Silenzio prima dell'alba

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  1. Hybris93
         
     
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    Si svegliò. Il vento tiepido di quelle serate primaverili soffiava sul suo volto candido, freddo come il marmo.

    Aprì gli occhi piano, assaporando quei dolci momenti di risveglio. La luce della luna che filtrava dalla finestra aperta della camera illuminava le travi di quel soffitto troppo sfarzoso, forse addirittura troppo vecchio, costruito, come tutta la stanza, parecchi, troppi anni fa.

    Nessun rumore, a parte il lieve suono delle tende che sventolavano spinte da quei sospiri notturni.

    Si alzò piano, dapprima sedendosi sul bordo del letto, e poi appoggiando i piedi per terra. I lunghi capelli castani le cadevano disordinati sulla schiena e sul petto. Davanti a lei quella finestra aperta sembrava essere un richiamo.

    “Affacciati”, diceva.

    La luna splendeva in quel cielo nero, e adesso anche lei era illuminata dalla sua luce, diventando quasi fatta lei stessa di quella luce.

    Un passo, poi un altro.

    Ed è in quel momento che echi di battaglie passate, di notti passate, o musiche provenienti da epoche che lei non aveva vissuto suonavano nella sua mente. Immagini di danze, feste, volteggiamenti, e lei, lei lì da sola al centro di quel salone, mentre tutti intorno danzano, presi da chissà quale frenesia, si muovono e non si accorgono di lei, non si accorgono dei suoi passi incerti, non la vedono.

    E di colpo la visuale si sposta, si sposta per la stanza, e lei diventa piccola in mezzo a tutto quel movimento, in mezzo a tutte quelle persone, lei non c’è. Luci, risate, allegria, come ricordi lontani, ma lei lo sa, non le appartengono più.

    E cammina, facendosi largo tra la gente, alcuni la urtano, altri la ignorano, e arriva in fondo a quel salone dove uno specchio, uno specchio immenso riflette tutto, moltiplicando gli spazi, triplicandoli quasi.
    E in quel riflesso di gente colorata e allegra che danza lei non c’è, lei non esiste. La sua immagine non è riflessa.

    Appoggia una mano alla superficie dello specchio, fredda, quasi come la sua stessa pelle. Forse anche il suo cuore. Appoggia una mano su quella superficie, su quella realtà in cui lei non esiste più.

    Che ne era stato di lei, della sua voglia di vivere. I giorni e le notti ormai passavano senza che avvertisse la minima variazione, senza che avvertisse il tempo scorrere. Aveva smesso di esistere, e lei con lui.

    Chiude gli occhi e di colpo e tutto sparisce, dissolvendosi nell’aria come frammenti di un sogno notturno che la luce del giorno scioglie.

    Ed è di nuovo sola, nella sua camera, circondata da quel mobilio vecchio, con la luce della luna che le illumina il viso, il corpo, mentre la sua mano è protesa davanti a sé nel nulla. Non c’è nessuno specchio.
    La abbassa, lentamente, ripensando a quel sogno scomparso così nel nulla.

    Il cielo nero della notte le ricorda che non c’è spazio in quel mondo, non c’è spazio per i sentimenti, non c’è spazio per la luce, non c’è spazio per sognare. La crudeltà del destino le aveva insegnato che il buio inghiotte sempre la luce, come il nero copre il bianco e niente, niente avrebbe cambiato il senso naturale delle cose.

    Così lei non era altro che un punto di luce in quella oscurità e la luna non era altro che un punto bianco nella distesa nera.
     
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    Ehm, dovresti presentarti prima di postare nel forum :siga:
     
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  3. Hybris93
         
     
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    Scusaaaa!!! <_< giuro, è stata una svista, ho rimediato :-)
     
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    È scritto bene ma devo ammettere che non mi ha lasciato nulla. Penso sia tutto troppo sbrigativo, non c'è emozione, non c'è azione... non saprei. È troppo Romantico, ma lontano dal sublime, è indefinibile. Volevo che venisse raccontata la decadenza, non semplicemente citata.
     
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3 replies since 10/5/2014, 11:13   93 views
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