Bloccato

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  1. Smertefull_Dodskamp
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    Io non ho ricordi della mia vita dai 0 ai 7 anni. Oltre l'immagine di mio padre che inizialmente grida qualche banalità verso mia madre e che, subito dopo, sbatte la porta con veemenza, non ho altro. Non capivo bene cosa stesse succedendo all'epoca, fatto sta che son cresciuto affrontando la sua assenza, evento che ancora oggi ha la sua importanza nella mia vita. D'altronde come potrebbe non averne? In un modo o nell'altro ho sempre creduto che fosse colpa mia se la mia famiglia si disintegrò, forse se io non fossi nato i miei sarebbero felici, sarebbero ancora assieme. Ed io non avrei sofferto per questa mancanza, per questo vuoto causato dall'assenza di una figura paterna, protettiva. Mia madre, d'altronde, non era di certo una persona molto forte. Dopo l'abbandono ha iniziato a soffrire di depressione, trovava difficile persino farsi la doccia... ma ce la metteva tutta per fare in modo che riuscissimo a sopravvivere.Di giorno lavorava in un supermercato e di notte in un qualche bordello di bassa lega.

    Io nel frattempo crescevo assieme ad una mia piccola "famiglia", se così si può chiamare, i miei 3 amici di sempre: Paul, Wayne e Robin, le uniche persone che ancora oggi non mi hanno mai abbandonato. O ero con loro oppure ero immerso in qualche storia che leggevo in qualche libro, in un mondo di totale fantasia, che se da una parte mi permetteva di non piegarmi al mio crudele fato, dall'altra mi rendeva cieco riguardo agli eventi; le condizioni psico fisiche di mia madre, i debiti che aveva contratto per riuscire a pagare un affitto e tutto il resto. Per me era tutto normale, era l'unico modo di vivere che la mia mente conoscesse, non avevo idea di cosa fosse la felicità, di cosa significasse guardare una partita di baseball con il padre, giocare con la madre, guardare un film in famiglia. Avere una famiglia. È come se avessero strappato una parte di me, e proprio quella parte che si incastra con le altre persone, forse è per questo che non riesco a legare con nessuno, forse è il motivo per il quale ci siamo feriti a vicenda prima di arrivare a questo punto.

    In ogni caso, son dovuto crescere anch'io, accettare ed affrontare la realtà, per quanto crudele e cattiva fosse. Mia madre si ammalò, tumore cerebrale. Morì dopo qualche mese. Rimasi completamente solo, senza nessuno. Condizione assurda per un ragazzo di soli quattordici anni, ma questo è ciò che il destino mi riservò. Fui affidato ai miei zii, la sorella di mia madre e consorte, estranei per me. Non riuscivo a relazionarmi con loro, ovviamente, credevamp fosse dovuto al trauma subito, non compresero l'essenza del mio essere, il mio dolore e tutto ciò che ne consegue. In ogni caso sono delle persone abbastanza gentili, il fatto che non mi comprendevano non significava che mi giudicassero in alcun modo. Verso i sedici anni iniziai ad essere protagonista di diverse risse da strada, d'altronde non si può aspettare altro da uno con il mio carattere. La mia vita era diventata una prigione, più che una routine, solo queste riuscivano a smuovere qualcosa dentro di me, riuscivano a mantenere viva la mia anima, non farla atrofizzare completamente.

    Poi, beh, sei arrivata tu. Eri bellissima quella sera, forse non te l'ho mai detto. Inizialmente era Wayne a volerci provare con te, ma gli andò male, si tolse dalle scatole e via. Dopo ci provò quel fighetto di turno, un po' tardo. Ci provò, lo rifiutasti, ma tentò di baciarti contro voglia. E così, ennesima rissa. Ti avvicinasti, mi desti il tuo numero e mi baciasti sulla fronte. Non capisco ancora oggi il motivo per il quale ti sia avvicinata a me, potevi avere tutto, qualsiasi cosa. Comunque iniziammo a frequentarci, e così scoprì la tua vera bellezza. Dai sempre tutto, ogni persona accanto a te si sente migliore, solo io non riuscivo a sentire nulla. D'altronde ho sopportato per vent'anni l'appellativo di "errore" o "nullità", un motivo credo ci sia.

    La nostra storia non si basava sulla fiducia, comprensione e protezione, tutt'altro; si basava sulla paranoia, sulle incomprensioni e sull'astio immotivato. Dopo pochi giorni arrivò ciò che mi aspettavo, mi dicesti "Sei una causa persa. Non vali nulla.". Era ciò che mi aspettavo, come tutti. Era ovvio che prima o poi mi avresti abbandonato, e davo la colpa a me stesso per questo motivo. Ho sempre pensato che il mio malessere fosse contagioso, che chiunque fosse vicino a me, era condannato ad una specie di infelicità eterna, una specie di punizione divina o qualcosa del genere.

    Non potevo fare altro che cercare un motivo per andare avanti, cercando di comunicare con un mondo che mi riservava solo disprezzo e compassione o con me stesso, trovando solo disgusto per la mia persona, per la mia mancanza di ideali ed obbiettivi. La mia vita era proprio questo ormai, un monologo sul disprezzo verso me stesso e verso gli altri. Arrivai persino ad odiare i sorrisi delle persone. Nonostante questo, ad un certo punto, una telefonata mi sconvolse l'esistenza. Eri tu, mi rimproverasti per la mia incostanza, per il mio egocentrismo ed il mio egoismo. Dopo mi dicesti che mi volevi vedere; ci demmo appuntamento ad una piazza vicina. Tardasti un po', ma alla fine tutto si risolse per il meglio.
    Ti avvicinasti e mi sorridesti. Quindi compresi la verità dietro quelle parole; non hai mai smesso di essere al mio fianco, non hai mai smesso di credere in me. Tutto ciò che hai fatto, era per rendermi migliore, per farmi capire che sbagliavo in diverse situazioni, che potevo perdere l'occasione di essere felice, di renderti felice. La verità è che credevo di essere una specie di "eletto del dolore", davo troppo valore alla mia sofferenza. Nei confronti del mio dolore, ogni altro dolore mi pare fasullo o irrilevante. È dolore di gente felice o di gente che si lamenta. Il mio era di chi si imprigiona da solo, si isola. La mia volontà era al centro del mio male. Era ciò che dovevo cambiare. Alla fine, ciò che inizialmente ti apparve come una causa persa, in realtà non era altro che l'inizio di una lenta guarigione, un processo che ancora non si è concluso. L'inizio di una vita piena di gioie e felicità, una vita colmata dall'equilibrio, eppure mai banale.


    Ecco, come sai non sono solito aprirmi, quindi ho deciso di scrivere tutto quanto, parlare ad un foglio è più semplice. Non sono un tipo molto coraggioso e non sono abbastanza forte da combattere nonostante le mie paure. Ma voglio migliorare, voglio continuare a perseguire questo 'equilibrio e non cadere nell'odio cieco e banale. Sono consapevole che ho sbagliato a prendermi la colpa per degli avvenimenti esterni. Un sorriso può davvero fare la differenza.
     
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    Metafisico: un uomo cieco che in una stanza buia cerca un cappello nero. E il cappello non c'è.

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    AR, smisto.
     
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