Decaduto

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  1. Kingor N&A
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    L'Uomo si trovava nel suo mondo.


    Seduto comodamente sulla poltrona, l'Uomo guardava placidamente la TV, passando in rassegna i canali con aria annoiata. Era appena rientrato da lavoro: si era tolto la giacca, si era messo le pantofole, aveva sospirato per la stanchezza sedendosi. Adesso aveva il suo momento di pace, la sua tranquillità, il suo spazio. Sua moglie era in cucina a lavare i piatti del pranzo appena passato, un pranzo silenzioso nella monotonia di una consueta giornata ordinaria. Eppure, mentre si concentrava sul telegiornale mondano, gli pareva di sentire che qualcosa non andava.
    L'aria vibrava, poteva scommetterci.
    Osservò a lungo l'aria intorno a sé. Vide le discrepanze: non erano provocate dai raggi del sole tra la polvere. Osservò i tremiti.
    Decise di non dare troppa importanza a quella illusione; d'altronde era stanco, i suoi occhi e la sua mente potevano giocargli brutti scherzi. Per un attimo passò gli occhi rapidamente sul pavimento e sulle pareti. Esse non vibravano, però. O almeno credeva.
    Non si fece scomporre dallo stato di confusione che minacciava di coglierlo e non fece altro che seguire la voce del giornalista alla Tv. Poi accadde qualcosa:
    un lungo fischio nelle orecchie.
    Si sentiva forse male?
    Scosse la testa e per un istante soltanto gli parse di sentire un bisbigliare, cosa che il fischio non era. Era solo un fischio, niente di più, niente di meno. Poggiò le mani sui braccioli per alzarsi in piedi e in quel momento il fischio cessò di colpo, lasciando un silenzio innaturale. Lo sfrigolare dell'audio della Tv c'era, le gomme sull'asfalto che ruotavano c'era, qualche cinguettio dal giardino c'era, l'acqua nel lavandino e lo sbattere leggero dei piatti c'era...
    Ma sembrava che tutto avesse perso quel vivo che c'era nello spezzare il silenzio e tutto facesse parte di quello.
    E in quel momento, ancora, sua moglie accorse con passo svelto nel salotto. Aveva un volto confuso, quasi spaventato e l'Uomo non comprese finché non parlò.
    "Amore, c'è qualcosa che non va fuori... fuori casa"
    L'Uomo si atteggiò in un'espressione confusa prima di capire completamente le parole della moglie. Aprì bene le orecchie verso l'esterno e in effetti c'erano dei suoni che lo stupirono. Stupirono freddamente. Forse perché non aveva ancora realizzato a pieno...
    Urla. Urla di uomini, donne e bambini. Corsa, cadute e derapate di auto. Tuoni, rombi e scontri tra auto.
    L'Uomo trattenne il fiato e si alzò, lanciando un'occhiata apprensiva alla moglie, evidentemente sempre più in ansia. Per un attimo gli parse anche che sfrigolasse anche lei, in mezzo all'aria, che vibrasse, quasi impercettibilmente. Ma non era certo il momento per mettersi a far domanda sul suo stato mentale.
    Era nel Mondo, fuori, che stava accadendo qualcosa.

    Quando aprì la porta di casa, con una leggera inquietudine, tanto da aprirla lentamente, si rese conto della totale assenza di vento. Una conclusione gli arrivò pari ad un pugno in viso: semplicemente non c'era aria e forse era quello il motivo di ciò che continuava a notare. Tutto pareva immobile in una busta di plastica, tutto galleggiava nell'immensità più assoluta. Non c'era più la cognizione di essere piccoli nel grande: c'eri solo tu e il Mondo, un miscuglio indistinto di “cose”. Scacciò quei pensieri che gli facevano molta paura e fece un passo avanti oltre la soglia.
    Confusione. Confusione di uomini, donne e bambini. Corsa, cadute e sgommate di auto. Sgretolarsi, cedere e incidenti tra auto.
    L'Uomo non poté che strabuzzare gli occhi, impietrito da quella visione.
    Dopo aver osservato senza fiato la gente che si spingeva oltre la sua casa, dietro, correndo e inciampando, schiacciandosi fra di loro, i loro corpi leggermente vibranti...
    … vide all'orizzonte qualcosa che schiacciò ogni suo pensiero logico e razionale e lo chiuse in una gabbia di incertezza e terrore.
    Edifici. Alberi. Auto. Marciapiedi. Cestini.
    Terra, cielo.

    Non esisteva niente, dopo il suo passaggio. In lontananza il paesaggio vibrava forte, in modo potente. E i pezzi... i blocchi... non c'era qualcosa per definirli...
    Le Cose venivano fatte a pezzi, sgretolate come da un pugno di ferro. E dopo il passaggio del pugno di ferro invisibile, quel tremolio dell'aria che non esisteva, ciò che rimaneva erano pezzi galleggianti nell'aria, che andavano su su su, lentamente... E lì, sapeva l'Uomo, c'era il Silenzio.
    E il Vuoto.


    Un prolungato fischio nelle orecchie...
    Tra le palpebre appena schiuse, filtrava una luce a neon, debole...
    Un soffitto bianco...



    L'Uomo si trovava tra la sua razza.


    Sbarrati gli occhi all'improvviso, gli richiuse subito. Doveva abituarsi alla luce del centro commerciale... fuori era sera, una sera nuvolosa e non c'era certo una luminosità elevata. A suo fianco aveva sua moglie e la sua amata figlia gli teneva la mano, saltellando e osservando tutto con quei suoi occhi verdi. Aveva dei bellissimi occhi verdi. L'Uomo sorrise lievemente prima di accorgersi di essersi abituato alla luce e poter dirigersi nel cuore del supermarket. La gente faceva ciò che doveva fare lì: qualcuno a passo più svelto, qualcuno più tranquillo, le diverse facce, le molte persone, si muovevano freneticamente in quel che era quel formicaio, prendendo dagli scomparti la roba, comprandolo poi, tenendo per mano i propri figli come lui o qualcuno la sua ragazza o il suo ragazzo. Osservavano le vetrine, giudicavano. Parlavano allegramente tra loro, scherzavano, si offendevano, si scambiavano parole segrete tra loro.
    Ma quello era come sempre e perché avrebbe dovuto destare l'attenzione dell'Uomo. Ben altro doveva destare la sua attenzione e in cuor suo lo sapeva perfettamente: ma così non fu.
    Quel che di particolare c'era era l'opacità dei colori.
    Quel che di particolare c'era era il silenzio totale all'infuori delle voci e dei passi.
    Quel che di particolare c'era era la lontananza di quelle voci e di quei passi.
    Ma l'importante era che si sentissero almeno quelle due Cose, no?

    L'Uomo, sorridente, allegro, si fece guidare da sua moglie attraverso i vari negozi ai lati dell'ampio corridoio gremito di altri potenziali clienti.
    Quando l'Uomo urtò accidentalmente con la punta della scarpa un pezzo di carta, quello prese il volo. Ma lentamente, senza peso, galleggiante nell'aria. Lui non se ne accorse, ma anche se ne fosse accorto, non gli avrebbe dato molto peso. D'altronde era tra la sua gente, quella odiata e quella amata. Si sentiva a casa, più o meno. Nella normalità di un giorno qualunque vivendo tra la sua razza.
    E accanto aveva le persone più importanti della sua vita.
    Che importanza aveva il resto?

    I capelli lunghi e lisci della bambina ondeggiavano ogni volta che muoveva il capo da una parte all'altra, eccitata come sempre tra la sua Razza, in mezzo alla gente e ciò che aveva da vedere, da esser osservato.
    “Papà! Papà, mi prenderesti lo zucchero filato, per favore...?”

    Un per favore prolungato nella sua voce ancora bambinesca che lo fece sorridere. Guardò sua moglie, alzando le spalle e rivolgendosi poi nuovamente a sua figlia.
    “Questa volta solo uno, mi raccomando, Sophie... Non voglio sentir richiesto un altro, ok?”
    La bambina sembrò riflettere attentamente sulle parole del padre, prima di annuire energicamente.
    “Ok, papà...”
    L'Uomo sorrise di nuovo alla figlia, scompigliandole affettuosamente i capelli sulla testa e proseguendo verso il negozio che aveva visto la figliola e da cui desiderava lo zucchero filato. Mentre si avviava, un uomo che conosceva gli passò accanto e subito l'Uomo fece un cenno della testa e alzò una mano per salutarlo. Incredibilmente, mentre pagava il regalo alla bambina porgendo i soldi al negoziante, gli si avvicinò amichevolmente un amico di vecchia data. Si scambiarono pochi convenevoli, un abbraccio e una pacca sulla spalla, prima di dividersi. La giornata andava di bene in meglio, un po' per tutti: sorrisi felici, facce rilassate. La bambina si gustava lentamente il suo zucchero filato.

    Poi cominciò ad accadere qualcosa. Un fischio nelle orecchie... così familiare... L'Uomo scosse la testa, battevano varie volte le palpebre e guardando a terra. Quando risollevò lo sguardo non poteva credere a ciò che stava succedendo. La mano strinse quella della figlia, istintivamente e l'altra mano cercò quella della moglie. Tutti si erano voltati verso un unico punto. I loro occhi erano diretti oltre l'enorme vetrata del centro commerciale: fuori era come sempre. Più opaco che grigio, niente se non pezzi fluttuanti di Cose, il Mondo spezzato in più parti galleggianti, il Silenzio e l'assenza di vento, aria.
    Poi qualcos'altro: tuoni, rombi. Il cielo che trema, la terra che trema. L'edificio in cui sono, un'isola in mezzo ad un mare di Vuoto, adesso scosso. Veniva a prenderli. Era il pugno di ferro invisibile che adesso lasciava da parte il Mondo già flagellato per liberarsi di quelle povere anime. Di quella Razza. Un'unica Razza rimasta che rappresentava tutto ciò che contava per l'Uomo. E accanto aveva ciò che era più importante tra tutti, tra tutto.
    Strinse entrambe le mani delle sue donne, mentre la gente realizzava in fretta ciò che stava succedendo: come se tutti avessero capito. Era giunta la loro ora; ma non quella dell'Uomo. Si girò di scatto e trascinò in corsa la figlia e la moglie, incitandole a correre, le urla attorno che minacciavano di soffocarlo.
    Quelle urla... gli entravano nelle orecchie con prepotenza, martoriavano la testa, si prolungavano in un'eco insopportabile... Doveva resistere, però.
    Corse corse corse... il pianto di lei, la bambina, le urla di sua moglie schiacciate completamente da quella della sua Razza. Pareva che il corridoio stesse fermo però. I suoi passi non fossero niente nello spazio. Si voltò indietro e vide l'edificio, oltre la barriera che procedeva, ben distinguibile per le discrepanze nell'aria, le persone portate in alto, su su su, lentamente... Che infine si spezzano, in più pezzi, si disintegravano, volteggiavano inermi con il viso contorto, corrotto. Alcuni visi rimanevano urlanti, altri piangevano, atri erano privi di espressione...
    Un brivido percorse la schiena dell'uomo e il desiderio di fuggire era massimo. Correre correre correre... si ripeteva solo quello. Ma non fu abbastanza veloce.
    Aveva gente intorno a lui, gente che lo urtava, lo spingeva nella corsa. Adesso era immerso nell'aria che non c'era, nel Silenzio e nel Vuoto. Vide vicino a sé i corpi frantumarsi con un rumore simile a quello del vetro calpestato. Davanti a sé i visi della Razza. Distinse per un istante anche il suo amico, il suo amico di vecchia data.
    Circondò con le braccia i due tesori che aveva, non accontentandosi della stretta della mano e chiuse gli occhi, stringendoli forte, poggiando la testa su quella della moglie.
    Poteva prendersi il suo Mondo.
    Poteva prendersi la sua Razza.
    Ma non poteva prendersi il suo Amore.

    Ma il Vuoto reclamava a gran voce, bisbigliava parole melliflue.
    L'Uomo non voleva più guardare, teneva strette a sé soltanto ciò a cui teneva di più.
    Ma il Vuoto chiedeva di lui e solo lui.


    La testa gli girava.
    Gli doleva. E il fischio... Ora... sentiva anche...
    ...bisbigli...
    Un'ombra passò nella sua visuale coperta dalla ciglia, coprendo per un attimo la luce a neon e il soffitto bianco...
    Sentì... un qualcosa di freddo e appuntito trafiggergli la carne.. ma non reagì...
    Chiuse gli occhi... la luce lo infastidiva...



    L'Uomo si trovava a casa.


    Seduto comodamente sulla poltrona, l'Uomo guardava quella TV che adesso era spezzata i mille pezzi e fluttuava a diversi centimetri dal piano su cui era poggiata. Le palpebre dell'Uomo si chiusero più volte, incerti su quel che stavano vedendo. Oltre alla TV galleggiante, la parete era frantumata in più parti, divisa in due blocchi e in mezzo ad essi si poteva intravedere nella striscia di lui il Mondo al di fuori che Mondo non si poteva più definire.
    Opaco, frantumato in tutto quello che vedeva nell'aria inesistente che faceva galleggiare le cose, all'interno di esso si muoveva la sua Razza. O un'immagine di essa. O forse non lo erano neanche più. Se gli osservava non sentiva altro che un leggero timore: e non perché erano privi di volto, al cui posto esisteva solamente una superficie color crema, il bianco stesso opaco in quel poco colore. E camminavano, senza meta, ben eretti nelle loro posture o chinati dalla vecchiaia, con diversi vestiti, di diverse forme e colori; ma quel che non avevano era semplicemente un viso. Si muovevano lenti, a passi quasi affaticati. Avevano la stessa consistenza di quell'aria e loro erano parte del Mondo che Mondo non era più. Erano solo Cose tra tante Cose. E questo lo capivo bene, l'Uomo.
    Oltre quel timore, non c'era niente di strano. Provava quella sensazione da sempre, se lo ribadiva. Era così e basta. L'unica cosa che possedeva era la sua casa: ma non la sua casa martoriata dal Mondo, ma la sua casa racchiusa nei cuori delle sue donne. Lui abitava, viveva, si nutriva nel cuore delle sue donne. E se c'era una cosa di cui era certo è che avesse un cuore anche lui per ricambiare. A lui importava solo stare vicino a loro, sentirle vive con lui.
    Si diresse in cucina, i colori opachi e gli oggetti galleggianti che non lo disturbavano affatto e sorrise alla moglie, che si girò verso di lui al suo arrivo. Lei sorrise di rimando.
    Ecco un altro motivo per cui erano speciali. Loro avevano uno Sguardo per vederlo, oltre al Cuore. Sua moglie aveva le labbra da baciare e sua figlia i capelli da accarezzare. Non gli mancava niente. Era a Casa.

    L'Uomo si sedette a tavola e nel frattempo osservò la figlia entrare di corsa, in quel Silenzio totale. Solo i suoi passi in corsa e il suo respiro leggermente affannato erano suoni. E il suo richiamo a lui.
    “Papà! Papà!”
    Quanto gli piaceva essere chiamato Papà. E quanto gli piaceva essere chiamato Amore, dal suo di amore. La moglie si poggiò con le braccia all'indietro sul piano della cucina, sorridente, ad assistere a quella nuova scena famigliare. L'Uomo sospirò forte, lanciandogli un'occhiata divertita.
    Sophie gli saltò in collo, per poi sedersi sulle ginocchia.
    “Ehi, ehi ehi! Cosa c'è, Sophie?”
    “Un regalo per te papà!”
    La bambina tirò fuori da sotto la coscia un foglio un po' stropicciato. A quanto pare era stato parecchie volte piegato e ripiegato su se stesso. L'Uomo ridacchiò e accarezzò dolcemente la testa della figlia. Katrina, sua moglie, rideva in modo cristallino altrettanto e per un attimo l'Uomo rimase a guardarla incantato. Gli capitava ancora spesso, come la prima volta in cui si erano conosciuti. L'amava moltissimo e lei amava lui e ciò era più che speciale. Insieme avevano dato vita ad una creatura stupenda e il più bel regalo che lei potesse donargli.
    L'Uomo aprì il foglio, con recitata sorpresa: non che disprezzasse il regalo, tutt'altro, ma quell'esagerazione faceva eccitare la figlia.
    “Vediamo un po'...”
    Lui finì di aprire e si ritrovò davanti un disegno: c'era un grande cuore rosso, colorato a matita, e al centro, tre individui, dai contorni e lineamenti di quelli tracciati da una bambina. Il padre un po' troppo sproporzionato rispetto alla testa, la madre un po' inclinata da una parte, Sophie forse troppo bassa e indefinita. Ma era comunque splendido.
    “Grazie, tesoro. Fallo vedere anche alla mamma...”
    Sophie prese con un sorriso da orecchio a orecchio il foglio, ma prima che si voltasse per dirigersi ad un metro dalla madre, il padre sobbalzò sulla sedia.
    “Ah ah! Lo vorrei io...”
    Si tamburellò la guancia con l'indice, chiedendo evidentemente un bacio. La bambina rise e si avvicinò per scoccare un bel bacio all'Uomo, riservandogli anche un caldo abbraccio.
    Sophie mostrò il disegno a sua moglie e lei ebbe la stessa reazione stupita e contenta; e il bello era che fosse sincera, per davvero. La figlia se ne andò saltellando allegramente, compiaciuta del suo lavoro, lasciando sul tavolo l'opera. L'Uomo la continuò a fissare, lì lontana da lui in un angolo, per un po' di tempo, finché non voltò la testa verso Katrina, sentendosi fissato.
    “Dimmi”
    Un tono di voce conciliante. L'Uomo non attese risposta e si alzò dal tavolo, andando a prendere le mani della moglie e stringendole tra le sue.
    “Bello il capolavoro di nostra figlia, vero?”
    L'Uomo annuì piano, guardandolo nei suoi stupendi occhi verdi.
    “Sì, bellissimo. La nostra famiglia...”
    “La nostra famiglia.”
    La Donna baciò piano sulle labbra l'Uomo, non smettendo neanche per un attimo di sorridere, un'espressione rilassata in volto. Si erano scordati di tutto. Si era scordato di tutto.
    Il Mondo, la Razza, il Silenzio, il Vuoto... non erano niente. Certo, poteva essere un problema. Ma quanto alla fine?

    Poi accadde qualcosa di strano. Qualcosa che gli diede lo stesso timore di quando osservava quell'immagine che era stata la Razza. Il volto di sua moglie, si stava sciogliendo dinanzi a sé. Il sorriso dell'Uomo andava via dal suo viso lento quanto lo sciogliersi dell'espressione e degli elementi che la caratterizzavano. Eppure Katrine sorrideva ancora, lei era lei, lo amava. Ma stava scomparendo tra le sue mani, davanti a lui. Impotente, rimase ad osservare quel volto che diventava la superficie bianca tanto famigliare, i capelli che si strappavano e cominciavano a volteggiare per aria.
    -No...-
    Un debole sussurro, gli occhi spalancati a cercare ancora quegli di lei. Iniziò a sudare freddo, il cuore cominciò a pompare il sangue veloce e prima che le lacrime sopraggiungessero, di fronte all''evidenza di ciò che stava succedendo, cominciò anche a respirava affannosamente. Aveva perso sua moglie. La sua Katrine. Definitivamente. E in fondo sapeva che sarebbe successo. Silenzio.
    E per la prima volta si rese conto della decadenza, che portava il Silenzio.

    Si girò, le mani ancora aperte che stavano tenendo quelle ancora forti della donna, che adesso erano opache e inermi, abbassate, e la sua attenzione, mentre manteneva uno sguardo perso, la bocca lievemente spalancata di sgomento, sul disegno.
    C'era ancora qualcuno.
    Sophie.

    Corse per la casa, che sembrava eterna per quanto corse. Arrivò alla stanza della figlia, con tutto il suo galleggiare e il suo essere frantumata in più parti.
    Per la prima volta si rese conto della decadenza del suo Mondo.

    La trovò, seduta sul letto, le gambe che calciavano l'aria così innaturale della stanza con libertà e leggerezza a differenza di tutti gli altri. Lei si voltò verso di lui e sorrise a denti ben visibili. Lui era poggiato con una mano allo stipite della porta, appena un passo all'entrata, per riprendere fiato. Diede quasi un sospiro di sollievo.
    Il viso di Sophie cominciò a scivolare giù dalla sua pelle e i capelli iniziarono a fluttuare attorno. L'Uomo però in quel momento, preso da un brivido, venne colto da altro. La porta della sua casa materiale non c'era più da tempo, così il Mondo aveva deciso. E da quella entrava la sua Razza. Vari individui che non erano più individui. Venivano per prendersi Katrine, che non era più Katrine. Venivano a prendersi Sophie, che... L'Uomo si girò di nuovo, rapido, per vedere soltanto l'immagine di colei che non era più Sophie, scesa dal letto, lenta nell'aria. Non era più Sophie. Intanto, a fianco a lui immobile ad osservare, ancora alla porta, passavano accanto, per passare nella stanza, le immagini, inondando la stanza come un fiume in piena, silenziosi quanto il mondo, eppure così vuoti anche in se stessi.
    Per la prima volta si rese conto della decadenza della sua Razza.

    L'Uomo contemplava sua figlia che ,una volta guardati senza occhi i suoi compagni, li seguì fuori dalla stanza, poi fuori dalla casa. Lui rimase ancora un attimo lì, a fissare il pavimento, le mani tremanti. Le sollevò all'altezza dei suoi occhi: in realtà non sapeva neanche se li avesse ancora, se si fosse trasformato anch'egli nella gente. Non riusciva a controllare quei tremiti.
    Andò in cucina, guardò la stanza, con un'aria smarrita. Dietro di sé, nel corridoio sentiva uscire la gente. Si appropinquò a passi misurati, lenti, fino all'angolo del tavolo. Aveva perso tutto. Non gli rimaneva più niente. Il Vuoto gli stava portando via qualunque cosa.
    Afferrò il disegno, lo ondeggiò davanti a sé. Perché non si spezzava, non si frantumava, non spariva nel nulla? Insieme a lui, sembrava l'unica cosa tangibile in quel Mondo che non era più suo. Ogni cosa stava decadendo... e per un istante l'Uomo se ne accorse.
    E mentre se ne accorgeva, ecco che i primi pezzi di foglio cominciarono a staccarsi e a lievitare verso l'alto, piano. Un lungo strappamento in mezzo al cuore, che divise la mano di sua figlia in quella di lui. Sentì qualcosa strapparsi anche dentro di sé e venne colto dal panico più assoluto.
    E per la prima volta si rese conto della decadenza della sua Casa.

    Scosse la testa più volte, il respiro irregolare, mentre udiva i rombi, i tuoni lontani, ma sempre più vicini fuori dalla casa, inesorabili stavano devastando tutto. Stava giungendo, stava giungendo da lui per compiere il lavoro. Fuori da lì, c'era ancora Sophie. C'era ancora Katrine. C'era ancora la sua Razza e il suo Mondo.
    Ma come per gli ultimi due aveva perso la cognizione, ogni ricordo del passato, di ciò che aveva visto davvero con i suoi occhi scompariva come soffiato da un vento impetuoso, ebbe la sensazione che i pensieri e persino i ricordi della donna della sua vita e della figlia che aveva sempre amato venissero risucchiati come il Vuoto risucchiava Mondo e il resto.
    Forse era proprio così.
    La Decadenza era già iniziata e ora stava per compiersi.

    Fu l'ultima riflessione, l'ultima luce su ciò che stava accadendo per l'Uomo, perché poi si dimenticò anche di ciò che pensava.
    Adesso aveva solo un istinto. Correre da Katrine e Sophie prima che fosse troppo tardi. Eppure..eppure..eppure sapeva che era già troppo tardi.
    Doveva lottare, doveva lottare. Se lo ripeteva, ma ogni volta la voce nella sua testa era più fioca. Ogni volta era meno sua. Ogni volta di più lasciava spazio a bisbigli incessanti.
    Precipitandosi fuori dalla porta inesistente, si tenne la testa con le mani e digrignò i denti.
    Il corpo non era più suo.

    Si portò a fatica fino in mezzo alla folla che sembrava radunarsi, una massa lenta e confusa, nel disperato tentativo di trovare le sue donne.
    Quel era il loro nome?
    Più lo ricordava...
    Ma ancora qualcosa gli diceva che doveva cercarle.
    Sì, qualcosa si era invertito drasticamente in lui, ma di questo non se ne accorse mai. I bisbigli nella testa divennero chiari sussurri e le voci più definite. Ma l'Uomo provava a non ascoltare nessuna di quelle parole.
    Poi la vide, la sentì: una luce, una calda luce proveniva da una tra la gente. Un qualcosa gli aveva indicato la via, ma l'Uomo non ci ragionò neppure un secondo. Intanto, guardandosi attorno, vide il pugno di ferro, numerosi pugni di ferro frantumanti, circondare tutti loro (forse era solo lui) ed avanzare senza sosta, ogni metro più vicino, un metro di velocità in più, un metro che diventata Vuoto.
    L'Uomo prese per le spalle quel non-individuo o lo girò, mentre urlava a squarciagola, non sapendo neanche bene perché. Ed era lei, lui lo sapeva, sì. Accarezzò il viso che non c'era, lacrimando calde lacrime, ma non accorgendosene neanche di questo. La sua espressione era disperata, distrutta. Rise un attimo e per un secondo...


    ...davanti a sé non vide il pallido viso vuoto, ma un viso più o meno delineato tra le ciglia, tra gli occhi socchiusi. Un camice bianco, un soffitto dello stesso colore dietro la testa di quell'individuo.
    No...aspetta... non lo era. Anche a lui adesso scivolavano i tratti del volto e i colori diventavano più opachi, come da molto tempo ormai era. Si sentì toccato da quello e la sua reazione di timore, un brivido freddo di inquietudine...
    Ne aveva paura... era malvagio...probabilmente.
    E poi quelle voci nella testa. Alcune di esse incitarono a colpire l'essere. Altre di violentarlo. Altre ancora di mangiarlo. Altre ancora di accarezzarlo e abbracciarlo. Altre ancora di non fare niente e basta.
    Chiuse gli occhi... non voleva guardare... non voleva sentire...


    L'essere che era stato la sua donna in passato cominciò a sbriciolarsi come tutti gli altri. Il suo candido vuoto viso si iniziava a crepare e i pezzi a mano a mano più grandi cominciavano a fluttuare attorno a lui. L'Uomo osservò questi con aria persa, prima di ricevere una scossa di panico, ancora.
    Il Vuoto era giunto adesso. Era lì e lo stava rendendo suo.
    Corse, corse, corse e sembrava infinito.
    Ma ancora una luce lo guidò, tenue, ma con un piacevole calore. La donna, mancava una donna. La trovò. Più o meno, la dimensione e... i contorni di essa erano sempre uguali...
    Minuta, bassa... era lei. Ma chi lei?
    Qualcuno. E l'Uomo la voleva.
    Si lanciò in ginocchio dinanzi a lei, stringendo quelle spalle, mentre si sgretolava. Piangeva ancora, forse singhiozzava, ma allo stesso tempo sorrideva, non si chiese perché, mentre cercava i dettagli nella superficie bianca. Ma non c'erano.
    Quando qualunque cosa si ruppe come uno specchio, distinto il rumore nelle orecchie dell'Uomo, si sentì tutti i ricordi strappati.
    Il Cuore strappato.
    Se stesso strappato.
    Era uno specchio rotto.
    Il Vuoto era il suo Mondo, la sua Razza, la sua Casa, il suo Io.



    L'uomo sollevò gli occhi, un sorrisetto sul viso, ad osservare chi c'era. Non c'era nessuno.
    Si trovava in una stanza bianca bia-voleva vedere il mondo...-nca, un tavolo di ferro lì vicino con dei bracciali da legare a polsi e caviglie che di solito venivano applicati su di lui.
    Ma non gli interessava.
    Osservava intensam-dove erano tutti gli altri...?-ente la porta e ascoltava le voce, si consultava con loro.
    Era impossibilitato a muovere le braccia. Ave-la sua casa, gli mancava la sua casa...-va un camicia! Una forte camicia. Una camicia di forza.
    L'uomo ri-A LUI IMPORTAVA DEL MONDO-se senza controllo e scosse la testa più volte.
    Ma non gli interessava...

    Poi iniziò a dondolarsi ritmica-A LUI IMPORTAVA DEGLI ALTRI... poveri altri...-mente sul posto, era in ginocchio. Aveva un'espressione preoccupata. Era davvero preoccupato per gli altri. Avrebbero po-A LUI IMPORTAVA DI CHI AMAVA... ma amava...?-tuto fare la sua stessa fine. Ciò lo divertiva a-amava davvero?-ssai, cosa che lo fece scordare del tutto del rischio che potevan-NON LO SAPEVA-io correre.

    Solo lui poteva sentirlo. Solo lui era pa-non sapeva più niente...-rte di esso. Era molto geloso di questo. Non lo avrebbero sconfitt-lui non era più niente...-o facilmente, no. Ogni loro tentativo era vano, sì.


    Lui era Vuoto.
    -Lui era Vuoto-
    Lui era Decaduto.
    -Lui era Decaduto-
     
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    consueta giornata ordinaria
    telegiornale mondano
    non aveva ancora realizzato a pieno
    Per un attimo gli parse --> non è sbagliato, ma è molto antico, e non c'entra nulla con lo stile che ha adottato.
    Ma quello era come sempre e perché avrebbe dovuto destare l'attenzione dell'Uomo.
    Se gliosservava
    gli occhi spalancati a cercare ancora quegli di lei
    Si appropinquò a passi misurati
    i primi pezzi di foglio cominciarono a staccarsi e a lievitare verso l'alto --> questa mi ha ucciso
    Quel era il loro nome? Più lo ricordava...
    non accorgendosene neanche di questo

    e questi sono solo alcuni delle imprecisioni che ho trovato.

    Le immagini evocate sono davvero meravigliose, e anche il racconto, seppur tirato per le lunghe, merita. Non potevo non penalizzare le imprecisioni linguistiche e stilistiche presenti ovunque nel racconto, che a prescindere da ciò ho gustato tantissimo. Se non ci fossero state, avrei dato anche di più. Fosse stato per me, il racconto si sarebbe potuto concludere a metà, perché la seconda parte (e specialmente il finale), personalmente non mi sono piaciuti quanto la prima. Ma questa è solo una mia opinione. Pollicione verde anche per te.
     
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    Metafisico: un uomo cieco che in una stanza buia cerca un cappello nero. E il cappello non c'è.

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    Tra quelli che ho preferito, se non il primo fra tutti. Lungo il giusto e, come detto da Pisy, in grado di evocare immagini davvero suggestive. Il modo in cui sono resi alcuni passaggi chiave è eccellente, e le descrizioni svolgono perfettamente il loro ruolo nel rendere spessore al racconto. Ottimo lavoro :3
     
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    Molto bella :) A differenza di alcuni miei colleghi, io ho apprezzato il finale, rende il tutto più concreto e meno onirico.
    Peccato solo per gli errori
     
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  5. Kingor N&A
         
     
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    Grazie mille per i complimenti. Mi scuso per gli errori, cosa che potevo benissimo evitare, ma anche a causa dell'eccessiva lunghezza mi sono perso io stesso a ricontrollarlo. Cercherò di migliorarmi più che posso, pure per contribuire al forum :D
     
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    Scritta bene, abbastanza scorrevole e (come ha detto Pisy) le immagini evocate sono davvero belle (per forza, è un Dungeon Master! ^^). Peccato davvero per due cose: il finale, che mi aspettavo un po' migliore, e la lunghezza.
     
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5 replies since 9/5/2014, 14:59   174 views
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