La grotta

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  1. Eduardmoon
         
     
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    Cerbero

    Cammino nella notte rammentando a me stesso di smetterla prima o poi...
    Il vento sferza ferocemente contro il mio viso e sbuffando rompe il silenzio notturno.
    Divento paonazzo a causa del gelo, ma ci penserà l'osteria a risanarmi.
    I passi calpestano l'asfalto intonando uno scoordinato motivetto.
    Apro rapidamente la porta per lasciarmi alle spalle le intemperie del gelo e il solito mondo si mostra dinanzi ai miei occhi "l'osteria"; qui l'ipocrisia e il perbenismo si fondono come metalli fusi con i vizi e le passioni, un giusto cocktail pronto da bere... oserei dire.
    Mi siedo al solito sgabello vecchio ed ammuffito e pronuncio le magiche paroline "barista una birra, grazie" e la tracanno giù, veloce come il vento.
    Altre cinque ne seguono e come al solito tutto intorno a me inizia a roteare come una trottola, i visi si distorgono, le parole diventano pesanti e... un gran tonfo, poi il nulla.
    Mi risveglio, ma non trovo il barista pronto ad accogliermi con il conto, bensì il nulla, tutto è avvolto nell'oscurità.
    Rimango immobilizzato dalla paura e con gli occhi ricolmi d'ansia scruto l'ambiente in cerca di una via di fuga, ma non traspare un filo di luce e quel posto pian piano frantuma la mia psiche.
    Inizio ad imprecare, è l'unica azione che mi permette di ragionare e sdrammatizzare un po' quell'aria di follia che incombe sovrana.
    "Oh caro mio, questo è lo spirito giusto!"
    Ma da dove proviene questa voce?
    E soprattutto è un'allucinazione o realmente c'è qualcuno con me?
    Le mie domande si dissolvono in una sconvolgente visione: una grande bocca rossa si erige fluttuando nel buio di fronte a me e muovendo le sue labbra mastodontiche pronuncia il suo volere: "Vecchio ubriaco, sei così seccato della vita che non vedi l'ora di morire?
    Ti accontenterò".
    Una fitta al cuore mi colpisce, costringe il mio corpo ad inginocchiarsi per il dolore, il cuore batte all'impazzata e sembra che stia per scoppiare.
    Qualcosa sta fomentando le mie interiora e preme per uscire, vomito una sostanza verdastra e allo stremo delle forze svengo sul pavimento.
    Nuovamente mi risveglio, questa volta in una foresta nel cuore della notte.
    Grida, agghiaccianti grida echeggiano in lontananza.
    Il terreno è fangoso e rallenta la mia corsa incrostandosi alle mie zampe.
    Ormai non temo più il gelo della notte, la mia pelliccia folta e robusta mi protegge e riscalda.
    I sensi si sono intensificati, riesco a percepire distintamente gli odori a chilometri di distanza e vedere al chiaro di luna come fosse mattino.
    Mi sento forte, molto forte e ciò mi rende euforico; in un momento di brio smembro arto per arto un povero cervo.
    Con gli artigli strappo e dilanio la carcassa inerme, lembo per lembo, il sangue fluidamente cola su essi e si crostifica gelandosi.
    Azzanno il carcame sbrandellandolo a morsi; assaporo per la prima volta la carne viva e frantumo in un'unica poltiglia sia le ossa che le molli carni della bestia grazie agli acuminati denti canini.
    L'antilope non sazia la mia ingorda fame.
    Passo dopo passo raggiungo la fonte delle urla e con la coda dell'occhio intravedo una grotta.
    L'entrata è ostruita da un enorme macigno e con grande sforzo riesco a liberare il passaggio e continuo a proseguire addentrandomi all'interno di essa.
    Appena metto piede nella caverna un vapore acqueo giallognolo mi assale e forzatamente inspiro il suo acerbo profumo.
    Sguazzo in un liquame, non riesco a identificare cosa sia a causa del buio pesto che avvolge l'intera grotta.
    In lontananza scorgo una flebile luce e avvicinandomi con cautela ammiro un albero in fiamme.
    Le fiamme non carbonizzano l'albero, anzi, sembra ringiovanire man mano che le fiamme si propagano impetuose su quest'ultimo.
    Nella grotta non sbuffa vento tuttavia il fogliame dell'albero e i suoi rami ondeggiano come possedessero vita propria.
    Una flebilissima vocina proviene da esso e mi intima di avvicinarmi e di toccare la sua vecchia corteccia.
    Volevo desistere, ma un sentimento di fiducia e familiarità mi persuade inducendomi all'obbedienza.
    Mi intima di toccare il suo tronco e di non temere.
    Poggio la mia mano sulla quercia in fiamme, non mi ustiona tale fuoco, ma raggela la mano e nel medesimo istante la mia testa è turbata da indistinte voci incomprensibili che assalgono la mia mente.
    Tolgo rapidamente la mano dal tronco per annullare quel maleficio, ma mi rendo conto che non sono più solo: innumerevoli anime dannate inondano l'interno della stessa.
    Il buio sminuiva di molto la reale fattezza della grotta illuminata dalle auree blu delle anime dannate.
    La luce delle anime mi svela anche la natura del liquame che scorre lungo tutta la caverna... è sangue.
    Le loro grida ricatturano la mia attenzione e noto il dolore e la pena che anneriva quelle grida.
    Le anime danno sfogo a furibonde liti sanguinolente, ma ciò non placa i loro tormenti.
    Non trovano mai pace e in un crescendo di rabbia, sangue e ira si districa la loro interminabile vita.
    Questa visione è sconfortante, voglio aiutarli ma non mi è concesso, anzi, ciò per cui fui prescelto era molto crudele.
    L'albero mi intima di ritornare da lui.
    Il suo tronco si squarcia e ne fuoriesce un tridente; magicamente l'albero rinsavisce e mi ordina di gettare nelle sue fiamme le anime in pena.
    Impugno saldamente il forcone nelle mie mani e l'affondo di netto tra la schiera di anime infilzandone una decina.
    Getto le anime nelle fiamme dell'albero e questi si fortifica diventando sempre più alto e robusto.
    L'albero emana uno strano vapore giallognolo che pervade l'intera grotta, ma un ingente quantità di vapore viene assorbito da una sfera.
    Si erge al di sopra dell'albero, è molto luminescente, posta a chilometri di distanza, il suo calore giunge fino al suolo.
    Chiedo all'albero cosa significhi tutto ciò ed egli mi risponde: "Come credi che venga alimentato il sole e tutto l'universo?
    È lo spirito vitale delle anime dannate che alimenta me.
    Rinvigorendo dono tale forza tramite combustione, emanando vitalità eterna sotto forma di nubi alla sfera creatrice.
    Assorbe e ridistribuisce tale energia in modo eguale a tutto l'universo, alimentando anche il sole... tu sei il custode del fuoco e in questo mondo ti chiami... Cerbero.

    Edited by Medea MacLeod - 1/11/2016, 14:20
     
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    Non ho ben capito il finale del protagonista :da uomo diventa un cane e poi quand'è che torna uomo?😞
     
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