Il Segugio della Morte

Agatha Christie

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    1



    Fu William P. Ryan, un corrispondente americano, che per primo mi parlò della faccenda. Cenavo con lui, a Londra, alla vigilia del suo ritorno a New York, e per caso gli dissi che la mattina dopo sarei andato a Folbridge.
    Alzò gli occhi e chiese, di scatto: “Folbridge in Cornovaglia?”
    Solo una persona su mille sa che esiste una Folbridge in Cornovaglia. Gli altri pensano chi ci si riferisca all’omonima città dell’Hampshire. Il fatto che Ryan ne fosse informato mi incuriosì.
    “Proprio così” risposi. “La conosce?”
    “Che sia dannato, se non la conosco!” Quindi s’informò se avevo sentito parlare di casa Trearne.
    Il mio interesse aumentò.
    “Ma certo. E’ proprio là che vado. E’ la casa di mia sorella.”
    “Questa è bella!” commentò William P. Ryan.
    Gli chiesi di smetterla con gli indovinelli e di darmi una spiegazione.
    “Per farlo,” disse “devo raccontarle una cosa che mi è capitata all’inizio della guerra.”
    Sospirai: eravamo nel 1921 e a nessuno faceva piacere sentir parlare della guerra. Grazie a Dio, cominciavamo a dimenticare… Inoltre, quando Ryan raccontava una delle sue avventure sul fronte, era capace di perdersi in mille lungaggini.
    Ormai, però, non c’era modo di fermarlo.
    “All’inizio della guerra, come penso sappia, mi trovavo in Belgio per conto del mio giornale e mi spostavo con una certa frequenza. Bene, laggiù sorgeva un villaggio: proprio quattro casupole, glielo assicuro, ma con un grande convento nelle vicinanze. Non so a che ordine appartenessero, ma erano di quelle monache vestite di bianco… be’, comunque non ha importanza. Il posto si trovava proprio sul cammino dell’esercito tedesco, e quando arrivarono gli ulani…”
    Io mi agitai a disagio sulla sedia, ma Ryan alzò una mano e mi rassicurò.
    “Non si preoccupi, non è una storia di atrocità germaniche. Avrebbe potuto dimenticarlo, ma poi le cose sono andate diversamente. Direi anzi che a rimetterci siano stati proprio gli unni, i quali puntarono sul convento e… bum! Quello saltò in aria.”
    “Oh!”
    “Strana faccenda, vero?” Di primo acchito uno penserebbe che i crucchi, pasticciando con gli esplosivi, abbiano provocato da sé il disastro, ma a quanto pare ne erano completamente sprovvisti. Gli ulani non portarono con sé esplosivo ad alto potenziale. Allora le chiedo: furono le suore? Suore esperte in dinamite? Bella roba, davvero!”
    “E’ molto strano” convenni.
    “Indagai un po’ fra i paesani, che avevano una loro precisa teoria. Pensavano che fosse un miracolo, e che miracolo! Efficiente al cento per cento. Secondo quella brava gente la cosa era avvenuta grazie a una suora, una specie di santa, la quale andava famosa per cadere in trance e avere visioni. Sarebbe stata lei ad attirare i fulmini del cielo sugli unni profanatori. E che fulmini! Non solo avevano distrutto il nemico, ma ogni altra cosa intorno. Dovrebbero essere così tutti i miracoli.
    Non ebbi il tempo di scoprire la verità sulla curiosa faccenda, ma ne ricavai ugualmente un pezzo. I miracoli andavano di moda, in quei giorni, si ricorderà la faccenda degli angeli di Mons. Bene, condii la cronaca con la giusta dose di sentimentalismo, non mi lascia sfuggire il lato religioso e mandai il tutto al giornale. In America la cosa piacque: era proprio quel che al gente voleva.
    Non so se potrà capirmi, ma scrivendone mi ero appassionato alla vicenda. Mi sarebbe piaciuto scoprire cos’era accaduto realmente. Del convento erano rimasti solo due muri, e una recava un curioso marchio: forse era stato prodotto dall’esplosione, ma la forma era quella di una grande zampa canina. I paesani la temevano moltissimo: dicevano che si trattava del Segugio della Morte, e per nulla al mondo sarebbero passati davanti alle rovine dopo il tramonto.
    Poiché le superstizioni mi interessano, decisi di conoscere la suora in questione. Non era morta, ma si era imbarcata per l’Inghilterra con un gruppo di profughi. Mi presi la briga di rintracciarla e scoprii che era stata ospitata in casa Trearne, a Folbridge.”
    Annuii.
    “Mia sorella ha assistito parecchi rifugiati belgi, da quando è cominciata la guerra. Una ventina.”
    “Come le dicevo mi sarebbe piaciuto conoscerla. Poi, pura sapendo dove rintracciarla, il lavoro me ne fece dimenticare. Sa come vanno queste cose. Per giunta la Cornovaglia è un po’ fuori mano, e se lei non avesse parlato di Folbridge non ci avrei pensato nemmeno stasera.”
    “Chiederò a mia sorella” promisi. “Forse sa qualcosa. Naturalmente i profughi belgi sono stati rimpatriati da tempo.”
    “Certo. Ma se sua sorella le raccontasse qualcosa, sarei felice di apprenderlo.”
    “Non mancherò.”
    Per il momento, fu tutto.


    2



    Mi ricordai del racconto di Ryan il secondo giorno della mia permanenza a Trearne. Mia sorella e io bevevamo il tè in terrazza.
    “Kitty, non c’è stata per caso una suora fra i tuoi profughi?”
    “Parli di sorella Marie Angelique?”
    “Forse” risposi, senza sbilanciarmi. “Parlami di lei.”
    “Devi sapere, mio caro, che è la più strana delle creature. E’ ancora qui fra noi.”
    “Come? In casa?”
    “No, no, al villaggio. Il dottor Rose… ti ricordi il dottor Rose?”
    Scossi la testa.
    “Mi ricordo un vecchio di ottantatré anni.”
    “Quello era il dottor Laird, ed è morto. Il dottor Rose è qui da qualche anno, è abbastanza giovane ed è pieno di nuove idee. Si interessa moltissimo a suor Marie Angelique. La poverina soffre di allucinazioni e di altri strani disturbi, per cui dal punto di vista medico è un soggetto stimolante. Poverina, non aveva una casa dove tornare, e a mio giudizio è proprio un po’ svanita… un tipo che colpisce, insomma. Bene, il dottor Rose l’ha gentilmente sistemata al villaggio e credo che abbia intenzione di scrivere una monografia su di lei. Sai, quelle cosa che fanno i dottori.”
    Mia sorella fece una pausa poi aggiunse:
    “Ma tu che cosa sai, sul suo conto?”
    “Ho sentito una storia piuttosto strana.”
    Riferii il racconto di Ryan e Kitty ne fu molto interessata.
    “In effetti sembra proprio il tipo capace di fulminarti… se hai afferrato ciò che intendo.”
    “Devo conoscere quella giovane donna” replicai, più che mai interessato.
    “Fallo, mi piacerebbe sapere che cosa pensi di lei. Ma prima consigliati col dottor Rose. Perché non vai al villaggio, dopo il tè?”
    Feci come suggeriva.
    Trovai il dottore in casa: un uomo giovane, piacente, ma nella cui personalità c’era qualcosa che mi respingeva. Forse era troppo energico per risultare del tutto simpatico.
    Mi presentai e accennai a suor Marie Angelique: allora, in verità, egli parve irrigidirsi. Ma era estremamente interessato, e non esitai a ripetergli il racconto di Ryan.
    “Ah!” sospirò alla fine, pensieroso. “Questo spiega molte cose.”
    Mi dette una rapida occhiata e continuò:
    “E’ veramente un caso straordinario. Quando la donna è arrivata qui era in grave stato di shock, e pativa a causa di un’eccitazione fuor dal comune. Aveva allucinazioni delle più sorprendenti e nel complesso la sua personalità è quanto di più insolito ci si possa attendere. Forse le piacerebbe conoscerla. Ne vale la pena, gliel’assicuro.”
    Acconsentii prontamente.
    Ci incamminammo: la nostra mèta era una casupola al limitare del villaggio. Folbridge è un luogo veramente pittoresco: sorge dalla foce del fiume Fol, ma la maggior parte delle case sono state innalzate sulla sponda orientale, perché quella occidentale è troppo scoscesa per costruirvi. Nondimeno alcune casette si abbarbicano proprio sul dirupo, come quella del dottor Rose, da cui si gode la vista delle onde che schiaffeggiano i grandi scogli neri. La casetta verso cui ci dirigevamo sorgeva nell’entroterra, e le era preclusa la vista del mare.
    “L’infermiera del paese abita lì” spiegò il dottor Rose. “Ho fatto in modo che suor Marie Angelique si sistemasse con lei. Oltretutto è meglio che le stia vicino una persona qualificata.”
    “Si comporta normalmente?” domandai.
    “Lo giudicherà da sé fra un minuto” mi rispose il dottore con un sorriso.
    L’infermiera, un tipo bassino ma robusto, stava montando in bicicletta quando noi arrivammo.
    “Buonasera, infermiera, come sta la nostra paziente?” chiese il dottore.
    “Come al solito, direi. Sta lì seduta, con le mani intrecciate e la mente perduta chissà dove. A volte non risponde nemmeno, quando parlo: capisce così poco l’inglese.”
    Rose annuì, e mentre l’infermiera si allontanava per le sue commissioni bussò alla porta e, senza attendere, entrò.
    Suor Marie Angelique stava distesa su una poltrona presso la finestra. Al nostro ingresso girò la testa. Aveva uno strano viso: pallido, quasi trasparente, con occhi enormi. E in quegli occhi sembrava raccogliersi una luce di tragedia.
    “Buonasera, sorella.” Disse il dottore in francese.
    “Buonasera, M. le docteur.”
    “Mi permetta di presentarle un amico, il signor Anstruther.”
    Mi inchinai e lei piegò la testa con un debole sorriso.
    “Come sta oggi?” le chiese il dottore sedendole accanto.
    “Come al solito.” Fece una pausa, poi proseguì: “Nulla mi sembra reale. Passano giorni… o mesi, o anni? Non lo so. Solo i miei sogni sono reali.”
    “Sogna molto dunque?”
    “Sempre, sempre. E… capisce? I sogni mi paiono più veri della vita.”
    “Sogna della sua patria, il Belgio?”
    Lei scosse la testa.
    “No, sogno di un paese che non è mai esistito… mai. Ma lei lo sa, M. le docteur, gliene ho parlato tante volte.”
    “No, no.” Sorrise Rose per rassicurarla. Nonostante l’intento amichevole del medico non potei fa a meno di notare i suoi lunghi canini appuntiti. C’era qualcosa di ferino, in quell’uomo. Continuò:
    “Ho pensato che le avrebbe fatto piacere conoscere il signor Anstruther. E’ venuto a sapere qualcosa a proposito del Belgio, e del suo convento.”
    “Non è niente d’importante” mi affrettai a spiegare. “Ma un paio di giorni fa mi trovavo a cena con un amico che mi ha descritto le mura in rovina del convento.”
    “Così è stato ditrutto!”
    Fu un’esclamazione pacata, rivolta più a se stessa che a noi. Mi guardò di nuovo e chiese, esitando: “Mi dica, Monsieur, le ha spiegato il suo amico in che modo… in che modo è stato distrutto?”.
    “E’ saltato in aria.” Risposi. Poi aggiunsi: “ I paesani evitano di passarci davanti, dopo il tramonto.”
    “Perché ne hanno paura?”
    “Perché su uno dei muri in rovina c’è un’impronta nera, che essi temono grandemente.”
    La suora si piegò verso di me.
    “Mi dica, Monsieur… mi dica, presto: qual è la forma di quell’impronta?”
    “Si direbbe la zampa di un grosso cane” risposi. “I paesani lo chiamano il Segugio della Morte.”
    “Ah!” Dalle labbra le sfuggì un grido acuto.
    “Allora è vero… allora è vero. Tutto quel che rammento è vero, non è un incubo. E’ successo realmente!”
    “Che cosa è successo, sorella?” chiese il dottore a bassa voce.
    Lei lo guardò speranzosa.
    “Io ricordai. Là, sugli scalini dell’altare, ricordai. Era un antico cerimoniale, e io feci uso del potere così come ci era stato insegnato. Supplicai i nemici di non avvicinarsi, ma essi non ascoltarono. Così… “ fece un gesto curioso “… così scatenai su di loro il Segugio della Morte.”
    Giacque, prostrata, tremando da capo a piedi. Aveva gli occhi chiusi.
    Il dottore si alzò, prese un bicchiere dalla credenza, lo riempì a metà di acqua e poi versò alcune gocce da una bottiglietta.
    “Beva” disse in tono autoritario.
    Lei obbedì meccanicamente, o almeno così mi sembrò. Gli occhi erano di nuovo persi lontano, come se contemplassero un ‘intima e segreta visione.
    “Dunque è tutto vero” ripeté. “Tutto. La Città dei Cerchi, la Gente del Cristallo… tutto vero.”
    “Così sembra” disse Rose.
    Parlava a voce bassa e modulata, in modo da non interrompere la catena dei pensieri di lei.
    “Mi parli della città” la incoraggiò. “Ha detto che si chiamava Città dei Cerchi?”
    La risposta di suor Angelique fu assente e meccanica.
    “Sì. C’erano tre cerchi: il primo per i prescelti, il secondo per le sacerdotesse e il terzo, quello esterno, per i sacerdoti.”
    “E al centro?”
    Lei trattenne il respiro. Quando parlò la voce era bassissima, piena di timore reverenziale.
    “La Dimora della Sfera di Cristallo…”
    Mentre parlava si portò il braccio destro alla fronte e le dita vi disegnarono uno strano emblema.
    Ora suor Angelique sembrava meno rigida. Teneva gli occhi chiusi e agitava appena il corpo: poi, all’improvviso, balzò a sedere e parve svegliarsi di scatto.
    “Che cosa succede?” domandò. “Cosa ho detto?”
    “Non è niente” disse Rose. “E’ solo stanca. Ha bisogno di riposare e noi toglieremmo il disturbo.”
    Vedendoci andar via mi sembrò un po’ stupita.
    Quando fummo all’esterno Rose volle sapere la mia impressione: “Ebbene, cosa ne pensa?”
    Non mancò di accompagnare quelle parole con un’occhiata penetrante, obliqua, che io colsi.
    Dissi lentamente: “Penso che soffra di un grave squilibrio”.
    “Le è sembrato che parlasse come una pazza?”
    “Al contrario, mi è parsa molto convincente. A sentir lei vien quasi da credere che abbia compiuto il suo miracolo… Ma quel che conta è che suor Angelique ne è convinta. Ecco perché…”
    “Ecco perché lei dice che è squilibrata. Capisco. Ma provi a mettersi da un altro punto di vista. Provi a immaginare che abbia fatto davvero ciò che dice: che cioè abbia distrutto un edificio e ucciso centinaia di esseri umani.”
    “Con la semplice forza di volontà?”
    “Non la metterei in questi termini. Lei è sicuramente d’accordo con me che chiunque può distruggere una quantità di propri simili abbassando un detonatore…”
    “Sì, ma è un atto puramente meccanico.”
    “E’ vero, è meccanico, ma l’essenza non cambia: si tratta di imbrigliare e controllare le forze della natura. Un temporale e una centrale elettrica sono in fondo la stessa cosa.”
    “Ma per controllare le forze del temporale abbiamo bisogno di strumenti meccanici.”
    Rose sorrise.
    “Mi permetta di deviare un momento dal nostro argomento. Esiste in natura una sostanza chiamata salicilato: la si trova in certe forme vegetali come la gaultheria, ma la si può sintetizzare chimicamente in laboratorio.”
    “Ebbene?”
    “Voglio dimostrarle che esiste più di una strada per giungere allo stesso risultato. La nostra è, diciamo così, la strada sintetica o artificiale, ma nulla vieta che ne esistano altre. I prodigi di cui sono capaci certi fachiri indiani,per esempio, non sono facilmente spiegabili, ma questo non vuol dire che siano soprannaturali. Il concetto di soprannaturale è relativo: per un selvaggio la nostra torcia elettrica lo sarebbe senz’altro. Tutto ciò che fa parte della natura, ma le cui leggi non sono ancora comprese, ricade sotto questa etichetta.”
    “Dove vuole arrivare?” chiesi, affascinato.
    “Non si può escludere la possibilità che un essere umano controlli un’immane forza distruttiva e la usi ai propri fini. Di primo acchito l’evento può sembrare soprannaturale, ma ciò dipenderebbe solo dalla nostra ignoranza.”
    Lo fissai a bocca aperta e lui scoppiò a ridere.
    “E’ solo una teoria! Mi dica, ha notato il gesto di suor Angelique quando ha nominato la Dimora della Sfera?”
    “Si è messa la mano sulla fronte.”
    “Esatto poi ha tracciato un cerchio. Ricorda il modo in cui i cattolici fanno la croce. Ora, signor Anstruther, le dirò una cosa abbastanza interessante. L’espressione “sfera di cristallo” ricorre così spesso nei soliloqui della mia paziente che ho tentato un esperimento. Mi sono fatto prestare una sfera di cristallo autentica e l’ho messa sotto il naso di suor Angelique, per vedere quale fosse la sua reazione.”
    “Ebbene?”
    “Il risultato è stato curioso e suggestivo. Il suo corpo s’è irrigidito improvvisamente, poi ha fissato la sfera come se non credesse ai suoi occhi. Infine si è prostrata in ginocchio, ha pronunciato poche parole ed è svenuta.”
    “Quali parole?”
    “Piuttosto strane. Ha detto: << Il Cristallo! Dunque la Fede è ancora viva!>>.”
    “Straordinario!”
    “Io direi suggestivo. Adesso un’altra cosa curiosa. Quando è rinvenuta, suor Angelique non ricordava assolutamente nulla. Le ho mostrato la sfera e le ho chiesto se sapesse che cos’era, me lei si è limitata a osservare che doveva essere una di quelle usate dagli indovini. Le chiesi se l’avesse mai veduta una prima, al che rispose: <<mai, M. le docteur>>. Nei suoi occhi leggevo però un turbamento. <<che cosa la preoccupa?>> le domandai allora, e lei confessò: <<e’ molto strano, non ho mai visto una sfera di cristallo, eppure… Mi sembra in qualche modo familiare. Oh, se solo riuscissi a ricordare…>>. Temendo che si sforzasse troppo le consigliai di pensarci oltre. Tutto questo accadeva due settimane fa. Ho fatto passare ad arte un po’ di tempo, ma domani intendo procedere a un altro esperimento.”
    “Con la sfera?”
    “Con la sfera. La costringerò a guardarci dentro. Credo che il risultato sarà molto interessante.”
    “Che cosa conta di scoprire?” domandai, incuriosito.
    Erano parole innocenti, ma su Rose ottennero tutt’altro effetto. Si irrigidì, s’imporporò e quando parlò trovai che i suoi modi erano impercettibilmente cambiati. Adesso era più formale, più professionale.
    “Intendo far luce su un caso di disordine mentale nient’affatto chiaro. Suor Marie Angelique è un soggetto molto interessante.”
    Dunque l’interesse di Rose era puramente professionale? Ne dubitavo.
    “Le secca se assisto anch’io?”
    Sarà stata la mia fantasia, ma ebbi l’impressione che esitasse prima di rispondere. Provai la sgradevole sensazione di non essere desiderato.
    “Nient’affatto. Non ho alcuna obiezione.”
    Poi aggiunse:
    “Non si tratterrà a lungo, al villaggio, vero?”
    “Fino a dopodomani.”
    Mi parve che la cosa lo soddisfacesse. La sua faccia si schiarì e cominciò a parlarmi di certi esperimenti che aveva condotto di recente su cavie di laboratorio.

    3


    Il pomeriggio seguente mi recai all’appuntamento col dottore e insieme raggiungemmo la casa di suor Marie Angelique. Rose sprizzava comunicativa, come se volesse cancellare la cattiva impressione del giorno prima.
    “Non deve prendere quello che ho detto troppo sul serio” osservò, ridendo. “Non vorrei che mi giudicasse uno che pasticcia con le scienze occulte. Il mio vero difetto, al contrario, è che mi appassiono troppo ai casi clinici.”
    “Davvero?”
    “Ma certo. Più il problema è intricato, più lo trovo interessante.”
    Rise, come se la trovasse una battuta divertente.
    Quando arrivammo alla casetta, l’infermiera volle consultarsi con Rose su qualche problema comune, sicché rimasi solo con suor Angelique.
    Mi guardò attentamente e alla fine parlò.
    “L’infermiera mi dice che lei è il fratello della cara signora che mi ospitò nella grande casa quando arrivai dal Belgio.”
    Confermai la mia identità.
    “Sua sorella è stata molto buona. E’ un’anima generosa.”
    Tacque, come se seguisse il filo dei pensieri. Poi disse:
    “Anche M. le docteur è buono?”
    A questo punto fui imbarazzato.
    “Be’, certo. Voglio dire… penso di sì.”
    “Ah!” Fece una pausa, poi: “Con me è stato gentile.”
    “Non ne dubitavo.”
    D’un tratto alzò gli occhi e mi guardò con estrema intensità.
    “Monsieur, lei… lei che ora mi parla… crede che io sia pazza?”
    “Sorella, un’idea del genere non ha mai…”
    Scosse lentamente la testa, frenando le mie giustificazioni.
    “Sono pazza? Non lo so. Le cose che rammento… Le cose che dimentico…”
    Sospirò, e in quel momento Rose tornò nella stanza.
    Salutò cordialmente suor Angelique e le spiegò quello che voleva fare.
    “Vede, certe persone posseggono il dono speciale di leggere una sfera di cristallo. Forse anche lei appartiene a quella schiera.”
    Lei sembrava sconfortata.
    “No, no, non posso farlo. Tentare di leggere il futuro è peccato.”
    Rose fu preso in contropiede: non aveva tenuto conto del punto di vista di una suora. Astutamente cambiò tattica.
    “Non si deve guardare no futuro, ha ragione. Ma nel passato? E’ ben diverso.”
    “Il passato?”
    “Sì, esso cela molti e strani segreti. A volte se ne colgono solo sprazzi, ma poi tutto è di nuovo perduto. Non si sforzi di guardare nel cristallo, dato che le è proibito: si limiti a tenerlo nelle mani. Così. Ora lo fissi. Lo fissi profondamente: lei non vuole vedere nulla, vuole solo ricordare. Ricordare… La mia voce le è chiara. Le farò delle domande e lei risponderà. Mi sente, sorella?”
    Suor Marie Angelique aveva preso la sfera e la stringeva con curiosa reverenza. Poi, quando i suoi occhi si posarono sulla superficie, lo sguardo le si fece vitreo e assente, la testa ciondolò. Pareva dormisse.
    Il dottore prese allora la sfera e la depose sul tavolo. Alzò una palpebra della poverina e mi venne vicino.
    “Dobbiamo aspettare che si risvegli, ma non credo durerà a lungo.”
    Aveva ragione: di lì a cinque minuti suor Marie Angelique fremette e aprì gli occhi sognanti.
    “Dove mi trovo?”
    “E’ qui, a casa. Ha fatto un pisolino. E ha sognato, vero?”
    Lei annuì.
    “Sì, ho sognato.”
    “Si trattava della Sfera di Cristallo?”
    “Sì.”
    “Ce ne parli.”
    “Crederà che sia pazza, M. le docteur. Perché vede, nel sogno la Sfera rappresenta un sacro emblema. Ho immaginato perfino un secondo Cristo, un Maestro del Cristallo che moriva per la sua fede e i cui seguaci venivano perseguitati. Ma nonostante le persecuzioni la fede sopravviveva. Sì, sopravviveva per quindicimila lune piene… voglio dire, quindicimila anni.”
    “Quanto durava una luna piena?”
    “Tredici lune normali. La cosa avvenne all’epoca in cui io ero sacerdotessa del Quinto Segno nella dimora della Sfera. Erano trascorse quindicimila lune dalle persecuzioni, e mancavano pochi giorni all’avvento del Sesto Segno…”
    Aggrottò le sopracciglia, mentre un’espressione d’orrore le passava sul volto.
    “Troppo presto” mormorò. “Troppo presto. Un errore… ah, ora ricordo! Il Sesto Segno!”
    Fece per alzarsi in piedi, poi crollò; si passò una mano sul viso e chiese:
    “Ma che vado dicendo? Farnetico. Niente del genere è mai accaduto.”
    “Non è il caso che si tormenti.”
    Ma la poveretta fissava Rose con incredibile angoscia.
    “M. le docteur, io non capisco. Perché ho di questi sogni, di queste fantasie? Avevo solo sedici anni quando presi l’abito, e non ho mai viaggiato. Pure, sogno di strane città e di genti e costumi ancor più strani. Perché?”
    Si premette le mani sulle tempie.
    “E’ mai stata ipnotizzata, sorella? E’ mai caduta in trance?”
    “Non sono mai stata ipnotizzata, dottore. Per quanto riguarda l’altra domanda, spesso, mentre pregavo in cappella, il mio spirito è stato rapito al corpo, e io sono rimasta come morta per ore. La Reverenda Madre diceva che, indubbiamente, si trattava di uno stato beatifico… uno stato di grazia. Sì, ricordo!” ansimò all’improvviso. “Ricordo: anche noi lo chiamavamo così, uno stato di grazia.”
    “Mi piacerebbe tentare un esperimento, sorella” disse Rose in tono pratico. “Forse dissiperà quei penosi, frammentari ricordi. Le chiederò di fissare la sfera ancora una volta. Poi le dirò una parola e lei mi risponderà con un’altra. Continueremo così finché non si stancherà. Concentri i suoi pensieri sulla sfera di cristallo, non sulle parole.”
    Dal canto mio, presi la sfera e la porsi alla suora, che la strinse con premura reverenziale. La sfera di cristallo riposava su un panno di velluto nero e sfiorava i palmi sottili della paziente, i cui occhi profondissimi la scrutavano in silenzio.
    Dopo un po’ il dottore disse la prima parola: “Segugio.”
    Immediatamente suor Marie Angelique rispose: “Morte.”



    Tre su sei.


    Edited by Mask888 - 12/9/2013, 19:28
     
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