Le Bambole

Ian McEwan

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    Fin da quando riusciva a ricordare, Peter aveva diviso con Kate la camera da letto. Per lo più la cosa non gli dava fastidio. Anzi, certe notti risvegliandosi da un incubo, era stato persino contento di avere qualcuno nella stanza, anche se si trattava solo di una sorellina di sette anni che di sicuro non sarebbe stata di grande aiuto contro quelle creature coperte di sangue e di bava che gli davano la caccia nei sogni. Al suo risveglio, i mostri andavano a nascondersi dietro le tende, oppure si infilavano nell'armadio. Grazie alla presenza di Kate, comunque, era un tantino più facile uscire dal letto e sfrecciare di corsa fino alla camera di mamma e papà.
    Altre volte invece gli dispiaceva eccome di dover dividere la stanza. E lo stesso valeva per Kate. Ad esempio quando per pomeriggi interi non facevano altro che darsi sui nervi. Si incominciava con un dispetto che diventava un bisticcio che diventava una rissa, a suon di pugni, graffi, tirate di capelli eccetera. Dal momento che Peter aveva tre anni di più, era sempre convinto di avere la meglio in quelle lotte all'ultimo sangue. E in un certo senso era così. Poteva sempre contare sul fatto di riuscire a far piangere Kate per prima.
    Ma si poteva chiamarle vere e proprie vittorie? Kate era capace di trattenere il fiato fino a farsi venire la faccia rossa come una prugna matura. E a quel punto, le bastava precipitarsi di sotto dalla mamma per farle vedere “Che cosa le aveva fatto Peter”. O magari si sdraiava sul pavimento e si faceva uscire di gola quel suono strozzato, così Peter pensava che sarebbe morta di lì a un minuto. E allora toccava a lui correre sotto a chiamare la mamma. Poi Kate poteva strillare. Una volta, nel corso di una di quelle burrasche di urli, stava passando una macchina fuori e un signore si era fermato e aveva guardato con aria preoccupata verso la finestra della loro stanza. In quel momento per caso Peter si era affacciato. Il tale aveva attraversato il giardino e si era messo a bussare alla porta, sicuro che stesse succedendo qualcosa di terribile. Infatti. Peter aveva preso una cosa a sua sorella e lei la rivoleva indietro. Subito!
    In simili occasioni, era sempre Peter a finire nei guai, mentre Kate se la cavava alla grande. O almeno così la vedeva Peter. Se si arrabbiava con sua sorella, doveva pensarci bene, prima di picchiarla. Spesso per evitare la guerra, tracciavano una linea immaginaria che dalla porta attraversava la stanza. Di là stava Kate, di qua Peter. Da questa parte, la scrivania di Peter con le matite e i colori, il suo animale di pezza, la giraffa col collo storto, il piccolo chimico, la scatola dei componenti elettrici e quella degli stampini che non venivano mai bene come quelli disegnati sul coperchio, e la cassetta di latta che conteneva tutti i suoi segreti e che Kate cercava sempre di aprire.
    Dall'altra parte, la scrivania di Kate, il suo telescopio, il microscopio e le calamite che invece erano dentro la scatola proprio come le si vedeva sul coperchio, e per tutto il resto della sua metà camera, c'erano le bambole. Stavano sedute sul davanzale della finestra e con le gambe ciondoloni, in bilico sulla cassettiera e pigiate contro gli specchi, sedute dentro la carrozzella. Le preferite erano quelle più vicine al suo letto. Ce n'erano di tutti i colori, dal nero più nero e lucido come vernice da scarpe, al bianco più smorto, ma per lo più erano di un bel rosa acceso. Certe erano nude. Altre indossavano una sola cosa, un calzino, una maglietta, o una cuffia. Alcune erano tutte agghindate in sontuosi vestiti da ballo con fasce, tuniche di pizzo e strascichi carichi di nastrini. Erano una diversa dall'altra, ma una cosa in comune l'avevano: quello sguardo fisso, arrabbiato, da pazze. In teoria avrebbero dovuto essere dei neonati, ma gli occhi le tradivano. I neonati non guardano in quel modo nessuno. Passando accanto alle bambole, Peter si sentiva scrutato e, uscendo dalla stanza, sospettava sempre che si mettessero a parlare di lui, tutte e sessanta.
    Eppure, non gli avevano mai fatto niente di male e in fondo ce n'era soltanto una che proprio non gli piaceva. La Cattiva. Persino a Kate non piaceva. Le metteva paura, talmente tanta che non aveva il coraggio di buttarla, caso mai quella fosse tornata nel cuore della notte a vendicarsi. La Cattiva chiunque l'avrebbe riconosciuta al primo sguardo. Era di un rosa mai visto su un essere umano. Molto tempo fa la gamba sinistra e il braccio destro erano stati strappati dai buchi del corpo. E sul cranio crivellato di buchi le cresceva un ciuffo spesso di capelli neri. Chi l'aveva fabbricata doveva aver avuto intenzione di farle un bel sorriso dolce, ma qualcosa era di sicuro andato storto nello stampo, perché la Cattiva tirava su un labbro in una specie di smorfia e pareva sempre pensare alle cose più brutte del mondo.
    Di tutte le bambole, solo la Cattiva non era né maschio né femmina. Era la Cattiva e basta. Addosso non aveva vestiti e se ne stava seduta nell'angolo più lontano dal letto di Kate, in cima a uno scaffale dei libri dal quale dominava tutte le altre. Qualche volta Kate la prendeva in braccio e cercava di ammansirla con delle paroline bisbigliate, ma dopo un minuto rabbrividiva e la rimetteva al suo posto.
    La linea invisibile funzionava benissimo, finché si ricordavano che c'era. Doveva chiedere permesso per passare dall'altra parte. A Kate era proibito curiosare nella cassetta di Peter, e Peter non poteva toccare il microscopio senza chiedere. Tutto andò bene finché un piovoso pomeriggio di domenica non scoppiò una lite delle peggiori su dove esattamente si trovasse la linea immaginaria. Peter era sicuro che fosse più lontana rispetto al suo letto. Quella volta Kate non ebbe bisogno di diventare viola, né di far finta di morire, o di strillare. Le bastò dare un bel colpo sul naso a Peter con la Cattiva. L'afferrò per la sua unica gamba cicciona e gliela scaraventò sulla faccia. Perciò, toccò a Peter correre al piano di sotto piangendo. Il naso non gli faceva poi tanto male, ma sanguinava e non voleva perdersi un'occasione del genere. Mentre si precipitava di sotto, si passò il dorso della mano su tutta la faccia e arrivato in cucina, si gettò a terra di fronte a sua madre gemendo e ululando e contorcendosi tutto. Kate sarebbe finita in un bel guaio davvero, era certo.
    Fu quella lite a convincere i genitori di Peter e Kate che fosse venuto il momento di separare le stanze dei bambini. Poco dopo il decimo compleanno di Peter, suo padre svuotò quella che in genere veniva definita la camera degli scatoloni, che per la verità non ne conteneva neanche uno, ma solo vecchie cornici vuote e poltrone sfondate. Peter aiutò sua madre a imbiancare la stanza. Ci misero le tendine e sistemarono un enorme letto di ferro con i pomelli in ottone.
    Kate era così contenta che diede una mano a trasportare le cose di Peter sul pianerottolo. Basta con le risse. E non avrebbe neppure più dovuto stare a sentire gli orrendi sibili e gorgoglii che suo fratello faceva durante la notte. Peter dal canto suo non riusciva a smettere di cantare. Adesso aveva un posto dove poteva rifugiarsi e, sì insomma, vivere. Quella sera decise di coricarsi mezz'ora prima per godersi il piacere della sua stanza, delle sue cose, senza doversi preoccupare di nessuna linea immaginaria nel mezzo del pavimento. Si sdraiò nella semioscurità, pensando che in fondo non tutto il male viene per nuocere, e persino quel mostro odioso della Cattiva aveva prodotto qualcosa di buono.
    E così i mesi passavano, e Peter e Kate si abituarono all'idea di avere camere separate e non ci pensarono più granché. I giorni importanti arrivavano e finivano: il compleanno di Peter, la sera dei fuochi d'artificio, Natale, il compleanno ai Kate, e infine la Pasqua. Accadde due giorni dopo la consueta caccia all'uovo di Pasqua. Peter era sul letto in camera sua, pronto a mangiarsi l'ultimo uovo rimasto. Era il più grande e il più pesante ed era per quello che Peter se lo era lasciato per ultimo. Lo sfogliò della carta azzurra e argentata, Aveva quasi le dimensioni di un pallone da rugby. Peter se lo tenne tra le mani, per osservarlo bene. Poi lo avvicinò e premette contro il guscio con i due pollici. Quanto gli piaceva quel profumo di cacao denso e burroso che si sprigionava dalle buie pareti concave. Si portò l'uovo alle narici e respirò profondamente. Poi si mise a mangiare.
    Fuori pioveva. C'era ancora una settimana di vacanze. Kate era andata a giocare sa una sua amica. Non c'era altro da fare che mangiare. Venti minuti più tardi, dell'uovo restava soltanto la carta. Peter si alzò, ondeggiando lievemente. Aveva la nausea e si sentiva annoiato, combinazione perfetta per un pomeriggio di pioggia. Che strano, avere una stanza tutta sua, non gli procurava più nessuna emozione. -Sono stufo di mangiare cioccolato, - sospirò dirigendosi verso la porta, -e sono stufo della mia stanza.
    Si fermò sul pianerottolo delle scale, domandandosi se avrebbe vomitato o no. Ma anziché raggiungere il gabinetto, si diresse alla stanza di Kate ed entrò. Ci era tornato già centinaia di volte, naturalmente, ma non da solo. Quando arrivò in mezzo alla stanza, gli sembrò come sempre che le bambole lo stessero osservando. Si sentiva strano, e anche le cose erano diverse dal solito. La stanza era diventata più grande, e per la prima volta si rese conto che il pavimento andava in discesa. Le bambole erano più numerose che mai, con quei loro occhi di vetro, e mentre procedeva scendendo verso il vecchio letto, gli parve di udire un rumore, come un fruscio. Pensò di aver visto qualcosa muoversi, ma quando si voltò, tutto era di nuovo immobile.
    Sedette sul letto e riandò coi pensieri ai giorni in cui ancora dormiva lì. Era piccolo a quel tempi. Aveva solo nove anni. Che cosa poteva saperne? Se solo il Peter di dieci anni avesse potuto tornare indietro e raccontare a quel bamboccio inesperto come stavano davvero le cose. A dieci anni, sì che si incomincia ad avere un quadro preciso della situazione, a capire come gira il mondo... a guardare tutto un po' dall'alto...
    Peter era così impegnato a cercare di ricordarsi quell'altro Peter più piccolo e ignorante che era stato sei mesi prima, che non si accorse neppure della sagoma che si stava dirigendo verso di lui attraverso il tappeto. Quando la notò, diede in un grido di sorpresa e si precipitò sul letto, tirando su i piedi da terra. Con passo malfermo ma deciso avanzava verso di lui la Cattiva. Si era presa un pennello dalla scrivania di Kate e lo stava usando come stampella. Zoppicava in mezzo alla stanza ansimando tutta arrabbiata e borbottando parole tremende che nemmeno una bambola cattiva dovrebbe mai adoperare. Si fermò accanto alla gamba del letto a riprendere fiato. Peter notò con sorpresa che era tutta sudata sulla fronte e sul labbro superiore. La Cattiva appoggiò il pennello al letto e si passò sul viso l'unico braccio di cui disponeva. Poi, rivolgendo a Peter una rapida occhiata e tirando un respiro profondo, la Cattiva afferrò la stampella e iniziò la scalata del letto.
    Arrampicarsi fino a tre volte la propria altezza, e con un solo braccio e una gamba è un'impresa che richiede forza e pazienza. La Cattiva aveva ben poco dell'una e dell'altra. Il suo corpicino rosa fremette per la fatica e lo sforzo quando, arrivata a metà della salita, andò cercando un appoggio per il pennello. Ansimava sempre più forte, faceva pena. A poco a poco la testa, più sudata che mai, arrivò all'altezza di Peter. Non gli ci sarebbe voluto niente ad allungare una mano e tirare la bambola sul letto. E con la stessa facilità, avrebbe potuto scaraventarla per terra. Ma non fece nulla. Era troppo interessante. Voleva vedere che cosa sarebbe successo. Mentre la Cattiva guadagnava pochi centimetri alla volta esclamando: -Accidentaccio della malora! - oppure, - Dannazione, porcaccio diavolo!, - e ancora, - Budino marcio che sei! - Peter si rese conto che tutte le bambole della stanza erano girate verso di lui. Occhi azzurrissimi più spalancati che mai, ed ecco un bisbiglio sommesso, come di acqua sui sassi, e un suono che si raccolse in un mormorio e infine un fiume di emozione si riversò su quelle cinque dozzine di spettatrici.
    -Lo sta per fare!- Peter sentì dire da una di loro.
    E un'altra rispose: -Adesso ne vedremo delle belle!
    E un'altra ancora, di rimando: -Quello che è giusto, è giusto!- e almeno altre venti bambole si unirono al coro con dei:
    -Sì!
    -E' giusto!
    - Ben detto!
    La Cattiva intanto aveva appoggiato il braccio sul letto e poteva lasciare andare la gruccia. Adesso si aggrappava alla coperta, cercando di procedere tirandosi avanti. E mentre quella avanzava, sull'altro lato della stanza si levò un grido sonoro e all'improvviso le bambole, tutte le bambole, presero a muoversi verso il letto. Dai davanzali delle finestre e dalle specchiere, dal letto di Kate e dalla carrozzina, avanzando saltellando e cadendo e rimettendosi in piedi sopra il tappeto. Quelle con gli abiti lunghi squittivano, inciampandosi dentro gli strascichi, mentre quelle nude, o con soltanto un calzino addosso, si spostavano con agghiacciante agilità. Avanti, ancora avanti, un'ondata di rosa, di bianco e nero e marrone, e su tutti i broncetti di gomma, un unico grido: -Quello che è giusto, è giusto!- E in ognuno di quegli occhioni vitrei c'era la rabbia che Peter aveva sempre sospettato si nascondesse nel celeste chiaro dei loro sguardi.
    La Cattiva ce l'aveva fatta a raggiungere il letto e se ne stava in piedi esausta ma fiera, rivolgendo cenni del braccio alla piccola folla radunata di sotto. Le bambole si accalcavano manifestando entusiastica approvazione e levando le corte braccia paffute alla loro eroina.
    -Quello che è giusto è giusto!- tornarono a scandire in coro.
    Peter si era spostato nell'angolo più lontano del letto. Aveva le spalle al muro e si stringeva le ginocchia al petto. Questa sì che era una cosa straordinaria. Da un momento all'altro comunque, la mamma avrebbe sentito il chiasso e sarebbe salita per dire di fare silenzio.
    La Cattiva aveva bisogno di riprendere fiato, perciò aveva smesso di urlare. Poi sollevò in aria il pennello-gruccia e all'improvviso lo schiamazzo si interruppe.
    Rivolgendo un cenno d'intesa alle sostenitrici, la bambola zoppa saltellò di un paio di passi in direzione di Peter e disse: -Ti sei sistemato che è una meraviglia, vero?- Il tono di voce era molto cortese, ma dalla folla si levarono delle risatine e Peter sapeva che si trattava di una provocazione.
    -Non credo di capire- disse
    La Cattiva si rivolse alla folla e, lanciandosi in una discreta imitazione di Peter, disse -Non crede di capire, lui!- Poi, a Peter: -Voglio dire, che stai benone nella tua nuova stanza, suppongo.
    -Ah, in quel senso- disse Peter -Sì, certo, è fantastica.
    Alcune delle bambole sul tappeto raccolsero l'ultima parola e si misero a ripeterla: -Fantastica... fantastica... fantastica... - fino a trasformarla in una scempiaggine assoluta che Peter avrebbe tanto desiderato non aver detto.
    La Cattiva aspettava paziente. Quando la calma fu ristabilita, chiese: -Ti piace, eh, avere una camera tutta tua?
    -Certo
    -Ti piace, eh, che sia proprio tutta tua?
    -Sì, te l'ho appena detto. Mi piace- disse Peter.
    La Cattiva si avvicinò a Peter con un altro saltello. Lui aveva la sensazione che stesse per arrivare al punto. Alzò la voce. -E avevi mai pensato che forse anche a qualcun altro avrebbe fatto piacere avere quella stanza?
    -Fammi ridere- disse Peter -Mamma e papà dormono insieme. Perciò restiamo soltanto io e Kate...
    Le sue parole annegarono in un boato di disapprovazione. La Cattiva riuscì a tenersi in equilibrio sull'unica gamba, mentre sollevava la gruccia per chiedere il silenzio.
    -Già, solo voi due, eh?
    Peter scoppiò a ridere. Non sapeva che dire.
    La Cattiva si avvicinò ancora. Allungando la mano, Peter avrebbe potuto toccarla. Era pronto a scommettere che l'odore che le usciva di bocca era di cioccolato.
    -Non ti pare- disse la bambola -che sia venuto il momento di lasciare il posto a qualcun altro in quella stanza?
    -Ma per piacere- disse Peter -Voi siete solo delle bambole...
    Era la cosa peggiore che potesse dire per far infuriare la Cattiva. -Tu hai visto come siamo costrette a vivere- strillò -Siamo in sessanta schiacciate in un angolo della stanza. Ci sei passato accanto migliaia di volte, senza rivolgere neanche un pensiero a come stavamo. A te che importa se siamo accatastate una sull'altra come i mattoni in un muro? Tanto tu non lo vedi quello che ti sta sotto gli occhi. Guardaci! Niente aria, non un po' di intimità, per molte di noi, neanche un letto. Adesso quella stanza tocca a noi. Quel che è giusto, è giusto!
    Un altro fragore si levò dalla folla per essere ancora una volta scandito come uno slogan: -Quel che è giusto è giusto! Quel che è giusto è giusto!- E senza smettere di pronunciarlo, le bambole incominciarono a sciamare sul letto, salendosi sulle spalle per riuscire ad arrampicarsi. Nel giro di un minuto, l'intera ciurma stava ansimando di fronte a Peter, e la Cattiva, che si era ritirata in fondo al letto, agitava la gruccia dalle retrovie della folla al grido di: -Adesso!
    Sessanta paia di mani paffute afferrarono la gamba sinistra di Peter.
    -Oh-issa!- esclamò la Cattiva
    -Oh-issa!- rispose la folla.
    E a quel punto accadde una cosa strana. La gamba di Peter si sfilò. Semplicemente si staccò dal corpo. Guardando dove l'aveva sempre vista, non trovò il sangue che si aspettava, ma una piccola molla che spuntava dai pantaloni strappati.
    Che buffo, pensò. Chi l'avrebbe mai detto...
    Ma non ebbe molto tempo da dedicare alle riflessioni, perché adesso le bambole gli avevano agguantato anche il braccio destro e, tra un oh-issa e l'altro, tiravano. Anche il braccio partì, ed ecco uscire dalla spalla una molla come la prima.
    -Ehi!- strillò Peter -Ridatemi indietro quella roba!
    Ma non c'era niente da fare. Braccio e gamba venivano passati sulle teste della folla, fino a raggiungere la Cattiva. Che prese la gamba e se la infilò. Le stava giustissima. Poi fu la volta del braccio. Sembrava l'avessero fatto per lei, tanto era perfetto.
    Strano, pensò Peter. Era certo che le sarebbero stati grandi.
    Non aveva ancora terminato il pensiero, che di nuovo le bambole gli erano addosso, gli si arrampicavano su per il corpo, tirando capelli, strappando vestiti.
    -Basta!- gridò -Mi fate male!
    Le bambole risero, continuando a cavargli capelli a manciate. Gliene lasciarono soltanto un ciuffo ritto in mezzo alla testa.
    La Cattiva lanciò a Peter la sua stampella e saltellò avanti e indietro per mettere alla prova la sua nuova gamba. -E' il mio turno nella stanza- esclamò -E quanto a lui, può andarsene là sopra-. E con quello che Peter continuava a considerare il suo braccio, gli indicò lo scaffale dei libri. La Cattiva balzò leggera sul pavimento, mentre la folla si accalcava intorno a Peter che fu sollevato e accompagnato alla sua nuova sistemazione. E così sarebbe senz'altro finita. Se non che in quel momento, Kate entrò nella stanza.
    Dunque, dovete sforzarvi di immaginare la scena dal suo punto di vista. Era appena tornata dopo un pomeriggio passato a giocare con un'amica; entra nella sua camera e chi trova? Suo fratello sdraiato sul letto che gioca con le sue bambole, tutte le bambole, che le sposta e fa anche le voci. L'unica esclusa era la Cattiva, che se ne stava in un angolo sul tappeto.
    Kate avrebbe potuto arrabbiarsi. Dopo tutto, era contrario alle regole. Peter era entrato nella sua stanza senza chiedere il permesso, e aveva preso tutte le bambole dai loro posti molto speciali. Ma Kate scoppiò a ridere alla vista di suo fratello sommerso da sessanta bambole.
    Peter si tirò su in tutta fretta, vedendo Kate. Era arrossito.
    -Oh... ehm... scusa- farfugliò, e cercò di svignarsela.
    -Aspetta un minuto- disse Kate -Che ne diresti di rimettere tutto a posto. Ciascuna di loro ha un posto preciso, sai?
    E così, mentre Kate dava indicazioni, Peter rimetteva le bambole in ordine, contro lo specchio, sulla cassettiera, sui davanzali, sul letto, nella carrozzina.
    Gli parve che ci volesse un'eternità a fare tutto. L'ultima fu la Cattiva. Mentre la riappoggiava in cima allo scaffale dei libri, fu certo di averla sentita dire:
    -Un giorno o l'altro mio caro, quella stanza sarà mia.
    -Oh, porcaccio diavolo! Schifoso budino marcio!- le sussurrò Peter.
    -Che cosa hai detto?- chiese sorpresa Kate. Ma suo fratello era già uscito dalla stanza.


     
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