Lo specchio del Cavaliere

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    Profeta dell'Accidia

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    Buio, buio, acqua.

    Aperti gli occhi di scatto, la prima cosa che vidi, o che non vidi, furono contorni indistinti che danzavano agli angoli dei miei occhi, cisposi come quelli di un bambino. Nulla di più, poiché qualcosa li copriva e me li rendeva infuocati, doloranti, terribilmente urticati. Una sensazione simile di formicolio e prurito pervadeva buona parte della mia schiena e le articolazioni di movimento, come catene dell'inferno che trattengono il loro figlio prediletto a sé.

    Subito dopo, sentii l'acqua.

    In un primo momento non l'avevo notata, ma ora era impossibile fuggire all'ovvietà. Ero circondato d'acqua, immenso, annegato, e trattenuto sul fondo. Le mie limitazioni coprivano anche la bocca, ma la Morte Inesorabile entrava dal naso e da ogni altro poro, riempiendomi piano piano, senza lasciarmi via di scampo. Sentivo il fluido scendere nella mia trachea, incontrare il piloro, e distribuirsi equamente nello stomaco come nei polmoni.
    Alla paura, mostruosa ed alienante, di finire i miei giorni sul fondo di una pozzanghera, si era aggiunta, per un solo secondo, una sensazione di pace che scorreva il tutto il mio corpo; ma durò l'attimo di un urlo. Un urlo smorzato e gracchiante, come quello di un animale ferito a cui sono state tagliate in malo modo le corde vocali; lacerandole ma non recidendole, e donandogli una voce sinistra e la facoltà di abbaiare spaventando unicamente i bambini più timorosi, scatenando ilarità nell'adulto che l'aveva mutilato, o pietà nelle poche persone ancora buone di cuore.

    Sentii l'acqua riempirmi piano piano, e vani erano stati i miei sforzi per impedirlo. Il più piccolo gesto, dal divincolarsi per fuggire, o anche solo cercare di spingere via l'aria e donarmi qualche secondo in più di vita, mi costavano tremendi sforzi e dolori in tutto il copro, quasi come se le infiltrazioni l'avessero reso marcio fin dentro, facendolo ammuffire e sgretolare, rendendolo inutilizzabile.

    Quando capii che oramai il mio corpo era empio, mi abbandonai alla sorte funesta che mi era toccata, lanciando l'ultima preghiera verso un Dio a me ignoto, e a quanto pare Malvagio, considerata la mia sorte. Senza neanche accorgermene, finii per pensare, unica attività che non mi costava dolori vari, fino a dimenticare l'intera orrenda situazione che mi galleggiava intorno.

    Mi chiesi perché proprio io ero finito in quel posto; ma subito un altro, ben più importante, interrogativo, mi fermo.

    Chi ero, di preciso, io?

    Non avevo memoria di nulla al di fuori di un sorriso nell'acqua, così dolce da sciogliere il cuore che probabilmente ora giace marcio sul fondo della mia cassa toracica. Per quanto mi sforzassi, quanto cercassi di tornare indietro con il pensiero, non rivedevo nulla se non quel sorriso già immerso nel fluido terribile, che mi conduceva giù, verso la mia fine. La fine!

    Ero stato sul fondo, assorto nei miei pensieri, solo qualche minuto; qualche minuto però dove non avevo respirato, principalmente perché il mio contenitore era già pieno. La stessa sensazione di pace di prima si fece presente, e finalmente capii da cosa era dovuta. I miei polmoni erano infuocati, e solo l'acqua di quello stagno era riuscita a spegnerli. Regnava in me un senso di rassegnata pace; non felicità, non tristezza. Solo un'accettazione forzata della mia tanto curiosa quanto paurosa situazione. Ero vivo.

    Giacente sul fondo di uno sconosciuto lago, ma vivo.

    I polmoni ricolmi non d'aria, ma vivo.

    Bloccato nell'immobilità perenne, ma vivo.

    Dopo i primi mesi (od anni? Alla luce di oggi, del Grande Passo, non riesco ancora a catalogare il tempo passato nel mio iniziale stato di semovente irrequietezza) cominciai a familiarizzare con la mia situazione immutabile. Sempre bloccato dalle mie personali ancore, avevo iniziato a scoprire tutti i segreti di quel copro, se ancora fosse stato tale data la possibile ma non certa necrosi, in cui ero segregato. Scoprii quasi fin da subito, dopo il primo attacco di panico, che respirare era superfluo alla sopravvivenza, ma aveva effetti benefici. Il solo provarci era uno sforzo non da poco, ma ogni volta che ricambiavo l'acqua trattenuta dentro di me per immetterne di nuova, il senso di sollievo iniziale si ripresentava, come durante il cambio di pezza fredda sulla fronte di un febbricitante. Il sonno non faceva più parte di me, dato che da quando mi ero svegliato non sentivo l'impulso di chiudere gli occhi e dormire. Spesso ero stanco, sopratutto dopo grandi sforzi, ma mai il riposarsi mutava dal semplice distendersi e lasciar diventare i muscoli liquidi e molli come quello che mi circondava. Anche mangiare (cosa, poi?) era inutile; in tutto il mio tempo di fermo divino o satanico, non avevo mai avuto, per un solo istante, fame. Tutti i bisogni fisiologici erano stati congelati, e non sentivo nulla, se non il vuoto. Addirittura sbattere le palpebre era divenuto inutile; se da ragazzo spesso mi lacrimavano gli occhi perché "me ne dimenticavo", da quel momento capii che non era più necessario. La nuova, ferma esistenza, era la perfezione nella dannazione.

    Da ragazzo.

    Qualcosa si mosse in me, per un secondo, a ripensare quelle parole. Per un solo istante, vidi una riva di un lago, con numerose ninfee che mi muovevano sul pelo dell'acqua, sotto un cielo coperto da nuvole plumbee e cariche di pioggia. Nell'istante in cui intravidi degli occhi neri muoversi a pochi metri da me, tutto sparì nuovamente.

    Con il passare del tempo presi confidenza con il mio nuovo contenitore, nonostante la rassegnazione a quella immobilità non mi pervase mai del tutto se non nel primo, confuso momento, in cui avevo realizzato la situazione. Ogni giorno mi imponevo, con numerosi ed estenuanti sforzi e combattendo il dolore, a provare a muovere, anche di poco, gli arti, nella previsione di acquisire in un futuro anche distante, la mobilità completa. Con gli occhi coperti inoltre gli altri sensi si affinarono, e nonostante le orecchie piene d'acqua, riuscivo a sentire prima ovattato, e poi sempre meglio, il movimento di pinna di alcuni pesci vicino a me, la ghiaia muoversi sotto le correnti, le alghe carezzarmi i lembi di pelle scoperta. Urticanti alghe. Erano quindi quelle a rendermi peso morto sul fondo del bicchiere, l'avevo finalmente capito. Non catene di una forza superiore, ma i peli del ventre di Madre Natura.

    Ogni giorno che passava mi avvicinavo di più alla meta, e i miei esercizi, portavano via così tanto tempo da farmi dimenticare tutto il resto. Solo una volta perpecii un suono a me sconosciuto, diverso da tutta la fauna che avevo catalogato nella mia mente fino ad allora. Non una carpa, né un pesce-gatto; niente di simile a un pinneggio comune di un animale branchiato. Sembravano remi, ma si muovevano sul fondo, toccando con la pinna ventrale i sassolini e creando probabilmente un solco. Fui spaventato da questa irregolarità, quando avevo quasi creduto di aver conosciuto, anche nella mia statuaria posa, tutto ciò che mi circondava. L'essere si avvicinò ed emise un mugolio di tristezza. Soffiò via l'alga che mi ricopriva gli occhi, un soffio freddo che per un istante mi congelò i sensi, e per un solo secondo vidi due sinuose gambe nuotare altrove, con ancora la risata divertita che aveva scatenato quel gesto nelle orecchie. La mia testa era ancora bloccata, e gli occhi di dovevano abituare al nuovo mondo che si era rivelato a loro, ma fui sicuro, fin dal primo istante, che fosse Lei.

    Lei.

    Ancora ricordavo poco di Lei, contorni sformati come un sogno o un riflesso nell'acqua, ma non avevo più dubbi. I pomeriggi che scorrevano rapidi, le discussioni fatte di muti sorrisi e fragorose risa, il pianto quotidiano ogni volta che mi allontanavo.

    Il cancro ai polmoni.

    Il suo invito a tuffarmi.

    La mia salvatrice, la mia compagna, la mia Dama del lago che mi porge l'Excalibur della Felicità. Nonostante la patina della memoria fallace, riuscivo a ricordarla; a ricordare ogni momento a Lei legato, che mai dimenticherò. Come mai dimenticherò oggi. Il Grande Passo è vicino, amore mio.

    Senza più catene a coprirmi la vista, i progressi di riabilitazione motoria velocizzarono, tanto che credetti che furono passati solo pochi giorni da quando, la prima ed unica volta, provai il terrore della fine. In pochi tentativi riuscii ad allenare le braccia e le mani quel tanto che bastò per strapparmi le alghe che mi legavano al suolo, e in un primo momento di confusa ebrezza da potere tanto agognato e finalmente raggiunto, gridai di gioia. Fu un errore, poiché, in tutti i miei allenamenti, mai avevo provato a parlare. Poco male mi ritrovai a pensare, da quel momento avrei avuto tutto il tempo che desideravo per fare qualsivoglia cosa. Ero un Re che scopriva per la prima volta il suo regno.

    Mi divertii molto a girovagare nel lago, a fare la conoscenza con tutti i pesci che finalmente vedevo, a chiamare con nome i massi più grandi e scherzare con le alghe che fino a pochi giorni addietro mi trattenevano da tutto ciò. Ci ripensai.

    Era il Suo stesso comportamento, se non uguale, molto simile.
    Un bambinesco senso del divertimento, una caccia nel trovare il buffo in qualsiasi cosa, ed usufruirne, gustarlo, senza mai l'ombra della tristezza se non nella solitudine. La stessa solitudine che mi stava colpendo in quell'istante.

    Mi mancò il fiato, in senso figurato, per un secondo, e caddi sulle ginocchia lacerandomi i già logori pantaloni che mi coprivano. Nella mia momentanea euforia della scoperta avevo rimosso la Sua figura, ma ora, al solo ripensarci, mi sentivo privato di tutto. Avevo bisogno di condividere tutto quello insieme a Lei, e poco avrebbe importato il resto. Persi i giorni seguenti nella ricerca, vana. In qualsiasi angolo od anfratto del fondale cercassi, la sua presenza era solo aleatoria, sintomo che un tempo passato aveva fatto Lei stessa quel percorso. Solo una volta la sentii fisicamente, e mi voltai in ogni direzione sperando di incrociare nuovamente il suo sguardo. Dopo la seconda risata alzai la testa, e vidi, deformata dai raggi solari che filtravano nell'acqua, i Suoi contorni. Per un solo istante i nostri occhi si incrociarono; i miei lattiginosi e stanchi e i suoi neri e vispi, e per un solo istante smise di ridere per prendere un velo di tristezza. Subito dopo riprese a ridere, e nuotò via sul pelo dell'acqua, fuggendo via dal mio sguardo.

    Mi domandai a lungo cosa volesse, e immaginai che il motivo di tale tristezza era la nostra, seppur oramai minima, distanza. Sebbene condividessimo lo stesso lago, eravamo ancora lontani, Lei era ancora una meta a me irraggiungibile. Avevo ben chiari i miei propositi per i giorni seguenti. Riuscire a scalare la montagna che ci divideva, e finalmente, unirci.
    Quello che sarebbe successo dopo aveva poca importanza.

    L'avresti detto, amore mio, che ce l'avrei fatta?

    Ogni giorno provavo a spingermi sempre più in alto, e dopo le prime, rovinose cadute, finii per raggiungere la metà in altezza del lago, sempre più vicino al sole, sempre più vicino a Lei. Non era più morboso interesse di raggiungerla e scoprire chi fosse, ma il tentativo di un Cavaliere disperato di congiungersi con la sua Dama che l'attendeva in cima alla torre.

    Una torre all'apparenza insormontabile.
    Ebbi paura per la seconda volta da quando avevo quel corpo; le mie gambe non nuotavano abbastanza velocemente, le mie braccia macinavano pochi centimetri ogni volta; mi sentii di nuovo vulnerabile ed umano, e piansi. Il sapore salato nel dolciastro dell'acqua si confuse nella mia bocca, creando una bevanda di dubbio gusto e dal sapore di fiele. Quando l'ultima lacrima toccò il fondo, qualcosa si crepò, e credetti che tutto il mondo sarebbe stato risucchiato, lasciandomi da solo con carcasse di pesci a contorno.

    Ma non successe nulla, almeno da principio.

    L'acqua che scorreva sopra le crepa iniziò dapprima a farsi più calda, e di seguito, a bollire.
    Qualcosa di deformato e bianco emerse, come nascendo dalla Terra stessa, latrava come un mostro, a contrasto del suo candore infantile. Solo dopo minuti di urla riuscii a capire cose fosse.

    Un cavallo bianco come il latte mi guardava a testa china, aspettando chissà cosa.
    Mi avvicinai piano, per paura di ritorsioni dall'animale, ma appena feci il primo passo, piegò una zampa, abbassandosi, e permettendomi di cavalcarlo. Solo alzando lo sguardo vidi Lei sorridermi, e farmi cenno di raggiungerla. Con il sole coperto, la vidi nitidamente, e mi si riempì il cuore di gioia. Vidi ogni suo movimento, il lieve gesto con la mano, lo sguardo felice e divertito, le gambe che si apprestavano ad uscire dall'acqua.

    Uscivi!

    Mi doni il mezzo per raggiungerti, e fuggi via?
    Questa caccia avrà termine, oggi.

    E proprio oggi, il Grande Passo sarà fatto.

    Mi appresto ora a montare in sella al mio destriero, con l'intento di raggiungerti, finalmente.
    I metri d'acqua che ci separano scorrono rapidi sotto gli zoccoli, e sebbene la fatica sia condivisa per chissà quale motivo, finalmente ho modo di vederti, abbracciarti.
    Pochi metri ancora, vedo il pelo dell'acqua; ce la posso fare.

    La testa dell'animale spunta, e con la sua anche la mia. Nudo e stremato, uso i pochi sforzi per guardarmi attorno, alla tua ricerca.

    Ed eccoti lì, immensamente bella, dinnanzi a me.
    Sorridi, con l'identico sorriso della prima volta.
    Nudo e distrutto ti osservo nella tua perfezione; sebbene adesso facciamo parte della stessa razza, immortali nello spirito e nel corpo, continui a sembrare sempre più bella, sempre superiore. Ma tu non lo vedi. Non lo vedi e mi consideri tuo pari. Per questo mi tendi la mano. Per questo vuoi iniziare un viaggio insieme a me, lontano dal nostro lago così familiare.

    Non lo vedo neanch'io, non più.

    "Partiamo insieme".

    La voce soave non è mutata.

    "Insieme"
    Senza gracchiare, per la prima volta, rispondo.

    LMPUTNS

     
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  2. Ph¥rex
         
     
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    Bellissima, davvero.
    Stai attento alla ripetizione di "occhi" nelle prime righe, e ad un piccolo errore di battitura ("perpecii" anzichè "percepii"), poi mi sembra che vada bene.
    In ogni caso, HS.
     
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    Molto, molto bello ma, secondo me, starebbe meglio in INR.
     
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    È scritto da dio, ma non la vedo come un'Horror Story. Anche io sarei per INR.
     
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    Propendo anche io per INR. Restano solo da correggere gli errori segnalati e poi si può smistare :)
     
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    Buio, buio, acqua.

    Aperti gli occhi di scatto, la prima cosa che vidi, o che non vidi, furono contorni indistinti che danzavano agli angoli dei miei occhi, cisposi come quelli di un bambino. Nulla di più, poiché qualcosa li copriva e me li rendeva infuocati, doloranti, terribilmente urticati. Una sensazione simile di formicolio e prurito pervadeva buona parte della mia schiena e le articolazioni di movimento, come catene dell'inferno che trattengono il loro figlio prediletto a sé.

    Subito dopo, sentii l'acqua.

    Si chiama pipì a letto...ed è normale tranquillo :lol:
     
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  7. Black Fear
         
     
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    Altri Racconti, smisto!
     
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