Una piacevole compagnia

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  1. RyokuP
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    Il signor Willinson girava il suo caffè, generando un vortice in miniatura nella tazzina dal bordo dorato. Il clangore dovuto all’impatto del cucchiaino, con le pareti di porcellana, echeggiava nella vuota sala da pranzo. La carta da parati marrone era coperta da qualche quadro e da una testa di cervo impagliata. La mobilia era assente. Stavamo seduti l’uno di fronte all’altro, separati da un piccolo tavolino di legno dalla forma quadrata. Nel ristretto appartamento erano state eliminate le superfici riflettenti, dalle quali, il maturo lord inglese, vedeva materializzarsi una figura persecutrice. Stando alle sue testimonianze, l’entità si manifestava come una sorta di ombra dalle fattezze umane. Questa, in ogni sua apparizione, faceva il gesto della pistola con la mano destra, come se volesse suggerirgli di puntarsela alla testa. Da bravo psicologo cercai di fargli rimembrare alcuni eventi vissuti nel passato, partendo dall’infanzia. Era chiaro che il povero Willinson soffrisse di depressione. Abbandonato dai genitori in un orfanotrofio, pullulante di suore bigotte, aveva perso ogni credo religioso. Non potendosi dunque avvalere dell’oppio dei poveri, non sapeva da dove trarre il minimo sostegno psicologico. La mia presenza in quella triste stanza significava un'ulteriore sconfitta da parte sua. Un’ulteriore resa. Non era sposato, avendo maturato la repulsione nei confronti delle donne. A questo si dava probabilmente merito alle suore, non propriamente avvezze alla misericordia che tanto andavano professando. A loro dire, per evitare le fiamme dell’inferno, era necessario frustare il proprio membro ogni qual volta si facesse un pensiero impuro. Willinson si ritrovò, insieme agli altri ragazzini, ad urinare con il catetere. Vittima del mondo, cercava di tirare avanti come calzolaio. Tale abilità gli era stata inculcata dalle stesse suore che, tra le varie cose, avevano reso infelice la sua sessualità. I bambini dell’istituto erano stati praticamente costretti a curare i propri indumenti e quelli dei loro protettori. Le bambine avevano il compito di sistemare i vestiti, mentre i maschietti erano responsabili della manutenzione di scarpe e stivali. Raccontava tuttavia che gli affari non andavano tanto bene per via di un fatto semplicissimo. Senza gli specchi i clienti non avevano modo di gustare i ritocchi riportati sulle loro scarpe e questa banale motivazione bastava per una ulteriore crisi. L’idea di un eventuale esorcismo non era stata minimamente contemplata dal lord, non credendo in Dio o in altre divinità. Di casi simili ne vedevo spesso, ma il signor Willinson sembrava l’esame finale della mia carriera. Apatico guardava il cucchiaino girare. Il caffè aveva ormai smesso di fumare, mentre il mio era probabilmente già finito nelle urine.

    Ruppi il silenzio con una proposta. “Signor Willinson, il primo passo potrebbe essere quello di porci davanti ad uno specchio”. Le pupille del lord si erano alzate dalla tazzina finendo per combaciare con le mie. “Se in mia compagnia la creatura non dovesse manifestarsi, potrebbe essere un primo indizio riguardo la possibilità che si tratti di una allucinazione. Certe immagini possono essere riprodotte dal subconscio nei momenti di solitudine”. Ragionando per assurdo, uno spirito persecutore si sarebbe manifestato solo agli occhi del perseguitato, per cui, nonostante la mia compagnia, continuerebbe a risultare visibile esclusivamente al signor Willinson. Eliminando invece l’aspetto sovrannaturale, due potevano essere le potenziali possibilità: la mancata manifestazione dell’ombra o la sua ricomparsa per motivi psichici. Con la prima avremmo potuto tagliare la testa al toro, mentre con la seconda avrei insistito sulla questione del suo stato d’animo ai minimi termini.

    Passarono una decina di minuti prima di ricevere una risposta. Willinson non aveva smesso per un solo istante di guardarmi negli occhi. Si era finalmente deciso a bere il freddo caffè, deglutendolo con evidente disapprovazione. Dissipata la smorfia di disgusto formata sul suo viso, emise un debole “Sì”. Dopo un’evidente lotta interiore, era intenzionato a giocare quella carta. L’aggiunta all’idea di base fu quella di condurre la prova su due specchi distinti, uno dei quali sarebbe stata mia premura portare. Mi alzai dalla sedia dichiarando ufficialmente chiusa la seduta di quella giornata. Terminati i saluti, ero uscito dall’appartamento. Il crepuscolo mi attendeva al di fuori del vecchio palazzo. La macchina era parcheggiata lì di fronte. Prima di entrare nel veicolo volsi lo sguardo verso la finestra (senza vetri) della sala da pranzo da cui venivo. Il signor Willinson stava in piedi davanti ad essa, immobile. Mi stava fissando. Non riuscivo a definire il suo sguardo da quella distanza, ma lo immaginavo con gli occhi sbarrati. Poggiai, turbato, le mani sul volante. Non ero nuovo a casi come quello attuale, ma difficilmente si rimaneva insensibili con certi pazienti. In realtà non c’era nemmeno motivo di rimanere così angosciati. Immaginare strane entità o simili era normale in molti casi. Si trattava di figure che spesso nascevano dai sensi di colpa o da eventi che segnano l’esistenza del paziente. Ciò che meritava motivo di inquietudine era proprio quell’uomo. Si era posto anche in maniera gentile, senza mostrare particolari anomalie, ma ciò non bastò a rendermelo digeribile. Probabilmente qualche ulteriore indagine avrebbe chiarito le mie più recondite perplessità.

    Contro ogni mio pessimismo, trascorsi una nottata relativamente tranquilla. Fresco come una rosa ero nuovamente con Willinson. La giornata precedente si era rivelata piuttosto calda, come ogni mese d’agosto vorrebbe, ma non fu il caso di quella che ci apprestavamo a trascorrere. La finestra, orfana del suo vetro, lasciava passare una fredda corrente d’aria, tale da provocare la pelle d’oca. I due specchi erano posati sulla parete opposta alla finestra. Il paziente aveva recuperato il suo specchio dalla cantina. Entrambe le superfici riflettenti erano state coperte col relativo lenzuolo. Le avremmo svelate alla luce non appena Willinson si fosse sentito pronto. Tale prontezza tuttavia tardò ad arrivare. Preso dall’ansia iniziò a girare su se stesso formando delle perfette circonferenze. Osservarlo per più di mezz'ora, in quello stato rotatorio, mi provocò un principio di nausea. In quei casi il paziente non andava fermato. Bloccarlo in quel momento avrebbe significato incrementare il suo stress di fondo. A quel punto avrebbe potuto vedere il riflesso del diavolo in persona. Willinson collassò per terra. Le pupille non smettevano di roteare, continuando a seguire una traiettoria circolare. Sollevai le gambe del paziente, posandone i talloni sulla sedia. Per nostra fortuna il bagno custodiva dei sali dal forte profumo aromatico, tali da arrestare la rotazione dei bulbi oculari del lord.

    Trascorsero altri trenta minuti. Willinson era di nuovo in piedi. Avvicinammo le sedie di fronte al primo specchio, il mio. Una volta seduti, girai lo sguardo verso il paziente con la speranza di ottenere da parte sua un cenno di conferma. Annuì. Ora l’agitazione sembrava essere stata trasmessa al sottoscritto. Tremavo per il freddo ma anche per un'inaspettata emozione. Non indugiai oltre. Afferrai la stoffa e con un forte strattone la spostai lateralmente. Sulla superficie erano riflesse le nostre facce preoccupate. Entrambi avevamo gli occhi sbarrati e la bocca aperta. Scoppiai a ridere. Trovai comica quella situazione. Due uomini grandi e grossi seduti vicini con lo sguardo ricolmo d’ansia. Esilarante. Willinson sembrò non condividere quel momento per me divertente. “Perdonatemi Willinson, devo ammettere che un po’ di ansia era venuta pure a me e…” fui interrotto bruscamente. “Continuiamo, per cortesia” disse risentito il lord.

    Toccava al secondo specchio. Quella superficie aveva già riflesso l’oscura entità in passato. Eravamo lì, di fronte ad essa, in attesa di ricevere il bis sovrannaturale. Ci fu uno scambio di sguardi, poi arrivò da parte del lord la nuova conferma per procedere con l’esperimento. Più tranquillo rispetto alla prima volta, sfilai il secondo lenzuolo. Il risultato fu lo stesso del precedente. Le nostre figure erano nuovamente riflesse senza alcuna anomalia. “Ha notato qualcosa di strano signor Willinson?”. Il paziente non rispose subito, poi mosse il capo per indicare di no. Sorrise, poi si lasciò andare in una fragorosa risata. Questa volta fui io quello serio, in attesa che Willinson recuperasse la compostezza.

    “Proporrei un mesetto di cura, signor Willinson. Inizieremo la terapia tra una settimana, entro la quale le prescrivo una piccola permanenza in qualche centro termale”. Doveva recuperare necessariamente dei frammenti di sanità mentale. Un po’ di sano relax avrebbe giovato in parte alla sua mente devastata. Nel mese programmato l’avrei guidato in un percorso di ripristino. Forse trenta, trentuno giorni, non sarebbero bastati, ma ero certo dei miei mezzi. Al termine del trattamento avrebbe imparato ad apprezzare le piccole cose, cambiando idea, magari, anche sul mondo femminile.

    Quando uscii dal palazzo, buttai nuovamente l’occhio verso la finestra della sala da pranzo. Ancora una volta, il lord era lì davanti, fermo. Immobile come una statua. Tale staticità, tuttavia, venne successivamente interrotta da dei movimenti che iniziò a compiere con le braccia. A scanso di equivoci, rimasi convinto che si fosse fatto il segno della croce, continuandomi a guardare. Non diedi troppo peso alla cosa e mi infilai in macchina. Partii come un razzo, impiegando l’uscita per la tangenziale. Lo specchio che avevo portato da casa era stato accuratamente riavvolto nella stoffa e posato nel portabagagli. Il viaggio proseguì tranquillo. Non c’era traffico e la musica erogata dalla radio galvanizzava la corsa. I Guns N’ Roses cantavano “Welcome to the jungle”. Una curva si era presentata dinanzi al sottoscritto. Era giunto il momento di sterzare, tuttavia, mi ritrovai improvvisamente nel vuoto, lasciando il guard rail dietro di me. Nella discesa, delle risate provenienti dal portabagagli si unirono alla musica.

    Edited by RàpsøÐy - 24/8/2017, 13:28
     
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    Ser Procrastinazione

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    Uhm, quindi l'entità "abbandona" il signor Willinson per perseguitare il protagonista oppure sbaglio?

    Edited by RàpsøÐy - 24/8/2017, 13:27
     
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  3. RyokuP
         
     
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    Esatto. :D
    Una cosa che poi ho voluto omettere, con l'intento di lasciarlo immaginare al lettore, è il passaggio dell'entità dallo specchio di Willinson a quello dello psicologo. :D
    I due specchi erano vicini e per l'entità lo psicologo stesso era un affronto. xD


    Edited by RyokuP - 24/8/2017, 14:44
     
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    Le descrizioni mi sono davvero piaciute, intriganti e non inutilmente minuzione. Sei riuscito a giostrare bene gli elementi della trama e a creare qualcosa di godibile con situazioni già viste (psicologo che diventa la vittima, "lo specchio assassino"). A mio parere però hai utilizzato troppe anastrofi (aggettivo prima del nome/ predicato prima del soggetto) e quindi la lettura è risultata un po' "pesante".
    Il finale mi ha lasciato l'amaro in bocca: fa cascare tutta la tensione e non lascia quasi nulla. Mi aspettavo molto di più.
    A primo impatto non so se qualcuno possa capire il fatto che l'entità passi da uno specchio all'altro, soprattutto perché durante la vicenda non è nemmeno chiaro se quest'entità esista o meno. Essa viene palesata solamente dopo quel finale apparentemente banale e randomico.
    Apparte quello, il racconto è tutto sommato ben fatto.

    Edited by RàpsøÐy - 24/8/2017, 13:28
     
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