Il babyphone

Paul van Loon

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    Era una freddissima sera d'inverno. Il campanello del portone suonò. Penetrante, insistente. La signora Van Toen si alzò dalla poltrona e andò con premura alla porta: non era stagione da lasciar aspettare la gente in strada.
    Quando aprì la porta, candidi fiocchi di neve turbinarono dentro dall'oscurità. Sulla soglia c'era qualcuno con in testa un berretto di pelliccia e al collo una grossa sciarpa ben riboccata dentro il bavero del cappotto invernale. Del visitatore, la signora Van Toen riuscì a scorgere solo gli occhi, che la guardavano da sopra l'orlo della sciarpa.
    “Buongiorno, signora” disse l'uomo, e il suo fiato caldo produsse, attraverso la sciarpa, una nuvoletta di vapore nell'aria gelida. “Sono il suo nuovo vicino. Io e mia moglie vorremmo chiederle un favore... anche se, lo ammettiamo, non è molto cortese, visto che ancora lei non ci conosce. Siamo venuti ad abitare qui soltanto oggi”.
    Solo allora la signora Van Toen si accorse che alle spalle del visitatore c'era anche un'altra persona un po' più bassa, ma ugualmente imbacuccata, che le rivolgeva cordiali cenni col capo. Doveva essere la moglie, pensò la signora Van Toen.
    “Ma certo, si accomodino” disse in tono affabile, “così potremo far conoscenza come si deve”. Ma il vicino scosse la testa. “E' molto gentile da parte sua” rispose, un po' esitante “ma, vede, non abbiamo tempo: siamo di fretta. Il problema però è che non abbiamo ancora una baby-sitter per il nostro bambino”. Gli occhi sotto il berretto di pelliccia guardarono quasi imploranti la signora Van Toen. “Non potremmo, per quest'unica volta, lasciarle il nostro babyphone, in modo che lei possa tener d'occhio la situazione? O, per meglio dire: tenerla d'orecchio?”. Il vicino rise brevemente, con una specie di strano singulto. Poi si tolse di tasca una cassettina quadrata con incorporato un piccolo altoparlante. “Lei dovrà solo esser così gentile da tenersi vicino il babyphone; e ascoltare ogni tanto se il bambino dorme tranquillo. Se poi ci fosse qualcosa che non va, potrà sempre telefonarci a questo numero”. E così dicendo estrasse dalla tasca del cappotto un foglietto con un numero telefonico.
    Senza esitare, la signora Van Toen prese sia il foglietto che il babyphone. Era una donna di buon cuore. “Certo che siamo disposti a badare al vostro piccino. Non datevi pensiero”.
    I nuovi vicini la ringraziarono profusamente e, dopo che l'uomo ebbe collegato il filo del babyphone, scomparvero frettolosi nella neve che continuava a cadere senza posa. La signora Van Toen li salutò agitando amichevolmente la mano in cui stringeva la chiave che i due, per sicurezza, le avevano consegnata.
    Poi collocò il babyphone su uno scaffale della libreria, e si rimise seduta a ricamare diligentemente il suo cuscino a punto arazzo.
    Il signor Toen, allungato sul divano, di tanto in tanto sbirciava con un occhio solo la TV, su cui l'uomo della meteo pronosticava, con aria ammiccante, ulteriori nevicate. Lentamente, il signor Van Toen sprofondò nel sonno.
    Dopo un po' la signora Van Toen si alzò dalla poltrona e si avvicinò al babyphone per accertarsi che il bambino dei vicini non avesse problemi, e rimase per qualche momento ad ascoltare intenerita il respiro regolare che proveniva dal piccolo altoparlante. Il bambino sembrava dormire pacificamente.
    Ma a un tratto dall'altoparlante uscì una specie di sommesso grugnito.
    La signora Van Toen ne fu così sorpresa che indietreggiò di un passo e per poco non inciampò sullo sgabello poggiapiedi. Aveva sentito bene? Inclinò cautamente la testa verso il babyphone e si rimise in ascolto... Ecco! Di nuovo quel basso, rauco suono di gola.
    “Svegliati, caro!” gridò la signora Van Toen, scrollando nervosamente il marito, che per l'appunto stava sognando una calda, radiosa vacanza al sole.
    “C'è qualcosa che non va, in casa dei vicini” sussurrò la signora Van Toen “Ascolta! Mi sembra di sentire una bestia feroce attraverso il babyphone”.
    “Che razza di sciocchezze” brontolò il signor Van Toen alzandosi stancamente dal divano. Poi si avvicinò al babyphone e rimase qualche momento in ascolto.
    “Che cosa ti avevo detto? Non si sente nulla, cara. Hai certamente...”
    Ma in quel preciso istante si udirono un ruggito fortissimo e un rumore come di artigli affilati che grattano sul muro. Il signor Van Toen, che adesso era diventato pallido, indietreggiò come per timore che il babyphone potesse saltargli ringhiando alla gola.
    “Sei contento, adesso?” commentò trionfante la signora Van Toen “Era questo che intendevo”.
    “Pro... probabilmente i vicini hanno un grosso cane” balbettò il signor Van Toen ritrovando un po' della sua padronanza “Sì, è decisamente così. Un cane che dev'essere entrato nella camera del bambino”.
    Ora dal babyphone uscivano a tratti ringhi, soffi e grattate. Ma la signora Van Toen sosteneva che, secondo lei, non provenivano da un cane. Tanto più che il vicino non aveva fatto il minimo accenno al fatto di possedere un cane.
    “Harrie” disse con decisione “dobbiamo fare qualcosa. Magari è un gatto selvatico che si è infilato dalla finestra. E allora? Se quella belvaccia aggredisse il bambino? Non vorrai mica avere sulla coscienza un fatto del genere, Harrie! Abbiamo promesso di vegliare sul bambino!”
    Dal babyphone uscirono altri soffi e brontolii, e poi un rumore di oggetti scagliati da ogni parte.
    “Basta! Dobbiamo fare qualcosa!” disse la signora Van Toen “Harrie, va' immediatamente a guardare cosa sta succedendo. Quel gatto selvatico sta devastando la camera del bambino. E ora gli farà anche del male, povero piccolo!”
    Altri grugniti, punteggiati da brevi rugli. A ben pensarci, quei suoni non dovevano essere né di un cane né di un gatto selvatico, concluse il signor Van Toen. Sembravano piuttosto di un orso feroce, o di un cinghiale infuriato, o peggio...
    “Su, Harrie, dì qualcosa!” esclamò la signora Van Toen.
    “Ho un'idea migliore” disse il signor Van Toen. “Telefoniamo al numero che ci hanno lasciato i vicini, e preghiamoli di tornare a casa”.
    “Vuoi scherzare, Harrie? Dobbiamo prima sincerarci di cosa si tratta. Non si può, al minimo rumore, telefonare alla gente e farla correre a casa trafelata, in mezzo alla neve. Mi meraviglio di te, Harrie!”
    La signora Van Toen guardava il consorte con aria di rimprovero.
    Il signor Van Toen tirò un profondo sospiro. Non gli sembrava che i suoni che uscivano dal babyphone potessero definirsi un minimo rumore. Capì comunque di non aver via di scampo, per cui, a malincuore, s'infilò il cappotto e le scarpe. “Dov'è la chiave?” borbottò.
    Poco dopo era fuori, e mentre fiocchi di neve gli turbinavano intorno alla testa e alle spalle, infilò la chiave nella serratura dei vicini. La neve fresca, che un vento tagliente gli faceva mulinare intorno ai piedi, aveva già ricoperto le sue orme. Il signor Van Toen rabbrividì, aprì la porta ed entrò, bravamente. Contro le violente raffiche che soffiavano contro la casa, riuscì a malapena a richiudersi la porta alle spalle. Dentro, era buio pesto. L'unico rumore che riusciva a percepire era il martellare sordo del proprio cuore contro le costole.
    “Visto? Scempiaggini!” borbottò il signor Van Toen “Tutto dipende senz'altro dal cattivo funzionamento del babyphone. Banali scariche elettriche, tutto qui”.
    Al piano di sopra qualcosa rotolò rumorosamente per terra.
    Il signor Van Toen s'irrigidì.
    Dall'alto provenivano ringhi, grugniti, e un raspare come di unghioni su una parete.
    Il primo pensiero del signor Van Toen fu di girare sui tacchi, correre fuori, fuggire da quella casa piena di rumori allarmanti; ma poi pensò al povero piccolo, là nel suo lettino. A quella creaturina indifesa, forse in balia di una bestia feroce penetrata nella sua cameretta.
    Così, chiamato a raccolta tutto il suo coraggio, si avviò a tastoni su per la scala di legno. Sentendo i gradini cricchiare sotto i suoi piedi, il signor Van Toen si fermò. Poi, imprecando a mezza bocca, riprese a salire lentamente, cautamente, in punta di piedi.
    Finalmente sentì al tatto di essere arrivato in cima alla rampa. Aguzzò gli occhi nell'oscurità. Sul pavimento del pianerottolo, una debole strisciolina di luce si allungava da sotto una porta. “Sarà quella della camera del bambino” pensò il signor Van Toen. E la luce era probabilmente quella di una piccola lampada da notte.
    In quell'istante, da dietro la porta, gli giunse un cupo brontolio.
    Poi silenzio. Un silenzio mortale.
    “Ora o mai più” si disse il signor Van Toen, e tastando nel buio trovò la maniglia, socchiuse in silenzio la porta e allungò prudentemente il collo nella camera del bambino.
    C'era, in effetti, una piccola lampada da notte che illuminava debolmente la camera, quel tanto che bastava a distinguere una sagoma sul lettino. Un essere con grandi orecchie puntute, lunghi canini e artigli affilati. L'essere rugliò sottovoce, poi si mise a ciucciare e mordere con impegno un orsacchiotto di pezza. Lungo i canini gli scendeva un filo di saliva che luccicava nel debole chiarore della lampadina.
    Il signor Van Toen sentì il sangue gelarglisi di colpo nelle vene. Del bambino, nessuna traccia. C'era solo quel piccolo mostro seduto sul lettino, intento a mangiarsi l'orso di pezza.
    “Oh no!” pensò il signor Van Toen “Questo significa che ha già divorato il bambino”.
    A quell'atroce pensiero il signor Van Toen fu lì lì per svenire, ma subito si riprese, ritrasse la testa e richiuse silenziosamente la porta.
    Per fortuna il mostriciattolo non si era accorto di lui. Col cuore in tumulto, il signor Van Toen, in punta di piedi, scese le scale, infilò la porta d'ingresso e uscì incespicando nel buio.
    Appena rientrato a casa sua, afferrò il telefono e compose il numero del recapito dei vicini.
    “Cos'hai, Harrie? Ti vedo molto pallido” disse sua moglie. Lui non le rispose: dall'altro capo del filo qualcuno aveva alzato il ricevitore.
    “Pronto? Qui Van Toen” disse il signor Van Toen con voce strozzata. “Correte subito a casa. Temo che il vostro bambino sia stato divorato da un mostro”.
    La signora Van Toen si sentì mancare.

    Dieci minuti più tardi, il campanello suonò per la seconda volta. Sulla porta c'era il vicino, ancora infagottato nella sua pesante tenuta invernale. “Vengo a tranquillizzarla” disse con aria cordiale “Il nostro bimbo dorme pacifico, senza neanche un graffio”.
    Il signor Van Toen non ci capiva più niente. “Com'è possibile?” balbettò “Avrei giurato che...”
    “Venga a vedere” lo invitò affabilmente il vicino.
    Il signor Van Toen lo seguì in casa, salì le scale ed entrò nella cameretta. Accanto al lettino c'era la moglie del vicino, che nella fretta non aveva ancora trovato il tempo di sbarazzarsi dei pesanti indumenti invernali. “Guardi pure” disse il vicino, sfilandosi il cappotto.
    La stanza, ora, era illuminata da un lampadario centrale. “Vede? Dorme come un angioletto” sussurrò la vicina. Il signor Van Toen vide.
    Il piccino dormiva, scoperto fino alla vita e con un pollice ficcato in bocca fra i due canini sporgenti. Con i piccoli artigli stringeva un lembo del lenzuolo, scuotendo leggermente nel sonno le piccole orecchie puntute. Col braccio libero si stringeva al petto l'orso di pezza tutto sbocconcellato.
    “Povero tesoro, si è un po' agitato nel sonno” disse intenerita la vicina. “Si sarà stizzito perché l'abbiamo lasciato solo, e così si è mangiato mezzo orso e ha grattato via un po' di carta da parati dietro il lettino”.
    Il signor Van Toen era rimasto senza parole. Poi, vacillando, si girò per andarsene. Il vicino e la vicina, che nel frattempo si erano sbarazzati di sciarpe, berretti e cappotti, gli sorridevano affabilmente, scoprendo due paia di lunghi canini e scuotendo leggermente le orecchie puntute.
    “Grazie per le sue premure, carissimo, e arrivederci a presto” disse il vicino, porgendo una mano dai lunghi artigli affilati al signor Van Toen. Il quale schizzò in mezzo ai due vicini, e senza salutare si precipitò con un grido giù per le scale, fuggendo verso il suo caldo nido domestico.
    I vicini si guardarono in faccia, interdetti. “Però, che strano tipo quel signor Van Toen” dissero. Poi risero, con una strana voce singhiozzante.
    Fuori continuava a nevicare, come se avesse intenzione di non smettere mai più.
     
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    "Il solo immaginare che ti sto uccidendo mi ha fatto venire un sorriso in volto "

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    Stile super e piccoli brividi
     
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