Ex Oblivione

H.P. Lovecraft

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    Arrivato ai miei ultimi giorni, e spinto verso la follia dalle atroci banalità dell'esistenza che scavano come
    gocce d'acqua distillate dai torturatori sul corpo della vittima, cercai la salvezza nel meraviglioso rifugio del
    sonno. Nei sogni trovai un poco della bellezza che avevo invano cercato nella vita e m'immersi in antichi giardini
    e boschi incantati. Una volta che il vento era particolarmente dolce e profumato sentii il richiamo del sud e
    salpai languido, senza meta, sotto costellazioni ignote.
    Un'altra volta cadeva la pioggia gentile e io m'imbarcai su una chiatta che percorreva un torrente senza sole,
    un fiume sotterraneo che sfociava in un altro mondo di crepuscoli purpurei, regno di pergolati multicolori e rose
    immobili. In un terzo sogno m'incamminai per una valle d'oro che conduceva a una serie di boschetti ombrosi e
    a mucchi di rovine, per chiudersi con muro possente coperto di rampicanti dove si apriva un piccolo cancello di
    bronzo.
    Ho camminato in quella valle molte altre volte, indugiando sempre più a lungo nella penombra magica dove
    alberi giganteschi assumevano pose grottesche e parevano rannicchiati su se stessi; li la terra incolore si
    stendeva umida fra gli alberi e a volte rivelava le pietre fangose di templi sepolti. Ma la meta delle mie fantasie
    era sempre la stessa: la muraglia di rampicanti in cui si apriva il piccolo cancello di bronzo. Poco a poco i
    momenti di veglia si fecero più rari e insopportabili, soffocati nel grigiore di un'immobilità stagnante; sempre più
    spesso mi abbandonavo alla pace drogata che sola poteva ricondurrai alla valle degli alberi d'ombra,
    chiedendomi come avrei fatto a non lasciarla più: non volevo essere costretto a strisciare di nuovo nel mondo
    spento, privo d'interesse e di nuovi colori. E guardando il cancello nel muro coperto di verde sentivo che al di là
    si stendeva una terra dei sogni da cui, una volta entrati, non ci sarebbe stato ritorno. Per questo, nel sonno,
    lottavo per trovare il lucchetto del cancello, ma il sistema di apertura mi era tenuto nascosto con grande abilità.
    Sapevo, tuttavia, che il paese al di là del muro sarebbe stato più autentico, più dolce e luminoso.
    Una notte, nella città di sogno di Zakarion, trovai un papiro ingiallito a cui gli antichi abitanti del luogo - saggi
    onirici - avevano affidato i loro pensieri. Si trattava di uomini troppo sapienti per nascere nel mondo della veglia
    e il papiro conteneva molte informazioni sulla terra dei sogni; tra le altre c'era la leggenda di una valle d'oro, del
    bosco sacro in cui sorgevano i templi e della muraglia verde in cui si apriva un solo cancello di bronzo. Nel
    leggere i resoconti capii che si trattava del mio posto e mi immersi nella lettura dell'antico papiro.
    I saggi onirici si dividevano in due gruppi: i primi scrivevano con entusiasmo dei prodigi che si schiudevano al
    di là dell'invalicabile cancello, i secondi accennavano a cose orribili e a inganni. Naturalmente non sapevo a chi
    prestar fede, ma il desiderio di penetrare nel regno sconosciuto era foltissimo. Del resto incertezza e mistero
    sono per noi le più grandi lusinghe, e mi dicevo che non poteva esistere orrore più grande della quotidiana
    tortura nel mondo grigio e banale della veglia. Finalmente venni a sapere che esisteva una droga capace di farmi
    superare il cancello: decisi, quindi, di berla non appena mi fossi svegliato.
    L'ho presa stanotte, e fluttuando nei sogni sono entrato nella valle d'oro, fra i boschetti ombrosi; poi sono
    arrivato davanti all'antica muraglia e ho visto che stavolta il cancelletto di bronzo era socchiuso. Dall'altra parte
    pioveva un fascio di luce che rischiarava di bagliori magici i grandi alberi contorti e la sommità dei templi sepolti.
    Mi sono fatto avanti col cuore gonfio di canzoni, ansioso di imbattermi negli splendori della terra da cui non
    sarei più tornato. Ma non appena il cancello si è aperto del tutto e l'incantesimo della droga e del sogno mi ha
    trasportato dall'altra parte, ho capito che visioni e splendori erano arrivati, ormai, alla fine: in questo nuovo
    universo non c'è né terra né mare, ma solo il vuoto luminoso dello spazio disabitato, illimitato. Più felice di
    quanto avrei mai creduto di poter essere, mi sono dissolto ancora una volta nell'oblìo infinito, trasparente, da cui
    il demone della vita mi aveva chiamato per una breve e sconsolata ora.
     
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