Una storia di fantasmi

Algernon Blackwood

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  1. Indigo.
         
     
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    «Sì,» disse lei, seduta in un angolo buio, «vi racconterò una storia, se lo desiderate. E, per di più, ve la racconterò in breve, senza tanti giri: voglio dire, senza particolari superflui. È una cosa che i narratori non fanno mai, come ben sapete,» rise. «Si perdono in una serie di cose senza importanza e lasciano i loro ascoltatori a sbrogliare la matassa; io invece vi darò solo l'essenziale e potrete farne ciò che vi piacerà. Ma ad una condizione: che alla fine non mi facciate domande, perché non sono in grado di rispondervi e comunque non avrei voglia di farlo.»
    Fummo d'accordo. Eravamo tutti seri. Dopo aver ascoltato una dozzina di storie prolisse raccontate da gente che desiderava solo "chiacchierare" senza aver nulla da dire, volevamo "l'essenziale".
    «A quel tempo,» cominciò, sentendo dalla qualità del nostro silenzio che eravamo pronti a prestarle ascolto, «a quel tempo mi interessavo ai fenomeni psichici, ed avevo deciso di trascorrere una notte da sola in una casa stregata che si trovava nel centro di Londra. Era una casa tetra, non ammobiliata, situata in una strada principale, e si dava in affitto per poco. Quel pomeriggio l'avevo già esaminata alla luce del sole, ed avevo in tasca le chiavi datemi dal custode, che abitava alla porta accanto. La storia era buona - almeno, io credevo che valesse la pena di fare delle ricerche - e non voglio stancarvi con i particolari dell'assassinio della donna e tutte le complicate congetture che portavano a credere che in quel posto ci fossero delle presenze. Vi basti sapere che c'erano.
    Per questo, mi infastidì non poco, quando giunsi li alle undici di sera, trovare ad attendermi per le scale un uomo, che presi per il vecchio e loquace custode. Eppure ero stata sufficientemente chiara nel dire che desi-deravo rimanere sola, quella notte.»
    «Vorrei mostrarle la stanza,» borbottò, e naturalmente non potevo proprio rifiutare, visto che l'avevo seccato chiedendogli temporaneamente in prestito una sedia ed un tavolo.
    «Entri, allora, e facciamo in fretta,» gli dissi.


    Entrammo: lui che si trascinava dietro di me attraverso l'ingresso fino al primo piano dove era avvenuto il delitto, ed io che mi preparavo ad ascoltare l'inevitabile resoconto, prima di accompagnarlo alla porta con la mezza corona che si sarebbe guadagnato con la sua insistenza.
    Dopo aver acceso la lampada a gas, mi misi a sedere nella poltrona che mi aveva fornito - una poltrona di felpa, di un marrone stinto - e mi voltai per la prima volta a guardarlo, decisa a liberarmi di lui il più presto possi-bile. Fu in quell'istante che ebbi il primo shock. L'uomo non era il custode. Non era Carey, il vecchio rimbambito con cui avevo parlato al mattino e preso accordi. Il mio cuore diede un balzo.
    «Ora, chi è lei, di grazia?» dissi. «Lei non è Carey, l'uomo con cui mi sono accordata nel pomeriggio. Chi è?»
    Mi sentivo un po' a disagio, come potrete immaginare. Ero una «studiosa di fenomeni psichici» ed una giovane donna emancipata, ma non avevo nessuna voglia di trovarmi sola in una casa con uno sconosciuto. Persi un po' della mia sicurezza. Nelle donne, la sicurezza, oltre un certo limite, è tutto un imbroglio, come sapete. O forse non lo sapete, perché per la maggior parte siete uomini. Ad ogni modo, il mio coraggio se ne andò in fumo, ed ebbi paura.
    «Chi è lei?» ripetei in fretta, nervosamente. Il tipo era ben vestito, dall'aspetto sano e giovanile, ma con un'espressione di profonda tristezza. In quanto a me, avevo allora circa trent'anni. Questi particolari sono essenzia-li, altrimenti non ve ne parlerei. Questa storia è completamente al di fuori dell'ordinario. Credo che sia interessante proprio per questo.
    «No,» disse; «io sono l'uomo che fu spaventato a morte.»
    La sua voce e le sue parole mi attraversarono come un coltello, e fui sul punto di perdere i sensi. In tasca avevo il taccuino per prendere appunti. Sentivo la matita infilata nel reggicalze. Sentivo anche tutte le cose calde che mi ero messa addosso per passare la notte lì, visto che non erano disponibili né un letto né un divano: un centinaio di cose sconnesse e senza senso mi passarono per la testa, come accade sempre quando si è realmente spaventati. Particolari senza importanza mi assalivano e mi sconcertavano, ed io pensavo a quello che avrebbero scritto sui giornali, a quello che avrebbe pensato il mio "affascinante" cognato, e se avrebbero detto che tenevo in tasca le sigarette ed ero una libera pensatrice.
    «L'uomo che fu spaventato a morte!», ripetei atterrita.
    «Sono io» disse lui, stupidamente.
    Lo fissavo proprio come avreste fatto voi - ognuno di voi uomini che ora mi ascoltate - e sentivo che la vita si allontanava da me come una sorta di liquido bollente. Non dovete ridere! È proprio quello che provai. Quando nella mente c'è il terrore - terrore vero - ogni minima cosa, si sa, la colpi-sce con grande chiarezza. Ma avrei potuto trovarmi ad un party della buona borghesia, a giudicare dalle idee che mi venivano, tutte terribilmente ordinarie!
    «Ma io pensavo che lei fosse il custode a cui oggi pomeriggio ho chiesto di farmi dormire qui!», dissi con voce strozzata. «È stato Carey a mandarla qui?»
    «No,» rispose con una voce che in qualche modo mi toccò nel profondo dell'essere. «Sono l'uomo che fu spaventato a morte. E per di più sono spaventato adesso!»
    «Anch'io!» riuscii a dire, parlando istintivamente. «Sono semplicemente terrorizzata.»
    «Sì,» replicò con la stessa voce strana, che sembrava risuonare dentro di me. «Ma lei è ancora in carne ed ossa, ed io... non lo sono.»
    Sentii il bisogno di un'energica autoaffermazione. Stavo lì impalata, in quella stanza vuota e senza mobili, con le unghie conficcate nei palmi delle mani, a denti stretti. Ero decisa ad affermare la mia individualità ed il mio coraggio di donna moderna e di spirito libero.
    «Intende dire che non è in carne ed ossa?» ribattei a fatica. «Di che diavolo sta parlando?»


    Il silenzio della notte inghiottì la mia voce. Per la prima volta realizzai che le tenebre erano calate sulla città; che l'oscurità avvolgeva le scale; che il piano di sopra non era abitato e quello di sotto era vuoto. Ero sola in una casa infestata dai fantasmi, senza protezione. Ed ero una donna. Mi sentii ghiacciare. Udivo il vento intorno alla casa e sapevo che le stelle erano nascoste dalle nuvole. I miei pensieri corsero agli autobus, ai poliziotti, a tutto quello che poteva essere di qualche utilità e qualche conforto.
    All'improvviso compresi quanto fosse stato sciocco da parte mia venire da sola in una casa simile. Ero spaventata a morte. Credevo di essere giunta alla fine della mia vita. Ero veramente una stupida ad andare in giro a fare strani esperimenti senza avere il sangue freddo necessario.
    «Buon Dio!» mi uscì a stento. «Se lei non è Carey, l'uomo con cui ho preso accordi, chi è?»
    Ero irrigidita dalla paura. L'uomo avanzò lentamente verso di me attraverso la stanza vuota. Alzai una mano per fermarlo, e nello stesso istante feci un salto dalla poltrona. Lui si fermò proprio di fronte a me, con un sorriso stanco sul viso triste.
    «Le ho detto chi sono,» ripeté con un sospiro, guardandomi calmo con gli occhi più tristi che avessi mai visto, «e sono ancora spaventato.»
    Ma allora mi convinsi di aver a che fare con un vagabondo o con un pazzo, e maledissi la mia stupidità, per averlo fatto entrare senza guardarlo in volto. Ripresi animo e seppi che cosa dovevo fare. Fantasmi e fenomeni psichici se ne andarono all'aria. Se lo avessi fatto arrabbiare, ne sarebbe potuto andare della mia vita. Dovevo distrarlo e riuscire ad arrivare alla porta, poi mi sarei precipitata in strada. Mi piantai in piedi di fronte a lui e lo affrontai baldanzosa. Eravamo all'incirca della stessa altezza, ed io ero una donna forte e atletica, che d'inverno giocava ad hockey e d'estate scalava le montagne. La mia mano reclamava un bastone, ma non ne avevo.
    «Certo, ora ricordo» dissi con un sorriso stiracchiato, che mi costò un notevole sforzo. «Ora ricordo il suo caso ed il modo meraviglioso in cui si comportò...»
    L'uomo mi fissò con un'aria stupida, e mi seguì con lo sguardo mentre arretravo sempre più in fretta verso la porta. Ma quando la sua faccia si aprì in un sorriso, non riuscii più a controllarmi. Raggiunsi di corsa la porta, e mi precipitai sul pianerottolo. Come una sciocca, presi la strada sbagliata, e finii per le scale che conducevano al piano di sopra. Ma era troppo tardi per tornare indietro. L'uomo mi aveva raggiunta, ne ero sicura, anche se non udivo alcun rumore di passi. Corsi su per la scala buia, tenendo sollevata la gonna, e mi lanciai nella prima stanza che vidi. Fortunatamente la porta era spalancata, e, per fortuna ancora più incredibile, la chiave era nella serratura. In un attimo avevo sbattuto la porta, mi ci ero gettata contro con tutto il mio peso, ed avevo girato la chiave.
    Ero salva, ma il mio cuore batteva come un tamburo. Un attimo dopo sembrò fermarsi addirittura, perché mi accorsi che c'era qualcun altro nella stanza, oltre a me. Un uomo stava in piedi tra me e la finestra, proprio nel punto in cui dalla strada giungeva luce sufficiente a delineare i contorni della sua figura contro i vetri. Sono una donna coraggiosa, evidentemente, perché neanche allora abbandonai le speranze, ma posso assicurarvi di non aver mai provato un terrore simile da quando sono nata. Mi ero chiusa dentro con lui!
    L'uomo si appoggiò alla finestra e rimase a guardarmi, mentre giacevo sul pavimento in preda ad una specie di collasso. Dunque in casa c'erano due uomini, riflettei. Forse anche le altre stanze erano occupate! Che cosa poteva significare? Ma, mentre ero lì con lo sguardo fisso, qualcosa cambiò nella stanza, oppure in me - è difficile da stabilire - e mi accorsi del mio errore, cosicché la mia paura, che fino allora era stata fisica, all'improvviso cambiò natura e divenne psichica. Seppi immediatamente chi era quell'uomo, e questa volta a spaventarsi fu la mia anima, invece del mio cuore.
    «Come ha fatto ad arrivare qui!» balbettai, mentre lo stupore frenava momentaneamente la paura.
    «Beh, lasci che le spieghi,» cominciò, con quella sua voce strana e lontana, che scese giù per la mia schiena come un coltello. «Io sono in uno spazio differente, e lei mi troverebbe in qualunque stanza andasse. Perché, almeno dal suo punto di vista, io sono in tutta la casa. Lo spazio è una condizione corporea, ma io sono fuori del corpo, e lo spazio non mi riguarda. È la mia condizione a mantenermi qui. Io voglio qualcosa che cambi la mia condizione, perché allora potrei andare via. Ciò che voglio è comprensione. Anzi, più che comprensione; voglio affetto - voglio amore!»


    Mentre parlava, mi misi lentamente in piedi. Avrei voluto urlare e strillare e ridere nello stesso tempo, ma mi riuscì solo di singhiozzare, perché le mie energie si erano esaurite e cominciavo a sentirmi intontita. Cercai i fiammiferi nella tasca e feci un movimento verso la lampada a gas.
    «Sarei molto più contento se lei non accendesse la lampada,» disse allora, «perché le vibrazioni della luce mi procurano sofferenza. Non deve aver paura che io le faccia del male. Per cominciare, non posso toccare il suo corpo, perché tra di noi c'è un abisso invalicabile; e poi, davvero preferisco la penombra. Ora, mi permetta di continuare ciò che stavo cercando di dirle. Vede, molte persone sono venute in questa casa per vedermi, e la maggior parte di loro mi ha visto, e si sono spaventati tutti, dal primo all'ultimo. Se soltanto, oh! se soltanto qualcuno non si spaventasse, ma fosse gentile e amabile con me! Allora, vede, potrei cambiare la mia condizione e andare via.»
    La sua voce era così triste, che sentii spuntarmi le lacrime; ma la paura mi frenava, e rimasi ad ascoltarlo fredda e agitata.
    «Chi è lei, allora? Naturalmente non l'ha mandata Carey, ora lo so,» riuscii a dire. I miei pensieri erano orribilmente confusi e non trovavo niente da dire. Avevo paura che mi venisse un colpo.
    «Non so niente di Carey, non so neanche chi sia,» continuò piano l'uomo, «ed ho dimenticato il nome che aveva il mio corpo, grazie a Dio. Ma sono l'uomo che dieci anni fa fu spaventato a morte in questa casa: da allora sono spaventato, e lo sono ancora, perché la successione di persone curiose e crudeli che viene qui per vedere il fantasma, e così tiene viva l'atmosfera di terrore della casa, non fa che peggiorare la mia condizione. Se solo qualcuno fosse gentile con me - se solo ridesse, mi parlasse con dolcezza e con raziocinio, se solo mi desse pietà, conforto, consolazione - ma vengono qui per curiosità e tremano, proprio come lei sta facendo ora in quell'angolo. Signora, non vuole avere pietà di me?» La sua voce divenne un grido disperato. «Non vuole avvicinarsi e cercare di volermi un po' di bene?»
    Nell'udire queste parole, mi salì in gola un'orribile risata, ma la pietà fu più forte, e mi trovai davvero a lasciare la parete ed a muovermi verso il centro della stanza.
    «Dio mio!» gridò, drizzandosi contro la finestra, «lei è stata gentile. Questa è la prima dimostrazione di simpatia che ricevo da quando sono morto, e mi sento già meglio. Da vivo, sa, ero un misantropo. Tutto mi dava fastidio, ed arrivai ad odiare gli altri uomini tanto da non sopportarne la vista. Naturalmente, una cosa genera l'altra, e quest'odio era ricambiato. Alla fine presi a soffrire di orribili allucinazioni, e la mia camera si riempì di demoni che sghignazzavano e facevano smorfie, finché una notte, accanto al mio letto, mi imbattei in un intero conciliabolo di questi orrori. La paura mi fermò il cuore e ne morii. Sono l'odio ed il rimorso, oltre al terrore, che mi opprimono e mi tengono qui. Se solo qualcuno provasse compassione per me, e simpatia, e forse un po' d'amore, io potrei andarmene ed essere felice. Quando lei è venuta questo pomeriggio a vedere la casa, io l'ho guardata, e per la prima volta ho avuto una piccola speranza. Ho capito che lei ha coraggio, originalità, risorse... amore. Se solo io potessi toccare il suo cuore, senza spaventarla, forse potrei liberare quell'amore che è chiuso nel suo essere, e così avere le ali per la fuga!»


    A questo punto devo confessare che il mio cuore cominciava a soffrire, mentre la paura mi abbandonava e il triste significato delle parole dell'uomo si incideva profondamente dentro di me. E tuttavia, l'intera faccenda era così incredibile, così straordinaria, ed era evidente ormai che la storia dell'omicidio della donna non aveva niente a che fare con la casa, che io mi sentivo in una specie di sogno selvaggio. Probabilmente l'incubo avrebbe avuto fine da un momento all'altro ed io mi sarei risvegliata nel mio letto.
    Per di più, le sue parole avevano un tale effetto su di me, da impedirmi di riflettere e di considerare razionalmente un mezzo o un sistema per fuggire da quella situazione. Mi avvicinai ancora a lui nell'oscurità, orribilmente spaventata, certo, ma con una specie di strana determinazione in cuore.
    «Voi donne,» continuò, e mentre mi avvicinavo gli si incrinò leggermente la voce, «voi donne meravigliose, a cui spesso la vita non offre alcuna possibilità di spendere il vostro patrimonio d'amore, oh, se solo poteste sa-pere quanti di noi ne sono semplicemente assetati! Se solo lo sapeste, questo salverebbe le nostre anime. Poche hanno la possibilità che lei ha ora, ma se solo voi deste il vostro amore liberamente, senza un oggetto definito, lasciandolo scaturire da voi per tutti quelli che ne hanno bisogno, raggiungereste centinaia, migliaia di anime come la mia, e ci liberereste! Oh, signora, le chiedo ancora di avere comprensione per me, di essere dolce e gentile e, se può, di amarmi un po'.»


    Ebbi un tuffo al cuore, e questa volta le lacrime sgorgarono, perché non riuscii a trattenerle. Mi misi anche a ridere, perché il modo in cui mi chiamava "signora" suonava cosi strano, in quella stanza vuota, a mezzanotte, in una strada di Londra: ma la risata mi morì in gola e fu sommersa da un fiume di pianto, quando vidi le reazioni che il mio cambiamento aveva provocato in lui. Aveva lasciato la finestra ed ora era in ginocchio ai miei piedi, con le braccia tese verso di me, mentre intorno al suo capo apparivano i vaghi segni di una specie di aureola.
    «Mi stringa tra le sue braccia e mi baci, per amor di Dio!» gridò. «Baciami, oh, baciami, ed io sarò libero! Hai fatto già tanto... fa' anche questo!»
    Ero lì immobile, incerta, sconvolta, sul punto di muovermi e tuttavia incapace di farlo. Ma il terrore era quasi scomparso.
    «Dimentica che io sono un uomo e tu una donna,» continuò con la voce più supplichevole che abbia mai udito. «Dimentica che sono un fantasma, e vieni avanti coraggiosamente, e stringimi a te, baciami, lascia che il tuo amore scorra dentro di me. Dimentica te stessa solo per un minuto, sii audace! Oh, amami, amami, AMAMI! ed io sarò libero!»
    Quelle parole, o la forza profonda che scatenavano nel centro del mio essere, mi scossero, ed un'emozione infinitamente più grande della paura salì dentro di me e mi trascinò. Senza esitare, mi chinai verso di lui ed aprii le braccia. In quel momento pietà ed amore erano nel mio animo, lo giuro, vera pietà e vero amore. Dimenticai me stessa ed i miei tremori nel grande desiderio di aiutare un'altra anima.
    «Ti amo! povero essere infelice! Ti amo,» gridai attraverso le lacrime cocenti; «e non ho neanche un po' di paura.»
    L'uomo emise un suono curioso, come una risata, e tuttavia non una risata, e girò il viso verso di me. Era illuminato dalla luce che proveniva dalla strada, ma intorno a lui splendeva anche un'altra luce, che sembrava irradiarsi dai suoi occhi e dalla sua pelle. Si alzò in piedi e si avvicinò a me, ed in quell'attimo lo strinsi al mio petto e lo baciai sulle labbra e poi ancora ed ancora.»


    Tutte le nostre pipe si erano spente, e nello studio avvolto dalla penombra non si udì neanche un fruscìo, quando la narratrice fece una pausa per rendere ferma la voce e portarsi delicatamente una mano agli occhi, prima di continuare.
    «Cosa posso dirvi ora, come posso spiegare a voi, a tutti voi uomini scettici che sedete lì con la pipa in bocca, le stupefacenti sensazioni che provai nel tenere stretta al cuore una cosa intangibile, impalpabile, di cui sentivo però il contatto su tutto il corpo, e che poi in qualche modo si fuse con il mio stesso essere? Perché fu come essere investiti da una folata di vento gelido quando, nel momento in cui passa sul nostro corpo, sentiamo una specie di calore bruciante. Una serie di incredibili emozioni mi attraversò; in un'estasi fulminea, fui percorsa da una fiamma di dolcezza e di meraviglia; di nuovo sentii il cuore in gola... e poi fui sola.
    La stanza era vuota. Per averne la certezza accesi la lampada a gas. La paura mi aveva abbandonato del tutto e qualcosa cantava nell'aria intorno a me e nel mio cuore, qualcosa che somigliava alla gioia di un mattino di primavera in gioventù. Neanche tutti i diavoli, e le ombre, e gli spettri del mondo, avrebbero potuto provocarmi un solo tremito.
    Aprii la porta e girai per tutta la casa buia: andai persino in cucina e nello scantinato e su in soffitta. Ma la casa era vuota. La presenza l'aveva lasciata. Rimasi ancora per circa un'ora, a pensare, meravigliarmi, fare congetture - forse potete immaginare come e su cosa, ma non voglio darvi i particolari, perché, ricordate?, vi ho promesso solo l'essenziale - e poi tornai a dormire nel mio appartamento, chiudendo dietro di me la porta di una casa non più infestata dai fantasmi.
    Ma mio zio, Sir Henry, il proprietario della casa, mi chiese di raccontargli la mia avventura e, naturalmente, mi sentivo in dovere di presentargli una storia almeno plausibile. Prima che potessi cominciare, ad ogni modo, mi fece cenno di aspettare.
    «Prima,» disse, «vorrei dirti che ho usato con te un piccolo sotterfugio. Era stata così tanta la gente che aveva visitato la casa e visto il fantasma, che ero arrivato a pensare che la storia agisse sulla loro immaginazione, e così ho deciso di fare un esperimento migliore. Ho inventato un'altra storia, con l'idea che, nel caso in cui tu avessi visto qualcosa, avrei potuto es-sere sicuro che non fosse dovuto semplicemente alla tua fantasia eccitata.»
    «Allora tutto quello che mi hai detto della donna assassinata e del resto, non era la vera storia del fantasma?»
    «No, non lo era. La verità è che un mio cugino diventò pazzo in quella casa e, dopo anni di miserabile ipocondria, si uccise in preda ad un attacco di terrore. È lui quello che la gente vede.»
    «Allora questo spiega...» dissi con voce strozzata.
    «Spiega cosa?»
    Pensai alla povera anima sofferente, che in tutti quegli anni aveva bramato la fuga, e decisi per il momento di tenere la mia storia per me.
    «Volevo dire, spiega il fatto che io non abbia visto il fantasma della donna assassinata,» conclusi.
    «Precisamente,» concluse Sir Henry, «e per questo, se tu avessi visto qualcosa, avrebbe avuto davvero valore, perché non avrebbe potuto esserne responsabile il lavoro esercitato dalla tua immaginazione su una storia che ti era già nota.»

    Edited by Indigo. - 25/12/2013, 16:09
     
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