La bambina

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    Le labbra di Mara stanno diventando cianotiche. Il colore è quello dei mirtilli maturi.
    È un bene, pensa Luca. La pelle della sorella è rimasta rosea per troppo tempo. Ora il volto ingrigisce, la pelle si fa livida. Anche gli occhi sono slavati. Blu oceano, prima; adesso annacquati, con lo stesso grigio spento che avvolge tutto, dall’iride alla sclera.
    Al centro della fronte, la depressione del cranio spaccato. Da vicino sembra una voragine buia pronta a inghiottirti, ma a quella distanza non gli fa paura. Schifo, quello sì. Quando papà l’ha colpita col cacciavite, dalla fronte è colato un sacco di sangue e pus e un’altra schifezza giallastra. Poi ha ripulito gran parte dello sporco, ma un po’ di quella robaccia è rimasta a macchiarle la fronte. Se la guarda, le sue viscere si contorcono.
    Sbadiglia. Ventiquattro ore senza sonno. L’ultima volta che ha dormito, la mamma e Mara erano ancora vive. Ha passato la scorsa notte a rigirarsi nel letto, gli occhi sbarrati, i muscoli fiacchi. Niente sonno, almeno fino al sorgere del sole. Solo allora ha osato rilassarsi, ma, appena chiusi gli occhi, un mare di sangue e pus e robaccia gialla ha cominciato a fluttuare nel buio, e Luca ha urlato fino a farsi male alle corde vocali. Papà l’ha stretto a sé senza parlare. La sua mano tremava nel buio.
    Adesso papà è uscito. «Tienila d’occhio» gli ha detto indicando Mara. Gli ha lasciato il cacciavite, la punta ancora sporca. Solo se ce n’è bisogno, ha detto. Lui sta obbedendo. Ma si è preparato a un’attesa breve – la chiesa dista cinque minuti a piedi. E invece gli pare di essere lì da ore.
    Sbadiglia ancora. Il sonno sta dilagando come una nebbia fitta sotto la sua fronte, ma non può dormire. Quando tornerà papà, forse. Quando tutta quella storia sarà finita.
    La ferita sulla fronte di Mara si sta restringendo? Forse. Probabilmente sono i tessuti che si ritirano. In ogni caso, i due lembi di pelle sembrano più vicini.
    È cominciato tutto un anno prima. Allora Mara aveva solo sette mesi e Luca, la mamma e il papà avevano deciso di trascorrere una serata al cinema in centro. Nel mezzo del film, però, papà ricevette una chiamata.
    Scapparono subito a casa.
    Dieci minuti dopo, stavano parcheggiando nel cortile della villetta. Appena sceso, Luca si accorse di due cose: mani che picchiavano senza sosta la porta di legno e urla. Urla innaturali e stridule, come quelle di un gatto rinchiuso in un forno.
    Papà si precipitò alla porta. Dopo poco, ne uscì la loro babysitter… o qualcosa che le somigliava appena. Gli occhi rientranti e sanguigni, i capelli arruffati e incollati alla fronte. Un rivolo di sangue scuro colava dalla gola. Scappò senza dir nulla, continuando a urlare.
    Dentro casa, Luca scorse una pozza di sangue a pochi metri dalla culla di Mara. La bambina dormiva, un sorriso accennato sulle labbra.
    Adesso Mara giace nella stessa culla. Era lì dentro quando papà l’ha uccisa e nessuno dei due ha osato spostarla. C’è del sangue sulla sua veste.
    Il cuscino sotto di lei stride e le assi di legno della culla scricchiolano. Un leggero movimento? Forse l’ha solo immaginato. Il sonno ronza nelle orecchie.
    La ferita sulla fronte di Mara che si restringe, il mondo che sfuma sotto i suoi occhi.
    Poi c’è stato l’episodio dell’incendio. Loro tre erano in cantina. Dovevano portare al piano terra una vecchia poltrona polverosa. Nel pieno della fatica, Luca sentì un odore strano. Legna che brucia. Si misero al riparo giusto in tempo: l’intero piano terra e la cantina andarono a fuoco. Le fiamme non sfiorarono nemmeno il piano superiore. La mamma corse subito a controllare Mara, mentre il papà strinse forte le labbra, come fosse sul punto di piangere.
    Allora la bambina aveva appena compiuto un anno. Da quel momento in poi gli eventi strani sono aumentati. Luca in quel momento non ne ricorda altri. Solo la nebbia umida del sonno che gli massaggia il cervello.
    E ieri mattina se n’è andata la mamma.
    Solo pensarci lo fa sentire freddo e stanco. Ancora non riesce a crederci. Forse con un po’ di sonno…
    È stato lui a trovare la mamma. Di lei era rimasto poco: c’era sangue a impiastricciarle il viso e i capelli. Solo gli occhi si sono salvati, rovesciati e acquosi. Un taglio le fendeva la gola.
    Mara era nella sua culla. Dormiva, lo stesso sorriso di sempre.
    Strega. È strano pensare che esistono davvero.
    Strega. L’unica parola che ha urlato papà mentre sfondava il cranio di Mara. Dalle labbra della bimba è fuoriuscito un solo vagito, ma non c’era traccia di dolore in quel verso.
    Un movimento al margine del suo sguardo.
    Le mani di Mara. Le ha davvero mosse? Forse si sta ingannando ancora, ma quella situazione non gli piace per niente. Il cacciavite gli trema tra le dita. Deve sforzarsi perché le palpebre non si chiudano.
    Un altro scricchiolio. Adesso la ferita sulla fronte si è rimarginata del tutto. Allora…
    È a quel punto che il grigio svanisce dagli occhi di Mara. Le pupille si accendono di rosso, due aghi sottili e infuocati. Puntano dritte agli occhi di Luca e lui sente il calore che lo trafigge da parte a parte.
    Afferrami, afferrami ora
    La voce non è reale. Sembra giungere da ogni lato, un canto fatato che lo ammalia, un dolce solletico alle orecchie. Le sue mani lasciano scivolare il cacciavite e afferrano la bambina. La portano verso il petto. Gli occhi di Mara cambiano: non più ardenti, ma di nuovo blu oceano.
    E se guarda bene, quello sembra un oceano dove il dolore svanisce… una melassa in cui poter nuotare, o forse annegare, giù, giù… a fondo…
    La bimba stringe le mani attorno al suo collo. Quando il dolore arriva, sembra solo un bacio caldo.

    Nuovi occhi. Dieci minuti e già li sente suoi. Quel corpo ha grandi potenzialità. Il tempo di abituarcisi…
    Guarda l’uomo che versa l’acqua santa sul corpo della bimba – sul suo vecchio corpo. Non accade niente.
    L’uomo si volta. «Luca, vuoi dormire con me?» La voce è un soffio, gli occhi gonfi e incassati.
    Scuote la testa. Guarda l’uomo sorridere.
    Manchi solo tu. Il tempo di abituarmi a queste nuove braccia.
    Poi, la libertà.


    Il racconto era stato ideato per la partecipazione a un concorso. Il limite era di 6000 caratteri e, dato che ogni idea per un racconto breve si trasforma in qualcosa di più lungo, ho trovato qualche difficoltà a rispettarlo. Però è stato un buon esercizio, perché ho provato a metter su una storia almeno comprensibile in uno spazio che per me è davvero esiguo. (Poi ho inviato il racconto via email, ma ho sbagliato l'indirizzo del destinatario e quando me ne sono accorto era troppo tardi :ph34r: )


    Edited by KingRyuX - 6/4/2018, 19:40
     
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    Happy Urepi Yoropiku ne~

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    Oh, bella! Peccato davvero che non sei riuscito ad inviarla!

    Ero convinta parlasse di zombie, e invece mi ha piacevolmente sorpresa!
     
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