Votes taken by Faust Redrose

  1. .
    Il grande Faber, amato conterraneo :)
    Al momento sto ascoltando questa:
    www.youtube.com/watch?v=RaBBrTaDY9g
  2. .
    CITAZIONE (Rory @ 28/3/2019, 13:09) 
    Giusto, in questo contest voterà solo lo staff? o anche gli utenti come nello scorso contest? :o

    Ehi Rory.
    Voterà staff ed utenti non partecipanti.
    Mi hanno scritto questo in mp.
  3. .
    Staff, metti la sezione "smistamento traduzioni" già che ci sei.
    Dividere il potenziale creativo da quello ricettivo, un'idea che potrebbe darvi una mano.
  4. .
    Bill Wilkins.
  5. .

    1950. Il “Baltimore Evening Sun” registra un cittadino anonimo che, annualmente, s’intrufola nel cimitero per posare una bottiglia (di ottima marca) davanti alla tomba.
    Questa risulta la prima documentazione scritta della visita di uno dei personaggi più misteriosi dei nostri tempi: il Poe Toaster.



    Dagherrotipia (primo metodo fotografico) di Edgar Allan Poe.


    Edgar Allan Poe nacque il 19 Gennaio del 1809 a Boston e morì, in circostanze ad oggi misteriose, il 7 Ottobre 1849 a Baltimora.
    Inventore dell’horror psicologico e del giallo moderno, fu sepolto nel cimitero Westmister Hall and Buring Ground, nella stessa città dove avvenne il suo decesso.
    Nonostante la fama dello scrittore, al ritrovamento del suo corpo in una taverna, la sepoltura che ne seguì fu molto oltre l’umile ed il modesto.
    Fu infatti sepolto senza lapide né altri contrassegni, nei primi tempi si temette lo smarrimento del corpo interrato, nascosto dalle erbacce. Il giudice Neilson Poe, suo cugino, ordinò dunque una lapide in marmo italiano mentre, nel frattempo, una pietra di arenaria segnalava il luogo di riposo dello scrittore, sulla quale era inciso “80” e nient’altro. E fu proprio quando tutti pensarono che Edgar Allan Poe avrebbe finalmente goduto di una degna sepoltura che il treno, sul quale veniva trasportata la lapide di marmo, ebbe un disastroso incidente e il carico ne risultò distrutto o perduto.

    Morì nel 1849 e passarono ventisei anni prima del suo funerale.
    Il corpo di Edgar fu spostato verso l’entrata frontale del cimitero, dove l’immenso parallelepipedo eretto in suo onore avrebbe potuto avere spazio di respiro.

    Nel 1913 un cenotafio (una lapide simbolica) fu posato nel luogo originale della sepoltura. In molti dichiararono fosse in posizione errata, fu dunque spostato ma c’erano ancora lamentele sulla locazione. Non ne fu più, tuttavia, alterata la posizione.

    Dettaglio cenotafio di Edgar Allan Poe.


    È proprio davanti a questa stupenda lapide che la storia del decesso di Edgar prende una piega inaspettata, questa volta in senso positivo e poetico.
    I primi avvistamenti non ufficiali risalgono agli anni del 1930: un uomo col cappello, vestito di nero e con la sciarpa bianca, deposita tre rose rosse davanti al cenotafio di Poe. Di seguito, apre una bottiglia di pregiato cognac, fa un brindisi, beve un sorso e, dopo aver richiuso la bottiglia, deposita anch’essa di fronte alla lapide, prima di andarsene indisturbato alle prime luci dell’alba. Questo rituale continuerà per più di mezzo secolo, ogni anno il 19 Gennaio quel misterioso individuo depositerà tre rose rosse e una bottiglia di cognac, di soppiatto cercando di non essere individuato.
    È il brindisi per commemorare la nascita di Edgar Allan Poe, e quest’uomo misterioso verrà presto soprannominato “Poe Toaster”.

    Disposizione originale di rose e cognac.
    Il periodo di attività del “Toaster” (Toaster: brindisi; colui che brinda) è documentato dal 1950 al 2009, anno in cui decise di terminare quella che ormai era diventata una tradizione e un’attrazione, con pubblico proveniente da tutta l’America.

    Il misterioso individuo lasciò anche diverse lettere brevi, una delle prime citava: “Edgar, non ti ho dimenticato” facendo sospettare qualche legame tra il Toaster e lo stesso Poe.
    Jeff Jerome, l’ex curatore della “Casa Museo di Poe”, era colui che si occupava di raccogliere queste lettere e di conservarle, alcune delle suddette bottiglie di cognac sono tuttora esposte nel museo dello scrittore.
    Un messaggio alquanto criptico venne lasciato nel 1993, il quale diceva: “La torcia verrà passata”. Il completo significato di queste parole verrà compreso solo nel 1999, quando un’altra nota attestò la morte del precedente Toaster l’anno prima.

    Tuttavia il nuovo ragazzo (probabilmente il figlio) non tenne fede alle rigide direttive del vecchio, trasformando la tradizione in qualcosa a tratti grottesco.
    Nel 2001 venne lasciata una nota che commentava in toni altezzosi un’imminente partita del Super Bowl. Questo fatto suscitò comprensibili polemiche, in quanto il Toaster non aveva mai commentato eventi correnti, tanto meno sportivi.
    Nel 2004 un’altra lettera di dubbio gusto accusava la Francia di aver negato gli aiuti nella guerra contro l’Iraq.
    Negli anni successivi Jeff Jerome confessò addirittura di aver nascosto una lettera dai toni così offensivi da non meritarne la condivisione pubblica.
    La tradizione finì il 19 Gennaio 2009, col duecentesimo anniversario dalla nascita di Poe. Passò qualche anno prima che Jeff Jerome desse le dimissioni, dato che l’affetto per questo personaggio (che ricordo, ad oggi è ancora anonimo) era un tassello fondamentale per il suo lavoro. Successivamente diversi “fakes” si fecero avanti, tra cui diverse donne o gente che cercava solo gratificazione pubblica e un tizio in limousine.
    Jerome poteva attestare senza difficoltà che non ve ne erano presenti di “Poe Toaster” autentici: il misterioso anonimo infatti faceva un gesto, di cui solo Jerome conosceva la natura, per farsi riconoscere come originale.
    Nel 2012 Jerome confermò la conclusione della cerimonia per Edgar Allan Poe, con parole del tipo: “Non ci troviamo di fronte ad una malattia o ad un ritardo in macchina, il Toaster ha chiaramente deciso di smettere. E sono triste che non abbia lasciato nulla di chiaro per farmelo capire”.

    Nel 2015 una compagnia di terzi finanziò un finto Toaster per mantenere alta la tradizione. Ancora oggi, ogni 19 Gennaio, allo scoccare della mezzanotte gruppi di persone si radunano di fronte al cenotafio di Edgar Allan Poe, cantando “Tanti Auguri” e successivamente recitando ad alta voce le sue poesie. E alle primi luci dell’alba un uomo, dal viso coperto, si fa avanti suonando “Danse Macabre” al violino, depositando tre rose rosse, brindando con un cognac Martell per poi depositarne la bottiglia di fronte alla lapide. Non sarà il Toaster originale, ma nessuno può negare che non abbiano scelto, per ricoprire il suo ruolo, un signore di gran classe.

    Sostituto ufficiale del Poe Toaster che porta, per inverso, i doni alla tomba vera di Poe.





    Edited by RàpsøÐy - 3/8/2018, 19:31
  6. .
  7. .
    Babaaaaaaaaaadook
  8. .
    top-of-mount-everest-looking-down-wallpaper-2

    “Puoi amare un’ombra - una banale mano che scarabocchia parole zoppicanti e che appartiene in qualche modo ad un banale nome sui giornali? Ma le parole sono pensieri, e i pensieri sono uomini e sono donne. Possono i pensieri amarsi l’un l’altro? Chiaramente, devono.”

    Everest. Coi quasi 9km in altezza (8848m), è il monte più alto al mondo. Nella catena dell’Himalaya, il gigante colpisce per fama e numeri... ma pochi conoscono le agghiaccianti vicende correlate al monte in quanto “sfida all’umanità”, e a coloro che organizzarono spedizioni per raggiungerne la Vetta.
    Fossili marini sulla cima, avvistamenti ufologici e impronte col DNA dello Yeti sono fattori meno terrificanti di ciò che il gigante nasconde ai profani dell’alta quota.
    In questo articolo vi parlerò della scia di cadaveri che si protrae dal 1924 fino ai giorni nostri: i segreti della Zona Mortale.

    “Uno strano effetto? Beh, solo questo, che dopo averti letta mi è venuta voglia di baciarti. ‘Vuole baciare una ragazza che non ha mai visto’ - direbbero i ficcanaso.”

    La “Valle Arcobaleno” è un’area poco più in basso la vetta dell’Everest. Locata nel Versante Nord del monte, affacciata dunque verso il Tibet, possiede un nome tanto romantico quanto ingannevole. In piena Zona Mortale, la “Valle Arcobaleno” è un conglomerato di dozzine di cadaveri, attrezzature e spazzatura. Il nome allegro è ispirato ai colori dei vari giacconi e arnesi, risultando di fatto uno dei più vasti cimiteri a cielo aperto del mondo.
    Sull’Everest ci sono più di 200 cadaveri tra Campo Base (5270m) e Vetta e no, quelli di cui sto per parlarvi non sono recuperabili. In questo risiede il fascino orrorifico dell’alta quota: non solo il monte è perennemente sottozero come in un’eterna era glaciale, più ci si avvicina agli 8000m più l’aria diventa rarefatta richiedendo l’ausilio di bombole d’ossigeno per proseguire.
    Ma è oltre gli 8000m che si entra nel territorio della così detta “Death Zone”: due terzi dell’ossigeno presente sul livello del mare qui è assente, ciò comporta un sostanziale indebolimento del corpo il quale necessita sforzi titanici per affrontare il semplice camminare... ogni passo verso la Vetta aumenta il rischio di emorragia cerebrale e molti scalatori sono morti per sfinimento accasciandosi al suolo senza possibilità di soccorso. Essendo le situazioni climatiche difficili anche per la sopravvivenza dei microrganismi, i corpi risultano come mummificati, erosi da gelo e tempeste, ustionati dal sole.
    È questa la Zona di Morte, un luogo dove i soccorsi di qualunque genere (anche per via aerea) comportano un rischio di decesso troppo alto per prendersene la responsabilità. Il punto di non ritorno.

    p034s06h

    Nel grafico è presente un unico nome di persona. Chi è questo Tsewang Paljor?
    L’orientamento in quelle aree rocciose, colpite da frequenti tempeste di neve, svariate valanghe e terremoti potete immaginare non sia qualcosa di semplice. Gli eventi naturali possono rendere invisibili importanti punti di riferimento, necessari per esempio a non sbagliare strada e cascare in un crepaccio (tema ricorrente). Serve dunque qualcosa di facilmente riconoscibile, che non cambi posizione e con un nome preciso.
    “Green Boots Cave”. “Stivali Verdi” in italiano, è un importante riferimento guida che, come la Stella Polare, indica agli scalatori del Versante Nord la direzione verso la tanto agognata Vetta. “Green Boots” non è altro che il cadavere di Tsewang Paljor, uno scalatore indiano morto nel 1996 a causa dell’Everest Disaster: una tempesta di neve investì in quell’anno due gruppi di scalatori, 8 furono le vittime. 5 morirono sul Versante Sud e 3 (tra cui Paljor) sul Versante Nord. “Green Boots” viene usato tutt’oggi come punto di riferimento, il suo corpo nei pressi della Vetta, in un anfratto tra le rocce, vicino alla “Valle Arcobaleno”.

    green-boots
    Famosa foto dei resti di Tsewang Paljor.

    “Piuttosto, sei bella? Spero di no. Se fossi abbastanza brutta posso garantirti che quando ci incontreremo sarà il momento più bello delle nostre vite; se sei normale, di una moderata normalità, ti prometto che non sarò troppo dannatamente educato o teso; ma se sei bella che il cielo mi aiuti; dovrei zittirmi come un’anemone di mare.”

    Esatto, non tutte le morti sul monte sono vane. La difficoltà di decomposizione dei corpi e il fatto che il clima angusto permei nei cadaveri attaccandoli alla montagna, rende i trapassati delle vere e proprie vedette per gli scalatori successivi. Alcuni corpi vengono tuttavia “seppelliti”, o per meglio dire nascosti alla vista. È il caso di “Sleeping Beauty” (la Bella Addormentata) un famoso punto di riferimento sul monte Everest. È il cadavere dell’americana Francys Arsentiev, prima donna degli USA ad aver raggiunto la Vetta senza l’ausilio di bombole d’ossigeno. Morta durante la discesa nel 1998, venne poi rispettosamente nascosta alla vista nel 2007. Molti scalatori come lei raggiunsero la Vetta morendo poi nei tentativi di discesa.

    George-Mallory-others
    George Mallory, (nel cerchio bianco.)

    “Devo dirti la grande notizia per prima: - Sto per andare un'ultima volta sul vecchio Everest. Tutto è avvenuto improvvisamente in fretta. Il mio capo pensa che: - dobbiamo vincere il monte al prossimo tentativo o mai più. Dobbiamo arrivare lassù e lo faremo.”

    Questo si specula riguardo allo scalatore George Herbert Leigh Mallory. Siamo all’inizio del 20esimo secolo, e scalare l’Everest è un’impresa ancora incompiuta. Dopo una missione di perlustrazione del monte nel 1922 e un tentativo di scalata fallita (senza vittime) nel 1923, si tenterà la famosa spedizione del 1924.
    Fu l’Inghilterra a organizzare i vari primi tentativi, in tutti e tre gli anni l'abile scalatore Mallory fu l’unica costante degli appartenenti ai vari gruppi. Fu lui a tracciare una prima mappa del gigante nel ‘22 e ad organizzare il piano dei percorsi da seguire negli anni successivi. Nonostante il suo genio, nel 1924 partì con il suo collega Irvine ma nessuno di loro fece ritorno. I due salirono all’inferno e non ne scesero mai più. Il suo corpo fu ritrovato 75 anni dopo, morto probabilmente mentre scendeva dalla Vetta, anche se di questo non abbiamo prove concrete. Se fosse, sarebbe stato il primo a raggiungere la Cima, ed il primo ad averci provato. Il corpo del collega Irvine è ad oggi disperso.


    Il testo in corsivo lungo l'articolo sono lettere che George Mallory scrisse ad Eleonore Holmes, una sua fan. La corrispondenza di lei è scomparsa.
    Alcune tra le fonti principali:
    www.bbc.com/future/story/20151008-t...200-dead-bodies
    https://en.wikipedia.org/wiki/Mount_Everest
    www.theguardian.com/uk-news/2015/m...lirtatious-side


    Edited by Faust della Rosa - 19/7/2018, 00:22
  9. .
    Ho sempre amato questa metafora. Segno che per rinascere qualcosa deve morire.

    Il nostro amato forum sta rinascendo, è importante che alcuni cambiamento vengano attuati per rendere questo luogo di terrore e paura più accogliente e armonioso (sono consapevole dell'ossimoro).

    Alcuni tra noi si sono lamentati di cose, a mio parere, totalmente irrilevanti. Tipo la libertà di espressione in chat, quando questo è un forum di scrittura.
    È un forum di scrittura
    Di scrittura

    Noi vogliamo che il forum rinasca. Bene, concentriamoci sulle priorità.
    Avete notato che qui non si fanno battute sugli omosessuali? Avete pensato perché? Perché diversi utenti sono LGBT.
    Dunque io eviterei anche altre battute, come quelle sugli ebrei e le persone di colore. Tutto ciò non vieta l'umorismo nero (-.-), che anzi ritengo correlato all'ambiente horror del forum.
    Perché tutto ciò? Semplice, un nuovo arrivato guarda le scempiaggini in chat e scappa. Capirei questa persona, che probabilmente cercava un ambiente professionale che tiene in vita la scrittura horror formato caramella.

    Vogliamo più affluenza? La prima lezione che vi do è quella di pulire questo luogo dalle scemenze senza contesto, nessuno vuole varcare la soglia di una casa che ha cattivo odore e che perde pezzi di intonaco.

    Chase Your Nightmares, always! :)
  10. .
    Benvenuto Abyssion.
    Capiti in un momento di cambiamento nel forum, ma ti assicuro che di Creepypasta e storie dell'orrore ce ne saranno sempre, e sempre di nuove!
    Ci si vede in giro per il sito ;)
  11. .
    Facciamo un canale radio nostro, del CPForum. Utenti scelti la gestiranno, con musica selezionata e la voce dello/degli speaker saranno scelti tra di noi.
    Pare meglio.
  12. .
    Il mio inglese non era molto comprensibile a quei bifolchi russi, ma qualche parola il locandiere la capiva. Tradusse il poco che aveva compreso urlandolo a tutti i presenti, cioè che cercavo la Foresta d’Assenzio a nord di Kiev. Nella stanza calò un silenzio agghiacciante. Tutti si girarono verso di me, tutti tranne un mazziere che continuava a mescolare le sue carte, in tranquillità, nello sgomento generale. Avevo affrontato un lungo viaggio per arrivare fin lì e non mi sarei tirato indietro facilmente. Ero disposto a pagare, pagare bene, per ricevere un passaggio fino a destinazione.
    Il locandiere mi guardò di sbieco e si avvicinò un poco. In un inglese che era tutta una sua opinione, mi disse in modo molto serio e lentamente, quasi come se spiegasse ad un bambino che gli asini non volano, che non avrei potuto ottenere quel passaggio. Chiunque andasse in quella foresta non faceva più ritorno.
    In un attimo capii che mi trovavo in un guaio ancora peggiore di quanto non lo fosse già in partenza. La mia famiglia morta, la mia vita in pericolo e l’unica chiave per risolvere l’enigma (forse) si trovava in quella foresta… dalla quale nessuno era mai tornato. Presi un respiro profondo, ma non fu sufficiente a calmarmi. Allora chiusi gli occhi e ne presi altri due, cercando di riflettere. Quando li riaprii il mazziere flemmatico che avevo notato prima era seduto accanto a me. In breve il resto della locanda tornò ai suoi affari, e un chiasso ordinario si fece risentire, sciogliendo la tensione che si era venuta a creare.
    «Raccontami la tua storia, straniero» disse il mazziere.
    «Un attimo, lei parla inglese?» risposi io, pieno di sorpresa.
    «È quello che sembra, e non è l’unica cosa che so fare… o che posso fare» mi disse, accennando un sorriso.
    Questo russo mi stava forse cercando di dire che mi avrebbe dato un passaggio? No aspetta, non sembrava proprio un russo. Era vestito alla moda degli altri, ma aveva i capelli e gli occhi neri come il fondo di un pozzo, la carnagione leggermente scura. Chiaramente anche lui era uno straniero, questo mi tranquillizzò un poco. Eravamo entrambi di origini estranee a questo posto, anche se lui era chiaramente più integrato di me.
    «Sono maledetto» me ne uscii in un modo decisamente diretto, ma neanche questo lo scosse.
    «È interessante quello che dici, continua»
    «Vengo da lontano, da Londra per essere precisi. Mi ero appena trasferito in quella capitale con mia moglie e mio figlio. Pensavamo sarebbe stato l’inizio di una vita felice per noi, dopo anni di duro lavoro e sacrifici… invece è tutto finito, molto prima che iniziasse» a questo punto mi misi una mano sul volto per coprire una lacrima.
    «Mi dispiace per le tue disavventure, straniero» disse il mazziere, con un tono più coinvolto di quello che mi aspettassi.
    «Dorian, mi chiamo Dorian» aggiunsi.
    L’uomo semplicemente annuì e stette in silenzio. Dunque continuai: «Vedi, io ho fatto fortuna. Ho abbandonato la mia penosa attività di famiglia dandomi al mercato delle locomotive a vapore. È stato un colpo da maestro, non credevo sarei riuscito a raggiungere certi traguardi!» dissi con una punta di orgoglio, ma il mazziere non sembrava colpito. A quel punto mi pentii di aver accennato questa cosa su di me ad uno sconosciuto. Adesso sapeva che ero ricco, e sì forse mi avrebbe dato il passaggio ma… a quale prezzo?
    «Come ti chiami?» gli chiesi, come se fare la sua conoscenza riparasse a ciò che avevo rivelato.
    «Non è importante il mio nome, ma puoi sempre chiamarmi Ivan» disse sorridendomi.
    «Dunque, Ivan, questo è quello che è successo» presi un respiro profondo: «Progettando il trasferimento a Londra richiesi che ogni pezzo di arredamento fosse nuovo, molti di essi erano importati. Come i mobili. Mobili russi in pino silvestre arredavano tutta la casa, rendendo l’ambiente elegante e leggermente stravagante. Le mie disavventure incominciarono una notte» presi un altro respiro profondo…
    «Vedi, in quella notte, mi ero semplicemente alzato per andare in bagno. Tenevo la lanterna alta, sopra la testa, per farmi luce lungo il breve tratto che dovevo percorrere. Mi guardavo intorno, ammirando quello che era uno dei miei splendidi risultati dopo lunghi sforzi: la mia nuova casa. In quel momento mi girai verso la pendola per vedere che ore fossero...»
    «Sì, era uno dei mobili russi?» disse Ivan, vedendomi titubante.
    «Esatto, beh stava sanguinando».
    Stettimo un attimo in silenzio. Ivan si mise una mano sul mento, sembrava assorto in profonda riflessione. Alzò lo sguardo verso di me, dicendomi: «Sicuramente non è per questo che sei qui, io al posto tuo lo avrei buttato via e non avrei più voluto sentirne parlare. Cos’è successo dopo?».
    Dopo, di fronte a quella visione orribile, tutti i liquidi che avevo in corpo li svuotai sul posto... ma evitai di menzionare questo dettaglio: «Dopo, restai fermo attonito a guardare le lancette che ad ogni ticchettio gocciolavano abbondante sangue. Abbassai la lanterna per osservare che il mobile grondava da ogni fessura. Seguii con lo sguardo un rivolo di sangue che piano scendeva fino al pavimento creando una pozzanghera rossa, proprio sotto quella pendola. Chiusi gli occhi prima di girarmi e guardarmi attorno: l’angoliera sanguinava, come il mobile dell’argenteria, la cassettiera... Non urlai, interiorizzai tutto e poi svenni».
    «Che storia incredibile!» esclamò Ivan, ma c’era qualcosa nel modo in cui lo diceva che mi fece dubitare fosse realmente colpito.
    «Il giorno dopo fui svegliato dalla voce di mia moglie e dal pianto di mio figlio. Ero ancora sul pavimento ma il sangue era sparito dai mobili. Fortunatamente la casa non era andata a fuoco a causa dell’urto della lanterna col suolo, semplicemente non si era rotta. Pensai fosse stata tutta un’allucinazione, finché Clare non mi disse che nostro figlio stava male, che gli stava succedendo qualcosa di orribile. Ancora tramortito, mi alzai per precipitarmi a controllare nella camera del bambino che piangeva. Grondava sangue da ogni orifizio, dagli occhi, dal naso, dalla bocca… la situazione era agghiacciante, ma capii subito che se avesse continuato così sarebbe morto dissanguato. Chiamai il medico e fu portato in ospedale, ma non ci fu niente da fare»
    «Sono molto addolorato per la tua perdita, Dorian» anche adesso, non sembrava sincero.
    «Purtroppo le mie disgrazie non finiscono qui, Ivan. Passò diverso tempo, i medici non avevano capito di che morte era stato vittima mio figlio. Tenni per me quello che avevo visto quella notte, forse era solo un’allucinazione e avrei rischiato di essere preso per pazzo. Mia moglie perse il sonno, e io con lei. Clare, che fino a qualche tempo prima era sempre stata allegra e vitale, era caduta in profonda depressione. Facevo fatica a pensare al lavoro, distratto dalla profonda sofferenza per la perdita di mio figlio che, vederla concretizzata in lei, mi toglieva il respiro. Non sapevamo perché era successo tutto questo, era successo e basta. Poi, un’altra notte, questa disgrazia ricominciò. Questa volta fummo in due a vedere il sangue colare dai mobili, e fu lei ad… ammalarsi. Morì tra le mie braccia alla stessa maniera di mio figlio. Le dissi quanto la amavo, quanto non potevo sopportare di non essere riuscito a proteggerli, che questa maledizione esoterica devessere fermata per fare giustizia a loro e, a questo punto, salvare me, dato che sono sicuro che sarò il prossimo… Clare… Tom...» scoppiai in un pianto strozzato.
    Ivan, a questo punto, mi mise una mano sulla spalla: «Di cosa hai bisogno, dunque, Dorian?»
    «Siamo a Kiev, servirebbe qualcuno che mi portasse alla Foresta d’Assenzio a nord di qui. Quella dalla quale nessuno ha fatto più ritorno… perché è con quegli alberi che sono stati fatti i mobili che hanno maledetto la mia casa. Devo investigare, tanto la mia vita è condannata lo stesso. Conosci qualcuno disposto a...?»
    «Posso portartici io, Dorian»
    «Davvero? Quanto chiedi?»
    «Niente, lo faccio perché la tua storia mi ha toccato il cuore»
    «Grazie! Tu sì che sei un amico!» dissi infine, a questo sconosciuto.
    Saremo partiti quella sera stessa. Avevo già con me un borsone attrezzato sia per il viaggio che per ispezionare la foresta. Ivan salutò i suoi amici al tavolo da gioco con parole in russo che non capii e uscimmo nella gelida aria di una notte giovane a Kiev. Non c’era neve, ma l’aria fredda era sufficiente a farmi battere i denti, mentre Ivan sembrava perfettamente a suo agio in un clima che conosceva bene. La sua carrozza era poco distante, un bel modello con in testa due cavalli neri.
    «Perché mi accompagni, non è pericoloso per te?» gli chiesi, poco prima di salire nell’abitacolo.
    «Perché io vado spesso là, e sono sempre tornato» mi disse, con un mezzo sorriso.
    Probabilmente erano solo leggende locali dunque. Quando mi trovai dentro ebbi diverso tempo per riflettere da solo. Ormai ero lì e sarei andato fino in fondo. Pensai che, nonostante le prime impressioni iniziali, questo Ivan si stava rivelando una brava persona che mi avrebbe aiutato a scoprirne di più sulla maledizione che pendeva sulla mia testa. Feci diversi respiri profondi mentre guardavo fuori dal finestrino: c’erano poche luci ad illuminare il circondario, tuttavia si leggeva tra le ombre un paesaggio di steppa, formato da varie erbe ed arbusti nani. Quando la carrozza si fermò ci trovammo ai margini della foresta di pini silvestri tanto temuta dagli abitanti del posto, contenente il segreto dei mobili che sanguinano. O almeno speravo.
    Scesi col mio borsone e un brivido mi assalì. Non era solo il freddo, ma anche la visione della foresta oscura che avevo davanti agli occhi. Alberi alti e neri nella penombra delle nostre lanterne, al di là di essi il buio. Sarei dovuto andare lì dentro. Presi un respiro profondo.
    «I tuoi respiri sono sempre così drammatici, Dorian» disse Ivan sorridendomi.
    «Mi aiuta a controllare le emozioni» spiegai.
    «Hai una lanterna per farti luce?» me ne porse una spenta.
    Lo ringraziai, mi disse di cercare una casa nel profondo della foresta, qualcuno mi avrebbe quindi ospitato per la notte. Disse, inoltre, che il mattino dopo sarebbe tornato a prendermi. La carrozza si stava allontanando quando rivolsi lo sguardo a quel muro di tronchi e buio che avrei dovuto oltrepassare. Feci un altro respiro profondo, accesi la lanterna e mi addentrai nella foresta. Sembravano pini ordinari, nulla di particolare da notare ad una prima occhiata. Le foglie a forma di ago mi solleticavano il volto mentre camminavo con passo non troppo sicuro in quella tetra natura. Decisi di soffermarmi su un albero per esaminarlo. Staccai un pezzo di corteccia per vedere se aveva qualcosa di particolare, ma niente di fatto. Presi un metro da sarto dal borsone e misurai la circonferenza del tronco, già a occhio si vedeva non particolarmente spesso. Ebbi dunque l’idea di abbattere l’albero per vederne l’età tramite i cerchi all’interno del tronco. Presi un’accetta dal borsone e diedi un colpo. Dal legno un fiotto di sangue schizzò in direzione opposta al mio taglio, mollai immediatamente l’accetta là dove stava. Il cuore mi martellava nel petto, sentivo gocce di sudore scendermi dalla fronte mentre la violenza del getto accennava a diminuire. Chiusi gli occhi. C’ero, avevo trovato qualcosa… ma adesso? Cosa c’è dentro quell’albero? Presi l’accetta tra le mani e con tutta la forza che avevo in corpo ricominciai ad abbattere l’albero. Ad ogni colpo lo schizzo di sangue riprendeva vigore, sentii qualcosa all’interno dell’albero che faceva meno resistenza del tronco, ma sanguinava di più. Cadde, e ne uscirono visceri e sangue: in una posizione contorta ed innaturale c’era un cadavere all’interno di quel tronco. Le mani incominciarono a tremarmi, l’accetta mi cadde al suolo. Dove cazzo mi ero andato a cacciare? Vuol forse dire che questa distesa sconfinata di arbusti era ricolma di morti, ero in una specie di cimitero? Proprio in quel momento, la lanterna si spense. L’afferrai immediatamente per controllarla: l’olio era finito. Perché Ivan mi aveva dato una lanterna scarica? Incominciai a correre verso l’uscita, ma nonostante pensassi di star tornando sui miei passi così non era. Rapidamente mi resi conto di essermi perso. Ansimavo, i respiri erano rapidi e sconnessi, le gambe erano molli e tremavano ogni volta che mi fermavo per guardarmi intorno: buio e silenzio. Non si sentiva neanche una civetta stridere. Era come aver perso il senso della vista e dell’udito. Ricominciai a corre disperato e senza meta, sperando di trovare l’uscita da quel labirinto silvestre. Battei contro tronchi, inciampai cadendo in avanti tanto forte da mozzarmi il fiato, presi storte e facciate contro gli alberi. Ma dovevo continuare a cercare, sentivo che se mi fossi fermato sarei probabilmente morto. Vidi una luce nel folto della foresta. Ivan era tornato indietro a prendermi e quella era il lume della sua lanterna? Forse sarei uscito vivo da lì… e la maledizione? Non potevo non pensare che, tutti questi alberi intorno a me, erano probabilmente ricolmi di cadaveri. Mi avvicinai sempre di più alla luce. Non era Ivan, ma un piccolo edificio tra gli alberi. La casa che diceva appunto, dove mi sarebbe stato offerto un letto per la notte. Sembrava piccola e modesta, costruita con gli stessi pini che mi circondavano, con gli stessi pini dei miei mobili. Rabbrividii al pensiero, ma dietro di me c’era l’oscurità e davanti a me la luce. Dunque accorciai le distanze con la porta della casupola, a piccoli passi, col timore infondato che da lì a poco sarebbe esplosa in un lago di sangue. Era davvero così infondato questo pensiero? Bussai alla porta.
    «Entra pure, Dorian» era una voce di vecchia che… conosceva il mio nome?
    Girai la maniglia, avrei fatto ancora in tempo a scappare, ma dovevo andare fino in fondo. Presi un respiro profondo. All’interno la casa aveva un odore rancido, illuminata da candele nere con lo stesso tipo di mobili in pino silvestre che avevo nella mia abitazione. Si poteva udire un cigolio, dunque mi girai verso di esso per capire da cosa provenisse. Era una sedia a dondolo a causarlo e, seduta sopra di essa, una vecchia signora mi guardava nella penombra.
    «Chi sei tu? Come fai a sapere il mio nome?» le chiesi, senza nascondere un po’ di timore.
    «Oh, io so molte cose. So perché sei qui ad esempio, perché credi che su di te ci sia una maledizione» mi disse, sorridendomi con la bocca aperta. Le mancava qualche dente.
    «Come me ne libero?»
    «Uff quante domande. Potrebbe darsi che tu non abbia una maledizione, che i tuoi cari siano morti perché era giusto così» mi rispose, questa volta aveva un tono più serio.
    «Giusto?! Com’è possibile? Una donna ed un bambino innocenti morti in modo orribile, a causa… a causa tua» dissi l’ultima frase in modo molto naturale e tranquillo, mi stupì la mia fermezza.
    «Mia?» era quasi sorpresa.
    «Sì, tua. Questi mobili sono uguali a quelli che avevo io, la maledizione non può che esser stata fatta da te!»
    «Sì, i mobili erano i miei, ma qualunque cosa facciano le mie creature una volta fuori di qui non è affar mio, bello» disse, non si sentiva responsabile di nulla.
    «Tu sei malefica!»
    «Io sono malefica e faccio cose orribili, bla bla bla» si alzò dalla sedia uscendo dalla penombra. A quanto pare le mancava un occhio, due dita e qualche unghia; aveva cicatrici in tutta la pelle visibile. Indosso aveva abiti estremamente larghi di colore nero, con uno scialle intorno al collo.
    «Guarda cosa mi avete fatto voi uomini» disse, togliendosi la veste superiore. Il seno le era stato asportato con violenza, cicatrici spesse un dito le correvano lungo la pancia. Per fortuna, la vetusta signora si rivestì subito.
    «Fu l’Inquisizione a farmi questo» asserì.
    «L’Inquisizione? C’è ancora nel diciannovesimo secolo?» ero confuso.
    «No» disse semplicemente. Aveva forse questa vecchia più di cinquecento anni? Continuò: «Nacqui come contadina. Dopo pochi anni di vita già si poteva osservare che intorno a me succedevano cose non ordinarie. Molti animali avevano paura di me, le cose sparivano dalla casa senza una ragione, c’è chi diceva di avermi visto in strada quando in realtà non ero uscita dalla mia camera. Ero speciale, un po’ come quel ragazzo che lavora per me, quello che si fa chiamare Ivan» disse, sorridendomi in modo malizioso. Mi tremarono le gambe e mi sentii mancare. Ero in trappola, nessuno sarebbe tornato a prendermi il giorno dopo. Dovevo scappare. Mi girai rapidamente cercando di aprire la porta, ma era misteriosamente chiusa a chiave. Sentii una risata agghiacciante alle mie spalle. Avrei potuto tirarle un pugno, ma avevo ormai troppa paura. Io non sono un tipo avventuroso, come potevo essere stato tanto scemo da condannarmi da solo in questa maniera?
    «Dove ero rimasta? Ah già. I miei genitori avevano paura di me e fui abbandonata per la strada. Crebbi come mendicante e ladra, mentre coltivavo il mio dono. Ero una bella ragazza ma non vollì vendere il mio corpo per soldi. Giunse il giorno in cui un manipolo di soldati reali arrivò nella città in cui operavo. Uno di loro mi approcciò e fu il mio primo amore. Mi diede una casa dove stare, cibo di cui nutrirmi, un letto dove dormire. Ero felice, ma un giorno scoprì i poteri che nascondevo. Fui inquisita come strega, i miei giorni allegri erano finiti. Fui torturata, mutilata e stuprata da uomini che si definivano al servizio del bene e della misericordia. Quando riuscii a fuggire feci lunghi viaggi alla ricerca di un luogo dove stare, finché non giunsi qui. Ero ormai stracolma solo di un senso di odio e vendetta verso coloro che mi avevano tradita: cioè voi, l’umanità intera. Attualmente gestisco una rete di rapitori al mio servizio, che lavorando per soldi, mi procurano carne fresca con la quale arricchire la mia foresta» finito di raccontare mi guardò in modo divertito, con quel suo singolo occhio. Come avrei fatto ad uscire da lì? Si avvicinò ad una scopa e, una volta afferrata disse: «Vuoi vedere una strega volare?». Sorrideva. Si avvicinò alla porta che si aprì di scatto senza intervento alcuno e uscì. Potevo scappare, era la mia occasione. Mi precipitai fuori ma, come misi un piede oltre la soglia, la strega mi colpì col bastone della scopa in pieno volto, e svenni.

    Ivan non è il mio vero nome, ma poco importa. La mia vita procedette tranquilla dopo la scomparsa di Dorian. Probabilmente stette diverso tempo a dimenarsi all’interno di uno dei tanti alberi della Foresta d’Assenzio. Foresta che non si chiama più così, ormai. Questa parte della Russia passò all’Ucraina e dopo il disastro di Chernobyl quell’area boschiva fu investita da scie radioattive e il suo colore divenne rosso. Forse gli alberi acquistarono il colore rosso solo per le radiazioni, oppure perché ognuno di essi aveva almeno un cadavere al suo interno. Mi ha sempre inquietato quello che poteva fare quella strega di cui adesso, comunque, ho perso le tracce. Ad oggi il nome di quell’area è Foresta Rossa ed è inaccessibile al pubblico, quindi i suoi segreti non saranno mai più svelati.

    Edited by Faust Redrose - 3/9/2017, 00:49
  13. .
    CITAZIONE (Sandwich @ 9/3/2017, 08:40) 
    Non star sempre lì a voler spostare/nascondere/cestinare tutto quello che potrebbe rivelarsi in qualche modo di cattivo gusto per qualche membro dello staff.

    In effetti se non c'è niente da nascondere non vedo perché non lasciare la discussione pubblica.
    Faccio screen di tutto comunque.
    __

    A quindi c'erano vecchi rancori dietro al casino che è successo

    Edited by Faust Redrose - 9/3/2017, 09:05
  14. .
    Nell'ultima notte ognuno ebbe un sogno. L'esperienze furono varie ma tutte erano accomunate dallo stesso significato: il luogo dove il proprio destino sarebbe terminato, il luogo della propria fine. Io sognai la Baia del Silenzio. Una stupenda e pittoresca spiaggia tra le più belle, se non la più bella, di tutta Italia, era situata in una città nei pressi di quella in cui abitavo io.
    All'alba dell'ultimo sole alla televisione dicevano che i mari e tutti gli oceani continuavano a ritirarsi, che si poteva camminare per diversi chilometri sulla sabbia umida che poco prima era coperta dall'acqua. Non mi feci molte domande, non c'era tempo. Su whatsapp il mio migliore amico diceva di dover partire per l'Himalaya e mi chiese di andare con lui... ma gli risposi che non era quella la mia strada, che avrei dovuto seguire un altro percorso in quanto il mio sogno, evidentemente, era ben diverso dal suo.


    Indossai una camicia rossa, una giacca nera e un paio di jeans blu; ero abbastanza elegante per l'occasione. Non presi null'altro con me e mentre uscivo dalla mia abitazione mi fermai un attimo sulla soglia, la mano poggiata sulla maniglia della porta aperta. Mi voltai guardando l'ingresso da cui sarei uscito: l'arredamento antico, il vaso di crisantemi sotto lo specchio che rivolgeva il suo riflesso e chi entrava... e a me, che andavo via. Scesi in strada. Più il nostro destino ci porta lontani dal mare, più tempo abbiamo per coronare gli ultimi istanti della nostra vita: nel mio caso dovevo fare in fretta. Mi misi a correre, le strade erano semi deserte, il mio obbiettivo era raggiungere la ferrovia e prendere il primo treno per la Baia del Silenzio. Passai di fronte ad un negozio di fiori, un posto vicino ad una rotonda che di solito era affollato. La proprietaria mi sbarrò con decisione la strada: i suoi capelli erano ordinati, il trucco ben messo e le unghie nuove di smalto. Rimasi interdetto per un attimo, poi mi porse una rosa rossa e allora capii. La presi in silenzio, sorridendo mentre lei ricambiava il mio sguardo, sconsolata. Poi, la signora rientrò nel suo negozio e, sedendosi comodamente sulla sedia dietro al bancone, si mise a leggere una rivista di gossip.


    Quando arrivai al binario uno c'erano alcuni ragazzi che giocavano a pallone, il mio treno era fermo sulle rotaie. Uno di loro mi si avvicinò con aria sicura e per un attimo mi sentii a disagio: aveva dei pantaloni neri eleganti e una felpa bianca, ma era solo un ragazzo e sapevo non c'era nulla da temere. Mise la mano nella tasca delle felpa ed estrasse una penna che mi porse sorridendo. La presi restando in silenzio, salutandolo con un cenno della mano. Salii su un treno praticamente fantasma, privo di passeggeri, tranne per un signore anziano accanto al quale mi sedetti. Mi salutò con un cenno della mano e, senza dire nulla, mi porse un foglio di carta che presi sorridendo. Poi mentre volgeva il suo sguardo al monotematico panorama di rotaie all'esterno, chiuse gli occhi ed esalò un respiro grave. Quando il treno si fermò lasciai la mano dell'uomo per scoprire che il suo corpo giaceva ormai immobile. Scesi dal treno e notai che esso non riprese la marcia; rimase fermo, come il vecchio, in attesa.


    Arrivato alla baia non c'erano né persone né mare, se non fosse stato per una figura vestita di bianco sulla sabbia umida, distante ma non irraggiungibile, che osservava l'orizzonte. Al largo molte barche si vedevano adagiate sulla sabbia, ormai asciutta. Mi avvicinai a quella dama pallida e, quando si girò, mostrò uno splendido viso affusolato, dal colore come candida porcellana, labbra rosse, occhi grandi che riflettevano la mia stessa solitudine. Mi porse una rosa bianca ed una bottiglia di vetro vuota. Li presi sorridendo dandole la mia rosa rossa che afferrò con dolcezza, poi rimase fissa a guardarmi con affetto. Ci sedemmo sulla sabbia, posammo i nostri oggetti e, per la prima volta in quella giornata, ruppi il Silenzio, quasi funebre, che aleggiava nell'aria e le rivolsi la parola. Come se tutte le nostre esistenze culminassero in quell'attimo, il destino ci soddisfa all'ultimo, dandoci un'anima con la quale condividere il tempo poco prima della fine. Anche lei, ovviamente, aveva sognato: un sogno molto simile al mio che l'aveva portata nel mio stesso luogo. Veniva da una città d'arte, anche se ormai poco importava la nostra provenienza, ogni bellezza sarebbe stata presto spazzata via. E mentre la più grande onda anomala della storia si affacciava all'orizzonte, cancellando le nuvole, io la baciai e ci unimmo in un forte abbraccio che sarebbe durato per sempre. Uniti nel Mar.

    Edited by Faust Redrose - 16/7/2017, 00:19
  15. .
    Trovo che sia una delle cose che mi da più soddisfazione, scrivere. Le arti creative in generale, hanno la particolarità di prelevare un'idea che giace dormiente nella tua testa e renderla qualcosa di tangibile, di reale, che può essere condivisa e che può dare qualcosa agli altri. Il perché scrivo, comunque, la vera motivazione è qualcosa di molto personale, per me non è un semplice passatempo.
20 replies since 3/11/2011
.