Secondo turno di notte

Stephen King

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    Ser Procrastinazione

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    Ore 2, venerdì.

    Quando Warwick salì, Hall era seduto sulla panca vicino all'ascensore, unico posto lì al terzo piano dove un povero lavoratore potesse farsi una fumatina.
    Hall non era certo felice di vedere Warwick. Non era previsto che il caposquadra salisse al terzo, durante il secondo turno di notte. Era previsto che se ne rimanesse nel suo ufficio giù nello scantinato, a bere caffè dal bricco che stava sull'angolo della sua scrivania. Per di più, faceva un caldo da morire.
    Era il giugno più torrido mai registrato a Gates Falls, e il termometro*réclame di una bibita che stava proprio vicino all'ascensore, una volta si era fermato sui trentaquattro gradi, alle tre del mattino. Dio solo sapeva che specie di buca dell'inferno era la filanda durante il turno dalle tre alle undici.
    Hall lavorava alla sfilacciatrice, un congegno recalcitrante fabbricato nel1934 da una ditta ormai defunta di Cleveland. Era stato assunto alla filanda soltanto in aprile, il che voleva dire che prendeva ancora il minimo, 1,78 dollari all'ora, ma gli andava bene ugualmente. Niente moglie, niente ragazza fissa, niente alimenti. Era un individuo alla deriva, e durante gli ultimi tre anni, sempre con l'autostop, si era spostato da Berkeley (studente universitario) al Lago Tahoe (aiuto cameriere) a Galvestone (stivatore) a Miami (cuoco in una tavola calda) a Wheeling (conducente di taxi e lavapiatti) a Gates Falls, nel Maine (operaio addetto alla sfilacciatrice). Non aveva in programma di spostarsi di nuovo, prima dell'inverno. Era un solitario e gli piacevano le ore dalle undici alle sette, quando le pulsazioni del grande stabilimento tessile calavano al loro livello minimo, per non parlare della temperatura.
    La sola cosa che non gli piaceva erano i topi.
    Il terzo piano era lungo e deserto, rischiarato soltanto dal chiarore tremulo delle lampade fluorescenti. A differenza degli altri piani dello stabilimento, era relativamente silenzioso e disabitato: per lo meno dagli umani. I topi erano un altro paio di maniche. L'unica macchina, al terzo, era la sfilacciatrice; il resto del piano fungeva da magazzino per i sacchi di fibra (da cinquanta chili l'uno) che doveva essere ancora selezionata dalla lunga macchina dentata di Hall. Erano ammonticchiati in lunghe file come tante salsicce, alcuni vecchi di anni (quelli di melton, per esempio, tessuto per il quale mancavano le ordinazioni) e grigi di sudiciume.
    Costituivano ottimi nidi per i topi, animali grossi e panciuti dagli occhi rabbiosi e dai corpi sussultanti a causa dei pidocchi e dei parassiti.
    Hall aveva preso l'abitudine di raccogliere un piccolo arsenale di barattoli vuoti che prendeva dal bidone della spazzatura durante l'intervallo. Li tirava contro i topi nei periodi in cui il lavoro rallentava, recuperandoli poi con suo comodo. Solo che stavolta il signor caposquadra l'aveva colto sul fatto, venendo su dalle scale invece di usare l'ascensore, da quel subdolo figlio di cane che era, a detta di tutti.
    "Che cosa stai combinando, Hall?"
    I topi, rispose Hall, rendendosi conto di come doveva suonare fiacca la sua risposta ora che i topi erano di nuovo rannicchiati al sicuro nelle loro tane.
    Li prendo di mira con i barattoli, quando li vedo.
    Warwick assentì, brevemente. Era un omone bovino, con i capelli a spazzola.
    Aveva le maniche della camicia arrotolate e la cravatta allentata. Guardò fisso Hall. "Non ti paghiamo per tirare barattoli ai topi, amico. Nemmeno se dopo vai a raccattarli."
    "Sono venti minuti che Harry non manda giù un ordine", rispose Hall, pensando: "all'inferno, ma non potevi rimanertene dov'eri, a bere caffè? Non posso certo passare alla sfilacciatrice quello che non ho."
    Warwick assentì come se l'argomento non lo interessasse più.
    "Forse farò un salto su da Wisconsky", disse. "Mi gioco il collo che starà leggendo una rivista, mentre la roba gli si ammucchia dentro i bidoni."
    Hall non disse niente.
    Warwick improvvisamente indicò. "Là ce n'è uno! Prendilo, quel maledetto!"
    Con un movimento velocissimo dall'alto in basso. Hall sparò il barattolo di birra che aveva in mano. Il topo, che li stava osservando da una delle balle di fibra con i suoi vividi occhi a palla, fuggì con un lieve squittio. Warwick gettò indietro la testa e rise, mentre Hall andava a riprendere il barattolo.
    "Ero venuto a parlarti di un'altra cosa", riprese Warwick.
    "Ah, sì?"
    "La settimana prossima è la settimana del Quattro luglio." Hall assentì. "Lo stabilimento sarebbe rimasto chiuso dal lunedì al sabato: settimana di vacanza per chi aveva fatto almeno un anno di lavoro. Settimana di sospensione per quelli che erano stati assunti da meno di un anno. Ti va di lavorare?"
    Hall alzò le spalle. "A che cosa?"
    "Vogliamo sgomberare l'intero piano delle cantine. Sono dodici anni che nessuno ci mette mano. Chissà che cosa c'è. Useremo gli idranti."
    "Il comitato di quartiere l'ha spuntata contro il consiglio direttivo?"
    Warwick guardò fisso Hall. "Vuoi farlo o no? Due all'ora, paga doppia il giorno quattro. Lavoreremo durante il turno di notte, perché farà più fresco."
    Hall calcolò. Dedotte le tasse, poteva cavarne all'incirca settantacinque dollari. Meglio dello zero assoluto che aveva previsto.
    "D'accordo."
    "Presentati al reparto tintoria lunedì prossimo."
    Hall, mentre l'altro si avviava verso le scale, lo seguì con lo sguardo. A mezza strada, Warwick si fermò e si girò a guardare Hall. "Tu una volta eri uno studente universitario, vero?"
    Hall assentì.
    "Va bene, studente universitario, lo terrò presente."
    Se ne andò. Hall sedette e accese un'altra sigaretta, tenendo un barattolo di birra in mano, pronto a mirare qualche topo. Poteva benissimo immaginare che cosa dovesse esserci nello scantinato. Nel sottoscantinato, anzi, un piano più giù del reparto tintoria. Buio, umidità, ragni dappertutto, cascami marciti e limo del fiume... e sorci. Forse perfino pipistrelli, l'aviazione della famiglia dei roditori. Bah.
    Lanciò con forza il barattolo, poi sorrise appena, tra sé, perché il suono della voce di Warwick arrivava indebolito attraverso i condotti in alto, richiamando all'ordine Harry Wisconsky.
    "Va bene, studente universitario, lo terrò presente."
    Hall smise bruscamente di sorridere e schiacciò il mozzicone. Pochi istanti dopo, Wisconsky cominciò a mandar giù nylon grezzo attraverso i tubi pneumatici, e Hall si mise al lavoro. E dopo un po' i topi uscirono e, seduti sopra le balle di fibra, in fondo al lungo stanzone, rimasero a osservarlo con i loro occhi immobili. Sembravano una giuria.









    Ore 23, lunedì.

    C'erano circa trentasei uomini in attesa quando Warwick arrivò con indosso un paio di vecchi jeans ficcati dentro alti stivali di gomma. Hall era stato ad ascoltare Harry Wisconsky, che era enormemente grasso, enormemente pigro ed enormemente tetro.
    "Chissà che schifo", diceva Wisconsky quando il caposquadra entrò. "Aspettate e vedrete, torneremo tutti a casa più neri della mezzanotte in Persia."
    "Allora!" esclamò Warwick. "Abbiamo sistemato una fila di sessanta lampadine, laggiù, perciò dovrebbe esserci abbastanza chiaro perché possiate vedere quello che fate. Voialtri..." indicava un gruppo di uomini che se ne stavano addossati ai rulli di essiccazione, "dovete agganciare gli idranti laggiù al condotto principale dell'acqua, vicino alla tromba delle scale. Potete srotolarli giù per i gradini. Abbiamo circa ottanta metri per ciascun uomo, e dovrebbe essere sufficiente. Non spruzzate qualcuno dei vostri compagni, per fare i furbi, o lo manderete all'ospedale. Con uno sgrugnone così c'è da stare freschi."
    "Qualcuno si farà male", predisse Wisconsky, con acredine. "Vedrete se ho torto!"
    "Voialtri, invece", disse Warwick, indicando il gruppo di cui facevano parte Hall e Wisconsky, "sarete la squadra addetta alla rimozione. Andrete a due a due, con un vagoncino elettrico per ogni coppia di operai. Ci sono vecchi mobili d'ufficio, balle di tessuto, pezzi di macchinario fuori uso, chi più ne ha più ne metta. Ammucchieremo tutto accanto al pozzo di ventilazione, all'estremità occidentale. C'è qualcuno che non sa come si manovra un vagoncino?"
    Nessuno alzava la mano. I vagoncini elettrici erano aggeggi a batteria simili ad autocarri con cassone ribaltabile in miniatura. Dopo un po' che andavano, spandevano un puzzo nauseante che ricordava a Hall quello di un cavo elettrico bruciato.
    "Bene", riprese Warwick. "Abbiamo diviso la cantina in sezioni, e per giovedì avremo finito. Venerdì formeremo una catena per portare fuori le cianfrusaglie. Qualche domanda?"
    Non ce ne furono. Hall studiava attentamente la faccia del caposquadra, ed ebbe l'improvvisa premonizione che stesse per accadere qualcosa di strano.
    L'idea gli sorrideva. Warwick non gli era molto simpatico.
    "Benissimo", concluse Warwick. "Diamoci da fare."






    Ore 2, martedì.

    Hall era sfinito e non ne poteva più di ascoltare la continua tiritera di bestemmie e di lamentele di Wisconsky. Si domandava se sarebbe servito a qualcosa mollargli un pugno. Pensava di no. Sarebbe servito soltanto a dare a Wisconsky un altro motivo per inveire.
    Hall se l'era immaginato che sarebbe stato un lavoraccio, ma non fino a quel punto. Per prima cosa, non aveva previsto il tanfo. Il fetore inquinato del fiume si mescolava all'odore di tessuti marciti, di muri corrosi, di sostanze vegetali. Nell'angolo più distante, dove avevano cominciato, Hall aveva scoperto una colonia di enormi funghi velenosi bianchicci che facevano capolino attraverso il cemento sgretolato. Li aveva toccati inavvertitamente mentre cercava di liberare un ingranaggio arrugginito rimasto impigliato, e li aveva sentiti caldi e gonfi, come la carne di un uomo affetto da idropisia.
    Le lampadine non riuscivano a disperdere l'oscurità più che decennale;
    potevano soltanto respingerla un po' più indietro e gettare un chiarore giallo e malaticcio sopra quell'ira di Dio. Quel posto faceva pensare alla navata in rovina di una chiesa dissacrata, con il suo alto soffitto e i mastodontici macchinari in disuso che loro non sarebbero mai riusciti a smuovere, con le sue pareti umide ricoperte di gialle chiazze di muffa, e il coro atonale degli idranti, ovvero l'acqua che scorreva entro la rete fognaria mezzo intasata e, alla fine, si scaricava nel fiume sottostante.
    E i sorci: così enormi da far sembrare nani quelli su al terzo piano. Dio solo sapeva che cosa mangiassero, laggiù. Loro non facevano che rivoltare assi e balle di merce e scovare sempre nuovi nidi fatti con brandelli di giornali vecchi, guardando con atavico ribrezzo i piccoli che correvano a rifugiarsi nelle crepe e nelle fessure, gli occhi grandi e ciechi per la continua oscurità.
    "Fermiamoci a fumare una sigaretta", disse Wisconsky.
    Sembrava senza fiato, e Hall non capiva perché; non aveva fatto altro che lo scansafatiche. D'altra parte, una sosta ci voleva, e nessuno da lì poteva vederli.
    "D'accordo." Si appoggiò al vagoncino elettrico e accese una sigaretta.
    "Non avrei mai dovuto lasciarmi convincere da Warwick", disse Wisconsky, disperato. "Non è lavoro per un essere umano, questo. Ma era talmente fuori di sé l'altra sera, quando mi ha sorpreso a rigirare i pollici, su al quarto.
    Cristo, se se l'è presa."
    Hall non parlava. Stava pensando a Warwick e ai topi. Strano, come le due cose sembrassero collegarsi. I topi si comportavano come se avessero dimenticato tutto sugli uomini, nella loro lunga permanenza sotto la filanda; erano impudenti e non avevano nemmeno paura. Uno di loro era rimasto a sedere sulle zampe posteriori come uno scoiattolo, fino a che Hall non si era avvicinato abbastanza da poter mollare un calcio, poi gli si era lanciato contro la scarpa, addentandone il cuoio. Ce n'erano a centinaia, forse migliaia. Hall si domandava quante malattie si portassero attorno, in quella nera fogna. E Warwick. Qualcosa in lui...
    "Perché a me servono i soldi", diceva Wisconsky. "Ma Cristo, amico, non è lavoro per un uomo, questo. Quei topi..." Si guardò attorno, con paura. "Sembra quasi che pensino. Ti viene mai fatto di domandarti come sarebbe, se noi fossimo piccoli e loro grossi..."
    "Oh, piantala!" esclamò Hall.
    Wisconsky lo fissò, ferito. "Scusa tanto, amico. il solo che..." Non finì. "Gesù, che puzza!" gridò. "Non è proprio lavoro per un essere umano, questo! Un ragno strisciò fuori dal vagoncino e gli si arrampicò su per il braccio. Lui lo spazzò via con un grido soffocato di ribrezzo."
    "Coraggio", riprese Hall, spegnendo la sigaretta. "Se ci diamo da fare, finiamo prima."
    "Sarà", disse Wisconsky, avvilito. "Sarà."






    Ore 4, martedì.

    Intervallo di colazione.
    Hall e Wisconsky sedevano insieme ad altri tre o quattro operai, mangiando panini con mani così nere che neppure il detersivo industriale riusciva a pulirle. Hall mangiava guardando nell'ufficetto a vetri del caposquadra.
    Warwick beveva caffè e mangiava di gusto hamburger freddi.
    "Ray Upson ha dovuto andarsene a casa", disse Charlie Brochu.
    "Ha vomitato?" chiese un altro. "Io, c'è mancato poco.
    Naah! Ray mangerebbe sterco di vacca, prima di vomitare. L'ha morsicato un topo."
    Hall smise di esaminare Warwick e guardò in su, con aria pensosa. "Sul serio?"
    "Sì!" Brochu scuoteva la testa. Ero in coppia con lui. La scena più spaventosa che abbia mai visto. È schizzato fuori da un buco in una di quelle vecchie balle di tessuto. Era grande di sicuro come un gatto. Lo ha afferrato a una mano e ha cominciato a mordere.
    "Diiiio!" mormorò uno degli uomini, verde dalla paura.
    "Eh, sì", continuò Brochu. "Ray urlava proprio come una donna, e non so dargli torto. Sanguinava come un maiale. E credete che quella bestiaccia mollasse la presa? Nossignore! Ho dovuto colpirlo tre o quattro volte con una tavola, prima che si staccasse. Ray sembrava un pazzo. Ha continuato a calpestarlo fino a ridurlo una poltiglia pelosa. Mai vista una scena più orrenda di così.
    Warwick lo ha medicato e lo ha mandato a casa. Gli ha detto di andare dal dottore, domani."
    "Un vero sforzo, da parte di quel figlio di cane", mormorò qualcuno.
    Come se avesse sentito, Warwick si alzò, nel suo ufficio, si stirò, poi si fece sulla porta. "Ora di tornare al lavoro", comunicò.
    Gli uomini si rialzarono lentamente, perdendo quanto più tempo era possibile a riporre i contenitori del pasto, a procurarsi bibite fresche e tavolette di cioccolata. Poi cominciarono a scendere, e i loro tacchi risuonavano senza entusiasmo sul metallo degli scalini.
    Warwick, nel passare vicino a Hall, gli diede una manata sulla spalla. "Come andiamo, studente universitario?" Non aspettò la risposta.
    "Dai, sbrigati", disse pazientemente Hall a Wisconsky, che si stava allacciando una scarpa. Scesero.






    Ore 7, martedì.

    Hall e Wisconsky uscirono insieme; Hall aveva l'impressione d'avere in un certo senso ereditato quel grassone polacco. Wisconsky era sudicio in maniera quasi comica, la sua faccia di luna piena era sporca come quella di un ragazzino che fosse stato appena malmenato dal bullo del quartiere.
    Non si sentivano le solite battute salaci da parte degli altri, gli scherzi pesanti, le spiritosaggini su chi scaldava il letto alla moglie di Tony tra l'una e le quattro del mattino. Nient'altro che silenzio e un occasionale suono raschiante quando qualcuno sputava sul pavimento sudicio.
    "Vuoi un passaggio?" gli chiese Wisconsky, dopo un attimo di esitazione.
    "Grazie."
    Non dissero una parola mentre percorrevano Mill Street e attraversavano il ponte. Scambiarono appena un breve saluto quando Wisconsky lo lasciò davanti a casa.
    Hall andò direttamente alla doccia, sempre pensando a Warwick, cercando di stabilire che cosa lo attirasse, nel caposquadra, facendogli sentire che, in qualche modo, tra loro si era creato un legame.
    Si addormentò nell'attimo stesso in cui posò la testa sul cuscino, ma fu un sonno frammentario e irrequieto: sognò topi.






    Ore 1, mercoledì.

    Era meglio essere addetti agli idranti.
    Non potevano entrare se prima le squadre addette alla rimozione non avevano sgombrato un settore, e molto spesso finivano di lavorare con i getti prima che il settore successivo fosse sgombro, il che significava avere il tempo per fumare una sigaretta. Hall azionava il getto di uno dei lunghi tubi, e Wisconsky zampettava avanti e indietro, liberando lunghezze di tubo, aprendo e chiudendo l'acqua, rimuovendo ostruzioni.
    Warwick era irritato perché il lavoro procedeva lentamente. A quel passo, non avrebbero finito di certo entro giovedì.
    Ora stavano lavorando a un'accozzaglia disordinata di ottocentesche attrezzature per uffici che erano state ammucchiate in un angolo: scrivanie con alzata avvolgibile, muffosi libri mastri, risme di fatture, sedie con il sedile sfondato. Per i topi era un paradiso. A decine squittivano e correvano attraverso gli oscuri e imprevedibili passaggi che costellavano il mucchio di cavità come un alveare; e dopo che due degli uomini erano stati morsicati, gli altri si rifiutarono di lavorare finché Warwick non mandò qualcuno di sopra a procurare pesanti guanti di gomma, di quelli riservati in genere al personale del reparto tintoria, che doveva lavorare con gli acidi.
    Hall e Wisconsky erano in attesa di entrare in azione con loro idranti quando Carmichael, un pezzo d'omaccione con capelli stopposi, cominciò a urlare imprecazioni e a indietreggiare, battendosi forte il petto con le mani protette dai guanti.
    Un topo enorme, con il pelo grigio striato e occhi rabbiosi, cattivi, gli aveva addentato la camicia e stava appeso là, squittendo e scalciando, contro lo stomaco di Carmichael con le zampe posteriori. Con un pugno, Carmichael riuscì alla fine a farlo cadere, ma c'era un gran foro nella sua camicia, e un sottile filo di sangue sgocciolava da una ferita poco sopra il capezzolo.
    Sulla sua faccia la collera si stava spegnendo; poi, l'omone si girò in là e diede di stomaco.
    Hall rivolse il getto contro il topo, che era vecchio e si muoveva lentamente, un brandello della camicia di Carmichael ancora tra i denti. La pressione lo sospinse contro la parete, dove rimase spiaccicato e inerte.
    Warwick si avvicinò, uno strano, forzato sorriso sulle labbra. Batté sulla spalla di Hall. "Molto meglio che tirare barattoli vuoti a quei piccoli mostri, eh, studente?"
    "Chiamalo piccolo", borbottò Wisconsky. "È lungo trenta centimetri."
    "Punta l'idrante da quella parte." Warwick indicava la catasta di mobili d'ufficio. "Voialtri, levatevi di mezzo!"
    "Con piacere", mormorò qualcuno.
    Carmichael venne verso Warwick come un toro infuriato, la faccia sofferente e stravolta. "Voglio un compenso per quel che è successo! Voglio..."
    "Sicuro", disse Warwick, sorridendo. "Sei stato morsicato a una tettina. Togliti di mezzo, prima di rimanere spiaccicato dalla forza dell'acqua."
    Hall puntò la bocchetta dell'idrante e lasciò partire il getto. Con una bianca esplosione di spuma, l'acqua investì la catasta, rovesciando una scrivania e fracassando un paio di sedie. I topi correvano in tutte le direzioni, e Hall non ne aveva mai visti di così grossi. Sentiva gli altri operai gridare di disgusto e d'orrore mentre quelli fuggivano, mostruosità dagli occhi enormi e dai corpi lustri e grassocci. Ne scorse uno che sembrava grande quanto un bel cucciolo sano di sei settimane. Continuò a manovrare l'idrante finché non ne vide più, poi chiuse il getto.
    "Bene!" gridò Warwick. "Ora cominciamo a sbaraccare."
    "Io non mi sono arruolato come sterminatore!" protestò con fare ribelle Cy Ippeston. Hall era uscito con lui a bere qualcosa, la settimana prima. Era un giovanotto, portava un berrettino da baseball macchiato di fuliggine e una maglietta.
    "Sei tu, Ippeston?" chiese bonariamente Warwick.
    Ippeston parve incerto, ma si fece avanti. "Sì, io. Non voglio più saperne di questi topi. Sono stato ingaggiato per sgomberare una cantina, non per rischiare di prendermi la rabbia o il tifo o che so io. Sarà meglio che mi cancelli."
    Dagli altri si levò un mormorio di consenso. Wisconsky scoccò un'occhiata a Hall, ma Hall stava esaminando la bocchetta dell'idrante, che aveva un foro come una calibro 45 e probabilmente poteva scaraventare un uomo a sei metri di distanza.
    "Insomma, Cy, stai dicendo che vuoi timbrare il cartellino?"
    "Ho una gran voglia di farlo", rispose Ippeston.
    Warwick assentì. "Sta bene. Tu e chiunque altro che lo voglia. Ma qui non c'è nessun sindacato a dettare legge, non c'è mai stato. Se ora timbrate il cartellino d'uscita, quello d'entrata non lo timbrerete più. Parola di Warwick."
    "Non so se mi spiego", mormorò Hall.
    Warwick si girò di scatto. "Hai detto qualcosa, studente?"
    Hall lo contemplò con aria candida. "Mi stavo soltanto schiarendo la gola, signor caposquadra."
    Warwick sorrise. "Qualcosa t'è andato di traverso?"
    Hall non rispose.
    "Bene, cominciamo a sbaraccare!" berciò Warwick.
    Si rimisero al lavoro.






    Ore 2, giovedì.

    Hall e Wisconsky stavano lavorando di nuovo con i vagoncini, per sgomberare le cianfrusaglie. La pila presso il pozzo di aerazione ovest aveva raggiunto proporzioni stupefacenti, eppure non si era neppure a metà dell'operazione.
    "Buon Quattro luglio", disse Wisconsky, quando sostarono per farsi una fumata.
    Stavano lavorando vicino alla parete nord, ben distante dalle scale. La luce era incredibilmente fioca, e per qualche scherzo dell'acustica gli altri sembravano lontanissimi.
    "Grazie." Hall tirò un'altra boccata. "Non si sono visti molti topi, stasera."
    "Nessuno ne ha visti", rispose Wisconsky. "Si saranno fatti furbi."
    Erano fermi all'estremità di uno strano vicolo a zig-zag formato da vecchi libri mastri e pacchi di fatture, balle di tessuto ammuffite e due enormi telai piatti di antica data. "Bah", disse Wisconsky, sputando. "Quel Warwick... Dove pensi che siano andati, tutti quei topi?" chiese Hall, parlando più che altro a sé stesso. "Nelle pareti non credo..." Guardava l'opera in muratura, umida e cadente, che circondava le grosse pietre delle fondamenta.
    "Annegherebbero. Il fiume ha saturato tutto."
    Qualcosa di nero e di svolazzante si gettò all'improvviso in picchiata sopra di loro. Wisconsky mandò un grido e si riparò la testa con le mani.
    "Un pipistrello", disse Hall, osservandolo che si allontanava, mentre Wisconsky si tirava su.
    "Un pipistrello! Un pipistrello!" smaniava Wisconsky. "Che cosa ci fa un pipistrello in cantina? I pipistrelli stanno negli alberi, sotto le grondaie..."
    "Era grosso", mormorò Hall. "E che cos'è un pipistrello, se non un topo con le ali?"
    "Gesù", gemette Wisconsky. "Come avrà fatto...?"
    "A entrare? Forse dalla stessa via da cui sono usciti i topi."
    "Che cosa succede là in mezzo?" gridò Warwick da un punto alle loro spalle. "Dove siete?"
    "Sta' zitto", mormorò Hall. I suoi occhi luccicavano nel buio.
    "Sei stato tu a gridare, studente?" gridò ancora Warwick. Sembrava più vicino, ora.
    "Niente, niente!" replicò Hall. "Ho picchiato uno stinco."
    Si udì la risata breve di Warwick, simile a un latrato. "Vuoi una medaglia?"
    Wisconsky guardava Hall. "Perché hai risposto così?
    Guarda." Hall s'inginocchiò e accese un fiammifero. "C'era un riquadro nel mezzo del cemento umido, tutto crepe. Battici su."
    Wisconsky provò. "È legno."
    Hall assentì. "È la cima di un supporto. Ne ho visti altri, qua intorno. C'è un altro livello, sotto questo scantinato."
    "Dio!" mormorò Wisconsky, con indicibile ripugnanza.






    Ore 3.30, giovedì.

    Erano nell'angolo più a nord, e dietro di loro c'erano Ippeston e Brochu, con uno degli idranti, quando Hall si fermò e indicò il pavimento. "Eccola, sapevo che l'avremmo trovata."
    C'era una botola di legno con un anello di ferro arrugginito sistemato quasi al centro.
    Hall tornò verso Ippeston e disse: "Ferma un momento." Aspettò che il getto fosse ridotto a uno sgocciolio, poi alzò la voce e chiamò: "Ehi! Ehi, Warwick! Venga qui un momento!"
    Warwick si avvicinò sguazzando. Fissava Hall con il solito sorriso duro negli occhi. "Ti si è slacciata una scarpa, studente?"
    "Guardi", disse Hall. Batté con il piede sulla botola. "Giù c'è un'altra cantina."
    "E con questo?" chiese Warwick. "Non siamo nell'intervallo stu..."
    "È là che sono scomparsi i topi", lo interruppe Hall. "Fanno razza là sotto."
    "Prima, Wisconsky e io abbiamo visto perfino un pipistrello."
    Altri operai si erano avvicinati e osservavano la botola.
    "Tanto piacere", rispose Warwick. "L'incarico riguardava lo scantinato, non..."
    "Serviranno almeno venti sterminatori, bene addestrati", stava dicendo Hall.
    "Alla direzione verranno a costare un occhio. Che guaio, eh?"
    Qualcuno rise. "Sì, campa cavallo."
    Warwick guardava Hall come se fosse stato un insetto sotto vetro. "Sei un fenomeno, parola mia", disse, in tono affascinato. "Credi che m'importi un corno di quanti topi ci sono là sotto?"
    "Sono andato in biblioteca, oggi pomeriggio e ieri", disse Hall. "Ha fatto bene, lei, a ricordarmi di continuo che un tempo ero all'università. Ho letto il regolamento comunale, Warwick: le ordinanze erano state emanate nel 1911, prima che questo stabilimento diventasse abbastanza grande da eleggere l'assessore all'urbanistica. Sa che cos'ho scoperto?"
    Warwick aveva uno sguardo di gelo. "Vattene a spasso, studente. Sei licenziato!"
    "Ho scoperto", continuò imperterrito Hall, come se non avesse sentito, "che a Gates Falls c'è una legge comunale sui parassiti. Devo dirglielo io, che cosa significa? Significa contro animali nocivi che diffondono pestilenze, come pipistrelli, cani randagi e topi... soprattutto topi. I topi sono menzionati quattordici volte in due paragrafi, signor caposquadra. Perciò, tenga presente che, nell'attimo in cui uscirò di qui andrò dritto dritto dal questore a raccontargli qual è la situazione qui sotto."
    Tacque, godendosi la faccia congestionata dall'odio di Warwick. "Penso che tra lui, me e gli altri consiglieri comunali, riusciremo a far emettere un'ingiunzione contro lo stabilimento. Rimarrete chiusi un bel pezzo, non solo fino a sabato, signor caposquadra. E ho un'idea abbastanza chiara di quello che dirà il suo principale, quando tornerà. Mi auguro che la sua polizza contro la disoccupazione sia pagata, Warwick."
    Le mani di Warwick erano contratte come artigli. "Maledetto ficcanaso, dovrei..." Abbassò lo sguardo sulla botola, e improvvisamente ricominciò a sorridere. "Considerati riassunto, studente."
    "Lo dicevo, io, che avrebbe prevalso il buon senso."
    Warwick assentì, sempre con lo stesso sogghigno. "Sei davvero molto in gamba. Penso che forse dovresti scendere tu, Hall, così avremmo una persona istruita a darci il suo informato parere. Tu e Wisconsky..."
    "Io?" esclamò Wisconsky. "Io no, io..."
    Warwick lo guardò. "Tu cosa?"
    Wisconsky ammutolì.
    "Bene", disse allegramente Hall. "Avremo bisogno di tre torce elettriche. Sbaglio, o ce n'è un'intera serie di quelle grandi, a sei pile, nell'ufficio
    principale?"
    "Vuoi portare anche qualcun altro?" chiese Warwick, espansivo. "Certo, scegli pure il tuo uomo."
    "Lei", rispose gentilmente Hall. Aveva un'espressione strana. "Tutto sommato, è giusto che qualcuno rappresenti la direzione, non le pare? Tanto per evitare che Wisconsky e io vediamo troppi topi, laggiù."
    Qualcuno (sembrava Ippeston) rise sguaiatamente.
    Warwick guardava attentamente gli uomini, tutti intenti a studiarsi le punte delle scarpe. Alla fine, indicò Brochu. "Brochu, sali su in ufficio e prendi tre torce. Di' al custode che ho detto io di lasciarti entrare."
    "Perché hai tirato dentro me in questa storia?" si lamentò Wisconsky, rivolto a Hall. "Sai che detesto quegli schifosi..."
    "Non sono stato io", rispose Hall, e guardò Warwick.
    Warwick lo fissò a sua volta, e nessuno dei due era disposto ad abbassare lo sguardo.






    Ore 4, giovedì.

    Brochu ritornò con le torce. Ne diede una a Hall, una a Wisconsky, una a Warwick.
    "Ippeston! Dai l'idrante a Wisconsky." Ippeston obbedì. La bocchetta tremava leggermente tra le mani del polacco.
    "Bene", disse Warwick a Wisconsky. "Tu sei nel mezzo. Se ci sono topi, usa il getto."
    "Certo", pensò Hall. "E se i topi ci sono, Warwick non li vedrà, e nemmeno Wisconsky, dopo che avrà trovato dieci dollari in più nella busta paga."
    Warwick fece cenno a due degli uomini. "Aprite!"
    Uno dei due si chinò sull'anello e tirò. Per un momento, Hall pensò che il coperchio della botola non avrebbe ceduto; invece, cedette con uno strattone violento e un curioso, secco scricchiolio. L'altro uomo infilò le dita al disotto per aiutare a sollevarlo, poi le ritirò con un grido. Le sue mani erano coperte di enormi scarafaggi che si muovevano alla cieca.
    Con una sorta di grugnito convulso, l'uomo che teneva l'anello tirò il coperchio all'indietro e lo lasciò cadere. La parte inferiore era annerita da strani funghi che Hall non aveva mai visto. Gli scarafaggi ricaddero giù nell'oscurità o cercarono scampo attraverso il pavimento, dove venivano schiacciati.
    C'era un paletto arrugginito, e ora spezzato, dalla parte interna della botola. "Ma non dovrebbe essere sotto", disse Warwick. "Dovrebbe essere sopra. Perché mai..."
    Per una quantità di ragioni, rispose Hall. "Forse perché nessuno da questa parte potesse aprire... per lo meno quando il paletto era nuovo. O forse perché niente, dall'altro lato, potesse venir su."
    "Ma chi l'ha chiuso?" chiese Wisconsky.
    "Ah!" disse Hall in tono beffardo, guardando Warwick. "È un mistero."
    "Ascoltate", bisbigliò Brochu.
    "Oh, Dio!" singhiozzò Wisconsky. "Io non ci scendo, laggiù!"
    Era un suono sommesso, quasi fremente; lo stropiccio di migliaia di zampette, lo squittio dei topi.
    "Potrebbero essere rane", disse Warwick.
    Hall rise forte.
    Warwick proiettò verso il basso il raggio della sua torcia. Una rampa di pericolanti scalini di legno scendeva fino alle nere pietre dell'impiantito
    sottostante. Topi non se ne vedevano.
    "Quei gradini non ci reggeranno", sentenziò Warwick, come se questo tagliasse la testa al toro.
    Brochu fece due passi avanti e saltò su e giù sul primo scalino, che cigolò ma non diede alcun segno di voler cedere.
    "Nessuno t'aveva chiesto di farlo", disse Warwick.
    "Lei non c'era quando quel topo ha morsicato Ray", replicò a denti stretti Brochu.
    "Andiamo", disse Hall.
    Warwick gettò un'ultima occhiata sardonica agli uomini che l'attorniavano, poi si portò fino all'orlo con Hall. Wisconsky avanzava a malincuore in mezzo a loro. Scesero uno alla volta. Hall, poi Wisconsky, poi Warwick. I raggi delle loro torce danzavano per tutto il pavimento, che era deformato e sollevato, così da formare un centinaio di assurde collinette. L'idrante sobbalzava dietro Wisconsky come un goffo serpente.
    Arrivati in fondo, Warwick proiettò tutt'attorno la luce della torcia, che illuminò alcune casse marcite, qualche barile, quasi nient'altro. L'acqua che filtrava dal fiume formava pozze in cui i loro scarponi affondavano fino all'altezza della caviglia.
    "Non si sentono più", bisbigliò Warwick.
    Si allontanarono lentamente dalla botola, sguazzando nella melma. Hall si fermò e illuminò con la torcia un gran cassone di legno con una scritta a lettere bianche. "Elias Varney, lesse, 1841. C'era già la filanda, allora?"
    "No", rispose Warwick, "è stata costruita soltanto nel 1897. Che differenza fa?"
    Hall non rispose. Continuarono ad avanzare. La sottocantina era più lunga del dovuto, almeno così sembrava. Il tanfo era più forte, un odore di putridume, di decomposizione e di cose sepolte. E tuttavia l'unico suono era ancora il lieve gocciolio da caverna dell'acqua.
    "Quello che cos'è?" chiese Hall, puntando la torcia verso una sporgenza di cemento che si proiettava di circa sessanta centimetri nella cantina. Al di là, l'oscurità continuava, e Hall ora aveva l'impressione di sentire dei suoni, più avanti, stranamente furtivi.
    Warwick scrutò la sporgenza. "E... no, non è possibile. Il muro esterno della filanda, vero? E più avanti...
    Io torno indietro", disse Warwick, girando improvvisamente su sé stesso.
    Hall lo afferrò rudemente per il collo. "Lei non va in nessun posto, signor caposquadra."
    Warwick lo fissò, e il suo sorriso beffardo parve stagliarsi nelle tenebre. "Tu sei pazzo, studente. Vero che lo sei? Pazzo da legare."
    "Fai male a sfottere la gente, amico. Cammina."
    "Hall..." gemette Wisconsky.
    "Dai qua a me." Hall agguantò l'idrante. "Lasciò andare Warwick e gli puntò l'idrante alla testa." Wisconsky si voltò bruscamente e fuggì a rotta di collo in direzione della botola. Hall non si girò neppure. "Dopo di lei, signor caposquadra."
    Warwick riprese ad avanzare, oltrepassando il punto dove l'edificio della filanda terminava, sopra di loro. Hall proiettò la sua luce attorno e provò una gelida soddisfazione: la premonizione s'era avverata. I topi ora li accerchiavano da ogni parte, in un silenzio di morte. Si affollavano, file su file. Migliaia di occhi lo fissavano avidamente. In ranghi serrati fino alla parete, alcuni alti addirittura quanto lo stinco di un uomo.
    Warwick li vide un istante più tardi, e si arrestò. "Sono tutt'intorno a noi, studente."
    "Sì", rispose Hall. "Continui a camminare."
    Avanzarono oltre, trascinando l'idrante dietro di loro. Hall gettò uno sguardo dietro di sé e vide che i topi avevano chiuso il corridoio alle sue spalle e stavano rosicchiando il pesante rivestimento di canapa del tubo. Uno guardò in su e parve quasi sorridergli, prima di riabbassare la testa. Ora vedeva anche i pipistrelli. Pendevano dall'alto, enormi, grossi come corvi o cornacchie.
    "Guarda!" disse Warwick, centrando il suo raggio circa un metro e mezzo più avanti.
    Un teschio, verdastro di muffa, li fissava come se ridesse. Più in là Hall poteva scorgere un'ulna, metà di un osso pelvico, parte di una cassa toracica.
    "Vada avanti." Sentiva qualcosa esplodere dentro di sé, qualcosa di folle e di oscuro, con dei colori. "Dovrai cedere prima di me, signor caposquadra, perciò che Dio mi aiuti."
    Proseguirono oltre le ossa. I topi non si avvicinavano; sembravano mantenersi a una distanza costante. Più avanti, Hall ne vide uno attraversare il loro percorso. Le ombre lo inghiottirono, ma lui fece in tempo a scorgere una coda rosea e vibrante, spessa.
    Più avanti il pavimento saliva bruscamente, poi tornava a sprofondare. Hall udiva ora un suono frusciante e furtivo, più intenso. Qualcosa che forse nessun uomo vivente aveva mai visto. Passò per la mente di Hall che forse lui aveva cercato qualcosa del genere, durante il suo assurdo peregrinare.
    I topi si avvicinavano, ora, strisciando sul ventre, costringendolo ad avanzare. "Guarda", disse con voce gelida Warwick.
    Hall aveva già visto. Era accaduto qualcosa ai topi, là sotto, qualche mutazione orrenda che mai sarebbe potuta sopravvivere sotto l'occhio del sole;
    la natura l'avrebbe proibito. Ma, laggiù, la natura aveva assunto un'altra macabra faccia.
    I topi erano giganteschi, alcuni alti fino a novanta centimetri; ma le loro zampe posteriori erano scomparse ed erano ciechi come talpe, o come i loro cugini volanti. Si trascinavano in avanti con orrido impegno.
    Warwick si girò a guardare Hall, il sorriso di sghimbescio, tenuto su dalla forza bruta della volontà. Hall non poteva fare a meno di ammirarlo. "Non possiamo continuare, Hall. Lo vedi anche tu."
    "I topi la preoccupano, forse?" chiese Hall.
    Warwick ora faceva fatica a controllarsi. "Per favore!" implorò. "Ti prego."
    Hall sorrise. "Vada avanti!"
    Warwick stava guardando al di là di Hall. "Stanno rosicchiando l'idrante. Quando saranno riusciti a bucarlo, non sarà più possibile tornare."
    "Lo so. Cammina."
    "Sei completamente pazzo..." Un topo passò di corsa sopra un piede di Warwick, che mandò un urlo. Hall sorrise, accennò con la torcia. Erano tutt'intorno, i più vicini a meno di trenta centimetri.
    Warwick ricominciò a camminare. I topi si ritrassero.
    Arrivarono in cima alla piccola collina, di là guardarono giù. Warwick ci arrivò per primo e Hall lo vide farsi bianco come la carta. Un filo di saliva gli scorreva lungo il mento. "Oh, mio Dio. Gesù mio!"
    E si voltò, per fuggire.
    Hall aprì la bocchetta dell'idrante e il getto ad alta pressione investì Warwick in pieno petto, scaraventandolo all'indietro e facendolo sparire. Si levò un lungo urlo che risuonò al disopra del fragore dell'acqua. Poi, rumori di qualcuno che si dibatteva.
    "Hall!" Grugniti. Un enorme, tenebroso squittio che parve riempire il mondo.
    "HALL, PER AMOR DI DIO..."
    Un rumore improvviso, umido, di cosa lacerata. Un altro grido, più debole.
    Qualcosa di enorme si mosse, si voltò. Ben distintamente, Hall sentì il rumore che produce un osso, fratturandosi.
    Un topo senza gambe, guidato da qualche bastarda forma di sonar, gli si avventò contro, mordendolo. Aveva il corpo caldo e flaccido. Quasi
    distrattamente Hall gli puntò addosso il getto, scaraventandolo in là.
    L'idrante non aveva più la pressione di prima.
    Hall si avvicinò al ciglio della collina di terra umida e guardò in giù.
    Il topo riempiva l'intero vuoto al di là di quella tomba. Era un grigiore enorme e pulsante, senza occhi e totalmente privo di zampe. Quando la torcia di Hall lo illuminò, mandò una sorta di orrendo lamento miagolante. La loro regina, dunque, la magna mater. Una cosa immensa e senza nome la cui progenie poteva un giorno sviluppare le ali. Sembrava far apparire più piccolo ciò che rimaneva di Warwick, ma probabilmente era soltanto un'illusione ottica. Era lo choc di vedere un topo grande come un vitello.
    "Addio, Warwick", disse Hall. Il topo stava gelosamente accucciato sopra i resti del caposquadra, lacerando con i denti un braccio inerte.
    Hall voltò le spalle e ritornò rapidamente sui suoi passi, tenendo a bada i topi con l'idrante, la cui potenza continuava a diminuire. Alcuni di loro, incuranti del getto, si gettavano contro le sue gambe, tentando di addentarle al di sopra degli scarponi. Uno gli si aggrappò ostinatamente a una coscia, lacerando la stoffa dei calzoni di velluto a coste. Hall levò il pugno e riuscì a scaraventarlo via.
    Era quasi a tre quarti del percorso di ritorno quando lo spaventoso ronzio riempì l'oscurità. Lui guardò in su e la gigantesca forma volante lo investì in piena faccia.
    I pipistrelli creati dalla mutazione non avevano ancora perso la coda. Essa si attorcigliava ora intorno al collo di Hall in una riluttante spirale,
    stringendo, mentre i denti cercavano il punto più vulnerabile alla base del collo. Le ali membranose si agitavano e sbattevano, cercando di aderire alla camicia di Hall, per fare presa.
    Come un cieco, Hall, brandendo la bocchetta dell'idrante colpì a più riprese quel corpo cedevole; corpo che alla fine cadde, e che egli calpestò sotto i suoi piedi, solo confusamente consapevole di urlare come un dannato. I topi ora gli si precipitavano sui piedi come una cascata, per poi montare su per le gambe.
    Tentò di lanciarsi in una corsa barcollante, scuotendone via alcuni. Gli altri ora gli mordevano il ventre, il petto. Uno gli corse fin sulla spalla e
    premette il muso fin dentro il suo orecchio.
    Hall s'imbatté nel secondo pipistrello. Gli si appollaiò per un attimo sulla testa, squittendo, poi gli strappò un pezzo di cute dal cranio.
    Hall sentiva il suo corpo intorpidirsi sempre più. Le strida e lo squittire dei topi gli riempivano le orecchie. Diede un ultimo scrollone, inciampò sopra corpi pelosi, cadde sulle ginocchia. Cominciò a ridere, con un suono acuto, urlante.






    Ore 5, giovedì.

    "Qualcuno dovrebbe scendere a vedere", azzardò timidamente Brochu.
    "Io no", bisbigliò Wisconsky.
    "Ah, io no."
    "No, tu no, fifone", disse Ippeston con disprezzo.
    "Be', andiamo noi", disse Brogan, armandosi di un altro idrante. "Io, Ippeston, Dangerfield, Nedau. Stevenson, fa' un salto su in ufficio e fatti dare qualche altra torcia."
    Ippeston scrutò giù nell'oscurità. "Forse si sono fermati a fumare una sigaretta", disse. "Che diamine, per qualche topo!"
    Stevenson ritornò con le torce; alcuni istanti dopo, cominciarono a scendere.
    Preso da un eBook contenente la raccolta "A volte ritornano".


    Edited by WDR - 3/12/2016, 10:33
     
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