singy.mp3

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  1. RyokuP
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    Franklin mi aveva invitato a casa sua, un piccolo appartamento nella periferia cittadina. Con la metropolitana avevo appena raggiunto la piazza. La statua posta al centro indicava la finestra del mio migliore amico. Era solito scherzare su quella coincidenza. “La statua è stata concepita per indicare l’unica cosa buona del quartiere” ripeteva con quel suo tipico ghigno da pirla. Mi avvicinai al portone e citofonai, componendo il codice numerico relativo. La madre di Franklin rispose con voce allegra, aprì il portone e riattaccò.

    Con sorpresa, non fu il mio amico a ricevermi. “Franklin è in camera sua, come al solito” mi suggerì la signora mentre chiudeva la porta di ingresso. “A dopo Marien, vado a coglierlo in fragrante” recitai scherzosamente rivolgendomi alla donna. Girati i tacchi, intrapresi il corridoio che portava al punto di interesse.

    Nella stanza regnava il buio. La finestra, dirimpetto alla statua, era praticamente chiusa. Qualche timido raggio di sole riusciva a filtrare dalle persiane, concedendo ai miei occhi il riconoscimento del contenuto, l’aria non circolava da un bel po’ e sapeva di stantio. Franklin, in canottiera e mutande, aveva uno sguardo allucinato. Stava seduto sul materasso coperto dall’unico lenzuolo, e aveva le ginocchia unite, sulle quali poggiava il mento, con le mani stringeva il bordo del letto, macchiato da gocce di sangue. Il liquido rosso fluiva da sotto le unghie, prese a morsi in maniera selvaggia. “Cazzo hai fatto?” fu la domanda più logica, ma venne tuttavia aggirata non appena iniziò a parlare. “Guarda questo video, sono soddisfatto”. Si avvicinò al computer balzando dal letto con uno scatto improvviso. Mosse con un gesto il mouse, facendo in modo che il monitor si riprendesse dallo standby. Il volto di una bambola, in primo piano, riempiva il display. La pressione del tasto play diede il via alle danze (in tutti i sensi). Una sorta di Barbie, con i capelli a caschetto, aveva iniziato a ballare. Dalle casse audio non proveniva alcun suono. La sagoma, in tutù, si dilettava in giravolte eseguite sulla punta di un piede. Franklin perdeva saliva dalla bocca, rimasta aperta leggermente. Iniziò a battere le mani, nel tentativo di dettare i tempi alla ballerina. Quest’ultima era ora vicina ad uno scaffale, sulle cui mensole erano seduti pupazzi anonimi dallo sguardo perso nel vuoto. Non ballava più e afferrò un primo fantoccio, avvicinandolo alla bocca. La testa della ballerina si aprì in due, rispetto la linea orizzontale che passava per la bocca, rivelando enormi fauci con i chiodi al posto dei denti. Iniziò a sgranocchiare il bambolotto, i cui pezzi gravavano per terra tristemente. Lo scaffale venne man mano svuotato, toccando la stessa sorte al resto dei pupazzi.

    L’esibizione era nuovamente in pausa. Di mia iniziativa, seccato, avevo ridato un fermo alla Barbie, video del genere non erano per me una novità. Franklin, da sempre, era un appassionato di leggende metropolitane e di animazioni rese volutamente inquietanti. Si vantava di essere un autore di quel genere di produzioni, caricate successivamente su internet. Per i suoi montaggi, cercava su Youtube colonne sonore di stampo horror, gratuite o brutalmente ottenute violando il copyright di turno. Con l’intento di guadagnare il maggior numero di spettatori online, studiava le strategie per rendere più deviate possibili le sue creazioni. L’essere umano, per sua natura, nutre una profonda curiosità verso ciò che più teme e ignora. Rendere malata una sequenza di immagini, accresceva l’interesse verso quest’ultima. Franklin chiamava questo fenomeno “gusto dell’orrido”. Tuttavia, ciò non giustificava le dita sanguinanti con cui aveva imbrattato il materasso. Mi rivelò di essersi mangiato le unghie con una certa enfasi, al punto di ferire la punta delle dita. L’eccitazione dovuta alla riuscita del suo ultimo capolavoro, l’aveva indotto ad una sorta di autolesionismo. “Come ti sembra la base musicale che ho scelto?”. L’amico mi lasciò perplesso con quella domanda.

    “Non ho sentito un cazzo Frank! Cosa diavolo avrei dovuto ascoltare?”. Franklin mi guardava sorpreso, pur conservando lo sguardo allucinato. “Le casse erano a palla, come hai fatto a non sentire nulla?”. “Ma che ti sei fumato Frank?”. A quest’ultima domanda l’amico si alzò per ripremere play. Il video proseguì da dove era stato arrestato. Lo scaffale delle bambole era vuoto, le fauci della ballerina si erano richiuse, ricomponendo la testa della stessa. Riprese a ballare. Volteggiando su una gamba si avvicinava lentamente allo schermo, fino a ricoprire con la faccia l’intero display, tipico finale da video horror. La strana creatura che fingeva di vederti al termine del filmato. Un cliché talmente abusato da lasciare indifferenti chi una minima cultura nel campo l’aveva già. Cultura inculcata da amici minchioni che trovavano divertimento in questo genere di cose. “Niente?”. “Niente cosa!” risposi irritato. “Il carillon, non l’hai sentito?”.

    Non so per quale motivo me lo feci passare, ma sulla memoria portatile avevo ora l’mp3 che aveva usato come base audio nel suo video. Tornato a casa, con una inaspettata curiosità, volli riascoltarlo, se così si poteva dire. “singy” era il nome del file musicale. Dal suo avvio ai minuti che seguirono, non udii una sola nota. Forse un fruscio era a malapena percettibile. Maturai l’idea che quello di Franklin fosse uno scherzo, con l’intento di farmi credere in qualche mia fisima mentale. Cancellai il file, con una piccola soddisfazione nel farlo. Il crepuscolo era ormai alle porte e l’ora di cena portava i miei a chiamarmi a squarciagola. Il piatto era a tavola.

    Una forte emicrania mi svegliò nel cuore della notte. Non riuscivo a muovermi. Angoscia e spavento mi colpirono di netto. Ero paralizzato. Avrei voluto alzarmi, prendere una pezza bagnata con l’acqua fredda e schiacciarla sulla fronte. Immobile, ero costretto a guardare il soffitto della mia camera. Furono i cinque minuti più lunghi della mia vita, dopo i quali ero tornato padrone dei miei arti. Una sagoma si era posta davanti la porta della camera. Era quella di mia madre, richiamata dalle urla di preoccupazione da me esternate.

    Paralisi del sonno. Mia madre mi tranquillizzò, spiegandomi che quello era un disturbo addirittura comune, causato dai momenti di forte stress o depressione. Prima dell’ultimo incontro con Franklin, non avevo motivo di soffrire stati d’animo negativi. Ero piuttosto rilassato. Tutto sommato le cose all’università andavano bene e la mancanza di una donna, per il momento, non gravava sulla mia psiche. Stavamo seduti al tavolo della colazione. Mio padre era già a lavoro. Latte e cereali bastarono per riprendermi in parte dalla brutta, orribile esperienza vissuta. Lo squillo del telefono ruppe la momentanea tranquillità mattutina. Pensai subito a Franklin, con la probabile richiesta di un passaggio all’università. “Pronto?” risposi. La mamma del mio amico era in lacrime davanti alla cornetta. “Corri in ospedale! Franklin è in coma!”.

    Marien, a mio modo di vedere, era l’antitesi del genitore scrupoloso. Quello che accadeva nella stanza del figlio era per lei un mistero e non aveva la curiosità di indagare su quello che la sua creatura combinava lì dentro. Franklin fumava canne, sniffava robe dalla dubbia provenienza. Era alla continua ricerca di qualcosa di stravagante da sottoporre al suo corpo. Eppure, lei era all’oscuro di tutto. Tra l’altro, non era mio interesse fare la spia sulle prodezze dell’amico. Il mio ruolo, da compagno di sventure, era quello di dare consigli. Poi, era libero di scegliere la strada da percorrere. Disperata, mi rivelò di aver trovato Franklin boccheggiare sotto le coperte. Nonostante i tentativi di Marien, non c’era stato verso di svegliarlo. La sera precedente, nell’ora di cena, non aveva dato segni preoccupanti. A suo dire, era il Franklin di sempre. Mi chiese se avevo idea di cosa fosse successo, se avevamo assunto droghe et similia. La madre mi conosceva e non ebbe difficoltà a credere che quella fosse una possibilità non remota. Entrai nella stanza e lo vidi sul lettino dell’ospedale. Chiesi a Marien il perché delle garze sugli occhi del figlio. Aveva omesso un dettaglio non da poco, Franklin si era graffiato gli occhi con le sue stesse unghie, o con quello che ne rimaneva.

    Decisi di indagare sull’accaduto, mettendo mano nella stanza di Franklin. Marien era rimasta col figlio in ospedale, ogni minuto poteva essere l’ultimo. Rovistai con cura nei cassetti, negli armadi e addirittura nelle tasche di ogni singolo indumento. Niente, non trovai nulla di compromettente. Rimaneva da controllare quello che aveva nel computer. L’apparecchio era rimasto acceso. Spostai leggermente il mouse ed il display del monitor si illuminò. C’era ancora il primo piano della bambola. Chiusi il video riducendolo ad icona ed iniziai a controllare la cronologia. Vuota. Franklin aveva cancellato tutto. Non restava che aprire cartelle su cartelle perlustrandone il contenuto. Le creazioni del mio amico non erano sul disco rigido, ma questo era evidente. Caricava i video su internet per poi cancellarli dalla memoria, così da tenerla libera per i successivi lavori. L’unica opera rimasta, era quella della Barbie col caschetto. Probabilmente, non aveva avuto il tempo di renderla disponibile sulla rete. Erroneamente feci ripartire il video. Come un flagello, una fitta colpì la mia cervicale. Caddi all’indietro, ammaccando l’osso sacro. La bambola ballava, roteando su se stessa. Era nuovamente davanti allo scaffale dei pupazzi. A differenza della prima volta, sentivo il carillon che Franklin mi aveva menzionato. Si trattava di una melodia suonata a ritroso. Intorno a me tutto ondeggiava. Come nella notte precedente, il mio corpo era paralizzato. I bambolotti mi osservavano dal monitor. Lentamente, uscirono da quest’ultimo uno ad uno, scampando alle fauci della ballerina. Salivano lentamente sopra di me, disponendosi lungo le mie braccia. Ora, era il turno della Barbie. Con fatica superava i diciassette pollici dello schermo. Uscì un arto alla volta, la gamba sembrava sottile e lunga metri. Fuori, era fuori dal mondo inventato da Franklin. Si muoveva strisciando, fino ad alzarsi sopra di me, quel viso che riempiva il display giaceva sulla mia faccia. Le fauci si aprirono.

    Svenni. Il suono del telefono mi svegliò dall’indigesto sonno. Alzata la cornetta, riconobbi la voce di mio padre. Il buio dalla finestra rendeva l’idea del numero di ore che avevo trascorso in quella stanza. I miei genitori si erano giustamente preoccupati. Il monitor del computer presentava il viso della bambola in primo piano e il video era fermo, in attesa che qualcuno ripremesse il tasto play. Spensi il computer, staccando direttamente la presa dell’alimentatore. Mi convinsi di avere avuto delle allucinazioni e che qualcosa le aveva innescate. La notte della paralisi del sonno apparteneva allo stesso giorno in cui, per la prima volta, mi ero imbattuto in quel video. Un ulteriore elemento di disturbo, come se non ce ne fossero stati abbastanza, era il carillon. “singy”.

    Mi convinsi che il problema non fosse né la bambola e né tantomeno i suoi amichetti, ma che centrasse qualcosa con l’mp3 che Franklin aveva usato. Cercai “singy” sui motori di ricerca e su Youtube, ma nulla, non se ne parlava da nessuna parte. Eppure, da qualche parte doveva essere saltato fuori. Non mi restava che contattare l’amico smanettone e sperare che qualcosa uscisse fuori, Gerard poteva fare al caso mio. Fortunatamente era a casa e fu lui a rispondermi al telefono. Si segnò il nome del file audio, promettendomi sue notizie non appena ne avesse cavato un ragno dal buco.

    Dopo un paio d’ore, Gerard era alla cornetta. Mi diede conferma sull’impossibilità di trovare quel file in internet, o meglio, senza scavare nel profondo. Deep Web. Furono quelle le parole con cui giustificò la sua buona riuscita. Non solo “singy” risultava un argomento diffuso nel lato oscuro della rete, ma ora sapevamo anche di cosa si trattasse. Droga.

    “singy” era il risultato di suoni binaurali, capaci di riprodurre lo stesso effetto di LSD, Oppio, Marijuana ed altre droghe. L’mp3 non era nemmeno l’unico nel suo genere. Le droghe sonore erano molteplici, come molteplici erano gli effetti devastanti che queste provocavano. Nel migliore dei casi l’individuo veniva colpito da una insonnia permanente, da stress, forte depressione e conseguente istigazione all’autolesionismo e al suicidio. Nel Deep Web erano frequenti le testimonianze dei sopravvissuti. Gerard raccontava di una certa Eveline, la quale arrivò a strapparsi a morsi la carne delle braccia. Altri si erano strappati i timpani dalle orecchie, non riuscendo a porre un fine alla melodia che continuava ad echeggiare nei loro padiglioni auricolari. La mia voce iniziò a tremare e Gerard lo avvertì immediatamente. Temevo di cadere vittima di quelle ripercussioni, “singy” era una droga potente e ad essa ero rimasto esposto già tre volte. La paralisi del sonno, le allucinazioni nella stanza di Franklin, potevano essere l’inizio di un tremendo danno subito.

    Franklin non superò la settimana. Nonostante la scoperta fatta, non ebbi il coraggio di dire nulla a Marien. Il dolore per la morte del mio amico era insostenibile. Versavo lacrime ogni dieci minuti. Era una grande testa di cazzo, ma gli volevo un bene dell’anima. In quei sette giorni di ansia, non ebbi altre ripercussioni oltre quelle precedentemente subite. Probabilmente la sofferenza che provavo, per la morte del compagno di sempre, aveva protetto in qualche modo la mia mente. Avrei dovuto sostenere una nottata, ma disperato come ero, prevedevo chiaramente delle ore insonni. Era una calda giornata d’estate, mi coprii con un solo lenzuolo. Guardai il soffitto per almeno un paio di ore, i miei pensieri non si staccavano dall’immagine di Franklin con le garze sugli occhi. All’improvviso, una melodia iniziò ad echeggiare nelle orecchie. Un carillon stava suonando, emettendo un suono distorto. La melodia andava a ritroso. All’altezza del mio addome il lenzuolo iniziò lentamente a gonfiarsi. Il gonfiore aumentava a vista d’occhio e la protuberanza rivelò la bambola sopra di me.



    Edited by RàpsøÐy - 9/9/2017, 15:30
     
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    Piccola premessa, io adoro questo tipo di storie.
    Ma questa proprio non son riuscito ad apprezzarla a pieno, anche se effettivamente non mi è dispiaciuta.
    Alcuni dettagli in particolare non li ho trovati manco inquietanti:
    CITAZIONE
    I bambolotti mi osservavano dal monitor. Lentamente, uscirono da quest’ultimo uno ad uno, scampando alle fauci della ballerina.

    E il disegno sotto spoiler.
    Però oh, ripeto che nel complesso non mi è dispiaciuta.
    L'idea alla base di "singy" infatti, l'ho apprezzata particolarmente. :sisi:
     
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