L'Uomo Rosso V: La Mia Visita

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    Ser Procrastinazione

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    Nei giorni scorsi mi sono ritrovato a pensare parecchio a Jane. Mi chiedo come avrebbe vissuto se si fosse trovata qui, adesso. Ma non posso ancora pensarci. Mi sento come se avessi trovato un posto fisso nella mia vita; faccio soltanto terapia a domicilio due volte a settimana, e finirò il mio programma da specializzando questo giugno. C'è ancora così tanto che ho lasciato per guardare al futuro. Sono lieto che la vita continui ad andare avanti a tutta velocità.

    Ora, riprendiamo dove avevo lasciato:

    io non credo in un Dio o in vari dèi.

    Mi sentivo orgoglioso di essere uguale a tutti quei medici che avevo incontrato: insensibile, razionale e un credente nella scienza. Non ho mai avuto le mie convinzioni così messe alla prova come in questo modo - nel modo che sto per raccontare a voi tutti.

    Tengo gli articoli di giornale sul muro della mia stanza. La mia ultima ragazza pensava fosse una strana ossessione che mi portavo dietro, e credo che sia questa la ragione per cui mi ha mollato. Il titolo dell'articolo recitava "DOTTORE LOCALE E AGENTE DI POLIZIA ACCUSATI DI SEDICI CASI DI OMICIDIO."

    E proprio sotto le grandi parole c'è un'immagine di Preston, il suo sorriso debolmente curvato sulle labbra. Anche dall'oscurità della foto in bianco e nero si poteva sentire il calore del suo sguardo. È come se mi stesse guardando negli occhi. Ma la mia vita - per quanto fosse stata lasciata in sospeso - cambiò la notte in cui assistetti me stesso mentre giacevo immobile sul letto. Era quello che molte persone chiamano “esperienza extracorporea”. Riconobbi il flacone di pillole che stringevo; erano dei normali antidolorifici che avevo ricevuto al pronto soccorso due giorni prima per un banale incidente in bici. Le tenevo nel caso la ferita si fosse infiammata di nuovo, ma il fatto che il flacone era vuoto mi aveva sconcertato.

    L'Uomo Rosso rimase ai piedi del mio letto con la sua mano protesa verso di me. Io lo fissavo, dritto. I suoi occhi erano scuri, le sue labbra asciutte e il suo volto pieno di rughe, ma non era vecchio. In un certo senso, non aveva connotati. La sua mano rimaneva davanti a me.

    "Ian," la voce proveniva dalla porta alla mia destra. Mi girai: era Jacob. Era completamente intatto; la sua barba era appena stata tagliata, la pelle liscia, e indossava un vestito nuovo di zecca, tipo un uomo d'affari. La mia bocca si aprì di scatto.

    "Vieni con me," Jacob aprì la porta, facendomi segno di seguirlo. L'Uomo Rosso di fronte a me si ritirò, ritornando ai piedi del mio letto e guardando il mio aspetto sciupato con uno sguardo fisso. Seguii Jacob fuori dalla stanza e la porta si chiuse dietro di me. Un milione di domande circolavano nel mio cervello in quel momento, ma Jacob si girò verso di me prima che potessi far uscire una parola.

    "Ci sono cose che non posso spiegare," disse con calma, "cose di cui vorrei tanto parlarti." Si sedette sul divano e fece spuntare fuori i piedi. Rimasi vicino a lui, completamente frastornato da quello che stava succedendo. "Tu non dovevi andare in quella stanza." Puntò alla mia camera, ma il mio sguardo viaggiò fino alla porta aperta del bagno - verso la doccia. Jacob ghignò, realizzando cosa stavo fissando.

    "Elise sta cercando di aiutarti." Esalò a fondo, come se stesse trattenendo da tempo il respiro.

    "Chi?" Non mi mossi.

    "Elise. La tua paziente."

    "Intendi Jane?"

    "Si chiama Elise Carter."

    Dovevo sembrare visibilmente scioccato e confuso, perché Jacob ridacchiò. "Sei un dottore, Ian! Come fai a non sapere di "Elise Carter: La Ragazza che Scomparve"?"

    Mi limitai a scuotere la testa. "Come fai a sapere tutto questo? Che diamine sta succendendo?" Nella mente cercavo di far combaciare tutti i pezzi, ma nessuno di questi si incastrava. Jacob si alzò, fissandomi. Era di qualche centimetro più alto di me, e non aiutava ricordare la massa sanguinante nella mia doccia. Era un fantasma?

    "Senti," poggiò una mano ferma sulla mia spalla, occhi pieni e carichi, "va' alla stazione di polizia e dai al Capo Jordan questo." Mise un dischetto nella mia mano. Rimasi lì, fissando la superficie riflettente del contenitore.

    Jacob strinse forte la mia spalla.

    "Non è ancora il tuo tempo." sussurrò.

    "Non capisco." Distolsi lo sguardo, facendo cadere la confezione che stavo a malapena stringendo.

    "E mai capirai." La riprese e me la consegnò. Con una forte spinta, Jacob mi spinse verso la porta di ingresso. "Va'." disse. "Non c'è molto tempo."

    E così andai. Seguì le indicazioni e mi ricordai che la stazione di polizia locale si trovava a pochi isolati dal mio condominio. Non ero propriamente nelle condizioni di guidare. Andai a piedi. Stava piovendo forte quando uscii, ma non mi importava. Salii sul marciapiede di fretta, spostandomi attraverso le strade come un fantasma.

    Raggiunsi la stazione alle tre e un quarto del mattino. Il locale era piccolo e fui rapidamente accolto da un aroma di caffè e sigarette. Un uomo grasso era seduto al bancone principale quando entrai. Era al telefono, leggendo il quotidiano. Ero bagnato fradicio, rabbrividendo per il freddo. L'uomo non mi prestò attenzione e continuò a parlare. Oltre la sua spalla vidi il Capo Jordan - il poliziotto dell'ospedale. Era seduto nel suo ufficio, curvo sul suo computer. Oltrepassai silenziosamente il bancone principale e mi incamminai verso l'ufficio del Capo Jordan.

    Poggiai il dischetto sul suo banco, tra una pila di carte. Realizzai che stava dormendo, russando lievemente. Volli aprire la mia bocca per svegliarlo, tuttavia invece misi il DVD in un piccolo lettore che stava affianco al suo tavolo. La televisione prese vita e guardai le registrazioni di sicurezza del giorno passato.

    L'altro ufficiale di polizia era inginocchiato vicino al letto di Elise. Stava sussurrando rapidamente. Non colsi la maggior parte delle parole, ma quello che capii mi fece accapponare la pelle.

    "... e Lui ti proteggerà attraverso il suo sentiero oscuro. Io verrò per te e per lui, ed entrambi viaggerete con me. Tu non appartieni a loro, mia regina. Ho bisogno di te proprio come lui ne ha bisogno." Si alzò, uscendo rapidamente dalla stanza. Così entrai, andando dritto verso l'altra porta. Elise si contorceva nel letto.

    E il dischetto cambiò; stavo fissando lo statico per un paio di secondi e quindi un'immagine entrò in dissolvenza. Erano Elise e un'altra ragazza legate a delle sedie; i loro corpi erano insanguinati. Elise aveva la testa piegata, completamente nuda. Il sangue la copriva. La ragazza alla sua sinistra era piegata in uno strano angolo, le corde la tenevano dritta.

    "Ciao, Elise," una voce parlò da fuori dalla telecamera. Era Preston. Lo riconobbi subito. "Come ti senti?"

    Un luminoso riflettore era puntato su di Elise. Si agitò con le corde attorno ai suoi polsi, ma non guardò in alto. Preston entrò nell'obiettivo; indossava un bianco camice da laboratorio - il quale era chiazzato di sangue. Indossava i familiari guanti verdi di lattice con cui ero abituato a guardarlo. Portava un grosso coltello da caccia.

    "Sai che ti voglio bene, Elise," disse Preston, poggiando il coltello sulla sua guancia. Del sangue uscì, ma Elise non si mosse. Preston ritirò il coltello, quindi lo posizionò in direzione dell'altra ragazza. Guardò Elise con occhi duri, ma qualcosa luccicava in essi. La telecamera saltò, ma sapevo che dentro quest'uomo non c'era Preston. Era qualcos'altro.

    La lama del coltello scomparve nel petto dell'altra ragazza. Il sangue zampillò ma la ragazza non si mosse. Sapevo che era morta sul colpo. Elise girò la sua testa. Preston estrasse il coltello e strofinò il suo guanto nella nuova ferita sul petto della defunta ragazza. Portò il suo guanto coperto di sangue nell'obiettivo. Tutti i suoi denti scintillavano nella forte luce.

    "Assaggialo," la sua voce strisciò attraverso la stanza. Elise alzò la testa e guardò la mano guantata. "So che hai fame, piccola." Sembrava che stesse cercando di sedurla. Il mio stomaco si agitò, e ingoiai la bile che stava salendo su per la mia gola. Senza spegnere la TV mi affrettai verso l'ufficio del Capo Jordan. Stava ancora dormendo, ma quando chiusi la porta i suoi occhi si aprirono. Voltò la faccia verso lo schermo e sentii le sue urla innalzarsi da dietro le mura mentre correvo via dalla stazione.

    Il sole stava sorgendo mentre tornavo al mio appartamento. Pensai alle camminate mattutine che ero solito fare con mia sorella quando eravamo piccoli; era sempre pacifico guardare il cielo cambiare da viola a rosso ad arancione. Ma non quella mattina. Quella mattina era come un macabro evento con cui non sentivo più alcun legame.

    La vita stessa mi sembrava estranea.

    Appena voltai l'angolo, vidi una serie di macchine della polizia e un'ambulanza fuori dal mio appartamento. C'erano delle urla soffocate. Il mio battito cardiaco accelerò mentre realizzavo chi fosse.

    Gwen. Iniziai a correre. Una barella stava venendo caricata sul retro dell'ambulanza e Gwen stava piangendo dietro un pugno serrato. L'Uomo Rosso era in piedi dietro di lei, il suo volto era nascosto nell'ombra. I vicini stavano guardando con sguardi inorriditi.

    Non fui abbastanza veloce. L'ambulanza scappò via, le sirene erano assordanti. I vicini che si erano raccolti iniziarono lentamente a ritornare nelle loro case. Mi voltai, cogliendo per un attimo l'Uomo Rosso mentre si nascondeva tra la folla per poi sparire dietro una porta. Jacob fu immediatamente al mio fianco, proprio mentre il sole terminò la sua ascesa verso il cielo.

    "Sarà una bellissima giornata." Il suo forte accento del Bronx si fece sentire. Non lo guardai, perché stavo ascoltando il battito del mio cuore. Non ero sicuro se stesse veramente battendo, ma sentivo il sangue scorrere dentro la mia testa e il sole colpirmi il viso. Sentivo la vita, in quel momento. Mi girai per guardare Jacob, ma lui era sparito.

    Ero rimasto in piedi nel bel mezzo della strada, da solo. Un paio di centinaia di metri lontano c'era un uomo in bianco. La sua faccia, proprio come quella dell'Uomo Rosso, era senza connotati, ma sentivo una gradevole sensazione in sua presenza. C'era soltanto un posto per me in cui andare, e mi incamminai lungo la strada. Andai proprio vicino all'Uomo Bianco, il suo sguardo che mi seguiva, ma non mi importava. Sapevo che non voleva farmi del male.

    Finalmente era tempo di concludere questa storia.

    Sono in servizio, ho dimenticato di dirlo prima. Inoltre, ho un appuntamento stasera. Si chiama Melanie. Lavora al piano di sopra, nella Sala Parto. Mi piace e piace ai miei amici, perciò forse è qualcosa di buono nella mia vita. Ancora non lo so, vedremo.

    In più, ho un altro aggiornamento da fare - poi questo racconto sarà finito. Credo che raccontare tutto questo mi stia portando fortuna. Questi ultimi giorni sono stati migliori degli ultimi tre anni messi insieme. Arrivare a quest'ultimo post sarà dura, comunque, perché molto sta per arrivare ai suoi frutti.

    Parte 6 >


    Edited by & . - 24/6/2020, 16:06
     
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