Mille giorni e una notte

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  1. sedimitik
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    Il geloso è un fastidio per gli altri, ma è un tormento a se stesso




    "Sai cos'è la kefiah?" le chiesi.
    "Sìsì, qualche anno fa sono stata in Tunisia, in un negozio un uomo ha messo a me e mio padre una kefiah" prosegui con: "La mia era bellissima, disse che sembravamo Shāhrīyār e Shahrazād, i protagonisti di Le mille e una notte".
    "Ne ho sentito parlare, ma non ho mai letto la trama, tu la sai?" Chiesi.
    "Parla di un re persiano che, tradito dalle sue mogli, decise che ogni volta che avesse sposato una donna, dopo la prima notte di nozze l'avrebbe uccisa" mi spiegò.
    "Figlio di puttana" dissi e cominciò a ridere.
    Continuò il suo discorso con: "Una donna, ebbe il coraggio di andare in sposa al re ed escogitò un metodo per non farsi uccidere. Ogni notte raccontava una storia al re senza dire la conclusione, con la promessa che il giorno successivo gli avrebbe detto il finale."
    "E cosi per quanto tempo?" Chiesi incuriosito.
    "Per mille giorni e una notte" rispose.
    Ero stupefatto, non per il racconto.
    Ma per la sua bellezza.



    Un messaggio arrivò al telefono.
    "Stasera non posso, sono con Lui".
    Un messaggio freddo, senza emoticon che potessero renderlo più armonioso, ma nulla avrebbe potuto modificare ciò che c'era scritto o farlo sembrare altro, quella sera non sarebbe stata con me, preferiva altre persone.
    Come per magia mi ritrovai davanti ad una casa, non sapendo cosa fare presi l'unica scelta possibile, bussare alla porta, era fatta di un legno scuro, molto solido, c'era una classica targhetta, come quelle in cui viene scritto il cognome di chi vi abita.
    Su questa c'era il mio nome, restai di stucco. Cosa ci faceva il mio nome su quella targhetta?
    La porta si aprì ed entrai in un bel posto, arredamento carino, pulito e un buon odore. Al centro della stanza c'erano due poltrone, una di fronte all'altra, anch'esse erano molto belle, erano ricoperte di una pelle lucida, sembrava fossero nuove di fabbricazione.
    Mi sedetti in una delle poltrone e osservai l'ambiente circostante, dei quadri con delle foto di adorabili gattini addobbavano le pareti, un tappeto persiano copriva il pavimento, la legna ardeva nel camino, la luce naturale inondava la stanza, era tutto perfetto.
    Davanti il camino c'era un uomo alto, in carne, portava gli occhiali e aveva un buon gusto nel vestire. Notai subito il suo giubbotto e il suo pantalone, erano quelli che in genere indossavo per le grandi occasioni, ma perché li aveva lui?
    Ci stringemmo la mano, la sua era molto fredda e aveva una stretta molto energetica e non nascondo che feci una smorfia di dolore.
    Una voce mi chiamò da dietro, mi girai per vedere chi fosse e nello stesso istante in cui lo feci, mi trovai nella mia camera.
    Osservai il mio orologio con lo sfondo del Bayern Monaco, dava le ore 20:00, era tardissimo, solo mezz'ora e l'allenamento sarebbe cominciato, mi dovevo sbrigare.
    Mi fermai un attimo a pensare mentre mi accompagnavano in palestra.
    E tutto mi apparve strano, fino a qualche istante fa ero in un posto completamente diverso, con un uomo alto quanto me e che mi somigliava parecchio e ora ero in una macchina fredda, piccola e vecchia che arrancava nel tentativo di portarmi in palestra.
    Arrivai in palestra sotto la volta stellata, un saluto alla signorina, uno a due miei amici e poi dritto nello spogliatoio, andai per cambiarmi e un altro SMS arrivò.
    "Siamo nella piazzetta, se vieni prima raggiungici".
    Un altro messaggio per mandarmi nell' oblio della tristezza, abbassai la testa, un battito di ciglia e come per magia di nuovo in quella stanza.
    Arrivò un'altra persona nella stanza ben arredata, anch'egli mi assomigliava.
    Alto quanto me, in carne quanto me, buon gusto nel vestire, stesso taglio di capelli e stessi occhiali, mi girai verso il primo uomo e vidi che era diventato uguale in tutto e per tutto al secondo e che entrambi erano uguali a me.
    Due persone che non conoscevo uguali a me, in una stanza senza sapere cosa volessero. Fissai loro, loro fissarono me, sentii nuovamente una voce mi voltai e di nuovo nella sala maleodorante di piedi, dove tutti si allenavano con tenacia.
    Mi accorsi che erano le 20:30, tardissimo mi precipitai di corsa sul tatami e cominciai l'allenamento.
    Mentre grondavo di sudore e i polpacci mi facevano un male disumano, pensai a Lei e mi ritrovai, come per magia, in quella stanza.
    I due uomini si avvicinavano velocemente con un fare minaccioso, che mi mise subito in allerta.
    Chiesi cosa volessero e cominciarono a picchiarmi, vane furono le mie speranze di difesa, la loro forza era inumana, non erano uomini, non erano macchine, non sapevo cosa fossero, sapevo solo che non stavano facendo delle carezze.
    Mi appesero ad un cappio rovente, la pelle del mio collo si cosumò e cominciai a sgorgare sangue dall' aorta, la corda stringeva la laringe sentivo l'ossigeno mancare ma non morivo.
    Uno, due, tre coltellate in pancia e la mia milza sputava sangue come una fontana.
    Presero tizzoni ardenti dal camino e cominciarono a passarli sul mio corpo, scrissero strane lettere sul mio petto, riconobbi una "p" e due "k".
    I gatti dei quadri presero vita e si trasformarono in bestie feroci, erano cosi brutti che neanche la peggior mente omicida le avrebbe potute creare, sembravano fatti apposta per le mie paure, in pochi minuti ridussero il mio corpo in brandelli.
    Una voce mi chiamò, toccava a me contare, ritornai sul tatami vivo e vegeto, un po' stanco ma in buona forma, dovevo allenarmi, pochi giorni e avrei avuto le gare, misi le protezioni e cominciai a sferrare pugni, uno dopo l' altro, fin quando l' allenamento finì.
    Tornai a casa, mangiai, mi lavai e andai a letto, la mia mente ricadde su di Lei, sui suoi capelli, sul suoi sorriso, sul suo piccolo naso, sulla sua voce, e ai suoi sinuosi fianchi che, a mio parere, molte donne invidiavano.
    Presi il mio cellulare, vidi le foto ed mi ricordai di quanto fosse bella, osservai tutte le immagini che mi aveva mandato. Due foto mi colpirono particolarmente.
    La prima quando si faceva le trecce per asciugarsi i suoi lunghissimi capelli, in quelle occasioni era la mia dolce e bellissima rapunzel.
    La seconda quando fumava, anche mentre espirava il fumo della sua sigaretta era bellissima, nonostante odiassi il fumo e volessi a tutti i costi che smettesse di fumare, per il suo bene, non resistevo a dirle che era una dea e perdevo sempre nell'intento di non farla fumare.
    I miei occhi caddero sugli ultimi messaggi, un battito di cuore e di nuovo in quella stanza.
    Le belve continuavano a dilaniarmi, volevo morire ma non morivo, gli uomini disegnavo sul mio corpo linee di fuoco, e il mio collo continuava a sgorgare sangue abbeverando le belve che attendevano il turno per dilaniare il mio, oramai, corpo morto.
    La sveglia suonò, mi accorsi che ero in ritardo, presi il telefono e vidi il suo messaggio.
    "Venerdì sarò tua".
    Feci un urlo che fece rimbombare le pareti, misi le ciabatte e andai verso il lavabo, aprii l'acqua fredda e la gettai sul mio viso e come per magia ero di nuovo in quella stanza, ma tutto era diverso.
    Ero stato sciolto dal cappio, il mio corpo era tornato intero, senza nessun segno dell'inferno che avevo passato. Ero in forze e senza dolori, i gatti tornarono nei quadri, il camino era spento e i due uomini erano legati per terra.
    Chiesi loro i nomi, il primo rispose "gelosia", il secondo "rabbia".
    Chiesi cosa volessero da me e all' unisono risposero "Sei tu che ci chiami".
    Non capivo, ma ero felice, sapevo di averli battuti, entrambi.
    Chiesi se si fossero ripresentati e con un accento di sarcasmo risposerò: "Tra mille e una notte".
    Uscii dalla stanza e vidi i suoi capelli, erano inconfondibili.
    La discesa per la palestra era vuota, c'era solo lei con la sigaretta in mano, ci abbracciamo, aspettai qualche minuto, il tempo che mio padre facesse manovra per andarsene.
    Andammo in un posto appartato, l'abbracciai lungo la vita, restammo cosi per un'ora. Le raccontai del medio oriente: Israele, Palestina, Hamas, Hezbollah, Siria, Damasco, Aleppo, Raqqa, Isis, Turchia, Curdi, PKK.
    Ripetetti PKK, tra me e me e mi ritrovai in quella stanza. Stavolta non c'erano la gelosia e la rabbia, c'erano due uomini di nome "Felicità" e "Amore", mi spiegarono che ero nella mia testa e loro erano i miei sentimenti verso Lei.
    Uscii dalla stanza e tornai da Lei, le spostai i capelli e vidi quanto fosse bella.
    Quella sera non avevo soldi, non avevo armi, non avevo potere ma ero il re dei re insieme alla mia regina.


    "No, non sei geloso. Sei ossessionato e tra l'ossessione e la gelosia c'è un piccolo muro e scavalcarlo e più facile di quanto pensi...





    Rapidissima spiegazione.
    Il racconto è incentrato sulla gelosia e la rabbia di un uomo.
    Ogni volta che legge il messaggio della sua amata che gli dice che è con un altro uomo entra in una stanza dove ci sono la gelosia e la rabbia sotto forma umana. Ogni volta che l' uomo è geloso, il suo corpo viene torturato. Quando Lei dice al protagonista che staranno assieme, lui vince la gelosia e la rabbia ed esce dalla "stanza", una metafora per dire che è la sua mente, e si ritrova con Lei.





    Alla mia grande, piccola e adorabile cucciola.

    Edited by sedimitik - 11/4/2016, 15:17
     
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