Le zucche della strega Sgranocchia

Margaret Mahy

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    C'erano una volta tre vecchietti che abitavano porta a porta in un piccolo paese di campagna: la casa del signor Hawthorne era a destra, quella del signor Lavender a sinistra, e nella casa di mezzo stava il signor Maverick-Mace. “Una rosa tra due spine” soleva dire, anche se chiunque altro sarebbe stato pronto a sostenere che egli era, semmai, una spina tra due rose: il signor Maverick-Mace era noto per essere un tipo intrattabile e pungente.
    Questi tre signori erano appassionati di giardinaggio: coltivavano fiori e ortaggi di ogni tipo, ma i loro giardini si presentavano assai diversi l'uno dall'altro. Il giardino del signor Hawthorne era quanto di più caotico e confusionario si possa immaginare: i cavoli vagabondavano tra le giunchiglie, e le aquilegie si mandavano cenni di saluto attraverso le carote. Il signor Maverick-Mace guardava dalla sua siepe e sbuffava con altezzosa disapprovazione. Il terreno del signor Lavender era assai più lindo e curato, ma sul ciglio del tappeto erboso cresceva un grande albero le cui radici, a giudizio del signor Maverick-Mace, si allargavano minacciosamente verso il suo orto, come per tendergli una trappola.
    “Dovrebbe abbatterlo” diceva al signor Lavender “Non potrà mai avere un orto come si deve, finché c'è quell'albero. E oltre tutto le sue radici s'insinuano anche nella mia proprietà”
    “Oh, bhe, gli uccelli l'adorano” rispondeva il signor Lavender “e anche io”. Rasava regolarmente il prato, e nella verde ombra dell'albero aveva messo una vaschetta d'acqua per gli uccellini; fra le nodose radici aveva seminato macchie di crochi, e teneva una scala a pioli appoggiata al tronco perché i bambini potessero salire sull'albero quando venivano a trovarlo.
    Quanto al signor Maverick-Mace, più che coltivare un orto pareva che presiedesse un'esercitazione militare: le piante erano allineate in file perfette, e alla loro base il terreno era nudo e bruno come un campo di parata. Si trattava per lo più di ortaggi da vendere al mercato, ma c'erano anche aiole di fiori che il signor Maverick-Mace coltivava per partecipare ai concorsi floreali. Erano senz'altro più grandi e variopinti di quelli che crescevano nel giardino del signor Lavender o in quello del signor Hawthorne, ma doveva darsi un gran daffare per proteggerli dal vento e dalla pioggia e dal gelo: o li assiepava in una angusta serra di vetro che aveva allestito dietro la casa, oppure li avvolgeva in sacchetti di plastica. Se gli capitava di sorprendere qualcuno che si affacciava alla sua siepe per fissare quegli strani fiori nei loro cappucci di plastica, il signor Maverick-Mace dava per certo che progettasse di rubarglieli: inalberava un gran cipiglio e lanciava velenosi commenti, finché quel qualcuno se la filava via.
    “Perché comportarsi così?” gli diceva il signor Hawthorne “Non c'è nessun ladro, qua in giro. Nessuno si sogna di toccare il mio orto o quello del signor Lavender, tranne i bambini che vengono a farci visita”
    “Lei è padrone di pensarla come crede, signor Hawthorne” puntualizzava il signor Maverick-Mace “Ma il mio giardino è pieno di piante pregiate, mentre il suo è un guazzabuglio di cose, e per giunta coperto di erbacce. Non può certo paragonare il suo giardino al mio” e sbuffando con aria di superiorità marciava a strillare ordini soldateschi alle sue terrorizzate e tremebonde barbabietole.
    Ora, in fondo alla strada dove abitavano i tre ortolani, c'era un piccolo appezzamento di terremo rimasto libero e incolto all'epoca in cui avevano costruito le case di quel quartiere: in questo triangolo di erbacce s'era installata una roulotte marrone, così rannicchiata tra l'erica e le ortiche sa sembrare che fosse cresciuta lì, come se avesse lunghe, segrete radici che sprofondavano sotto terra. Vi abitava una piccola signora molto molto vecchia, bruna e scalcinata come la sua roulotte; portava calze a righe rosse e bianche, e variopinte sottane tutte rattoppate e con l'orlo diseguale.
    “Le mie gonne sono il mio giardino” diceva al signor Hawthorne e al signor Lavender “Ogni volta che cucio una nuova toppa è come se piantassi un nuovo fiore”
    La roulotte aveva una piccola veranda, dov'era appesa la gabbia del canarino, e qui la vecchia si sedeva ogni sera, suonando la sua ammaccata fisarmonica, mentre il canarino cantava una canzone per tenerle compagnia. Inutile dirlo, il signor Maverick-Mace non le rivolgeva mai la parola: sospettava che tenesse d'occhio i suoi preziosi fiori per strapparglieli via al momento opportuno, o che intendesse devastare i ranghi compatti delle sue carote. Quando la vecchietta scendeva in paese a far compere, lui ne sorvegliava attentamente ogni passo, acquattato dietro le tendine di casa: una volta, addirittura, la vide appoggiare una mano sul suo cancello, mentre chiacchierava col signor Hawthorne.
    “Aspetta che la colga con le mani nel sacco!” borbottava tra sé “Gliene dirò quattro, da farle ronzare le orecchie per un bel pezzo!”
    Il nome della vecchietta era signora Mehetibel.

    Una primavera si sparse la voce che quell'anno ci sarebbe stata penuria di zucche, e il signor Maverick-Mace si dispose immediatamente a seminarne qualche filare. In genere evitava di coltivare zucche perché non gli piaceva lo zingaresco disordine con cui si espandevano e disdegnava quel loro affacciarsi dai bordi delle siepi, come se volessero curiosare in giro: era un comportamento che il signor Maverick-Mace riteneva quanto mai riprovevole. Ad ogni modo, in quell'occasione pensò che valesse la pena rassegnarsi ad averne un po' nel suo orto, se davvero minacciavano di essere scarse: forse avrebbero fatto la sua fortuna.
    Mentre era curvo a zappettare, una voce lo salutò dalla strada: con suo estremo orrore vide che si trattava della signora Mehetibel.
    “Buon giorno” gli disse
    “'Giorno” rispose lui, in tono burbero e ostile.
    “Lei ha un gran bell'orto, sa?” continuò la voce.
    “Perché tanta cordialità, così di punto in bianco?” si chiese il signor Maverick-Mace, e non si degnò di rispondere.
    “E i suoi cavoli sono una meraviglia” continuò lamentosamente la voce “Ho un debole per il gusto dei cavoli. Non potrebbe mica darne uno in fondo alla fila a una povera vecchia?”
    Il signor Maverick-Mace si rizzò in preda alla collera: “No, non posso, signora” dichiarò “Per prima cosa rovinerebbe l'aspetto del filare, e poi io non coltivo cavoli per darli via: li coltivo per venderli e guadagnarci sopra, e non per regalarli alla prima vecchia strega che me li chiede... e dopo aver fatto tutto il lavoro, per giunta”
    Ci fu una pausa di silenzio, poi la voce riprese “Strega, ha detto? E strega sarà!”. Ciò detto, la vecchietta si allontanò lungo la strada, camminando a passi strascicati.
    Il signor Maverick-Mace la seguì con lo sguardo, oppresso da un improvviso senso di allarme. “Quella era la signora Mehetibel, vero?... Quella figura tutte toppe, col fazzolettone rosso in testa... La voce era sicuramente la sua... o no?” si chiedeva. “Non c'era per caso una piccola differenza?”
    Dalla siepe di sinistra saltò su il signor Lavender: “Lei è davvero un uomo coraggioso!” disse.
    “E' uno stupido” esclamò il signor Hawthorne, sbucando dalla siepe di destra.
    “Parlare così alla sorella della signora Mehetibel!” trasecolava il signor Lavender.
    “Sua... sua sorella?” ripeté il signor Maverick-Mace.
    “Sua sorella gemella: la famosa strega Ginger Sgranocchia!” declamò il signor Hawthorne “Io cerco sempre di essere educato con tutti, ma con Ginger Sgranocchia potrei arrivare addirittura all'ossequio!”
    “Bhe, io non credo alle streghe” ribatté cupamente il signor Maverick-Mace “E adesso lasciatemi continuare il mio lavoro”
    Ma quando si accinse a seminare le zucche, scoprì che i semi erano diventati azzurri. La cosa gli diede da pensare: poi, dopo un primo momento di perplessità, scoppiò a ridere... “Perbacco” pensava “se le zucche vengon su azzurre, sarà lo stesso la mia fortuna. Magari nessuno vorrà mangiarle, ma pagheranno un occhio della testa per venire a vederle. Scienziati e musei di tutto il mondo faranno a gara per comprarmele!”.
    Non vedeva l'ora che cominciassero a crescere: ma quando ciò avvenne, si rivelarono delle zucche normalissime, se si esclude il fatto che erano spuntate una settimana prima del previsto. Il signor Maverick-Mace ne fu profondamente deluso, e sfogò il suo malumore sul resto dell'orto, trattandolo con tanta asprezza che due file di rapanelli, da tosse che erano, diventarono bianche.
    Dapprincipio le zucche crescevano tranquille per conto loro, sempre più grosse e belle, e il signor Maverick-Mace sogghignava soddisfatto, pensando a quante avrebbe potuto venderne a prezzi maggiorati; sentiva alla radio che in tutti gli altri orti, quell'anno, le zucche venivano su flaccide e depresse, e la notizia gli dava un enorme piacere: “Già mi par di sentire monete che tintinnano, banconote che frusciano!” gongolava tra sé.
    Le zucche crescevano e crescevano: emisero verdi braccia filiformi e migliaia di dita sinuose. Scavalcarono la siepe del signor Hawthorne, terrorizzando i suoi piselli dolci; invasero il campetto di cipolle del signor Maverick-Mace, strisciando come bruchi fronzuti. A questo punto il signor Maverick-Mace non era più così compiaciuto: prese dal nervosismo, le cipolle s'erano sparpagliate fuori dalle righe, rovinando l'armonia dell'orto.
    “Zucche della malora” ringhiava il signor Maverick-Mace “Ma che importa!” tentava di consolarsi “E' bello vedervi crescere così bene. Non ho mai visto zucche così rigogliose!”.
    Un crepito serpeggiò tra le zucche, come se una brezza improvvisa ne agitasse le foglie.
    “Benedette loro, sono così in gamba! Si direbbe quasi che vogliano rispondermi!” osservò il signor Maverick-Mace con affettuosa ammirazione.
    “Sono fin troppo in gamba, dal mio punto di vista” disse il signor Hawthorne, spuntando da dietro la siepe “Si allungano così in fretta che proprio non mi piace. Non è naturale che una pianta si sviluppi in questo modo. Par quasi di vederle crescere sotto i tuoi occhi, praticamente!”
    “Tutta invidia!” pensò il signor Maverick-Mace. E a voce alta disse: “Bhe, gli ho dato un po' di Swish, il prodigioso fertilizzante per zucche. Deve avergli fatto un gran bene”
    “Fin troppo bene, dico io” ribattè il signor Hawthorne. Schiaffò via un viticcio vagabondo che sembrava deciso a rapinargli gli occhiali “Quelle non sono zucche... Sono animali domestici, e non molto ben addestrati, per giunta. Le toccherà chiedere la licenza e mettere loro collare e guinzaglio, se vuole tenerle in casa. Fra un po' sarà in grado di portarle a passeggio”
    “Pura gelosia!” si disse il signor Maverick-Mace. Lo rallegrava pensare che gli altri fossero invidiosi delle sue zucche.
    Ma il mattino dopo sentì venir meno i suoi entusiasmi: non appena sceso nell'orto, scoprì che le zucche avevano ricoperto di un verde, fitto tappeto l'intero campetto di cipolle e, come se non bastasse, si davano un gran daffare a estirpare le carote. Il signor Maverick-Mace montò su tutte le furie: “V'insegno io, pestifere zucche che non siete altro!” sbraitava “Ora vi taglio! Vi poto! Vi mutilo!”
    Corse alla baracca degli attrezzi; al suo ritorno, cesoie in pugno, accadde un fatto curioso. Le zucche cominciarono a stormire e sibilare: le grandi foglie si agitavano come scosse dal vento e poi presero a ondeggiare come un mare in burrasca. Le lunghe braccia si allungarono tra le carote, strisciando e rizzandosi come ciechi serpenti infuriati.
    Di colpo il signor Maverick-Mace fu invaso dal terrore. “Non c'è bisogno che ve la prendiate a questo modo!” piagnucolava “Neanche me lo sognavo di potarvi o tagliarvi! Volevo solo sfrondare un pochino la siepe!”
    Si allontanò, quatto quatto; e mentre attaccava l'innocente siepe, avvertiva su di sé lo sguardo delle zucche, e gli pareva di sentirle confabulare in toni malevoli. Non osava voltar loro le spalle, ma al tempo stesso aveva paura di guardarle: alla fine sgattaiolò in casa e per calmarsi cominciò a leggere il suo Libretto di Risparmio.
    Quelli che seguirono furono i giorni più angoscianti che il signor Maverick-Mace avesse mai vissuto. L'orto non era più suo, ormai: apparteneva a quelle diaboliche zucche verdi. Estirpavano le carote, giocavano a bilie coi rapanelli, inondavano la lattuga come un mare selvaggio; poi fecero sparire le barbabietole, e il signor Maverick-Mace doveva assistere impotente a tanto scempio, senza poter fare assolutamente nulla. Ogni tanto, questo è vero, si precipitava fuori brandendo cesoie o roncole o asce – tutto quel che gli capitava – con la ferma intenzione di tranciare le piante ribelli: ma le zucche se ne accorgevano sempre e sibilavano furiosamente contro di lui, rizzando le sinuose braccia di serpente in atteggiamento di minaccia. E lui era troppo spaventato per minacciarle a sua volta e portare a compimento i suoi propositi.
    Poi, una notte, mentre si sforzava di leggere vecchie riviste di giardinaggio, accadde una cosa, una cosa che ormai si aspettava: un timido tamburellare alle sue finestre, il lieve raspare di mille e mille dita verdi.
    “Andate via!” bisbigliò “Via!”
    Ma le zucche non se lo sognavano neppure: ripresero a bussare, più forte che mai. Poi, con uno schianto che al povero, terrorizzato signor Maverick-Mace suonò come la fine del mondo, si spalancò la porta d'ingresso, s'infransero i vetri e le zucche piombarono in casa.
    “Aiuto! Aiuto!” prese a strillare con quanto fiato aveva in gola “Aiutatemi! Le zucche mi aggrediscono! Aiuto! Aiuto!”
    Nella sua casetta a destra si svegliò il signor Hawthorne; nella sua casetta a sinistra il signor Lavender abbassò il giornale. Senza pensarci due volte accorsero al salvataggio del loro vicino, pronti a ingaggiare un corpo a corpo con le sue terribili zucche. Il signor Hawthorne brandiva una vecchia spada che il suo bisnonno aveva consumato in battaglia, mentre il signor Lavender se ne arrivò in sella al suo tosaerba: insieme si lanciarono all'attacco, mentre le zucche ondeggiavano, s'impennavano e sibilavano come un mare in tempesta.
    Il primo assalto le colse di sorpresa: il tosaerba si avventò su di loro tagliando a tutto spiano, e la roteante spada del signor Hawthorne recise braccia su braccia.
    Ma ben presto le zucche si resero conto di quel che accadeva e operarono un vigoroso contrattacco: infilarono nel tosaerba le loro foglie pelose, e lo soffocarono; trascinarono via il signor Lavender, avviluppandolo di cirri; strapparono la spada dalle mani del signor Hawthorne, e un robusto braccio di zucca gli si avvinghiò alle caviglie, facendolo stramazzare a terra. I due continuarono a battersi con tutte le forze, sotto la fredda luce della luna, ma sapevano di dover soccombere: le zucche li avrebbero sgominati con estrema facilità, era ovvio.
    In effetti stavano ormai rinunciando all'idea di salvare il signor Maverick-Mace, quando, alzando gli occhi, videro il volto affilato della strega Sgranocchia che li osservava con un certo divertimento.
    “Bella nottata per avere un po' di eccitazione” osservò “e il chiaro di luna è spettacolare sulle zucche, vero?”
    Il signor Lavender e il signor Hawthorne erano troppo soffocati dal groviglio di cirri e foglie per poter rispondere
    “Ah, bene” continuò Sgranocchia “non vorrei che accadesse nulla di male a voi due signori, così forse sarà meglio che faccia un fischio ai miei tesorini, perché mi seguano: sto andando a casa, nel mio covo tra le colline”.
    Così dicendo, estrasse dalla cintola un lungo flauto sottile e intonò una strana melodia. A quelle note, l'intero terribile esercito di zucche interruppe la battaglia e si mise in ascolto: immobili, silenziose, stavano davvero ascoltando... su questo né il signor Lavender né il signor Hawthorne avevano dubbi. Poi, lasciandoli sul terreno pesti e senza fiato, le zucche estirparono le proprie radici e come flessuosi serpenti, docili e aggraziati, seguirono la strega e la sua strana musica. Sempre suonando, Sgranocchia le guidò verso le colline; il signor Lavender e il signor Hawthorne raggiunsero faticosamente il cancello dell'orto e la videro sparire per sempre dietro l'angolo, grigia come uno spettro nel chiaro di luna, seguita dal suo bizzarro corteo che danzava e saltellava e piroettava tutt'intorno a lei.
    Mentre erano assorti a guardare su spalancò l'uscio di casa e, barcollando, il signor Maverick-Mace zoppicò sulla veranda. Aveva gli abiti a brandelli, i capelli ritti sul cranio e un occhio nero -che si era procurato da solo nell'impeto della zuffa – ma, pur tra lividi e ammaccature, era sano e salvo, e così felice di vedere per l'ultima volta quelle terribili zucche stregate che scoppiò a piangere come un bambino e promise di condurre una nuova vita, all'insegna della benevolenza e della generosità.

    Ma, ahimè, per cambiare un uomo come lui ci voleva ben altro che rischiare di essere soffocato da un esercito di zucche impazzite: infatti, non appena guarito dal suo occhio nero, il signor Maverick-Mace riprese i modi bisbetici e boriosi di sempre. Anzi, c'è da dubitare se potesse esistere qualcosa in grado di migliorarne definitivamente il carattere: forse neppure un rullo compressore sarebbe arrivato a tanto. Ad ogni modo, la tremenda avventura di quella notte produsse in lui per lo meno due cambiamenti, come notarono i suoi amici.
    In primo luogo, smise di canzonare il signor Lavender e il suo albero, né strapazzava più il signor Hawthorne per la babilonia del suo giardino: in fin dei conti poteva benissimo accettare che l'albero del signor Lavender avesse radici che invadevano il suo sottosuolo, o che il signor Hawthorne lasciasse piena libertà a fiori e ortaggi, che se non altro non se ne venivano a tamburellare sulla porta di casa sua o a fracassargli le finestre.
    Il secondo cambiamento si produsse nei suoi rapporti con la signora Mehetibel: badava a essere il più garbato possibile, copriva di elogi il suo canarino e non mancava mai di mandarle interi fasci di ortaggi di stagione. Voleva ingraziarsela, insomma, perché lo preoccupava che potesse scrivere alla sorella gemella, la diabolica strega Ginger Sgranocchia, e che una notte di plenilunio quelle sue terribili zucche potessero strisciare fin da lui, a completare l'opera.
     
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  2. Rejkka
         
     
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    qualche errore grammaticale di distrazione qua e là; dividerei in altri paragrafi per alleggerire in modo illusorio la lunghezza.
    una favola carina :)
     
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  3. PatataKiller
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    Oh che carina! Mi é piaciuta tantissimo :3
     
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2 replies since 21/9/2013, 12:21   145 views
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