Erbagatta

Paul Van Loon

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    L'uomo dietro il banco di vendita, pensava Sara, aveva un'aria ipocrita. Sì: ipocrita! Era la parola giusta. Non somigliava affatto al signore simpatico che ci si aspetterebbe di trovare dietro il banco di un negozio di animali.
    “Che cosa desideri, piccola?” domandò l'uomo. Anche la sua voce era ipocrita, pensò Sara. L'uomo la guardava dritto negli occhi da dietro un paio di occhialetti rotondi, senza smettere di sfregarsi le mani ossute.
    “Erbagatta” disse Sara “La nostra gatta è in muta, e soffre di pallottole di pelo nello stomaco. Il veterinario dice che per liberarsi deve mangiare dell'erbagatta”.
    Sara abitava in un appartamento al secondo piano, e di conseguenza la sua gatta non poteva uscire a mangiare dell'erba selvatica. Ma in qualsiasi negozio specializzato si poteva comprare dell'erbagatta in vaso, aveva detto il veterinario.
    “Ho capito” disse l'uomo dietro il banco, con un vago sorrisetto. “Erbagatta. Aspetta un attimo. Ho qualcosa di speciale per te. Funziona sempre”. Si girò, e scomparve nel buio del retrobottega. Sara rimase in attesa nel negozio, guardandosi intorno. C'erano dappertutto cucce per cani e gatti e barattoli di vetro. Dal soffitto pendevano gabbie di ogni forma e dimensione. Il negozio era poco illuminato e stranamente silenzioso. Forse tutti gli animali stavano facendo la siesta pomeridiana, pensò Sara.
    Normalmente, un negozio di animali è pieno di cinguettii, zufolii, squittii, fruscii. Qui, invece, perfino il pappagallo appollaiato sul suo trespolo, con una catenella a una zampa, se ne stava immobile, fissando il vuoto con occhi vitrei.
    “Salve, Loreto!” disse Sara toccando cautamente la testa rossa dell'uccello, ma subito ritrasse la mano, spaventata. La testa era dura e fredda. Il pappagallo era imbalsamato! E quando passò in rassegna le gabbie, scoprì che anche gli altri animali – topi, conigli, marmotte e porcellini d'India- erano imbalsamati. Anche gli innumerevoli pesciolini tropicali se ne stavano immobili, come sospesi nell'acqua degli acquari.
    “Accidenti” pensò Sara “E' il posto più strano che...”
    “Ecco qua”. I suoi pensieri furono interrotti dalla voce del negoziante, riapparso silenziosamente dietro il banco con un vasetto quadrangolare di plastica nella mano ossuta. Nel vasetto c'erano dei semi bianchi, simili a sassolini. L'uomo posò il vasetto sul banco e lo spinse verso Sara.
    “Annaffia questo vasetto con un bicchiere d'acqua al giorno, e fra una settimana avrai la più rigogliosa e succosa erbagatta che si possa immaginare”
    “E...quanto costa?” chiese Sara.
    “Oh, a una bambina carina come te non costa niente” disse il negoziante con un sorriso.
    “Grazie mille” disse Sara, poi afferrò il vasetto e si affrettò a uscire dal negozio. Aveva ancora la sensazione che in quell'uomo ci fosse qualcosa di falso, per cui era contenta di ritrovarsi sul marciapiede, nella luce del sole.
    Poco mancò che non andasse a sbattere contro il manichino pubblicitario della tabaccheria, che teneva in mano un sigaro gigante.
    Nei giorni seguenti, Sara annaffiò ogni giorno il vasetto, che aveva collocato sulla sua scrivania. E in effetti, dopo due giorni, fra i semi bianchi erano già spuntati degli steli sottili. Sara smise di pensare a quello strano negozio di animali.

    “Ancora un po' di pazienza, e potrai mangiare di questa buona erba, Milù” disse, sdraiata sul letto con la gatta acciambellata sulla pancia.
    Fino a quel momento Milù aveva mostrato scarso interesse per il vasetto, e quando Sara gliel'aveva dato da fiutare, si era messa addirittura a soffiare, inarcando minacciosamente la groppa. Questo, aveva pensato Sara, era dovuto sicuramente al fatto che i semi avevano uno strano odore; ma presto, quando l'erba sarebbe cresciuta al punto giusto, Milù sarebbe stata felice di papparsela.
    Di lì al fine settimana, numerosi alti steli erano comparsi nel vasetto, e i semi bianchi erano ormai quasi invisibili. Sara partì coi suoi genitori per trascorrere un paio di giorni dalla nonna, portandosi dietro anche Milù. In quel paio di giorni Sara non avrebbe potuto annaffiare il vasetto.
    “Sai cosa faccio, Milù?” disse al momento della partenza “Gli darò una razione doppia di acqua, per non rischiare di trovare l'erba appassita al nostro ritorno”.
    La gatta voltò la testa da un'altra parte, come se la cosa non le interessasse minimamente. Sara versò la doppia razione d'acqua nel vasetto, poi prese in braccio Milù e raggiunse i genitori nell'ascensore.

    Al ritorno da quel fine settimana, il primo pensiero di Sara, appena posati i bagagli, fu per il vasetto di erbagatta.
    “Vieni, Milù” disse “Forse troverai tanta buona erba tenera”.
    Milù le strofinò la testolina contro le gambe e la seguì. Ma davanti alla porta della camera di Sara, uscì all'improvviso in un miagolio lamentoso.
    “Che c'è, Milù?” disse Sara “Ancora quelle brutte pallottole di pelo nel pancino? Ma ora ti passerà tutto, vedrai, con quella buona erbagatta”. E così dicendo, aprì la porta.
    Davanti a lei, subito dietro la porta, si levava una muraglia verde ondeggiante e dondolante.
    Impugnando ancora la maniglia, Sara rimase sbigottita a fissarla come inchiodata al pavimento. Milù si mise a soffiare, col pelo ritto sulla groppa e la coda gonfia. In quell'istante un tentacolo arricciolato scattò fuori dalla massa verde, avvinghiò Sara e l'attirò a sé. Con un miagolio stridulo, anche Milù fu trascinata dentro da un altro tentacolo...
    Il mondo si mise a girare davanti agli occhi di Sara. Agitando le braccia e scalciando selvaggiamente, la bambina cominciò a lottare con tutte le sue forze, senza sapere contro che cosa. Poi cadde violentemente all'indietro. Dappertutto intorno a lei c'erano delle cose verdi, fluttuanti. “Una foresta vergine” pensò Sara. Foresta vergine? Ma non era la sua camera? Però adesso era tutto color verde erba...
    Allora Sara intuì che cos'era accaduto. Tutte quelle cose dondolanti che la circondavano invadendo la sua cameretta, erano piante erbacee alte come tronchi d'albero. E tutto questo non poteva che essere spuntato da quel vasetto di erbagatta. Ma com'era potuto succedere? Sara non ebbe il tempo di riflettere, perché dal groviglio verde uscì un lamento stridulo.
    “Milù!” gridò Sara, protendendosi nella direzione da cui era uscito quel grido. Verdi tentacoli le si avvinghiarono immediatamente alle caviglie, avvolgendole le gambe. Lottando disperatamente per liberarsi, Sara cercò di aprirsi un varco fra predaci dita d'erba. Milù miagolò forte una seconda volta, e allora Sara la vide, sospesa a mezz'aria, nella stretta di una specie di millepiedi vegetale che le si era avviluppato intorno al corpo. La gatta, con gli occhi fuori dalle orbite, si lamentava sempre più flebilmente.
    “Milù!” chiamò di nuovo Sara, e gettandosi con tutto il suo peso sulla pianta strangolatrice gridò “Lasciala, mostro! Lasciala andare!”.
    Sferrò con tutte le sue forze un calcio contro la pianta che avvinghiava Milù. La pianta si piegò in avanti. Sara ne approfittò per saltarle addosso e strappare Milù dalla morsa che stava per soffocarla. Milù non dava quasi più segno di vita.
    “Svegliati, Milù” ansimò Sara “Dobbiamo andar via di qui!”. Il suo cervello lavorava febbrilmente. La porta... doveva raggiungerla a ogni costo. E presto! Con Milù stretta al petto, si lanciò in quella direzione. Steli contorti le saettarono contro come serpenti. Ora tutti i fili d'erba giganti e le altre piante della stanza sembravano accanirsi contro di lei, mentre la foresta verde le si agitava intorno fluttuando.
    Ma, a forza di calci e strattoni, Sara era riuscita poco per volta ad avvicinarsi alla porta. E l'aveva quasi raggiunta, quando vide qualcosa di enorme emergere torreggiando al di sopra della massa verde.
    Era una pianta conosciuta come carnivora. Una piantina che si nutriva di insetti, e che adesso era diventata un mostro. Un muso enorme dalle mascelle poderose dondolava avanti e indietro al di sopra delle altre erbe come la testa di un dinosauro; poi cominciò ad abbassarsi lentamente. Un lungo tralcio si protese di scatto, tirando Sara verso il fusto della pianta. Quando Sara si vide il muso del mostro a un palmo dalla faccia, cacciò un urlo.
    Qualcuno bussava alla porta della sua camera.
    “Sara!”. Era la voce di suo padre.
    “Papà! Aiuto!” gridò Sara, e scansando all'ultimo momento le mascelle che erano scattate per ghermirla, si liberò con uno strattone dal tralcio. Ma le lunghe dita d'erba la riafferrarono da ogni lato.
    “Sara!” gridò di nuovo il papà. Lo sentiva cercare di aprire la porta a spallate. All'interno, un fitto intrico di steli e foglie formava una solida barriera, ma poco a poco la porta cedeva. Sara riprese a sperare, il papà veniva a salvarla. Ma le fauci della mostruosa pianta incombevano di nuovo su di lei. Sara le evitò con un balzo. Inciampò. Cadde. Una flaccida foglia verde le avviluppava la faccia, soffocandola; sottili lacci d'erba la stringevano, spremendole l'aria dai polmoni.
    La porta si spalancò di schianto. Con un grido furibondo, il papà cercò di aprirsi un varco nella foresta ondeggiante.
    “Sara! Dove sei?”
    Sara avrebbe voluto rispondere, ma non le uscì altro che un fioco gemito, mentre un sapore di erba amara le penetrava in bocca. Si sentì mancare l'aria e sprofondò in una voragine buia. “E' finita!” pensò.
    Due mani robuste la sollevarono. Allontanarono da lei le piante. Sara bevve avidamente l'aria.
    “Sono io, piccola”. Era la voce del papà. “Tieni duro!”
    Il papà colpiva a calci le piante che seguitavano ad avviticchiarglisi intorno alle gambe. La testa della pinta carnivora era sopra di lui. “Vattene!” urlò il papà, e stringendo Sara e Milù con un braccio, con l'altro raccolse una grande foglia allungata e con quella frustò le fauci spalancate. La pianta carnivora stridette per il dolore, e il papà ne approfittò per precipitarsi al vano della porta, oltrepassare con un balzo la soglia e sbattersi al porta alle spalle.

    “Incredibile!” diceva il padre di Sara, scuotendo la testa.
    “Incredibile!”. Erano trascorsi soltanto due giorni. Milù, per fortuna, si era perfettamente ristabilita, ma continuava a girare al largo dalla camera di Sara. Ma c'era un ma... l'erbagatta continuava a crescere. Verdi tentacoli facevano capolino dalle fessure della porta e si attorcigliavano lungo i muri del corridoio. La pressione contro la parete interna della porta era sempre più forte, e il battente cominciava a deformarsi.
    Il padre di Sara era continuamente sul piede di guerra. Armato di un grosso coltellaccio, falciava tutti i fili d'erba che s'insinuavano all'esterno. Davanti alla porta aveva inchiodato pesanti assi di rinforzo, e anche la finestra di Sara era inchiodata saldamente dall'esterno. In capo a quattro settimane il verde smise di far capolino dalle fessure. Il papà depose con un sospiro di sollievo il coltellaccio. In piedi nel corridoio, con la barba lunga e larghe chiazze di sudore alle ascelle, fissava con gli occhi sgranati la porta barricata.
    “Sara, tesoro, credo che abbiamo vinto. Ormai non cresce più niente”
    “Posso tornare in camera mia?” chiese Sara incredula.
    “Non ancora, piccola” rispose il papà “Aspettiamo ancora un po' per esser certi che le erbe e le piante siano veramente morte”.
    Passarono un paio di settimane, e quando un gran fetore di marcio invase l'appartamento, il papà decise che era giunto il momento di riaprire la camera di Sara.
    Il papà e Sara schiodarono le assi, aprirono la porta e avanzarono a fatica attraverso un ammasso di piante morte.
    Negli occhi di Sara spuntarono lacrime di sgomento al vedere com'era ridotta la sua camera: grovigli di strisce brunastre in via di putrefazione coprivano il pavimento, il letto e la piccola scrivania. Dai muri gocciolava un viscidume verde, e l'odore di marcio era così forte che Sara fu presa da un attacco di nausea.
    Il papà s'inoltrò fra le piante fradice per rompere un vetro della finestra e far entrare aria fresca. I pezzi del vetro caddero fra il marciume.
    Ci vollero intere giornate prima che la camera fosse ripulita e quell'odore disgustoso non appestasse più l'appartamento. Il papà noleggiò un container dal municipio e lavorò come un forzato per portar via dall'appartamento intere carrettate di piante marce. Sul pavimento accanto allo scrittoio di Sara fu trovato il vasetto di plastica ondulata, dove non c'era ormai altro che una schifosa feccia nerastra.
    “E ora, Sara, descrivimi dove hai comprato quell'erbagatta” disse il papà corrugando la fronte “Esigo una spiegazione da quel negoziante e, se sarà il caso, lo trascinerò in tribunale”.

    Il giorno seguente Sara si recò col papà nella via dove si trovava il negozio di animali. Ma, cosa strana, per quanto cercassero, non riuscirono a trovarlo. In quella via c'era un tabaccaio, e anche un supermercato, ma nessun negozio di animali. “Sono certa che era in questa via, papà” disse Sara “Accanto al tabaccaio... mi sono quasi scontrata con quel manichino dal sigaro gigante”.
    Ma accanto al tabaccaio c'era soltanto una vecchia villetta a due piani, con le finestre ermeticamente chiuse. “Allora andiamo a informarci dal tabaccaio” disse il papà. Oltrepassarono il manichino ed entrarono.
    “Buongiorno: lei sa dirmi per caso in quale punto della via si trova il negozio di animali?” chiese il papà.
    Il tabaccaio si strinse nelle spalle. “In questa via, per quel che ne so, non c'è nessun negozio di animali”
    “Eppure era qui accanto!” insisté Sara.
    “Qui accanto? Impossibile. La casa qui accanto è disabitata, e su di essa gira una storia interessante... molto tempo fa” raccontò il tabaccaio “ci abitava un tipo molto particolare, che faceva strani esperimenti con le piante: incroci e cose del genere. E inoltre aveva dei curiosi hobby, come per esempio imbalsamare animali. Ne aveva riempito la casa”
    “Dev'essere lui!” disse il padre di Sara “Mia figlia mi ha raccontato che il negozio era pieno di animali imbalsamati”.
    Il tabaccaio scoppiò a ridere. “Lei vuole scherzare, signore. Questo è impossibile. A quello strano uomo, vede, diede di volta il cervello. E alla fine venne condannato per aver tentato di far mangiare una bambina da un'enorme pianta carnivora. Successe quasi due secoli fa...”
     
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    Non andrò mai a comprare dell'erba gatta in un negozio dove gli animali sono imbalsamati. :ahse: Detto ciò, mi è piaciuta molto.
     
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    La cosa inquietante è che avevo un'amica di nome Sara che aveva un animale di nome Milù :gratt:

    Comunque bella storia.
     
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    Sicura che è una coincidenza? :ahse:
     
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    Non troppo, adesso.
     
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    Cavolo,è davvero spaventoso. Complimenti.
     
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