Lo scalatore

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    Sentì come se i suoi polmoni fossero sul punto di cristallizzare, l'aria rarefatta e gelida raschiava nelle membrane essiccate come se stesse cercando di respirare un aerosol di lana d'acciaio. Dondolò, ondeggiando per un istante prima di infilzare il piccone nella liscia parete di ghiaccio con un'imprecazione soffocata di rabbia e vittoria. Alla fine, lo scalatore sapeva che era tutta colpa sua. Si era rifiutato di prendere la strada conosciuta e facile, voleva esplorare le parti più remote della catena montuosa… il che era andato bene finché non si era imbattuto nella superficie liscia e lucida di un ghiacciaio.

    Bestemmiò, piantando un altro chiodo e allungandosi per avere un altro punto d'appoggio nel ghiaccio trasparente. La neve lo aveva intrappolato subito dopo che aveva iniziato ad arrampicarsi e ora si trovava in mezzo a una coltre di nebbia e una forte nevicata. Era convinto che la parete del dirupo fosse alta circa sessanta, forse novanta metri dal suolo, ma aveva l'impressione che quella distanza l'avesse superata ore prima. Guardando attraverso gli occhiali ricoperti di brina, continuò la scalata, spingendosi su e su… sempre più in alto, con sempre più parete da scalare.

    Cercò di aggirarla, ma trovò altre pareti identiche, una serie di cime ghiacciate disposte a distanze regolari, intervallate da gole ricolme di neve al punto da renderle impraticabili. Al di là di esse c'era una grande vallata, con una serie di vette e pendii che lo scalatore non aveva mai visto né sentito nominare. Sorrise, digrignando i denti sotto la sciarpa resa rigida dal ghiaccio, di come gli altri si sarebbero mangiati il fegato sapendo che lui era stato il primo, per una volta. Il primo a scoprirlo, il primo a scalarlo… diamine, era piuttosto remoto, forse avrebbe anche avuto un picco col suo nome.

    Perso in pensieri di rivalsa, agitò il piccone colpendo l'aria e perse quasi l'equilibrio, avendo inaspettatamente raggiunto la cima della montagna. Posò lo sguardo su una vasta piana perfettamente piatta, osservando con muta meraviglia mentre la sua mente cercava di concepire quella vista, prima di emettere un grido esausto e arrampicarsi per salire in cima al dirupo. Come se stesse finalmente capitolando alla sua ambizione caparbia, la tormenta iniziò a cessare e fu in grado di intravedere la parete lucida e vertiginosa della vetta che aveva scalato. Da lassù, sembravano almeno centoventi metri, lucidi e vuoti come uno specchio dipinto. Si voltò indietro per gridare al mondo la sua vittoria. L'urlo morì lentamente sulle sue labbra mentre le nuvole continuavano a diradarsi e gli fu più chiaro dove si trovava.

    Era in piedi sulla cima di un gigantesco pilastro, alto almeno centoventi metri, che terminava in un altopiano scosceso che si estendeva per quasi quindici metri. Il vento aveva da tempo spazzato via la neve da quella vetta e lasciato una massa di ghiaccio brulla e ricoperta di solchi. Continuava a guardarsi attorno, confuso, chiedendosi quale strano scherzo della natura avesse fatto innalzare un tale picco sul limitare di un ghiacciaio. Ancor più sorprendente, sembrava non essere una coincidenza isolata. Altre tre schegge di ghiaccio quasi identiche protendevano verso il cielo in fila indiana, le cime inclinate scendevano rapidamente in altre, anche se non altrettanto lucide, pareti dalla superfice liscia. Gli occhi dello scalatore seguirono i dirupi… la successione di colline innevate… la serie di picchi e vallate stranamente ammassate alla base di quella vasta conca geologica. La fissò e la esaminò ancora, seguendo le linee… poi all'improvviso urlò, portandosi immediatamente le mani al volto per coprirsi la bocca, prima di iniziare una discesa quasi suicida giù per il precipizio, che terminò in una marcia forzata verso casa che gli costò quattro dita dei piedi, uno della mano e l'uso parziale di un polmone.

    Non scalò mai più nulla, si ritirò dallo sport senza dire una parola. Divenne un fantasma, un racconto di ammonimento su un uomo distrutto dalla montagna. Parlò a pochi e ad ancora meno riguardo ciò che accadde in quell'ultima arrampicata. Soltanto un uomo ottenne mai qualcosa di più di qualche monosillabo o di uno sguardo fisso dallo scalatore sconfitto. Era giovane e affascinato dai racconti dei vecchi alpinisti, dai sussurri di terrore degli Sherpa a proposito degli dei che dimoravano nelle cime più alte. Offrì da bere al vecchio scalatore abbattuto finché finalmente raccontò la storia del dirupo ghiacciato. Sgranò gli occhi, mentre parlava delle strane e immense caverne che aveva visto… dell'improvviso crollo roboante quando si era aperta una gigantesca crepa su una collina isolata, che si era allargata sempre di più, fino a inghiottire una montagnola di neve. Afferrò il ragazzo, sibillando la sua repulsione per cui fu costretto a scappare, costretto a ridiscendere quell'ignobile rupe un'ultima volta, per non fare più ritorno.

    “Non c'era traccia di ghiaccio, neanche un po'. Troppo morbido, a dir poco. Troppo cedevole al piccone, ragazzo…”

    “Era l'unghia di un dito.”




    Edited by o.O.o - 16/5/2016, 20:39
     
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    Happy Urepi Yoropiku ne~

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    Ripulisco e smisto!
     
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    Qualche anima gentile me la spiega?
     
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    CITAZIONE (Austin Dove @ 23/5/2016, 23:30) 
    Qualche anima gentile me la spiega?

    I quattro pilastri e la conca piatta erano la mano di una creatura gigantesca sepolta che affiorava dalla cima della montagna. Il ghiacciaio su cui si era arrampicato era un'unghia
     
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    CITAZIONE (o.O.o @ 24/5/2016, 12:29) 
    I quattro pilastri e la conca piatta erano la mano di una creatura gigantesca sepolta che affiorava dalla cima della montagna. Il ghiacciaio su cui si era arrampicato era un'unghia

    Grazie mille .
    Però ora avrei preferito non saperlo
    +1 :)
     
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    Che cosa dannatamente disturbante. Già quand'ero piccola avevo il terrore di camminare sulla neve alta in montagna, dopo aver letto questo figuriamoci!
    Comunque gran bel racconto, ottima traduzione ^-^
     
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5 replies since 15/5/2016, 08:37   136 views
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