Spoglie Umane - pt. I \ V

di Clive Barker

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  1. Smertefull_Dodskamp
         
     
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    Certi commerci si praticano meglio alla luce del giorno, certi altri di notte. Gavin era un professionista della seconda categoria. Inverno o estate, appoggiato a un muro o allo stipite di una porta, con la lucciola di una sigaretta appesa alle labbra, vendeva a chiunque la merce che gli sudava nei jeans.
    Talvolta a vedove di passaggio con più soldi che amore, le quali lo ingaggiavano per un fine settimana di effusioni illecite, baci acidi e insistenti e, nel caso che riuscissero a dimenticare il coniuge scomparso, una sgroppata a secco su un letto odoroso di lavanda. Talvolta a mariti sperduti, affamati di sesso e disperatamente bisognosi di un'ora di accoppiamenti con un ragazzo che non avrebbe preteso di sapere il loro nome.
    A Gavin importava poco chi fossero. L'indifferenza era il suo marchio di fabbrica, se non addirittura una delle sue attrattive. E rendeva i commiati molto più semplici, quando il suo compito era finito e i soldi erano passati di mano. Dire un "ciao" o "ci vediamo" o non dire assolutamente niente a una persona che ti è del tutto indifferente, non presenta alcun problema.
    E per Gavin quella professione non era delle più sgradevoli, fra le tante possibili. Una sera su quattro, arrivava persino a offrirgli un briciolo di piacere fisico. Nel peggiore dei casi era una sorta di mattanza sessuale, un gran sbuffare e grondare fra sguardi vitrei; ma a quello si era abituato nel corso degli anni.
    Era tutto profitto. Gli conservava i piedi al caldo in un paio di scarpe buone.
    Di giorno normalmente dormiva, scavandosi una tana calda nel letto e mummificandosi fra le lenzuola, con la testa avvolta in un groviglio di braccia che bloccavano la luce. Verso le tre si alzava, si faceva la barba e una doccia e passava una mezz'oretta davanti allo specchio a ispezionarsi. Era meticoloso nella sua autocritica, non lasciava mai che il suo peso aumentasse o diminuisse di più di un chilo da quello che reputava ideale, si premurava di nutrire la pelle con le pomate adatte appena la sentiva troppo secca o applicarsi detergenti se era unta, sempre a caccia del più piccolo indizio di brufolo. Una sorveglianza rigorosa era dedicata al più piccolo sospetto di malattia venerea, l'unico genere di malattia d'amore che lo avesse mai colpito. Se ci voleva poco per dominare qualche sporadico attacco di pediculosi, assai più seccante era la gonorrea, che già aveva preso due volte e che lo metteva fuori combattimento per tre settimane, con gravi conseguenze sui suoi affari; così si controllava il corpo con attenzione maniacale, precipitandosi in ospedale al più tenue segno di irritazione cutanea.
    Accadeva di rado.
    Volendo scongiurare le brutte sorprese, durante quella mezz'ora di indagine meticolosa non aveva altro da fare che benedire la collisione di geni di cui era il prodotto. Era magnifico. Glielo dicevano tutti, costantemente. Magnifico. Quel viso, ah, che viso, gli dicevano, stringendolo come se volessero spremergli fuori una stilla del suo fascino.
    Naturalmente c'erano sulla piazza altri splendori, tramite le agenzie, ma anche agli angoli di strada, se si sapeva dove andare a cercare. I ragazzi di vita che conosceva lui, però, avevano volti che al suo confronto sembravano incompleti, volti che sembravano il primo abbozzo di uno scultore più che un'opera compiuta, apparivano approssimati, privi di finiture. Mentre lui era completo, definitivo. Tutto quello che si poteva fare era stato fatto e ora era solo questione di conservare tanta perfezione.
    Terminata l'ispezione, Gavin si vestiva, si rimirava magari per qualche minuto ancora, poi scendeva a mettere in vendita la sua mercanzia.
    Da qualche tempo batteva sempre più raramente la strada. Era troppo rischioso, c'era sempre da stare all'erta per qualche macchina di pattuglia o lo sporadico psicopatico con addosso la smania di ripulire Sodoma e Gomorra. Quando era proprio pigro, poteva sempre trovarsi un cliente tramite la Escort Agency, ma preferiva non ricorrervi e risparmiare la pesante percentuale che tenevano per sé.
    Naturalmente aveva i suoi clienti regolari, che prenotavano i suoi favori mese per mese. Una vedova di Fort Lauderdale lo fissava sempre per qualche giorno durante il suo viaggio annuale in Europa; saltuariamente lo chiamava un'altra donna il cui volto aveva trovato una volta su una rivista patinata e che da lui desiderava solo compagnia durante una cena e un orecchio disposto ad ascoltare le sue confidenze di problemi coniugali. C'era un uomo che Gavin chiamava Rover, prendendo a prestito la marca della sua automobile, e che lo ingaggiava a intervalli di qualche settimana per una nottata di baci e confessioni.
    Ma le sere in cui non aveva prenotazioni usciva per conto suo, all'avventura. Battere era un'arte in cui sapeva esibirsi al meglio. Non c'era nessuno fra coloro che facevano la vita con un repertorio di atteggiamenti adescanti altrettanto forbito, nessuno aveva affinato meglio di lui una equilibrata fusione di sollecitazione e distacco, di innocenza e malizia, quel particolare modo di spostare il peso dal piede sinistro a quello destro in maniera da presentare il basso ventre nell'angolazione migliore. Mai troppo sfacciato, mai volgare, sempre promettente.
    Si vantava del fatto che non dovessero mai trascorrere che pochi minuti tra una marchetta e l'altra, mai più di un'ora. Se agiva con la solita presenza di spirito, adocchiando la giusta moglie insoddisfatta, il giusto marito afflitto dai rimorsi, si faceva nutrire (talvolta vestire), rimboccare le coperte e augurare la buonanotte prima del passaggio dell'ultimo treno della metropolitana per Hammersmith. Ma gli anni dei servizietti della durata di mezz'ora, tre pompini e una scopata in una sera, erano finiti. Da una parte non ne aveva più l'inclinazione e dall'altra si preparava a un mutamento di carriera negli anni a venire: da ragazzo di strada a gigolò, da gigolò a mantenuto, da mantenuto a marito se sapeva che un giorno o l'altro avrebbe sposato una delle sue vedove, forse la matrona della Florida. Già gli aveva detto come se lo immaginava disteso ai bordi della sua piscina privata a Fort Lauderdale, ed era una fantasticheria che badava bene a tenere in caldo per lei. Forse non era ancora arrivato fino a quel punto, ma prima o poi avrebbe fatto il colpaccio. Il problema era che quei boccioli dalle ricche promesse avevano bisogno di cure prolungate e il guaio era che troppo spesso perivano prima di rendere il loro frutto.
    Ma il suo momento era giunto. Ah, sì, questo era l'anno fatidico, non poteva essere altrimenti. Sentiva che con l'autunno sarebbe arrivato qualcosa di buono.
    Frattanto osservava le rughe diventare più marcate agli angoli della sua fantastica bocca (era senza dubbio fantastica) e calcolava quante probabilità avesse contro nella gara fra il tempo e l'occasione.
    Erano le nove e un quarto di sera. Era il 29 settembre e faceva freddo persino nel foyer dell'Imperiai Hotel. Quell'anno non c'era stata la solita estate indiana a dar sollievo alle strade londinesi e l'autunno aveva afferrato la metropoli nelle sue fauci e la scuoteva senza pietà.
    Il freddo lo aveva colto al dente, quel suo odioso dente malato. Se fosse andato dal dentista invece di girarsi dall'altra parte nel letto e dormire un'ora ancora, non avrebbe dovuto sopportare tanto fastidio. Ma ormai era troppo tardi, ci avrebbe pensato l'indomani. Avrebbe avuto tutto il tempo, l'indomani, senza il bisogno di un appuntamento. Gli sarebbe bastato sorridere alla segretaria e lei, subito illanguidita, gli avrebbe promesso di trovargli un buco da qualche parte, così lui avrebbe sorriso di nuovo, lei sarebbe arrossita e lui sarebbe stato ricevuto dal dentista seduta stante, invece di dover attendere due settimane come i poveri babbei che non avevano una faccia fantastica come la sua.
    Per questa sera avrebbe dovuto sopportare e basta. Aveva bisogno solo di un cliente qualsiasi, un marito disposto a pagarlo profumatamente per farselo prendere in bocca, dopodiché si sarebbe ritirato in qualche locale di Soho aperto tutta notte ad abbandonarsi alle riflessioni. Purché non gli capitasse qualche depresso in vena di confessioni. Avrebbe sputato il suo seme e chiuso bottega entro le dieci e mezzo.
    Ma non era la sua serata. Alla reception dell'Imperial c'era un volto nuovo, una faccia magra e butterata con un parrucchino malassortito appiccicato alla pelata, che lo sbirciava furtivamente da quasi mezz'ora.
    Il portiere che c'era di solito, Madox, era un povero diavolo che Gavin aveva visto un paio di volte in giro per bar, un tipo accomodante, se si sapeva come avvicinarlo. Madox era come creta fra le mani di Gavin; un paio di mesi prima aveva persino comperato un'ora della sua compagnia, che gli era stata concessa a prezzo scontato, secondo una buona politica. Quest'altro invece aveva l'aria di essere un moralista, di quelli mossi da un fondo di invidia, e aveva fiutato il suo gioco.
    Con misurata disinvoltura, Gavin andò al distributore automatico di sigarette, trovando nel passo il ritmo della musica di sottofondo mentre attraversava la moquette color vinaccia. Serata di merda.
    Il portiere si fece trovare appostato quando si girò dalla sua parte con un pacchetto di sigarette in mano.
    "Mi scusi... signore." Era un esordio preparato che chiaramente non gli era naturale. Gavin gli rivolse un'occhiata amorevolmente cortese.
    "Sì?"
    "Lei è proprio ospite di questo albergo... signore?"
    "Proprio..."
    "Altrimenti la direzione le sarebbe grata se volesse uscire immediatamente."
    "Sto aspettando una persona."
    "Ah..."
    Non gli credeva affatto.
    "Allora se vuol darmi il suo nome..."
    "Non ce n'è bisogno."
    "Mi dica come si chiama," insistè il portiere, "e sarò lieto di controllare se il suo... contatto... si trova all'albergo."
    Quel bastardo voleva metterlo alle strette, lasciandogli poche alternative: o tenere la coda bassa e andarsene o recitare la parte del cliente offeso e umiliarlo. Più per capriccio che perché fosse una tattica vincente, scelse la seconda strada.
    "Lei non ha alcun diritto..." cominciò irritato, ma il portiere non si lasciò commuovere.
    "Senti, giovanotto," lo apostrofò, "so che cosa stai combinando, perciò non cercare di fare il gradasso con me o chiamo la polizia." Aveva perso completamente il controllo del suo eloquio e il suo accento lo spostava sillaba dopo sillaba sempre più a sud del fiume. "Qui vantiamo una buona clientela che non vuole avere a che fare con gente della tua risma, capito?"
    "Testa di cazzo," mormorò Gavin.
    "Questa è buona detta da un ciucciacazzi, ti pare?"
    Touché.
    "Adesso, giovanotto, ti decidi a sgomberare per conto tuo o preferisci farti trascinare fuori in manette?"
    Gavin giocò la sua ultima carta.
    "Dov'è Mister Madox? Voglio vedere Mister Madox. Lui mi conosce."
    "Ne sono certo," sbuffò il portiere, "ne sono più che certo. È stato licenziato per comportamento scorretto." Era riaffiorato l'accento artificiale. "Perciò, se posso darti un buon consiglio, eviterei di fare il suo nome da queste parti. D'accordo? E adesso addio."
    Conquistata e consolidata la supremazia nel confronto, il portiere si impettì come un matador e fece cenno al toro di tornarsene nella stalla.
    "La direzione la ringrazia per l'onore accordatoci con la sua presenza. È pregato di non farsi più vedere."
    Gioco, partita e incontro all'uomo con il parrucchino. Al diavolo, c'erano altri alberghi, altri foyer, altri portieri. Non c'era motivo di stare lì a farsi mettere in croce.
    Mentre apriva la porta, Gavin girò la testa per spedirgli un sorridente "ci vediamo". Forse quelle parole sarebbero servite a farlo sudare un po' una delle prossime sere, quando avesse sentito i passi di un giovane alle sue spalle mentre rincasava a piedi. Era una soddisfazione da poco, ma era sempre qualcosa.
    La porta si richiuse, sigillando il tepore all'interno e Gavin all'esterno. Faceva più freddo, sostanzialmente più freddo, di quando era entrato nell'atrio dell'albergo. Aveva preso a cadere una pioggerella sottile che minacciò di peggiorare mentre percorreva di buon passo Park Lane verso South Kensington. In High Street c'erano un paio di alberghi dove avrebbe potuto rintanarsi per un po' e se anche lì non avesse cavato un ragno dal buco avrebbe ammesso la sconfitta.
    Il traffico si intensificò nei pressi di Hyde Park Corner, acquistando velocità in direzione di Knightsbridge o Victoria, filante e scintillante. Si immaginò a sostare sulla pensilina in mezzo ai due flussi contrapposti di veicoli, con la punta delle dita infilata nei jeans (gli andavano troppo stretti perché riuscisse a infilarsi nelle tasche più della prima falange), solo, ignorato da tutti.
    Da qualche angolo recondito della sua anima gli salì nel cuore un'ondata d'infelicità. Aveva ventiquattro anni e cinque mesi. Faceva la vita, a parte qualche intervallo, da quando ne aveva compiuti diciassette, ripromettendosi di trovare una vedova da sposare (la pensione del gigolò) o un'occupazione legittima prima di compierne venticinque.
    Ma il tempo passava senza che si aprissero prospettive per le sue ambizioni. Il tempo passava e lui perdeva slancio, guadagnandosi solo qualche nuova ruga sotto gli occhi.
    E il traffico scorreva costante nel suo flusso luminoso, macchine cariche di persone con scale su cui arrampicarsi e serpenti contro cui combattere, e il loro passaggio lo isolava con la sua fame di destinazione, lo separava dal conto in banca che gli avrebbe dato la sicurezza.
    Non era ciò che aveva sognato di essere, non era ciò che il suo io segreto gli prometteva.
    E la gioventù era ieri.
    Dove sarebbe andato adesso? In quello stato d'animo l'appartamento in cui abitava gli sarebbe sembrato una prigione, anche se si fosse fatto qualche tiro d'erba per smussare gli spigoli della sua stanza. Voleva, anzi, aveva bisogno di passare la sera con qualcuno, aveva bisogno di vedere la propria bellezza riflessa negli occhi altrui, sentirsi ammirare per le splendide proporzioni, farsi instupidire di lusinghe, farsi offrire una cena a due, fosse anche dal fratello più ricco e più brutto di Quasimodo. Quella sera aveva bisogno di una pera di affetto.
     
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