La poltrona

Paul van Loon

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    Chiunque fosse cacciato di classe, doveva presentarsi al signor Drakenborch, ovvero il Drago, come gli alunni avevano soprannominato il direttore.
    Il Drago riceveva i rei nel suo ufficio particolare, noto per questo motivo come “la camera di tortura”.
    Quando qualcuno bussava alla porta gli rispondeva la voce nasale del signor Drakenborch, che sedeva dietro una grande scrivania di quercia.
    “Avanti!”
    Jasper aprì la porta e varcò esitando la soglia.
    Alla luce della lampada da tavolo, il Drago stava curvo su un fascio di carte. La stanza era in penombra per via dello spesso tendaggio davanti alla finestra.
    Jasper si fermò sul vano della porta e attese.
    “Chiudi!” disse il Drago senza alzare gli occhi. Obbediente, Jasper tirò a sé il battente. La porta si richiuse con un leggero clic, tagliando fuori il resto del mondo. Adesso non c'era che quella stanza semibuia, il regno del Drago.
    Jasper rimase in attesa con le mani dietro la schiena, respirando il più leggermente possibile. Gli pizzicava una gamba, ma non osò grattarsi. E aveva anche voglia di andare al gabinetto.
    Il direttore non aveva ancora alzato gli occhi. Seduto dietro la scrivania, sembrava un blocco di granito.
    Girando gli occhi a destra e a sinistra, Jasper prese visione della stanza. Contro una parete c'era un classificatore di metallo con quattro cassetti, dove il Drago custodiva le schede coi nomi di tutti gli alunni, completi di note sulla loro condotta. Lungo la parete opposta c'erano degli scaffali pieni di grossi libri e voluminose cartelle di archivio. Con i muri spogli e grigi, la stanza sembrava una cella di prigione, pensò Jasper. Poi il suo sguardo si fermò a destra della scrivania, su una poltrona colossale simile a un muto mostro di cuoio grasso.
    La poltrona!
    Jasper ne aveva sentito parlare in varie occasioni, ma non l'aveva mai vista coi propri occhi. La famosa poltrona del signor Drakenborch, di cui si sussurrava con sacro timore nel cortile della scuola. Era un enorme mostro marrone, interamente rivestito di spesso cuoio di bufalo. Aveva due ampi braccioli arrotondati, pesanti cuscini di cuoio e quattro piedi di legno a zampa di leone.
    I cuscini facevano pensare a due gigantesche labbra, e a Jasper balenò l'idea spaventosa che, se mai ci si fosse seduto, quella poltrona avrebbe potuto inghiottirlo. Nell'osservarla meglio, un brivido gli serpeggiò per la schiena. Sui braccioli consunti e rigati si vedeva come un groviglio di rabbiosi graffiti.
    Quella poltrona era diventata leggendaria a scuola per via dei racconti di chi ne aveva fatto conoscenza. Eppure, pensò Jasper, non era altro che una vecchia poltrona, muta e immobile.
    Il Drago si alzò di scatto, respingendo dietro di sé la sedia, che stridette sul pavimento di legno.
    Jasper sobbalzò spaventato.
    Il direttore si aggiustò sul naso gli occhialetti di acciaio e si portò davanti alla scrivania. Era un uomo di bassa statura ma di corporatura massiccia, quasi quadrata. La sua faccia era dura, con due profonde pieghe ai lati della bocca.
    “Veniamo a noi!”
    Jasper abbassò gli occhi. Nessuno osava guardare in faccia il Drago.
    “Parla! Perché sei qui?” chiese il Drago con voce annoiata.
    “Il maestro mi ha espulso dalla classe, signor direttore” rispose Jasper fissando i propri piedi.
    “Ah! E come mai ti ha espulso?”. Nella voce del Drago si era accesa una scintilla di curiosità.
    Jasper arrossì, titubante.
    “Bhe? Non sai dire altro?”. Parole brevi, secche come colpi di scopa.
    “Se l'è presa perché ho intagliato il piano del banco, signor direttore”
    “Cos'hai fatto?”. Il tono era incredulo, sconcertato.
    Jasper si fece piccolo piccolo.
    “Ho intagliato dei segni sul piano del banco, signore”.
    “Perché l'hai rovinato?”
    “Mi annoiavo, signor direttore!”
    “Ah, è così! Ti annoiavi!” sibilò fra i denti Drakenborch, allontanandosi velocemente dalla scrivania.
    Jasper lo seguì con gli occhi. Il direttore si avvicinò alla poltrona, allungò al di sopra del sedile il braccio di una lampada estensibile e girò l'interruttore. Un cono di luce abbagliante illuminò la poltrona, e sul pavimento l'ombra del Drago si dilatò come una nera macchia di petrolio.
    “Siedi!”
    Jasper fece un passo avanti, poi si fermò. “No” si disse “Non su quella poltrona!”
    “Siedi!”
    Due secondi dopo, Jasper era lì, sprofondato nei cuscini di cuoio. I braccioli della poltrona erano così alti che le spalle di Jasper li superavano appena. Il cuoio era freddo ed emanava uno strano odore. Pesante, animalesco.
    “Puzza di bufalo” pensò Jasper. O forse del sudore dei bambini angosciati che si erano seduti su quella poltrona prima di lui. Il cono di luce della lampada sovrastava la testa di Jasper come un piccolo sole accecante.
    “Dunque ti annoiavi, eh?” ripeté il Drago tornando dietro la scrivania. Frugò in un cassetto, poi si piazzò di nuovo davanti alla poltrona, impugnando una corta riga da disegno. Accarezzò la riga con la punta delle dita, dalle unghie corte e ben curate. Jasper lo guardava spaurito.
    “Perché si viene a scuola?” chiese a bassa voce il Drago, passeggiando intorno alla poltrona.
    “Per imparare, signore” sussurrò Jasper.
    “Ah! Per imparare!” e così dicendo, il Drago vibrò con la riga una sferzata sibilante su uno dei braccioli della poltrona.
    Jasper si rannicchiò come se il colpo fosse calato sul proprio braccio.
    “Imparare non significa distruggere i banchi!”
    Svisch! La riga tornò ad abbattersi ferocemente sull'altro bracciolo, lasciandovi impressa una linea sottile. Jasper strinse i denti sentendosi rattrappire, come schiacciato dalle enormi braccia della poltrona.
    La mezz'ora che seguì fu per lui una vera tortura. Continuando a passeggiare intorno alla poltrona, il Drago lo copriva di tutti gli insulti possibili e immaginabili, e per dar forza alle sue parole colpiva sempre più forte i braccioli di cuoio. Come assordato da quei sibili sferzanti, Jasper si ranicchiava sempre più a ogni colpo, per paura che la riga colpisse anche lui. Col sudore che gli scendeva a rivoli lungo la schiena e i pantaloni incollati al sedere, tremava talmente che la poltrona stessa sembrava vibrare per la paura.
    Finalmente il Drago posò la riga sulla scrivania, si ricompose i capelli con una mano e spense la lampada. Poi si avvicinò al classificatore, aprì un cassetto e ne estrasse la scheda contrassegnata col nome e il cognome di Jasper. La firmò e vi scrisse la data.
    Jasper era ancora rannicchiato in un angolo della poltrona come un mucchietto di miseria. Il direttore tornò a sedersi dietro la scrivania, si chinò sulle carte e riprese il suo lavoro come se niente fosse stato.
    Gli occhi attoniti, fissi nel vuoto, Jasper si sentiva venir meno.
    “Puoi andare” disse dopo un po' il Drago, senza alzare la testa.

    Coi capelli bagnati si sudore, Jasper si avviò a passi incerti lungo il corridoio, sbattendo le palpebre alla cruda luce che penetrava a fasci dai finestroni. Un ragazzo con la faccia terrea stava arrivando dalla parte opposta. Davanti a Jasper si fermò.
    “Anche tu dal Drago? E' stato brutto?” sussurrò. Jasper gli rivolse uno sguardo stanco, limitandosi ad accennare di sì con la testa.
    Il ragazzo, ancora più terreo, si avvicinò con le ginocchia molli alla porta della camera di tortura. Si guardò intorno un'ultima volta e bussò timidamente.
    “Avanti”
    Il ragazzo gettò uno sguardo disperato a Jasper, poi spinse con cautela la porta. Jasper gli voltò le spalle e si trascinò stancamente fino alla sua aula.

    Jasper si propose solennemente di non sfregiare mai più il piano di un banco. Sarebbe stato un alunno bravo e diligente, anche se le lezioni del maestro Vossen erano barbose da morire.
    Ogni tanto sentiva la voglia di lanciare una pallina di carta, ma al pensiero del Drago e della sua poltrona gli venivano i sudori freddi. Se poi gli capitava di passare davanti alla camera di tortura, si metteva involontariamente a camminare in punta di piedi, come se il Drago potesse apparire sulla porta, trascinarlo nel suo ufficio e scaraventarlo a sedere sulla poltrona.
    Questo però non accadde mai, e col passare dei mesi il ricordo dell'accaduto cominciò a sbiadire sempre più. Una sola volta, nel passare davanti alla famosa stanza, Jasper udì il sibilo delle sferzate della riga sul cuoio, e immaginò che qualche altro malcapitato, espulso dalla classe, fosse lì tra le grinfie del Drago.

    Un bel giorno accadde qualcosa di strano. La lezione era finita, e Jasper, percorrendo il corridoio, passò davanti alla porta chiusa della camera di tortura. Da dietro quella porta gli giungeva la voce rabbiosa del Drago.
    “Tho! Pigliati questa!”. E subito dopo, Jasper udì i ripetuti schiocchi della riga sulla poltrona, fra le violente imprecazioni del Drago.
    “Ahi, ahi, qualcuno le sta buscando” pensò Jasper. In quell'istante la porta si aprì di colpo, e il direttore, con la faccia paonazza, varcò la soglia sbattendosi la porta alle spalle. Nei suoi occhi c'era uno sguardo selvaggio.
    “Hey, tu! Cosa stai lì a ciondolare?” lo apostrofò furibondo “Bada di andar subito a lezione. Sparisci!”.
    Jasper non se lo fece ripetere due volte; ma nel tornare in classe si domandò chi poteva trovarsi sulla poltrona, stavolta. Il Drago gli era sembrato fuori di sé, ma lo strano era che dallo studio era uscito da solo.
    “Che l'abbia ammazzato di botte?” pensò Jasper “Forse ora su quella poltrona c'è un cadavere. Forse il Drago ha perso il cervello e si è tramutato in un pazzo sanguinario”.
    Ma i giorni seguenti trascorsero uguali a tutti gli altri. A scuola non ci furono assenti, e le lezioni seguirono il solito tran-tran. Jasper dimenticò anche questo incidente.

    Ma durante un caldo pomeriggio estivo, poco prima delle vacanze, Jasper dimenticò i suoi buoni propositi. Sul pavimento, proprio accanto alla sua scarpa, c'era un piccolo elastico piegato in forma di otto. Jasper si sporse sotto il banco e raccolse di soppiatto l'elastico, ridendo tra sé. Nel banco davanti a lui, Walter Stock era tutto intento ad ascoltare la monotona lezione di geografia del maestro. La sua nuca rasata era così invitante che Jasper non potè resistere alla tentazione.
    Il maestro, in piedi di fronte alla classe con in mano il libro aperto, non guardava nessuno in particolare. Jasper adattò l'elastico intorno alla punta dell'indice sinistro, lo tese col pollice e l'indice della destra, mirò alla nuca di Walter Stock e tirò. L'elastico schizzò via, mancò per un pelo il bersaglio e, sorvolando il libro di geografia, colpì il maestro in faccia.
    Il libro di geografia cadde a terra, il maestro cacciò un grido e Jasper si batté una mano sulla fronte.

    Coi piedi di piombo e il cuore in gola, Jasper si avviò verso la camera di tortura. Tutti i ricordi della sua prima visita al Drago gli si ripresentavano alla mente. E rammentò anche l'ultima volta che aveva visto uscire il Drago dallo studio, con quell'espressione stravolta e feroce.
    Ma solo quando fu davanti alla porta, nel più assoluto silenzio, udì provenire dallo studio gli schiocchi sibilanti della riga e la voce furibonda del Drago.
    “Sta' a vedere che troverò il Drago doppiamente infuriato!” pensò Jasper.
    Avrebbe voluto scappare via dalla scuola, lontano da Drakenborch e dalla sua poltrona, ma rimase invece sulla porta a origliare, con le gambe tremanti. Il direttore gridava così forte che Jasper poteva distinguere chiaramente ogni parola.
    “Sparisci! Sparisci, ti dico!” sbraitava il Drago tra i colpi sferzanti della riga sul cuoio. Poi, silenzio. Qualche momento dopo si sentì un oggetto pesante strusciare sul pavimento, poi un secco crac, e un urlo rabbioso del Drago.
    Silenzio.
    Jasper era pallidissimo. Che cosa stava accadendo là dentro? Per un paio di minuti restò immobile davanti alla porta. Dallo studio non provennero altri rumori. Allora bussò cautamente e attese la voce del direttore.
    Nessuna risposta.
    Bussò più forte.
    Silenzio.
    Jasper rimase indeciso per qualche istante, poi chiamò a raccolta tutto il suo coraggio e socchiuse lentamente la porta. Fu colpito sull'istante dal greve odore animale che aveva già sentito la prima volta. Adesso, però, l'odore sembrava riempire tutta la stanza.
    Jasper sbirciò dallo spiraglio della porta, poi entrò. Nella semioscurità dello studio si distingueva l'ampia scrivania del Drago coperta di montagne di scartoffie. Ma il Drago non era seduto al suo posto. Anzi, non era da nessuna parte. Lo studio era deserto.
    “Non può essere” pensò Jasper “Eppure ho sentito chiaramente la sua voce”. Ma di Drakenborch non c'era traccia. L'odore sgradevole era fortissimo, Jasper perlustrò con gli occhi tutta la stanza, e infine posò lo sguardo sulla poltrona.
    La poltrona!
    Il grosso mostro aveva cambiato posto: ora si trovava addirittura all'altro lato dello studio.
    Jasper tremava: da quella massa immobile sentiva provenire un'inspiegabile minaccia.
    Strisciò a piccoli, timidi passi fin davanti alla poltrona, poi rimase immobile a fissarla, cercando di decifrare ciò che stava vedendo.
    Sul pavimento ai piedi della poltrona giaceva la riga da disegno del direttore. Rotta in due. E sulla poltrona, al centro del sedile, c'era un bottone. Un bottone del vestito di Drakenborch.
    Sulle prime, Jasper non si raccapezzò; ma poi vide qualcos'altro. In fondo alla poltrona, e precisamente nella fessura tra il sedile e la spalliera, si muoveva una forma indistinta. Jasper allungò il collo per guardare meglio, e subito si ritrasse con un grido. Ciò che spuntava fra i cuscini era una mano... Una mano con le dita dalle unghie corte e ben curate che si muoveva in una sorta di spasmo. Jasper rimase a fissarla incredulo finché il rivestimento di cuoio fu percorso da una sorta di fremito, e la mano scomparve del tutto fra il sedile e la spalliera.
    Jasper si sentì gelare. Allora girò sui tacchi e si precipitò fuori, sbattendo la porta dietro di sé. Ma l'immagine della poltrona continuava a balenargli nella testa. La poltrona con le innumerevoli rigature sui braccioli, contro i quali il Drago si era accanito per anni. Fino al giorno in cui lei non aveva più potuto sopportarlo, e...
    La mente di Jasper si rifiutava di credere all'evidenza. Le poltrone non divorano la gente! Fatti del genere non succedono! Perciò Jasper si sforzò di dimenticare ogni cosa, e non ne fece mai parola con nessuno.
    Ma del signor Drakenborch, il direttore, nessuno seppe più nulla. Nessuno potè dare una spiegazione del fatto che fosse scomparso senza lasciar traccia.
    Qualche mese dopo, la camera di tortura venne ristrutturata dal nuovo direttore. La grande poltrona fu regalata a un asilo per senzatetto. Là, comoda e solida com'era, se la sarebbero certamente goduta ancora a lungo, disse il nuovo direttore.

    Edited by Shira™ - 30/6/2013, 16:00
     
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  2. †Tarallino.zip†
         
     
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    Shira, per favore, potresti rimpicciolire i caratteri? Swaky ha problemi a leggerla!
     
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    Scusate il disturbo, grazie per aver diminuito la grandezza dei caratteri.

    Coi capelli bagnati *si sudore,


    Piccolo errore di distrazione, in ogni caso me la sono goduta fino in fondo. Tutti è descritto nei minimi particolari, esattamente come piace a me. I caratteri potete risistemarli, grazie ancora.
     
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    Questo racconto lo lessi la prima volta alle elementari. Al tempo mi aveva colpito molto. Davvero bello!
     
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