Sulla strada di Brighton

Richard Middleton

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  1. Mike Enslin
         
     
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    Tratto dalla raccolta di racconti Il libro delle storie di fantasmi di Roald Dahl

    Racconto di Richard Middleton
    Titolo originale On the Brighton Road
    Traduzione di Angela Ragusa

    Il sole s’inerpicò lento sulle ripide colline bianche, fino a irrompere su un rilucente mondo innevato senza darsi pena di rispettare il misterioso rituale dell’alba. C’era stata una gelata notturna, e gli uccelli che saltellavano qua e là con scarso entusiasmo non lasciavano tracce sulla coltre argentea. Di tanto in tanto le riparate cavità dei cespugli interrompevano la monotonia del biancore caduto a ricoprire i colori della terra, mentre il cielo da arancione si faceva azzurro profondo, e dal profondo azzurro sfumava in un celeste così tenue da ricordare più un sottile schermo di carta che l’infinità dello spazio. Un freddo vento silenzioso alitava sui campi aperti, soffiando via dagli alberi un sottile spolverio nevoso, ma facendo appena fremere la cima dei cespugli. Sembrò che, superato l’orizzonte, il sole accelerasse la sua accesa, e quando fu più alto cominciò a diffondere un calore che ben si mescolava al vento tagliente.
    Forse proprio quello strano alternarsi di caldo e di freddo disturbò i sogni del vagabondo, perch’egli si agitò sotto la sua coperta di neve come un uomo che si ritrovi scomodamente aggrovigliato nelle lenzuola e si risvegli di soprassalto spalancando stupiti occhi interrogativi. “Signore! Avrei giurato d’essere in un letto” si disse guardando il panorama deserto che lo circondava, “e invece me ne stavo qua all’aperto”. Si stiracchiò e si scosse di dosso la neve rialzandosi lentamente. Soltanto allora il tocco gelido del vento gli fece capire quanto fosse stato caldo il suo giaciglio.
    ‘Bè, tutto sommato mi sento in forma’ pensò. ‘Data la situazione, sono stato fortunato a svegliarmi. O sfortunato… non è che esser vivo sia poi un grande affare’. Alzò lo sguardo sulle colline che si stagliavano luminose contro il cielo azzurro, come le Alpi in una cartolina. ‘Questo significa altri sessanta chilometri, più o meno’ si disse amaramente. Dio sa cosa ho fatto ieri. Ho camminato fino a non poterne più, e mi sono allontanato da Brighton di appena trenta chilometri. Al diavolo la neve, al diavolo Brighton, al diavolo tutto!’ Il sole proseguì a strisciare sempre più alto; volte le spalle alle colline, l’uomo riprese la sua marcia paziente sulla strada.
    ‘Era soltanto sonno. Ne sono contento o scontento, contento o scontento, contento o scontento?’ In breve i suoi pensieri assunsero una cadenza ritmica che accompagnava il tonfo sordo dei passi. Non che cercasse davvero una risposta. Andare avanti gli era sufficiente.
    Aveva superato le tre pietre miliari quando si trovò davanti un ragazzo, tutto ingobbito nell’atto di accendersi una sigaretta. Era senza cappotto, e aveva un aspetto indicibilmente fragile, là contro la neve. “In viaggio capo?” chiese il ragazzo quando fu alla sua altezza.
    “Direi di sì”.
    “Oh! Allora potrei fare un pezzo di strada con te, se non vai troppo di fretta. Ci si sente soli in giro a quest’ora”.
    Il vagabondo annuì, e il ragazzo prese ad arrancare al suo fianco.
    “Ho diciotto anni” disse con non curanza. “Scommetto che me ne avresti dati di meno”.
    “Avrei detto quindici”.
    “E avresti perso. Diciotto lo scorso agosto, e sulla strada da sei. Da piccolo sono scappato di casa cinque volte, e ogni volta i poliziotti mi hanno riacciuffato. Non male, quei poliziotti. Adesso non ho più una casa da cui scappare”.
    “Neanch’io” disse il vagabondo in tono pacato.
    “Oh, li conosco i tipi come te” ansimò il ragazzo. “Signori caduti sempre più in basso. Per te anche peggio che per me”. Il vagabondo diede un’occhiata all’esile figura zoppicante e rallentò il passo.
    “ Non faccio questa vita da tanto quanto te” ammise.
    “Già. Si vede da come cammini. Ancora non sei stanco. E magari ti aspetti che alla fine della strada ci sia qualcosa…”
    Il vagabondo ci pensò su. “Non saprei” disse infine in tono amaro. “Mi aspetto sempre qualcosa”.
    “Ti passerà” commento il ragazzo. “A Londra fa più caldo, ma è più difficile trovare qualcosa da mettere sotto i denti. In effetti, non è poi questa gran cosa…”
    “Ma c’è sempre la possibilità d’incontrare qualcuno che capisca…”
    “La gente di campagna è meglio” lo interruppe il ragazzo. “L’altra notte mi sono infilato in un granaio e ho dormito gratis con le vacche, e stamane il fattore mi ha scovato e mi ha dato del tè e una cicca perché gli sembravo così giovane. Certo, m’è andata bene; ma a Londra, tutto quel che puoi avere è una minestra calda all’ospizio, e gli sbirri non ti lasciano mai tranquillo”.
    “La notte scorsa sono scivolato nel fossato lungo la strada, e mi sono addormentato là dov’ero caduto” disse il vagabondo . “Fortuna che non sono morto”. Il ragazzo lo fissò duramente.
    “Come fai a saperlo?”
    “Non capisco” replicò il vagabondo dopo una pausa.
    “Secondo me” riprese il ragazzo con voce rauca, “quelli come noi non possono piantarla, ‘sta vita, anche volendo. Sempre fame e sete e una stanchezza da cani, e tutto il tempo a camminare. Eppure, se qualcuno mi offrisse una bella casa e un lavoro mi si rivolterebbe lo stomaco. Di’, ti sembro un tipo robusto? Lo so di essere piccolo per la mia età; ma sono in giro sulle strade da sei anni – e credi che non sia morto? Sono affogato a Margate, e sono stato ucciso da uno zingaro con un coltello che mi ha beccato dritto alla testa; e per due volte mi sono congelato come stanotte, e un auto mi ha travolto proprio su questa strada, eppure sono sempre qui e continuo a camminare, ad andare a Londra e a tornarmene via, perché non posso farne a meno. Morto! Ti dico che non potremmo morire, anche se lo volessimo”.
    S’interruppe, scosso da un attacco di tosse, e il vagabondo si fermò in attesa che riprendesse fiato.
    “Farai meglio a tenere il mio cappotto per un po’, ragazzo” suggerì. “Hai proprio una brutta tosse”.
    “Va’ all’inferno” ribatté il giovane fieramente, tirando qualche boccata di fumo. “Sto bene. Ti dicevo della strada. Ancora non ci sei arrivato, ma ci arriverai alla svelta. Siamo tutti morti, tutti noi che la percorriamo senza fine, tutti noi che non ne possiamo più ma che pure non riusciamo a tirarcene fuori. E’ bello quando annusi l’estate, e la polvere e il fieno e il vento che ti schiaffeggia in un giorno caldo; ed è bello svegliarsi nell’erba umida in una mattina serena. Non so, non so…” D’improvviso barcollò in avanti, e il vagabondo lo afferrò giusto prima che cadesse.
    “Sto male” sussurrò il ragazzo, “… male”.
    Il vagabondo girò intorno lo sguardo, ma senza scorgere nessuno a cui poter chiedere aiuto. Poi, mentre sorreggeva incerto il giovane nel mezzo della strada in lontananza apparve un’auto che avanzava con calma sicurezza sulla neve.
    “Qualche problema?” chiese tranquillo il guidatore quando fu alla loro altezza. “Sono un medico”. Diede un’occhiata attenta al ragazzo e ne ascoltò il respiro affannoso.
    “Polmonite” diagnosticò. “Gli darò un passaggio fino all’ospedale; e anche a te se vuoi”.
    Il vagabondo pensò all’ospizio e scosse la testa. “Preferisco camminare” rispose.
    Mentre lo caricavano in macchina, il ragazzo ammiccò debolmente.
    “Ci ritroveremo dopo Reigate” mormorò al vagabondo. “Vedrai”. E la macchina si allontanò sulla strada innevata.
    Per il resto della mattina il vagabondo sguazzò tra la neve fangosa, a mezzogiorno elemosinò un tozzo di pane alla porta di una fattoria e sgusciò a mangiarselo in pace in un granaio deserto. Faceva caldo, là dentro, e dopo il magro pasto si addormentò in mezzo al fuoco. Quando si svegliò era buio fatto, e senza perder tempo riprese ad arrancare fra le pozzanghere.
    Tre chilometri dopo Reigate, una figura esile uscì dal buio e gli andò incontro.
    “In viaggio, capo?” chiese una voce roca. “Allora magari potrei fare un pezzo di strada con te, se non vai troppo di fretta. Ci si sente soli, in giro a quest’ora”.
    “Ma… la polmonite!” gridò sgomento il vagabondo.
    “Oh!” disse il ragazzo. “Sono morto a Crowley stamattina”.

    Edited by Mike Enslin - 17/10/2013, 16:45
     
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  2. Nathan Zane
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    Direi Horror d'Autore, ma attendo un altro parere.
     
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  3. AlphaCharly
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    Se è preso pari passo direi che va là.

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  4. Mike Enslin
         
     
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    Grazie mille! :)
     
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3 replies since 1/12/2012, 20:07   2505 views
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