monache si allontanarono dal monastero, lasciando così incompleti i ritratti, nell'attesa di essere finiti con l'arrivo di nuove monache, cosa però che non accade mai, perché il luogo fu abbandonato a causa dei troppi pericoli.

    Erano donne sole e isolate, con l'unica difesa delle preghiere contro i malintenzionati che uscivano dall'oscurità del bosco per aggredirle. Forse la sorte delle tre monache che furono viste sparire tra gli alberi, senza mai fare ritorno, fu proprio questa, anche se i corpi non vennero mai ritrovati.

    Ancora oggi si dice che i loro spiriti vagano per i fitti boschi di Torba, nel tentativo di rientrare nel dipinto. il giorno in cui ci riusciranno, i lineamenti appariranno e ritroveranno l'identità perduta. Ricordando chi sono, potranno finalmente accedere al Paradiso. Quando ciò accadrà... noi lo sapremo perché lo vedremo con i nostri occhi.

    È comunque possibile che i loro spiriti siano tenuti prigionieri da qualche entità dei boschi: non siamo distanti da Golasecca, luogo dei famigerati rituali delle Bestie di Satana, e forse non è un caso che all'interno della chiesa di Santa Maria di Torba, che fa parte dello stesso complesso, sia stata dipinta una figura mefistofelica, vicino a una pietra sacrificale adagiata all'interno della cripta.

    Ciò che sorprende è la grande somiglianza delle monache con i noppera-bō, gli spiriti senza faccia giapponesi, fantasmi innocui, la cui unica arma sarebbe la paura.

    Si presentano mostrando tratti somatici rassicuranti, per poi cambiarli con il vero viso, vuoto, capace di terrorizzare molto più di un volto mostruoso. Lo stesso accade per queste monache: nonostante siano prive di occhi, sembra che ci osservino con sguardo muto di cui non possiamo capire l'intenzione.

    E allora preferiamo allontanarci, nella speranza che un giorno ritrovino l'agognata pace.




    CITAZIONE
    le_monache_senza_volto__2Affresco all'interno della chiesa di Santa Maria di Torba (Varese).

    FONTE:
    Mistero Magazine Marzo 2017


    Edited by KingRyuX - 16/3/2017, 21:00
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    Chi si reca al Castello della Rotta (Moncalieri, Torino) cammina inconsapevolmente su quello che è stato un campo di molte battaglie, una delle quali gli avrebbe fatto meritare il nome Rotta, che significa per l'appunto sconfitta. Questo castello, che già porta un infausto nome di sventura, è divenuto celebre per una grande quantità di foto di spettri che hanno colorato la cronaca negli ultimi tempi.

    Qui si svolsero moltissimi scontri armati con conseguenti morti violente: non solo il campo è intriso del sangue dei soldati, ma in esso furono sepolti molti uomini, tra i quali la figura di un cavaliere ancora con il suo cavallo e con una croce di ferro al collo.

    Quando questo soldato emerse dal terreno, colpì molti animi perché da sempre si narrava di un fantasma di un cavaliere a cavallo vagante per il maniero, con la stessa croce di ferro al collo; fatto non solo dichiarato da testimonianze oculari di residenti, ma anche da documenti del passato, che hanno sempre attribuito alla Rocca la fama di castello più infestato d'Italia.

    Del fantasma a cavallo si sentirebbe risuonare il rumore degli zoccoli nelle stanze interne come nel racconto La maschera della Morte Rossa scritto da Edgar Allan Poe, in cui si narra di un gruppo di nobili che per sfuggire alla peste (trama analoga alla cornice del Decameron di Boccaccio) si rinchiude tra le mura della rocca a passare le giornate in festa, fino a che uno strano individuo mascherato si imbuca, interrompendo musica e danze e terrorizzando gli invitati destinati alla morte rossa.

    Egli non sarebbe stato "avvistato" da solo, ma affiancato da altri spettri che ogni anno, nella notte tra il 12 e il 13 giugno, marcerebbero in processione intorno al castello. Ognuno con la propria storia terribile: c'è il sacerdote murato vivo per i terribili crimini commessi; il ragazzino travolto da cavalli imbizzarriti; la sua nutrice disperata per averlo perso; il decapitato che vagherebbe ancora nel cortile con la testa sottobraccio.

    Una donna suicida lascerebbe invece profumi di rose e gigli. E soldati, tanti soldati in marcia verso eterne battaglie ancora da compiersi.

    Il corteo di spettri è qualcosa di terribile che esiste fin dall'XI secolo grazie alla narrazione della Banda Hellequin, anime sofferenti che patiscono le punizioni dei peccati in terra, narra del monaco Orderic Vital.

    Anche nella Storia Ecclesiastica si parla del corteo Hellequin, uomini torturati da demoni ognuno per un'efferatezza compiuta in vita, come lo stupratore obbligato a cavalcare un animale su una sella piena di chiodi.

    Ne abbiamo un'idea nel quadro di Hieronymus Bosch in cui alcuni prelati supplicano di essere aiutati a fuggire, possibilità ottenibile solo grazie ad azioni riparatrici dei parenti rimasti in terra, e unico modo per rompere le catene di questi poveri fantasmi destinati a vagare per l'eternità.



    CITAZIONE
    castello_della_Rotta__2
    castello della Rotta

    FONTE
    Mistero Magazine Marzo 2017


    Edited by Silent Shadow - 3/3/2017, 14:01
  11. .
    aggiunto il settimo capitolo
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    se avete bisogno che frusti l'imbroglione non avete che da chiamarmi u.u
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    se ha la sorpresa sotto le farà guadagnare oltre alla tripla razione di frustate anche un evirazione a secco (senza anestetici o droghe) apportata dal mio fido machete arrugginito u.u
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    CITAZIONE (Emily Elise Brown @ 17/1/2017, 22:20) 
    Ho deciso: voglio chiamarmi Tomato Emily Elise Brown!

    e lo voglio subito! :titto:

    Te lo vieto categoricamente! :titto:
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    Markrath, sei ufficialmente bannato dal CPF, non si usa il nome di Silent Shadow senza il suo consenso ne tantomeno senza aver pagato i diritti di utilizzo.
    Addio!
216 replies since 10/1/2012
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