La sirena di legno

Paul Van Loon

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    La polena scolpita, raffigurante una sirena dal seno prosperoso, stava infissa su un palo di legno tra le cabine del piccolo stabilimento balneare. Sul volto deteriorato dal tempo era rimasto un sorriso dipinto. Gli occhi azzurri scrutavano lontano, verso il mare invisibile dietro la fila delle cabine.
    I monelli del porto avevano imbrattato la figura di vernice a spruzzo e ci avevano scritto sopra delle parole oscene. Ma la sirena non sembrava farci caso: il suo sguardo rimaneva imperturbabile, volto al mare invisibile. Alti nel cielo volavano in cerchio stormi di gabbiani. A tratti, sospinti dal vento, sfrecciavano rasente alle creste schiumose delle onde, che rotolavano sulla spiaggia e arretravano mormorando senza posa.
    Erano le prime ore del mattino, e la spiaggia era deserta. Le orme lasciate dai bagnanti il giorno precedente erano state cancellate dal mare. Qua e là garrivano su alti pennoni le bandiere dai colori sgargianti. Le cabine erano vuote. La stagione balneare si avvicinava alla fine.
    Sulla cima della duna comparve un cane nero a pelo lungo, seguito a ruota da una bambina sui dieci anni. La bambina, a nome Anke, scese dietro al cane per la gradinata di pietra grezza che conduceva alla spiaggia.
    “Piglia, Panda!” gridò Anke scagliando un legnetto nodoso sul bagnasciuga lisciato dalle onde. Abbaiando allegramente, il cane spiccò la corsa dietro al legnetto, lo afferrò coi denti e lo riportò indietro. Poi lo posò ai piedi di Anke e, con la lingua penzoloni, si sedette ad aspettare che la padrona tornasse a scagliarlo.
    Allontanandosi i capelli dagli occhi, Anke osservò la spiaggia deserta. Lontano da lì c'era una solitaria sdraio rovesciata. Il mare frusciava, i gabbiani volavano in cerchio e le bandiere schioccavano al vento. Le sagole delle bandiere battevano ritmicamente contro le aste... ciac-ciac-ciac.
    Anke scagliò di nuovo il legnetto davanti a sé e riprese a camminare lungo la spiaggia. Le piacevano quel silenzio e quella solitudine, rotti solo dagli stridii dei gabbiani e dal respiro del mare.
    Panda si precipitò dietro al legnetto, ma di colpo si fermò. Fiutò stronfiando la sabbia umida, e ringhiò sottovoce. Poi, uggiolando inquieto, cominciò a raspare la sabbia con una zampa.
    “Cos'avrà trovato?” si chiese Anke. Forse una medusa trascinata fin lì dalle onde?
    Contro il vento che le soffiava granelli di sabbia sul viso, si avvicinò al cane. Panda, con un sommesso uggiolio, si rimise a fiutare nello stesso punto, mentre sul suo naso nero si formava una chiazza bianca di sabbia.
    “Di che si tratta?” mormorò perplessa Anke, chinandosi a guardare. Davanti a lei, una serie di orme si prolungava fino al mare, ma procedeva in direzione opposta al mare.
    Erano impronte molto grandi, che disegnavano una lunga pista sulla spiaggia e sparivano dietro le cabine.
    “Che stranezza” pensò Anke “E' come se qualcuno avesse attraversato la spiaggia uscendo dal mare”.
    Scrutò, oltre la distesa dell'acqua, l'ampia linea dell'orizzonte. Non si vedevano barche da nessuna parte. Che le tracce fossero di un nuotatore venuto da un altro punto della spiaggia? No, non sembrava verosimile; le orme, infatti, erano chiaramente di scarpe o stivali. Stivali pesanti, a quanto sembrava. E come si poteva nuotare calzando degli stivali?
    “Che stranezza, Panda!” ripeté Anke. Il cane la guardò uggiolando sottovoce, con la coda fra le zampe. Anke sentì un brivido correrle giù per la schiena. C'era qualcosa che non quadrava, e anche Panda sembrava avvertirlo.
    “Vieni, Panda” disse Anke “Voglio sapere dove porta questa traccia”.

    Le orme non procedevano in linea retta, come se la persona che se le era lasciate dietro fosse piuttosto malferma sulle gambe. “Doveva essere stanco, o magari ubriaco” pensò Anke mentre raggiungeva le cabine, che, nel loro abbandono, avevano un che di spettarle, come le case vuote di un villaggio dopo qualche paurosa catastrofe.
    D'un tratto Anke si rese conto di essere completamente sola con Panda. Ciac-ciac-ciac. Il battito delle sagole e degli schiocchi delle bandiere cominciavano a darle sui nervi. Panda ringhiò, stringendosi contro una gamba di Anke.
    “Buono, Panda” sussurrò Anke, e oltrepassando a passi furtivi la prima cabina, sbirciò da dietro l'angolo. Nessuno in vista.
    Ciac-ciac-ciac facevano le sagole.
    La serie di orme passava tra le cabine e spariva oltre un terrapieno sabbioso. Anke avanzò rasentando le pareti di legno.
    Ciac-ciac-ciac.
    All'improvviso, un tonfo. Anke si spaventò talmente da sentirsi rizzare i capelli in testa.
    Poi vide ciò che aveva causato quel rumore. Il finestrino di una delle cabine si era aperto per via del vento e ogni tanto si richiudeva con un colpo secco.
    La traccia proseguiva a zig zag, e Anke proseguì, con Panda alle calcagna, su per il terrapieno sabbioso dove si allineava un'altra lunga serie di cabine.
    Ciac-ciac-ciac.
    All'improvviso Panda si mise ad abbaiare furiosamente, e Anke sentì un tuffo al cuore. Qualcuno alle sue spalle aveva emesso un suono rauco, come per raschiarsi la gola.

    Era un uomo abbronzato, che indossava un paio di pantaloni e una casacca azzurra. Aveva una barba nera e ricciuta e sulla testa portava un berretto da marinaio.
    Era il bagnino che si occupava della manutenzione e della sorveglianza della spiaggia. Anke l'aveva visto spesso durante le sue passeggiate lungo il mare. I bambini avevano un po' paura di lui. Era un tipo severo, che li trattava come se non fossero al mare in vacanza, ma sul piazzale di una scuola. Chiunque venisse colto a gettare sulla sabbia delle lattine o delle cartacce, rischiava di dover ripulire la spiaggia per tutto il pomeriggio. E quella volta che il bagnino aveva acciuffato un paio dei piccoli vandali che avevano sfregiato la sirena di legno, i colpevoli avevano dovuto prender su le loro carabattole e non farsi vedere mai più.
    Anche adesso, nell'osservare Anke, lo sguardo dell'uomo era severo.
    “Dì un po', signorina, com'è che gironzoli da queste parti con quell'aria un po' misteriosa?”
    “Io... io stavo solo passeggiando col mio cane” disse Anke.
    “Solo passeggiando? O per caso non avevi in mente di forzare la serratura di una cabina per vedere se c'era qualcosa da prendere?”
    “No, gliel'assicuro!” esclamò Anke “Me ne stavo qui sulla spiaggia quando ho visto queste strane orme e le ho seguite”
    “Quali strane orme?”
    “Quelle lì, non le vede?” disse Anke indicando le larghe impronte nella sabbia.
    Il bagnino inarcò le sopracciglia. “Cos'hanno di tanto strano?”
    “Vengono dal mare” disse Anke “mentre non ci sono tracce che vadano verso il mare. Secondo me è strano, e anche secondo Panda, perché è molto inquieto”.
    L'uomo chiuse un occhio, come se non si fidasse di lei.
    “E per di più, la traccia è a zig zag” continuò Anke, “come di un ubriaco, o di uno che cammina con difficoltà”
    Il bagnino si chinò sulla traccia e la osservò con attenzione. Nei suoi occhi apparve un'espressione sbigottita. “Mi sembra che tu abbia ragione”. La sua faccia si indurì. “Un ubriaco, eh? Potrebbe darsi. Ma io non voglio ubriachi sulla mia spiaggia. Danno solo seccature”.
    Si drizzò e si guardò intorno con aria minacciosa.
    Ciac-ciac-ciac fecero le sagole delle bandiere, e in quel mentre si udì un forte schianto, come di un legno spezzato.
    “Cos'è stato?” sussurrò Anke.
    “Cosa ti avevo detto? Grane!” grugnì il bagnino. “E' la polena. A quanto pare, l'ubriaco tenta di distruggerla! Ma non la passerà liscia!”.

    Il bagnino s'incamminò a gran passi verso il punto da cui era provenuto lo schianto, e Anke gli si mise alle calcagna, faticando a stargli al passo.
    “Guarda!” esclamò a un tratto l'uomo puntando l'indice oltre le cabine. Il palo di legno era ancora conficcato nella sabbia, ma la polena era scomparsa. I gabbiani volavano in cerchio sopra le loro teste, e alle loro spalle le onde continuavano a frusciare. Il bagnino e Anke si avvicinarono al palo e lo esaminarono con gli occhi sbarrati.
    L'uomo imprecò fra i denti. La cima del palo era spezzata, come se una forza bruta ne avesse strappato via senza riguardi la polena. La figura scolpita non si scorgeva da nessuna parte, ma al piede del palo c'era una massa viscida di alghe marce. Panda la fiutò e subito indietreggiò mugolando.
    “Un vandalo” grugnì il bagnino “Ma riuscirò a prenderlo, chiunque sia!”
    “Le tracce!” gridò d'un tratto Anke “Tornano indietro!”. Le stesse larghe impronte ora partivano dal palo e, seguendo un altro percorso, si dirigevano verso il bagnasciuga. Stavolta erano più profonde.

    Scivolando fra le cabine, Anke e il bagnino s'incamminarono svelti in direzione del mare, ma Panda si rifiutò di seguirli e rimase fermo accanto al palo, uggiolando.
    “Eccolo!” gridò Anke. Lungo la riva, qualcuno procedeva a fatica, piegato in due sotto il peso della polena. Si dirigeva verso il mare, con passo vacillante.
    “Ehi, laggiù!” gridò adirato il bagnino, precipitandosi con Anke all'inseguimento della figura vacillante. Ma lo sconosciuto sembrò sordo al richiamo, o deciso a ignorarlo.
    Solo quando lo ebbero raggiunto, Anke e il bagnino furono colpiti dal suo respiro rantolante. C'era qualcosa di singolare in quell'individuo. Indossava una lunga giacca a code, fradicia e sfilacciata, e calzava neri stivali da marinaio. Sulla testa portava un cappello nero a larghe falde tutto coperto di alghe, sotto il quale spuntavano lunghe e rade ciocche di capelli bianchi.
    “Si fermi!” gridò il bagnino. Il ladro, che aveva quasi raggiunto il bagnasciuga, si fermò sull'istante quando si sentì afferrare per una spalla.
    “Dove pensi di andare con quella polena?” lo apostrofò il bagnino con voce aspra. Anke, che gli si era fermata accanto ansimando, vide lo sconosciuto girarsi. E appena scorse il volto che la fissava da sotto la polena, cacciò un urlo.
    Quel volto non poteva essere di un vivente. La pelle, d'un colore verdastro, quasi trasparente, era tesa sulle ossa del teschio. Il naso era un orrido foro nero, e intorno agli occhi e alla bocca la carne guasta era quasi completamente scomparsa. Gli occhi, mezzo sgusciati, tremolavano fuori dalle orbite come sul punto di cadere sulle guance scavate. E quegli occhi guardavano pieni di odio Anke e il bagnino. Poi le labbra screpolate si aprirono, e mentre un fiotto di acqua nera usciva tra i denti smozzicati, lo sconosciuto parlò con voce stridente: “Io sono Mordekai! Sono venuto a riprendermi il mio!”
    Per qualche secondo i tre rimasero immobili a guardarsi. Anke si sentiva la bocca secca come un sughero e le gambe così molli da reggerla a stento. La faccia del bagnino era una maschera grigia.
    Lentamente, molto lentamente, la paurosa apparizione tornò a voltarsi verso il mare, e in quel mentre il suo occhio sinistro si staccò dall'orbita e cadde con un secco plof sulla sabbia bagnata.
    Lui non sembrò farci caso. Senza più curarsi degli altri due, cominciò a inoltrarsi deciso nel mare, con le code della casacca che svolazzavano sulle onde come neri uccellacci.
    Quando fu a mezza vita nell'acqua, si girò un'ultima volta, levò in aria un pugno scheletrico in un gesto di ostilità verso lo stabilimento, o forse verso il mondo intero. Un istante dopo Mordekai e la polena erano già scomparsi sott'acqua. Inghiottiti dal mare, come se non fossero mai esistiti.
    I gabbiani volavano stridendo in cerchio al di sopra delle onde. Anke e il bagnino erano rimasti muti e immobili come due statue sul bagnasciuga, incapaci di muoversi. Sulla sabbia ai loro piedi, un occhio guardava gelidamente il cielo.
    D'un tratto, furiosi latrati ruppero il silenzio. Panda stava attraversando a precipizio la spiaggia, sollevando nugoli di sabbia. Poi si fermò e allungò il collo verso l'occhio che lo fissava.
    Anke uscì finalmente dalla sua immobilità.
    “No, Panda!” gridò. Ma il cane, ringhiando, fece scattare le fauci nella sabbia. Quando alzò il muso verso Anke, l'occhio era scomparso.

    “Che significa tutto questo? E' accaduto davvero? Non posso crederci!” disse Anke, seduta accanto al bagnino sulla cresta della duna. Una forte brezza le faceva svolazzare i capelli. Panda scorazzava allegro fra alti ciuffi di vegetazione. Il bagnino masticava un filo d'erba fissando con occhi attoniti l'orizzonte oltre la grigia distesa del mare. I gabbiani erano bianche macchie lampeggianti nella luce del sole. Più in basso, qualche bagnante passeggiava lungo la spiaggia.
    “E' una vecchia storia” disse il bagnino “Due secoli fa, una furibonda tempesta si abbatté da queste parti proprio la notte che il veliero The Nomad bordeggiava lungo la costa. I cavalloni erano alti come case, e sopra lo stabilimento dei bagni, che a quel tempo era ancora un piccolo villaggio di pescatori, infuriava un temporale fortissimo.
    “Sui tetti delle casupole crepitavano chicchi di grandine grossi come uova, e l'acqua scorreva a fiumi nelle strade. The Nomad inviava segnali di soccorso, ma non era possibile raggiungerlo in alcun modo.
    “In pochi minuti il veliero fu inghiottito dalle onde, e il solo pezzo che se ne rivide fu la polena, rigettata dopo qualche giorno sulla spiaggia insieme a qualche pezzo di fasciame. La sirena di legno fu trovata da un vecchio pescatore, e prese posto nel suo giardinetto.
    “In seguito la polena rimase al museo dei pescatori, e finalmente fu collocata qui sulla spiaggia, come attrazione per i turisti. Ormai ci si era dimenticati da un pezzo che un tempo aveva ornato la prua del Nomad, che ora giace sul fondo del mare qui davanti alla costa. Il capitano del Nomad si chiamava Mordekai. Di lui non si sa nulla, tranne che aveva intagliato la polena con le proprie mani”.

    “Non credo a una parola di questa storia” disse il papà di Anke. Seduto in poltrona, saltava col telecomando da un canale all'altro della TV. “Assurdo, ridicolo. I fantasmi non esistono. E mangiarsi l'occhio di un fantasma, poi! Assolutamente impossibile!”.
    Accarezzò Panda sdraiato sul tappeto e passò al canale che trasmetteva immagini del Giro di Francia.
    Quella sera, Anke gli aveva già raccontato tre volte l'intera storia. Panda, sdraiato accanto alla poltrona del papà, con la testa posata sulle zampe davanti, seguiva con gli occhi la conversazione fra lui e Anke. Per tutta la serata era stato sorprendentemente tranquillo, senza muoversi dal suo posto. La madre di Anke sarebbe arrivata solo più tardi, perché le sue vacanze iniziavano quattro giorni dopo quelle del papà e di Anke.
    “Non dico bugie, ti assicuro!” stava dicendo Anke, arrossendo stizzita. “O credi che una storia così me la sia succhiata dal pollice?”
    Il papà non rispose: proprio in quell'istante sullo schermo il suo campione favorito tagliava il traguardo in prima posizione.
    “Evviva!” giubilò il papà, e saltò a un altro canale. “Non dico che tu ti sia inventata tutto, Anke. Ma potresti averlo sognato. Magari stamani ti sei addormentata sulla spiaggia”.
    Anke sospirò. Nessuno le avrebbe creduto. Solo Panda sapeva che era la pura verità, ma Panda non poteva parlare.
    “E ora, a letto, piccola” disse il papà “Vedrai che domattina...”
    Non terminò la frase e, col naso in aria, annusò. “Cosa può essere questo odore? Lo senti anche tu?”
    Anke lo sentiva. Era un nauseabondo odore di alghe marce.
    “Vado a chiudere la finestra” disse il papà “Il vento soffia dal mare e porta dentro questa puzza”. Chiuse la piccola finestra a bilancere, ma la puzza non sparì, anzi diventò più forte e riempì tutta la stanza. Anke si sentì rivoltare lo stomaco. Anche il papà era impallidito. Solo Panda se ne stava tranquillamente sdraiato ai piedi della lampada a stelo, e non sembrava affatto disturbato. Ma all'improvviso si alzò e spalancò la bocca in uno sbadiglio.
    Con un grido, Anke indicò Panda. Ma anche il papà aveva visto, e diventò ancora più pallido. Dal palato di Panda, un occhio li fissava. Era l'occhio del capitano Mordekai, che ruotando guardava ora Anke e ora il papà. Poi Panda tossì e l'occhio ruzzolò sul tappeto. Il papà indietreggiò con un salto. In quell'istante qualcuno bussò energicamente alla porta.

    “Sarà... sarà la mamma” disse il papà, e senza distogliere lo sguardo dal tappeto andò alla porta. Anke si avvicinò cautamente a Panda e se lo tirò accanto. Si udì bussare di nuovo.
    Il papà afferrò la maniglia, continuando a guardare al si sopra della sua spalla. Poi aprì di scatto la porta.
    “Ciao tesoro” disse “E' successo un...”. Ma s'interruppe di colpo e indietreggiò con un grido.
    Sulla soglia c'era il capitano Mordekai. Era coperto di alghe grondanti e fissava il papà col suo unico occhio.
    “Sono Mordekai, e vengo a riprendermi il mio”.
    Panda guaì, strisciando a ripararsi dietro Anke. Il papà era rimasto impalato accanto alla porta. Mordekai lo scansò ed entrò con passo deciso, mentre flotti d'acqua schizzavano sul pavimento dall'orlo dei suoi stivali. Andò difilato verso il tappeto, si chinò e, con un sogghigno, afferrò l'occhio. Poi si ficcò l'occhio nell'orbita vuota, girò sui tacchi e si diresse all'uscita.
    La porta gli si richiuse alle spalle con un tonfo.
    Il papà non si era ancora mosso. Guardava Anke con la faccia livida.
    “Questo era...”
    Anke annuì. “Questo era il mio sogno, papà” disse, poi gettò le braccia intorno al collo di Panda, stringendolo forte.
     
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