L'Uomo Rosso III: Una visita a me

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    Ser Procrastinazione

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    Ho appena finito un turno di ottanta ore. Ho dormito soltanto tre ore negli ultimi tre giorni, ma mi ritrovo agitato per la maggior parte del tempo. Immagino che non sarò in grado di dormire finché non verrò a capo di questa storia. Scriverò fin quanto posso, ma sono davvero stanco. Questi ricordi sono stati tenuti in disparte per molto tempo.

    Jane si agitò tra le mie braccia, la sua voce si alzava e sia abbassava in gemiti profondi. Il vetro cadde su di noi. Sentivo delle mani che mi afferravano, spingendomi da ogni lato. Jane stava urlando a pieni polmoni, "Non prendetelo!" Ancora e ancora, la sua piccola voce veniva coperta da un indistinto ronzio. Serrai gli occhi, tenendo stretta Jane per quello che poteva servire.

    Quindi il silenzio.

    Un allarme si stava spegnendo da qualche parte nella stanza. Sentivo le infermiere e i dottori urlare e poi dei passi sopra del vetro rotto. Il sangue di Jane colava dal retro del mio cappotto. Lei era inerte tra le mie braccia, il volto pallido. La portai sul letto e la lasciai lì a riposare. Il suo respiro era affannoso, ma i suoi occhi erano sbarrati. "Che diamine è successo?" Il mio capo reparto stava in piedi davanti alla porta, guardando i vetri rotti e il sangue sul pavimento. Mi limitai a scuotere la testa e a ricucire i tagli sui polsi di Jane.

    Una seconda occhiata alla finestra rotta mostrò che era stata colpita da qualcuno dall'esterno. Era improbabile che un pugno fosse abile di penetrare il vetro, ma sembrava così. La Sicurezza venne e prese il mio responso, ma erano scettici. Qualcosa era successo, ma non riuscivo a spiegarglielo e Jane tenne il suo sguardo su di me. Il mio capo reparto mi disse di andare a casa e di riposarmi. Annuii e tornai da Jane. Si tolse la maschera per l'ossigeno che era legata alla sua faccia e sussurrò "Non farlo."

    "Non fare cosa?" le chiesi.

    "Non rimanere da solo. Lui sta aspettando." Si rimise la maschera e fece un respiro profondo. Il capo reparto si mise fra noi e alzò una mano, irritato.

    "Va bene, Dottor Bennett, basta chiacchiere per stasera," si impuntò. "Vai a casa. Quando tornerai avrai un nuovo caso su cui lavorare, e Jane avrà una casa nuova di zecca." Jane mi fissò con uno sguardo pieno di lacrime. Il blu dei suoi occhi si era in qualche modo indebolito, non più forte come lo era prima. Lei sembrava più piccola rispetto a quando la vidi per la prima volta, se possibile. Presi la sua mano e la strinsi. Lei rispose alla stretta, la sua mano tremava.

    "Lui ti prenderà," disse, quasi di fretta. "Ti prego non lasciarglielo fare." Il capo mi spinse fuori dalla stanza, congedandomi per la notte, e andai a casa. Il giro in bus fu uno dei più lunghi della mia vita, ed io ero stanco. I miei occhi erano pesanti. Continuavo a controllare il finestrino mentre il bus aumentava di velocità lungo le strade deserte. L'unica altra persona che mi teneva compagnia nel mio viaggio era un vecchio chiamato Jacob. Sospettai che fosse un senzatetto, ma indossava resti di abiti. Brandelli di una camicia sbottonata, pantaloni pressati e delle logore scarpe da ginnastica. Percorrevo la stessa strada con lui da almeno cinque anni a questa parte. Quando passai vicino a lui mentre mi dirigevo verso la fermata, mi prese per il braccio. Cercai di liberarmi e guardai verso di lui. I suoi occhi erano scuri, probabilmente marroni, ma nella scura luce del bus questi erano neri. Piccole pustole chiazzavano la sua faccia, e lui parlò con delle labbra frastagliate. "Stai attento," la sua voce venne lenta, "è tardi." Mi lasciò andare e io rimasi lì per un momento. Il conducente si stava facendo impaziente. "Buonasera, Signor Jacob." Scesi dal bus e corsi al mio appartamento al secondo piano. Chiusi a chiave la porta dietro di me, affannato. Controllai nuovamente i lucchetti. Stavo diventando paranoico, ma tutti gli ingredienti non si stavano sommando. Vivevo da solo in un piccolo appartamento-studio, e i miei genitori vivevano a Washington. Non ho mai dovuto preoccuparmi per dei visitatori inaspettati. L'unica persona della città che conoscevo era mia sorella, Gwen. Studiava alla NYU per diventare un avvocato.

    Mi sedetti sul pavimento, realizzando improvvisamente che avevo bisogno di più viveri. Composi il numero di mia sorella. Lei rispose al secondo squillo. "Ok, Ian, chiami così tardi soltanto se uno: sei ubriaco fradicio, o due: hai dei problemi di coppia. Lascia che risolva rapidamente la questione: lei non ti merita, meglio la prossima volta..." La lasciai continuare. Potevo sentirla sorridere dall'altro capo del telefono. Infine finì il suo discorso, ridendo.

    "Ho indovinato?"

    "No." Mi fermai, respirando. "Volevo solo chiamare per sapere come stavi." Non ci fu un'immediata risposta da Gwen. La sentii scrivere, in sottofondo, poi un forte scoppio di qualcosa dalla sua televisione.

    "Che succede, fratellone?" Sembrava genuinamente preoccupata, ma sapevo che era distratta. Strappai delle fibre dal tappeto. Gwen stava dicendo alla sua coinquilina di tacere in modo che potesse sentire.

    "Ti dispiace venire a stare da me questo finesettimana?" Sembrava la stessi implorando.

    "È successo qualcosa?"

    "Ti dispiace?" Stavo insistendo.

    "Certo. Non c'è problema. Sarò lì sabato mattina se prendo l'ultimo bus di venerdì notte."

    "Grazie, Gwen." Riagganciai il telefono e lo spensi, sentendomi a disagio. Mi alzai e mi diressi verso la doccia, realizzando che il sangue rappreso di Jane chiazzava la mia canottiera. Chiusi a chiave la porta dietro di me, chiudendo le tende bianche della doccia mentre il vapore iniziava a riempire la stanza. Pensai a Jane e alla finestra che esplodeva, per poi pensare al suo sguardo. I miei pensieri continuarono a vagare finché l'acqua calda finì e getti di ghiaccio iniziarono a colpire il mio petto. Gridai e saltai fuori dalla doccia, avvolgendo un asciugamano attorno ai miei fianchi.

    Erano circa le due del mattino, a quel punto. Camminai nella cucina del mio appartamento e presi un pasto surgelato pronto per essere riscaldato. Allora ci fu un distante ronzio. Lontano. Andai nel soggiorno, e il mio cellulare stava rimbalzando su e giù per il pavimento. Lo raccolsi, realizzando che era una chiamata dall'ospedale. Risposi immediatamente, pensando che fosse un'emergenza.

    "Pronto?"

    Nessuna risposta. Ci fu un debole sfrigolio di sottofondo. I denti di qualcuno si stavano sfregando molto lentamente. Mi sforzai di ascoltare. Iniziai a parlare, proprio mentre un'eterea voce viaggiò attraverso l'altoparlante e si infiltrò nel mio corpo, infuocando ogni mia terminazione nervosa. Una voce che ti ossessiona e che sarà il soggetto dei tuoi incubi per gli anni a venire.

    "Scappa. Scappa. Scappa. Scappa. Scappa!" La voce era profonda e distorta. I miei palmi erano umidi di sudore. Iniziai a tremare, il mio stomaco si chiuse. Dalla cucina, il microonde iniziò a squillare, segnalando che la mia cena era pronta. Provai a formare delle parole, ma lo squillo continuava. La voce cantava. Il mio cuore correva. Urlai all'altro capo, sopra il costante flusso di "Scappa!" Poi attaccai, scagliando il mio cellulare attraverso la stanza. Corsi in cucina e tirai fuori la mia fumante cena dal microonde. La misi nel lavandino e ci feci scorrere sopra dell'acqua, in modo tale da anticipare l'allarme anti incendio. Sentii di nuovo il ronzio. Furente, mi precipitai nel soggiorno, presi il telefono e allora il mio cuore quasi scoppiò quando mi ricordai di una cosa: ho spento il telefono prima di farmi la doccia, dissi a me stesso. Il telefono continuava a danzare nella mia mano. Risposi.

    Delle urla mi accolsero dall'altro capo. Jane. Stava chiamando il mio nome, le sue grida di terrore mi fecero fondere il cervello. L'altro capo andò muto. Sfrecciai nella stanza da letto e presi dei vestiti. Stavo già componendo il 911 quando un'altra chiamata arrivò. Risposi immediatamente.

    "Chi cazzo sei?" Stavo andando verso la porta. La voce sinuosa scivolò attraverso l'altro capo: "Non così in fretta, Ian," disse, molto fermamente, "controlla prima la doccia." Mi bloccai. Questa persona poteva vedermi. Stava ridacchiando. Jane continuava ad urlare in sottofondo. Feci un passo indietro, guardando verso la porta aperta del bagno. Il vetro era ancora coperto del vapore della doccia. Sentivo un respiro dall'altro capo. Altre urla.

    "Perché?" La mia voce tremava.

    "Sono venuto a fare una visita," la voce si gonfiò dietro al telefono. Sapevo che chiunque questa persona fosse, voleva dire qualunque cosa stesse dicendo, e meccanicamente iniziai a camminare verso il bagno, il telefono premuto contro il mio orecchio. Jane urlò di nuovo. "Non farle del male!" Urlai, la mia faccia bollente di rabbia. La voce ringhiò come un cane rabbioso.

    Entrai nel bagno, fissando le bianche tende della doccia. Il mio intero corpo stava tremando, le mie ginocchia erano deboli. "Aprile," m'impose la voce, "aprile e vedi." La mia mano afferrò una manciata di materiale bianco poco resistente. Chiusi gli occhi, presi un rapido respiro e tirai le tende. La bianca porcellana della doccia era tinta di rosso. L'interno delle tende erano rosse, adesso. Il soffitto sopra la doccia era rosso. Ma dentro la doccia giaceva una massa contorta e in movimento. Riuscii a malapena a distinguerne la forma. Era coperta di sangue e la pelle era scorticata. Pezzi di carne erano stati strappati dal volto della figura. Riuscii soltanto a distinguere il bianco dei suoi occhi. Delle piccole urla vennero dall'ammasso di carne. La mia visuale si offuscò. Delle risate bombardarono il mio orecchio dall'altro capo del telefono, e poi la chiamata si interruppe.

    E sopra le mie stesse urla, sentii la porta del mio appartamento sbattere. I passi crebbero di intensità. Un'ombra apparve sul muro al di fuori della stanza. Non vidi altro che del bianco che mi si avvicinava.

    Sono molto stanco, perciò credo che andrò a prendermi un paio di ore di sonno prima di ritornare al lavoro. Non volevo divagare così tanto, ma è davvero terapeutico fare un quadro generale. Siamo quasi a metà, adesso, ma questo è tecnicamente solo l'inizio di quando Lui venne a farmi visita.

    Ha preso una parte di me e sto ancora cercando di riprendermela.

    Parte 4 >


    Edited by & . - 24/6/2020, 16:04
     
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