Ser Procrastinazione
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È una sera di gala, ecco, fra tanto squallor di questi nostri anni di duolo; ed uno stuolo d’angeli, uno stuolo alato, inghirlandato, immerso in pianto, siede raccolto in un teatro e mira (mentre un’orchestra ad ora ad or sospira) la musica lontana delle sfere.
Mimi fatti ad immagine di Dio, vocian fra loro o mormorano chiocci, ed errano qua e là, meri fantocci, in faticoso eterno tramestio al vedere degli esseri spettrali che muovon gli scenari ed i teloni, e lasciano cader dalle grand’ali le tenebrose maledizïoni.
Oh, il tristissimo dramma! Per assai tempo ci sarà davvero ricordato, col suo fantasma ognor perseguitato da un’orda che nol può cogliere mai in un giro che volge sempre uguale e sempre al punto stesso si richiama; e coll’error, colle follie, col male che ne formano l’anima e la trama.
Ma tra il gruppo dei mimi, ecco, repente, insinuarsi con spire orride d’angue una viscida forma color sangue, che s’annoda e si snoda orridamente. Sovra la scena, i mimi sua conquista divengono e sua preda a mano a mano, e singhiozzano gli angeli alla vista del mostro che maciulla sangue umano.
Tutto s’abbuia. Tutto e nulla resta, e, sovra la catastrofe, il sipario come un lùgubre drappo mortuario precipita con rombo di tempesta. Ed ecco, surto in piè, lo stuolo alato — pallido in volto di glacial pallore — proclamare che il dramma è intitolato: «Uomo» e l’eroe: «Il verme vincitore».
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