Kabuse-Cha

Ispirato a Banana Yoshimoto

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +1    
     
    .
    Avatar

    #andamovie

    Group
    Admin Veterani
    Posts
    1,660
    Creepy Score
    +294

    Status
    Offline
    Guardo dalla finestra e vedo la pioggia che sta cadendo sul vetro della sala. Il suono delle gocce che si infrangono sul tetto di legno della mia casa è ipnotizzante e rimango sul bracciolo della poltrona al buio guardando le luci delle stelle che sono deformate dall’acqua che scorre sopra la liscia superficie del vetro. La casa è vecchia e uno spiffero mi raggiunge alla schiena; un brivido mi scuote le spalle, mi stringo nella coperta di pile in cui mi sono avvolta e sospiro profondamente. Ormai è la seconda giornata che ho la febbre alta, ho telefonato a lavoro e Yamada mi ha detto di prendermi tutta la settimana. Mi farà bene starmene un po’ a riposo, temo di essermi trascurata troppo durante questo periodo, ma la fusione con la FukoAd era troppo importante.
    Ormai è fatta, ora posso rilassarmi.
    È quasi mezzanotte, ma il tempo non ha molto senso in questo momento. Tutto mi sembra strano: i suoni sono ovattati e le luci troppo forti, per questo sono ore che me ne sto seduta sulla poltrona con la luce spenta. Ieri sono rimasta a guardare l’ombra della cassetta delle poste che si spostava, l’ho fissata dalle sette la mattina fino alle otto la sera, senza mai spostarmi. È stato così rilassante, non c’è niente di complicato, niente di nascosto; nessun sotterfugio, nessuna bugia. Mi sono addormentata sul divano e questa mattina mi ha svegliata il temporale, un fulmine è caduto nel canneto dietro casa mia e l’elettricità è saltata per qualche ora, il bagliore ha illuminato di una luce blu tutta la stanza mente il tuono ha scosso i vetri ed è entrato in casa fino ad insinuarsi nel mio petto.
    Da allora non ha mai smesso di piovere. Il cortile è ridotto a un lago e la strada fino al cancello è solo fanghiglia. Mia madre mi ha chiamata per chiedermi se c’era bisogno di venire qui, ma io l’ho rassicurata dicendole che mi sarei presa cura di me, e che l’avrei richiamata tra qualche giorno; così ho messo sul fuoco un pentolino di zuppa di miso e ho cotto degli spaghetti di riso.

    Dopo mangiato mi sono messa in sala pensando di leggere qualche riga di uno dei tanti libri che ho lasciato in attesa sul comodino, ma poi il ticchettio delle gocce d’acqua mi ha catturata.

    Un altro fulmine illumina il cielo e accende le piccole perle sul vetro facendole sembrare una ghirlanda di luci di natale, rimango affascinata da questa visione e il tempo sembra rallentare, ma alla fine arriva il tuono e riesce a svegliarmi dallo stato letargico in cui ero caduta. Distolgo lo sguardo e vedo la ciotola della zuppa ancora sul mobiletto e mi rendo conto di non aver fatto cena.
    Non ho fame e non ho alcuna intenzione di mangiare, mi gratto il collo e sposto una ciocca di capelli continuando a stringere il fazzoletto di stoffa che mi porto dietro da due giorni.
    Mi volto tornando a guardare fuori e lo spettacolo mi prende un’altra volta: tutto è frenetico, tutto è vivo. Invece nella mia sala ogni cosa è immobile, il tempo non ha senso e la vita sembra congelata.
    La febbre è ancora abbastanza alta, non la misuro da diverse ore, ma credo sia sopra i trentanove gradi e il suono delle gocce d’acqua che rimbalzano sul tetto ha cominciato ad arrivarmi ad ondate: inizia piano per crescere d’intensità, diventa un frastuono quasi insopportabile e subito si calma per ricominciare; ma so che non è lui a cambiare. Un altro fulmine cade fin troppo vicino e il tuono sembra un’esplosione fortissima, una fitta alla testa mi fa storcere il naso.
    Chiudo gli occhi e mi massaggio la fronte sentendola bollente. Quando li riapro vedo che ci sono delle figure al cancello, stanno cercando di premere il bottone del campanello, ma non c’è corrente e non può funzionare. Cerco di mettere a fuoco e vedo che è un uomo con due bambine, una la tiene in collo, la piccola ha le mani alla testa e noto che ha del sangue sul viso che viene velocemente lavato via dalla pioggia.

    Mi alzo lasciando cadere la coperta di pile sul pavimento e barcollo pericolosamente: il mio equilibrio è piuttosto precario e l’abbassamento di pressione quasi mi butta a terra. Mi precipito alla porta. Premo il pulsante per aprire il cancello, ma come il campanello anche quello non può funzionare. Allora prendo un profondo respiro e apro la porta mettendo il porta ombrelli sulla soglia per non rischiare di rimanere chiusa fuori a causa di una ventata. L’aria gelida mi si insinua nella vestaglia e appena poggio il piede nel cortile mi inzuppo fino al ginocchio, le gocce d’acqua mi feriscono, sembrano aghi e il vento ruggisce come una belva feroce. Mi piego in avanti per spostare il baricentro e non farmi sbattere a terra dalle ventate, ma non riesco comunque a camminare in linea retta; arrivo al cancello e lo apro facendo entrare i tre. La bimba sta piangendo mentre la sorellina cammina veloce come un topolino vicino al padre, li guido verso la porta che richiudo dietro di me appena entriamo, tento di non far entrare la tempesta in casa.
    Guardo velocemente la piccola in collo al padre e vedo che ha un brutto taglio sopra il sopracciglio, la faccio mettere a sedere sul tavolo di cucina e vado a prendere dell’acqua ossigenata per pulire la ferita.
    Quando torno ha smesso di piangere e la sorellina le sta tenendo la mano.
    Il padre deve avere circa trent’anni, è alto un metro e ottanta con i capelli corti e gli occhi marroni. Le bambine sono gemelle omozigotiche, con i capelli neri lunghi fino alle spalle e il viso solare.
    «Grazie mille per averci aiutato. Mi chiamo Hiro e loro sono Aiko e Izumi.»
    «Piacere, io sono Kinuko.» la mia voce è molto bassa e tremante, tanto che l’uomo mi chiede se sto bene, io gli rispondo che starò meglio dopo che avremo disinfettato il taglio della piccola Aiko.
    «I miei genitori stanno alla fattoria a nord e abbiamo passato la giornata lì, stavamo tornando a casa quando un fulmine è caduto vicino spezzando un palo della luce che ci ha fatto andare contro un albero. Aiko ha battuto la testa e siamo venuti a cercare aiuto nella prima casa che abbiamo trovato.»
    La vestaglia è fradicia e il freddo mi entra nelle ossa, inizio a tremare visibilmente e la vista mi si appanna.
    «Kinuko?» mi chiama Izumi «Kinuko ti senti bene?»
    «Ho l’influenza tesoro, prendere la pioggia non mi ha fatto bene. Meglio se mi vado a cambiare e mi distendo, voi però fate come se foste a casa vostra, ve ne prego. In dispensa c’è della zuppa di miso e la camera degli ospiti è vicino al bagno.»
    Faccio segno a Hiro di seguirmi per mostrargli la stanza, ma a metà corridoio sento sapore di metallo in bocca e improvvisamente cado a terra senza sensi.

    Quando riapro gli occhi sono nel mio futon. Sento il peso delle coperte e richiudo gli occhi stirandomi e inspirando profondamente fino a ricadere sul cuscino. Rimango qualche secondo in quello stato di beatitudine inebetita quando mi ricordo di quello che è successo. Mi guardo attorno ancora confusa e sento chiudersi la porta d’ingresso, i passi sul parquet fino a raggiungere le scale che portano dal primo piano a camera mia. Non posso fare niente se non sperare che non sia un ladro.
    Qualcuno bussa alla mia porta.
    «Chi è?» chiedo con la voce spezzata dal timore.
    «Sono Hiro, sono felice di sentire la tua voce Kinuko. Avevo avuto il dubbio di doverti portare in ospedale.» il suono profondo della sua voce mi dà sicurezza e un sorriso mi increspa le labbra, poi riprende velocemente.
    «Vado a prepararti qualcosa da mangiare, tu rinfrescati un poco, ti farà bene. Mi raccomando però non prendere freddo.»

    Si è preso cura di me penso, nessuno l’aveva mai fatto a eccezione di mia madre; era una bella sensazione, ma strana e il fatto che fosse uno sconosciuto praticamente, mi faceva sentire in imbarazzo.
    Esco dal mio futon e vado a farmi una doccia calda, mi metto dei vestiti puliti e scendo per andare in cucina. Già per le scale posso sentire un meraviglioso odore di brodo e pesce fresco, mi fermo prendendo il corrimano e chiudo gli occhi respirando a pieni polmoni, purtroppo io non ho tempo né capacità di cucinare, così quel profumo mi arriva direttamente al cuore. Scendo più velocemente e quando arrivo trovo il tavolo apparecchiato per due.
    «Buongiorno Hiro.» dico piena d’imbarazzo.
    «Buongiorno Kinuko. Come ti senti?»
    Sto per dire bene quando la pancia mi suggerisce una differente risposta.
    «Famelica.»
    «Ad essere sincero lo speravo. Siediti, hai bisogno di mangiare qualcosa di più sostanzioso delle tue zuppe di miso in scatola. Spero che ti piaccia il Ramen di pesce.»
    Rimango in silenzio guardando sognante la pentola che mandava fumo sul fornello.
    «Hiro.» inizio facendomi coraggio «Hiro, grazie per avermi aiutata.»
    «Non dirlo nemmeno, dopo quello che avevi fatto… È per colpa nostra se sei peggiorata tanto, inoltre se non ti avessi aiutata Aiko e Izumi mi avrebbero messo in croce per settimane, mi chiedono di te ogni giorno.»
    «Ogni giorno?» chiedo basita «Quanto tempo sono rimasta fuori uso?»
    «Tre giorni. La febbre ha cominciato ad abbassarsi solo il secondo giorno nel pomeriggio. Ti ho detto che avevo pensato di portarti all’ospedale, ma poi hai iniziato a riprenderti velocemente.»

    Mentre cucina il bollitore manda il suono acuto per avvertirci che l’acqua è arrivata a temperatura, Hiro prende una brocca e la riempie per un quarto. Mi perdo nel vedere il vetro che si appanna e il vapore che esce come uno sbuffo allargandosi appena supera il bordo per confondersi subito con l’aria e diventare invisibile. Hiro prende la brocca e la porta al lavandino, ci mette acqua fresca e poi controlla la temperatura con il termometro. Sorridendo la posa sul tavolo e tira fuori dal sacchetto che ha lasciato sul piano di lavoro una scatoletta di legno chiaro, la apre e prende cinque cucchiaini di foglie di tè. Le mette in infusione e aspetta in silenzio.
    Lo guardo mentre fissa la brocca e poi sposto lo sguardo anche io.
    L’acqua sta cambiando colore e la pace che mi regala quella visione non ha prezzo, una nuvola dorata sta trasformando il liquido rendendolo meraviglioso. La metamorfosi ha qualcosa di sconvolgente, l’acqua non può fare niente per opporsi e il suo colore trasparente e puro semplicemente cessa di esistere, ma al suo posto viene qualcosa di più nobile: uno straordinario tè dal colore leggermente torbido. Se la visione è splendida l’odore è magnifico, la sua potenza è impressionante nonostante la sua leggerezza, è aggraziato, ma riesce a riempire completamente la cucina spostando delicatamente quello del Ramen. Mi entra nella mente e la stravolge completamente lasciando solo pace e tranquillità, non c’è più alcun pensiero d’ansia, nessuna scadenza da rispettare, nessuna pratica da portare a casa; esiste solo quell’odore e chiudendo gli occhi vedo il colore dorato che riempie il mio mondo.

    Non so per quanto tempo rimango in quello stato, forse ore, forse giorni o magari anni, ma sento di non aver bisogno di nient’altro. Improvvisamente il suono cristallino del tè che viene versato mi ridesta bruscamente e vedo Hiro che mi sorride malizioso porgendomi una tazza di vetro. Non ha bisogno di dire nulla, prendo quella tazza avvolgendoci le mani per poter sentire tutto il suo calore e la porto vicino al viso, chiudo gli occhi e inspiro profondamente. Un odore inebriante che non importa quanto tu ne abbia sentito, ogni respiro è come il primo. Mi mordo le labbra chiedendomi se sia il caso di assaggiarlo.
    Le sensazioni che mi ha dato mi hanno sconvolto completamente, ho timore di cosa potrebbe accadere se lo bevessi veramente.
    Sposto lo sguardo verso Hiro che mi sta ancora sorridendo.
    «Coraggio.» mi dice «Ti farà bene.»
    Si volta tornando alla pentola di Ramen che per me ha perso qualsiasi interesse e mi lascia da sola con quella coppa di paradiso. È stupido, ma sento una punta di vero timore: timore di sentire un sapore diverso da quello che spero, timore di sentirmi spazzata via da quella meraviglia che sembra semplice tè, timore che non succeda.
    Prendo coraggio e chiudo gli occhi, mi avvicino alla tazza e mi bagno le labbra. Poi le schiudo e lascio che il tè mi tocchi la lingua e il mondo perde significato. Un sapore simile alla nocciola mi riempie la mente per esser rimpiazzato da qualcosa di fresco, un brivido mi scuote il corpo e finisce facendomi alzare la testa e respirare a pieni polmoni, sento uno scricchiolio nello sterno nel fare quel movimento e mando giù il sorso lasciando che quel liquido pervada tutto il mio corpo.
    Il buio e la luce, il bene e il male. Due parti di una stessa moneta, ma quel tè è semplicemente tutto il resto, è ciò che dà un senso alla presenza della luce, che giustifica il volere il bene invece del male.
    Come può un tè, una semplice bevanda, avere tutto questo potere?

    Voglio parlare, ma non rispondo.
    Attendo qualche altro secondo lasciando che il momento scorra senza interruzioni.
    Poi riprovo.
    «Cos’è?» di tutto quello che volevo dire esce solo questo.
    «Si chiama Kabuse-Cha.»

    Edited by KungFuTzo - 16/12/2018, 05:46
     
    .
  2. Kingor Melkor
         
     
    .

    User deleted


    Una lettura molto piacevole. AR.

    Ripulisco e smisto.
     
    .
  3.      
     
    .
    Avatar

    Senior Member

    Group
    Moderatore
    Posts
    12,556
    Creepy Score
    +817

    Status
    Offline
    Ma... è bellissimo.

    Per storie come queste la categoria Altri Racconti dovrebbe stare in cima.
     
    .
  4.      
     
    .
    Avatar

    #andamovie

    Group
    Admin Veterani
    Posts
    1,660
    Creepy Score
    +294

    Status
    Offline
    Grazie mille!
     
    .
3 replies since 6/9/2015, 11:46   119 views
  Share  
.