Sands

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    Metafisico: un uomo cieco che in una stanza buia cerca un cappello nero. E il cappello non c'è.

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    "Non sento niente"

    Una baracca completamente chiusa, due persone, una trentina di involucri vuoti caduti a terra. Bicchieri di vetro, giacche impolverate. Fuori, polvere, sabbia e vento.
    Null'altro, o almeno tutto ciò che c'è di significativo finisce qui. Probabilmente.

    "Sta finendo. Tutto."

    "Ovvio che sì, ragazzo mio. I tempi scorrono e noi ci siamo in mezzo, purtroppo o per fortuna non c'è altro da fare."

    Le mani si avvicinano alla bottiglia. Il vetro è freddo, il bancone duro come il marmo, le mani paiono inesistenti. Gli occhi si chiudono e riaprono.

    "Non ti dirò che abbiamo vissuto una bella vita, perchè così non è stato. Non cercherò di convincerti che quello che è là fuori non si avvicinerà a noi, nè che a breve tutto quello che abbiamo conosciuto si dissolverà. Questi minuti sono il tuo ed il mio ultimo giorno nel mondo, e siamo soli."

    Un sussurro, incomprensibili parole strozzate. Fuori il vento si fa più forte, mentre dentro alla stanza rimane il solo eco della desolazione per alcuni minuti. Silenzio, calmo ed opprimente silenzio.
    Ciò che vive non tace.

    Allontana le dita.
    "Cosa c'è che non va, ragazzo? Lasciati andare, o ci dovrò pensare io. Ti capisco. Calmati, prendilo e butta giù. Dovrai ugualmente aspettare."
    Abbassando la testa sul bancone, un nuovo gemito soffocato tenta di farsi strada tra le sue labbra. Schiacciato dall'avanzare degli eventi, ha da dire ciò che non può. E non riesce.

    Per un attimo, l'unico suono udibile nello stanzone è il tremendo fischio del vento. Così pacato, calmo e distruttivo da risultare incomprensibile.
    La sabbia gli passa tra le mani, impalpabile e ruvida allo stesso tempo. E, mentre la giacca preme contro la sua pelle ed il cappello copre il suo capo, uno sciame di domande prende posto nella sua misera scatola cranica.

    Difficile da definire così come identificare, quel sentimento di smarrimento e solitudine che si prova quando si è veramente privi d'ogni cosa. E come in un solo, melanconico e definito istante, la prima lacrima si fa strada attraverso i suoi zigomi verso le guance secche, cadendo e abbattendosi impietosamente sul pavimento gelido.

    Il pugno si abbassa, privo di forza, colpendo il legno.
    Un'imprecazione seguita da un singhiozzo accompagna l'inosservato accendersi della radio, che in modo quasi ridicolo tenta di spezzare l'atmosfera generale.
    Non ci riesce.

    I teschi per terra sembrano parlare, ne vogliono un po' anche loro. Vogliono aiutarlo, ed invece rimangono statici come memento della tragedia imminente. Il vento è sempre più forte e sempre più calmo.

    "Ti ho mai raccontato di quando mi sono innamorato?"
    Un insicuro cenno con la testa.

    "E' andata come è andata. Ho passato anni a seguire una persona e a tentare di proiettare la mia ombra su di essa, dimenticando la mia identità. Ho perso parte di me, fino ad abbandonare tutto ciò che realmente mi interessava; un vegetale.
    La verità è che le emozioni sono nocive: Quello che ci rende umani, certo, ma anche quello che ci permette e ci garantisce di morire. Ed il nostro problema non è comunque questo. Si tratta della nostra sete di emozioni, è tutto ciò che andiamo cercando per poter avere di più, di nuovo, ancora, vivere per trovare amore e gioia.
    E se non troviamo ciò di cui ti ho appena parlato, ci rifugiamo come topi in tristezza e delusione.
    Come giudicheresti tutto? Ne trovi davvero il bisogno?"

    Ed il sorriso, che prima non sfiorava la bocca serrata, è ora alla massima altezza fra gli zigomi. La bocca si apre, il bicchiere va giù.
    La gola brucia. Gli occhi si riempiono di lacrime.

    Poi, più nulla.






     
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    Molto bello, Shade, complimenti. AR, comunque, perché come ha detto Pisy c'è del drammatico ma non abbastanza.
     
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  3. Keyain
         
     
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    AR anche per me, davvero bella e la musica ci sta davvero bene.
     
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    Tonight, Vinz joins the hunt

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    Non l'ho capita :v:
     
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  5. Stephan Albert Hawkinj
         
     
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    Bella, molto coinvolgente.
    Tra parentesi che gli Have a NIce ci stanno tutti, e questa canzone in particolare, col suo procedere malinconico e meditativo. Hai lasciato membra di te sparse in giro, tra queste poche righe, brevi ma intense. È un elaborato talmente bello che lo citerei da qualche parte, davvero.
    Hai un modo elegante di scrivere, sicuramente spontaneo, ed evocativo non poco. La scena di sposta dall'assolutamente sfumato e vaporoso a un nitore più malinconico, di angosciata constatazione, nostalgica presa di coscienza. Questo deserto post-apocalittico è tempestato da una vento "Così pacato, calmo e distruttivo da risultare incomprensibile", che è la drammatica descrizione di un ossimoro inalienabile, l'urlo individuale che si perde nella mischia di brusii sconnessi della folla incomprensibile (incompresa e che non comprende), che provoca a sua voltam nell'individuo, la disperata chiusura in sè stessi, esemplata dall'ultima barriera, prima che venga la tempesta, prima che si porti via tutto. E credo che quell'uomo dalla "misera scatola cranica" sia proprio tu, con le tue malate incertezze e le esangui cicatrici dell'auto-svilimento, con un groppo in gola che sanguina costantemente.
    "Ciò che vive non tace."
    È l'incertezza che ti tormenta, se uscire dalla baracca, ultimo baluardo della tua interiorità, il rimanente usbergo del tuo io sconnesso, ed andare a fare compagnia ai teschi.
    E con l'incertezza lo smarrimento.

    "Ed il sorriso, che prima non sfiorava la bocca serrata, è ora alla massima altezza fra gli zigomi. La bocca si apre, il bicchiere va giù.
    La gola brucia. Gli occhi si riempiono di lacrime.

    Poi, più nulla."

    L'ho letto almeno due tre volte. Bravissimo.
     
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4 replies since 31/3/2014, 21:50   116 views
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