Spazio Vitale

Isaac Asimov

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    Clarence Rimbro non aveva nulla in contrario ad abitare nell'unica casa
    esistente su un pianeta disabitato, né, del resto, lo avevano altri mille
    miliardi di cittadini della Terra.
    Se qualcuno gli avesse chiesto se c'era qualche inconveniente ad abitarci,
    senza dubbio egli avrebbe rivolto all'interrogante un'occhiata perplessa. La
    sua casa era molto più grande di qualsiasi abitazione esistente sulla Terra
    vera e propria, e molto più moderna. Aveva impianti autonomi per l'aria e
    l'acqua; e una notevole riserva di cibo nel freezer. Un campo di forza la
    isolava perfettamente dal pianeta senza vita su cui sorgeva, ma le sue stanze
    erano costruite accanto a un giardino di due ettari di superficie (una serra,
    naturalmente), che, nella munifica luce solare del pianeta, produceva fiori
    per il diletto dei suoi familiari e verdure per la loro mensa. Avevano anche
    le galline. Dava alla signora Rimbro qualcosa da fare per tenere occupato il
    pomeriggio, e ai due piccoli Rimbro uno spazio per giocare quando erano stufi
    di stare in casa.
    Inoltre, se uno voleva veramente trovarsi sulla Terra vera e propria, se
    proprio ci teneva, se davvero voleva stare in mezzo alla gente, respirare
    l'aria aperta, vedere distese d'acqua e andarci a nuotare, non aveva altro da
    fare che uscire dalla porta d'ingresso.
    Dunque, che inconvenienti potevano esserci?
    Non bisognava dimenticare che sul pianeta senza vita in cui era collocata la
    casa di Rimbro c'era un silenzio completo, tranne che per gli occasionali,
    monotoni rumori del vento e della pioggia. Si poteva godere della più assoluta
    intimità, e del sentimento di assoluta
    padronanza d'una superficie planetaria vasta cinquecento milioni di chilometri
    quadri.
    Clarence Rimbro apprezzava tutto questo, nella sua maniera piuttosto
    distaccata. Era un contabile, espertissimo nel manovrare calcolatori di ultimo
    modello, molto preciso nel modo di agire e di vestire, non molto portato a
    sorridere al di sotto dei baffetti sottili e ben curati e giustamente conscio
    dei propri meriti. Quando tornava a casa dal lavoro, doveva passare davanti ai
    luoghi abitati della Terra vera e propria e non aveva ancora smesso di
    guardarli con una certa boria soddisfatta.
    Eppure, per ragioni d'affari oppure per perversione mentale, certa gente
    doveva vivere sulla Terra vera e propria. Era molto penoso per loro.
    Dopotutto, il suolo della Terra vera e propria doveva fornire riserve di
    minerali e di cibo per i mille miliardi di abitanti, che sarebbero diventati
    duemila miliardi entro cinquant'anni, e lo spazio era una specie di premio. Le
    case, sulla Terra vera e propria, non potevano essere più grandi di quello che
    erano, e la gente che vi abitava doveva adattarsi.
    Anche entrare in casa propria gli dava un blando piacere. Entrava nella cabina
    di distorsione della comunità alla quale era stato assegnato e che sembrava -
    come le altre, del resto - un obelisco piuttosto tozzo. E vi trovava
    invariabilmente altre persone che aspettavano di servirsene. Altre persone
    arrivavano prima che lui avesse raggiunto la testa della fila. E quello era il
    momento riservato ai rapporti sociali.
    - Com'è il suo pianeta?
    - E il suo, com'è?
    Le solite conversazioni. Qualche volta qualcuno aveva da raccontare i suoi
    guai: un guasto nel macchinario oppure qualche uragano che alterava
    sfavorevolmente il terreno. Ma non capitava spesso.
    Intanto passava il tempo. Rimbro raggiungeva la testa della fila: metteva la
    sua chiave nella serratura, formulava la combinazione appropriata e veniva
    distorto in una nuova sequenza di probabilità nella quale sulla Terra non si
    era mai sviluppata la vita. E, distorcendosi in questa particolare Terra priva
    di vita, lui entrava nell'atrio di casa sua.
    Esattamente così.
    Non si era mai preoccupato dell'esistenza delle altre probabilità. Perché
    avrebbe dovuto farlo? Non ci aveva mai pensato. C'era un numero infinito di
    possibili Terre; ciascuna di queste Terre esisteva nella propria nicchia. Dal
    momento che su un pianeta come la Terra vi erano, secondo i calcoli, cinquanta
    probabilità su cento che vi si sviluppasse la vita, metà di tutte le possibili
    Terre (ovverosia infinite Terre, dal momento che metà di infinito è infinito)
    possedevano la vita, e metà (ossia infinite Terre) ne erano prive. E su circa
    trecento
    miliardi di Terre prive di vita abitavano trecento miliardi di famiglie:
    ciascuna aveva la sua bella casa, rifornita dalla energia del sole di quella
    particolare probabilità. E tutte quelle case erano tranquille, nella pace più
    assoluta. Il numero delle Terre occupate in questo modo cresceva di milioni di
    unità ogni giorno.
    Eppure un bel giorno Rimbro tornò a casa e Sandra, sua moglie, gli disse,
    appena lo vide entrare: - C'è stato un rumore stranissimo.
    Rimbro alzò le sopracciglia e guardò più attentamente la moglie. Sembrava
    perfettamente normale: solo, le sue mani sottili sembravano più irrequiete del
    solito e il suo viso sembrava leggermente più pallido.
    - Rumore? - fece Rimbro, tenendo il cappotto sollevato a mezz'aria, verso la
    servetta meccanica che stava aspettando, paziente. - Che rumore? Non ho
    sentito niente.
    - Adesso ha smesso - disse Sandra. - Davvero, è stato una specie di rombo
    lontano. Durava un po', poi smetteva. Riprendeva ancora per un po', poi
    smetteva di nuovo. Non ho mai sentito niente di simile.
    Rimbro diede il cappotto alla servetta.
    - Ma è impossibile.
    - Eppure l'ho sentito.
    - Andrà a dare un'occhiata agli impianti - mormorò lui. - Deve esserci
    qualcosa che non funziona.
    Tutto funzionava, invece, per quanto potessero scoprire gli occhi del
    contabile. Scrollò le spalle e salì a pranzo. Ascoltò le servette che
    ronzavano, mentre svolgevano i loro compiti: le osservò mentre sparecchiavano,
    poi disse, sporgendo le labbra: - Forse una delle servette è guasta. Le
    controllerò.
    - Ma non era niente di simile, Clarence.
    Rimbro andò a letto, senza preoccuparsi oltre della faccenda; ma si svegliò
    sentendo la mano della moglie che gli stringeva la spalla. Fece scattare
    automaticamente il contatto che accese le luci nelle pareti.
    - Cosa succede? Che ore sono?
    Lei scosse il capo.
    - Ascolta! Ascolta!
    Buon Dio, pensò Rimbro, era proprio un rumore. Un rombo ben definito. Andava e
    veniva...
    - Il terremoto? - bisbigliò. Poteva capitare, naturalmente; per questo, avendo
    tutto il pianeta a disposizione, potevano essere quasi certi di aver evitato
    le possibili aree pericolose.
    - Un terremoto che dura tutto il giorno? - chiese Sandra, irritata. - Credo
    che sia qualcosa d'altro. - Poi diede voce al segreto terrore di tutte le
    padrone di casa nervose: - Credo che ci sia qualcuno, sul nostro pianeta.
    Questa Terra è abitata.
    Rimbro si comporta secondo la logica. La mattina dopo condusse la moglie e i
    figli in casa dalla suocera. Poi prese un giorno di permesso e andò
    all'Ufficio Alloggi del Settore. Era molto seccato dell'intera faccenda.

    Bill Ching, dell'Ufficio Alloggi, era piccolo, gioviale e molto orgoglioso
    della sua parziale discendenza mongolica. Era convinto che il sistema delle
    sequenze di probabilità aveva risolto tutti i problemi dell'umanità. Alec
    Mishnoff, che era a sua volta funzionario dell'Ufficio Alloggi, pensava che le
    sequenze di probabilità erano una trappola dalla quale l'umanità era
    irrimediabilmente attratta. Era laureato in archeologia e aveva studiato una
    quantità di particolari della storia antica, che ancora gli riempivano la
    testa. Il suo volto aveva un aspetto sensibile nonostante le foltissime
    sopracciglia. Aveva una sua idea favorita che non osava raccontare a nessuno
    ma che lo aveva indotto ad abbandonare l'archeologia e a dedicarsi al problema
    degli alloggi.
    Ching amava ripetere: - Al diavolo Malthus! - Era una sua frase abituale. - Al
    diavolo Malthus. Adesso non rischiamo più la sovrappopolazione della Terra.
    Anche se il nostro numero continua a raddoppiare, l'homo sapiens rimarrà
    sempre in numero finito, mentre le terre disabitate restano infinite. E non
    dobbiamo mettere una sola casa su ciascun pianeta: possiamo metterne un
    centinaio, un migliaio, un milione. C'è un mucchio di posto disponibile; e
    anche una quantità di energia fornita da ogni probabile sole.
    - Più di una casa per pianeta? - chiedeva acido Mishnoff.
    Ching sapeva esattamente quello che l'altro intendeva dire. Quando le sequenze
    di probabilità erano state usate per la prima volta, soltanto la proprietà di
    un pianeta era stato un richiamo abbastanza forte per i primi pionieri. Era un
    richiamo che affascinava quel tanto di snobistico e di dispotico che c'è in
    ciascun essere umano. Quale uomo era così povero, diceva lo slogan
    pubblicitario, da non potersi permettere un impero più vasto di quello di
    Gengis Khan? E adesso introdurre altri abitanti su un pianeta sarebbe stato un
    pubblico oltraggio.
    E Ching diceva, scrollando le spalle:
    - E va bene, occorrerà una certa preparazione psicologica. E con questo? Si
    tratta soltanto di fare le cose per bene.
    - E il cibo? - chiedeva Mishnoff.
    - Sai bene che stanno piazzando colture idroponiche e piante da lievito in
    altre sequenze di probabilità. E, se fosse necessario, potremmo coltivare
    anche il suolo di quelle Terre.
    - Indossando tute spaziali e importando l'ossigeno?
    - Potremmo ottenere l'ossigeno dall'anidride carbonica fino a che le piante
    non si saranno sviluppate abbastanza da proseguire il procedimento per conto
    loro.
    - Il che avverrà fra un milione di anni.
    - Mishnoff - diceva Ching - il guaio è che tu leggi troppi libri di storia
    antica. Sei un ostruzionista.
    Ma Ching aveva un'indole bonaria e non pensava davvero ciò che diceva. E
    Mishnoff continuava a leggere i suoi libri e a preoccuparsi. Mishnoff sognava
    il giorno in cui avrebbe trovato il coraggio necessario per andare dal Capo
    Sezione per spiegargli chiaro e tondo il motivo delle sue preoccupazioni.
    Ma adesso si trovavano di fronte il signor Clarence Rimbro, che aveva il volto
    leggermente sudato e un'espressione piuttosto infuriata. Gli erano occorsi
    quasi due giorni per arrivare fino a loro.
    Raggiunto il punto culminante del suo racconto, Rimbro esclamò:
    - Io dico che il pianeta è abitato. E questo non ho intenzione di sopportarlo.
    Ching, che aveva ascoltato la storia per intero, cercò di calmarlo.
    - Ma un rumore simile - disse - È dovuto probabilmente a qualche fenomeno
    naturale.
    - Che specie di fenomeno naturale? - chiese Rimbro. - Voglio un'inchiesta. Se
    è un fenomeno naturale, voglio sapere di che fenomeno naturale si tratta. Io
    dico che il pianeta è abitato. È abitato da qualche forma di vita, e per
    l'inferno, io non pago l'affitto di un pianeta per doverlo dividere con altri.
    E con i dinosauri, per giunta, a giudicare dal rumore.
    - Suvvia, signor Rimbro! è molto tempo che lei vive sulla sua Terra?
    - Quindici anni e mezzo.
    - E non vi è mai stato alcun segno di vita?
    - No. Ma adesso c'è, e nella mia qualità di cittadino con un indice produttivo
    classificato come A-1, esigo un'inchiesta.
    - Naturalmente faremo l'inchiesta, signore. Ma vogliamo assicurarle fin d'ora
    che è tutto in regola. Si rende conto della cura con la quale selezioniamo le
    nostre sequenze di probabilità?
    - Io sono un contabile. Ne ho un'idea abbastanza chiara - fece Rimbro, di
    scatto.
    - E allora lei sa che il nostro calcolatore non può ingannarci. Non sceglie
    mai una probabilità che è già stata scelta prima. Non è possibile. I
    calcolatori sono regolati per selezionare soltanto sequenze di probabilità in
    cui la Terra ha una atmosfera di anidride carbonica; un'atmosfera nella quale
    non si è mai sviluppata una vita vegetale e di conseguenza neanche una vita
    animale. Perché, se vi si fossero evolute le piante, l'anidride carbonica
    sarebbe stata convertita in ossigeno. Mi comprende?
    - Comprendo benissimo e non sono venuto qui per ascoltare lezioni - disse
    Rimbro. - Voglio che facciate un'inchiesta, e nient'altro. È estremamente
    umiliante pensare che forse ho in comune il mio mondo, il mio mondo privato,
    con qualcosa o con qualcuno... e non ho intenzione di sopportare una cosa del
    genere.
    - No, naturalmente - mormorò Ching, evitando lo sguardo sardonico di Mishnoff.
    - Arriveremo prima di questa sera.

    Erano diretti verso la cabina di distorsione, in pieno assetto di guerra.
    - Vorrei chiederti una cosa - disse Mishnoff. - Perché continui con quella
    solfa: "Non deve preoccuparsi, signore"? Tanto si preoccupano sempre, lo
    stesso. Cosa credi di ottenere?
    - Io tento. Non dovrebbero preoccuparsi - disse Ching, in tono petulante. -
    Hai mai sentito parlare di un pianeta con atmosfera di anidride carbonica che
    sia abitato? Per giunta, Rimbro è il tipo che comincia con i rumori. Conosco
    quegli individui. Se lo incoraggiamo, finirà per raccontarci che il suo sole
    si sta trasformando in nova.
    - Ma questo capita davvero, qualche volta - disse Mishnoff.
    - E con questo? Sì, una casa viene spazzata via e una famiglia muore. Vedi,
    sei proprio un ostruzionista. Nei tempi antichi che ti piacciono tanto, quando
    c'era una inondazione, in Cina o in qualche altro posto, la gente moriva a
    migliaia. E questo accadeva in una popolazione che non arrivava ai due
    miliardi.
    - Ma come fai a sapere che sul pianeta di Rimbro non esistono forme di vita? -
    chiese Mishnoff.
    - C'è un'atmosfera di anidride carbonica.
    - Ma immagina che... - Non serviva a niente. Mishnoff non riusciva a dirlo.
    Finì, a casaccio: - Immagina che la vita vegetale e animale si sviluppi,
    adattandosi all'anidride carbonica.
    - Mai capitato niente di simile.
    - In un numero infinito di mondi, può accadere qualunque cosa. - Mishnoff
    finì, con un sussurro: - Deve accadere qualsiasi cosa.
    - Le possibilità sono una su dieci alla diciottesima potenza - disse Ching,
    scrollando le spalle.
    Giunsero alla cabina di distorsione; dopo essersi serviti della speciale
    distorsione per i carichi, mandando a finire il loro veicolo nel magazzino di
    Rimbro, entrarono a loro volta nella sua sequenza di probabilità. Prima Ching,
    poi Mishnoff.

    - Che bella casa - disse Ching, soddisfatto. - Proprio un bel modello. Di
    ottimo gusto.
    - Senti niente? - chiese Mishnoff.
    - No.
    Ching cominciò a gironzolare nel giardino.
    - Ehi! - esclamò. - Hanno anche delle galline Rhode Island.
    Mishnoff lo seguì, guardando la volta di vetro. Il sole era eguale al sole di
    miliardi di altre Terre.
    - Potrebbe esserci una vita vegetale - disse in tono assente - proprio ai suoi
    inizi. L'anidride carbonica potrebbe cominciare a concentrarsi. Il calcolatore
    non può saperlo.
    - E occorrerebbero milioni di anni perché cominciasse a svilupparsi la vita
    animale, e altri milioni di anni perché uscisse dal mare.
    - Ma non è necessario che segua proprio questo schema.
    Ching passò un braccio attorno alle spalle dell'amico.
    - Tu stai fantasticando. Un giorno o l'altro, farai meglio a dirmi che cosa ti
    preoccupa veramente, invece di limitarti a queste allusioni, e potremo capirci
    finalmente qualcosa.
    Mishnoff si liberò con un gesto seccato. Il tono tollerante di Ching era duro
    da sopportare.
    - Non cominciamo con la psicoterapia... - fece, poi si interruppe, mormorando:
    - Ascolta!
    Vi fu un rombo lontano. Poi un altro.
    Piazzarono il sismografo al centro della stanza e attivarono il campo di forza
    che penetrava nel sottosuolo, lo vincolarono rigidamente agli strati rocciosi.
    Poi osservarono l'ago tremolante che registrava le scosse.
    - Le scosse sono limitate alla superficie - disse Mishnoff. - Il sottosuolo
    non c'entra.
    Ching sembrò un po' scosso.
    - E allora di cosa si tratta?
    - Credo che faremmo meglio a scoprirlo - disse Mishnoff; il suo volto era
    diventato grigio per l'apprensione. - Dovremmo collocare un sismografo in un
    altro punto e cercare l'epicentro della scossa.
    - Naturalmente - disse Ching. - Uscirò io, con l'altro sismografo. Tu resta
    qui.
    - No - fece energicamente Mishnoff. - Uscirò io.
    Mishnoff si sentiva terrorizzato, ma non aveva scelta. Se si fosse verificato
    quello che temeva, lui sarebbe stato preparato, per lo meno. Avrebbe potuto
    cogliere qualche segno premonitore. Lasciare uscire Ching, che non sospettava
    di niente, sarebbe stato disastroso. E non poteva nemmeno metterlo in guardia
    poiché Ching non gli avrebbe creduto.
    Ma dal momento che Mishnoff non era affatto un eroe, tremava visibilmente
    mentre si infilava nella tuta ad autorespiratore. Inciampò nel disintegratore
    mentre tentava di dissolvere il campo di forza per liberare l'uscita di
    emergenza.
    - Ma hai qualche ragione per volere andare proprio tu? - chiese Ching,
    osservando i gesti inetti dell'altro. - Sono disposto a uscire io.
    - Va tutto bene. Esco io - disse Mishnoff, con la gola secca. Entrò nella
    valvola che conduceva alla superficie desolata di una Terra priva di vita. Una
    Terra presumibilmente priva di vita.

    Il panorama era abbastanza familiare a Mishnoff. Ne aveva visti di simili
    dozzine di volte. Rocce nude, battute dal vento e dalla pioggia, incrostate e
    impolverate di sabbia; un piccolo ruscello, piuttosto rumoroso, che scorreva
    sul suo letto di sassi. Tutto era grigio e bruno; non c'era traccia di verde.
    E non c'era nessun segno di vita.
    Eppure il sole era lo stesso, e quando scendeva la notte, le costellazioni
    erano le stesse.
    La casa di Rimbro era situata in quella regione che sulla Terra vera e propria
    veniva chiamata Labrador. Anche qui c'era proprio il Labrador. Era stato
    calcolato che soltanto in una Terra su ogni quadrilione vi erano sensibili
    cambiamenti nell'evoluzione geologica. I continenti erano dovunque
    riconoscibili, e differivano soltanto per pochissimi dettagli.
    Nonostante la latitudine e la stagione - Sì era in ottobre - la temperatura
    era molto calda, a causa dell'effetto serra dell'anidride carbonica nella
    morta atmosfera terrestre.
    Protetto dalla tuta, Mishnoff si guardava intorno, attraverso la piastra
    trasparente. Se l'epicentro del rumore era vicino, sistemando il secondo
    sismografo a un miglio o giù di lì avrebbe potuto ottenere i dati voluti. Se
    non lo era, avrebbero dovuto servirsi di un ricognitore aereo. Bene, tanto per
    cominciare bisognava votarsi alla complicazione minore.
    Si fece strada, metodicamente, verso la collinetta rocciosa. Una volta
    arrivato sulla vetta, avrebbe potuto scegliere il punto più adatto.
    Quando fu arrivato, sbuffando, fiaccato dal caldo insopportabile, si accorse
    che avrebbe fatto meglio a non salirvi.
    Il cuore gli batteva così forte che poteva udire a fatica la propria voce,
    quando gridò nel microfono della radio: - Ehi, Ching, stanno costruendo un
    edificio!
    - Che cosa? - Il grido allarmato dell'altro gli lacerò i timpani.
    Non si era sbagliato. Stavano livellando il terreno. C'erano macchine al
    lavoro. E stavano facendo saltare la roccia.
    - Stanno facendo esplodere delle cariche di esplosivo. È quello, il rumore -
    gridò Mishnoff.
    - Ma è impossibile! - fece Ching, di rimando. - Il calcolatore non
    sceglierebbe due volte la stessa sequenza di probabilità. Non potrebbe farlo.
    - Tu non capisci... - cominciò Mishnoff.
    Ma Ching stava seguendo i propri pensieri.
    - Va' a vedere più da vicino, Mishnoff. Vengo subito anch'io.
    - No, maledizione! Resta dove sei! - gridò Mishnoff, allarmato. - Tienti in
    contatto radio con me, e per l'amor di Dio tienti pronto a partire per la
    Terra vera e propria a tutta velocità, se io ti passo l'ordine.
    - Perché? - chiese Ching. - Cosa succede?
    - Non lo so ancora - disse Mishnoff. - Dammi il tempo di scoprirlo.
    Si accorse, con una certa sorpresa, che stava battendo i denti.
    Mormorando fra sé feroci maledizioni al calcolatore, alle sequenze di
    probabilità e all'insaziabile bisogno di spazio vitale da parte di mille
    miliardi di esseri umani che crescevano di numero con la velocità con cui uno
    sbuffo di fumo si dilata, Mishnoff scese a scivoloni lungo il pendio opposto
    della collina, urtando le pietre che rotolavano, sollevando strani echi.

    Un uomo uscì a incontrarlo. Portava addosso una tuta che differiva in molti
    particolari da quella di Mishnoff, ma che era stata evidentemente fabbricata
    per lo stesso scopo: portare ossigeno ai polmoni.
    Mishnoff boccheggiò, sentendosi mancare il fiato.
    - Attento, Ching - chiamò, nel microfono. - Sta arrivando un uomo. Tienti in
    contatto. - Adesso Mishnoff sentiva il proprio cuore battere con più calma,
    sentiva i propri polmoni alzarsi ed abbassarsi con uno sforzo meno intenso.
    I due uomini si guardarono. Il nuovo arrivato era biondo e aveva un viso rude.
    La sua espressione di stupore era troppo grande per poter essere simulata.
    - Wer sind Sie? - chiese, con voce dura. - Was machen Sie hier?
    Mishnoff restò fulminato. Aveva studiato l'antico tedesco per due anni, nei
    tempi in cui voleva diventare archeologo, così riuscì a capire la frase,
    sebbene la pronuncia fosse diversa da quella che aveva imparato. Lo
    sconosciuto gli stava chiedendo chi era e cosa era venuto a fare lì.
    Balbettò di rimando, stupidamente: - Sprechen Sie Deutsch? - Poi dovette
    affrettarsi a mormorare qualcosa per tenere tranquillo Ching, la cui voce
    agitata gli suonava negli otofoni per chiedergli che razza di sciocchezze
    erano quelle.
    L'individuo che parlava tedesco non diede una risposta diretta.
    - Wer sind Sie? - ripeté; poi aggiunse, spazientito: - Hier ist fur ein
    verruckten Spass keine Zeit.
    Mishnoff non aveva affatto voglia di scherzare, in quel momento. E continuò: -
    Sprechen Sie Planetisch?
    Non conosceva l'espressione tedesca per "Linguaggio Standard Planetario", così
    aveva tirato a indovinare. Si rese conto troppo tardi che avrebbe dovuto
    riferirsi semplicemente all'inglese.
    L'altro lo fissò con gli occhi sbarrati.
    - Sind Sie wahnisinnig?
    Quasi Mishnoff era disposto a crederlo, ma tentò una debole autodifesa: -
    Maledizione, non sono matto. Voglio dire, Auf der Erde woher Sie gekom...
    Rinunciò a proseguire per mancanza di parole tedesche, ma la nuova idea che
    gli si agitava nella mente non smetteva di infastidirlo. Doveva trovare il
    modo di accertarsi della verità. E disse, disperatamente:
    - Welches Jahr ist es jetzt?
    Presumibilmente lo sconosciuto, che già l'aveva interrogato sulle sue facoltà
    mentali, si sarebbe convinto del tutto della pazzia di Mishnoff, adesso, nel
    sentir chiedere che anno era; ma quella era una delle poche domande per le
    quali Mishnoff disponeva d'una sufficiente conoscenza di tedesco.
    L'altro brontolò qualcosa che somigliava in maniera sospetta ad una bestemmia
    in buon tedesco, poi disse: - Es ist doch zwei tausend drei hundert
    vier-und-sechzig, und warum...
    Il fiume di parole tedesche che seguì fu completamente incomprensibile per
    Mishnoff, ma in ogni caso ne aveva avuto abbastanza, per il momento. Se lui
    aveva tradotto correttamente dal tedesco, quel tale gli aveva detto che
    quell'anno era il 2364, il che significava circa duemila anni nel passato.
    Come era possibile?
    - Zwei tausend drei hundert vier-und-sechzig? - mormorò.
    - Ja, ja - disse l'altro, in tono sarcastico. - Zwei tausend drei undert
    vier-und-sechzig. Der ganze Jahr lang ist es so gewesen.
    Mishnoff scrollò le spalle. La battuta era molto debole anche in tedesco, e
    non ci guadagnava proprio nulla nella traduzione: "E lo è stato per tutto
    l'anno". Rifletté un attimo.
    Ma il tono dell'altro si fece ancora più ironico.
    - Zwei tausend drei undert vier-und-sechzig nach Hitler. Hilft das Ihnen
    vielleicht? Nach Hitler!
    Mishnoff gridò, deliziato: - Sì, mi serve. Es hilft! Horen Sie, bitte... - e
    continuò in un tedesco spezzato, sparso di briciole di Planetario: - Per
    l'amor del Cielo, um Gottes willen...
    2364 dopo Hitler era completamente diverso.
    Mise insieme, disperatamente, le parole tedesche, cercando di spiegare.
    L'altro si accigliò, divenne pensieroso. Alzò la mano guantata per soffregarsi
    il mento o per fare un gesto simile, urtò lo schermo trasparente che gli
    riparava il volto, e tenne la mano lì ferma, mentre pensava.
    Poi disse, all'improvviso: - Ich heiss George Fallenby.
    A Mishnoff quel nome sembrò di derivazione anglosassone, sebbene la pronuncia
    delle vocali fosse tale da farlo sembrare tedesco.

    - Guten Tag - disse goffamente. - Ich heiss Alec Mishnoff. - E si rese
    improvvisamente conto della derivazione slava del proprio nome.
    - Kommen Sie mit mir, Herr Mishnoff - disse Fallenby.
    Mishnoff lo seguì con un sorriso forzato, mormorando nel microfono: - Va tutto
    bene, Ching. Va tutto bene.

    Sulla Terra vera e propria, Mishnoff stava di fronte al Capo Ufficio del
    Settore, che era invecchiato nel Servizio Alloggi; ognuno di quei capelli
    grigi rappresentava un problema affrontato e risolto, ogni capello mancante
    significava una minaccia allontanata. Era un uomo cauto dagli occhi
    scintillanti: e non aveva nemmeno un dente falso. Si chiamava Berg.
    - E parlano tedesco? - fece. - Ma il tedesco che lei ha studiato era vecchio
    di duemila anni.
    - È vero - disse Mishnoff. - Ma l'inglese usato da Hemingway è vecchio di
    duemila anni, eppure il Planetario gli somiglia tanto che chiunque è capace di
    leggerlo.
    - Uhm. E chi è questo Hitler?
    - Fu una specie di capo tribù dei tempi antichi. Guidò la tribù tedesca in una
    delle guerre del ventesimo secolo, proprio nel tempo in cui cominciò l'Età
    Atomica e cominciò così la storia vera e propria.
    - Prima della Devastazione, vuol dire?
    - Esatto. Vi fu una serie di guerre, allora. I paesi anglosassoni vinsero e
    credo che questa sia la ragione per cui la Terra parla Planetario.
    - E se invece avessero vinto Hitler e i suoi tedeschi, il mondo parlerebbe
    tedesco, invece?
    - Hanno vinto, sulla Terra di Fallenby, signore, e parlano tedesco.
    - E calcolano gli anni dopo Hitler anziché dopo Cristo?
    - Sicuro. Immagino che vi siano anche Terre sulle quali hanno vinto le tribù
    slave, e tutti parlano russo.
    - In un certo senso - disse Berg - mi sembra che avremmo dovuto prevederlo;
    eppure, per quel che ne so, nessuno lo ha previsto. Dopotutto, c'è un numero
    infinito di Terre abitate, e noi non possiamo essere gli unici ad avere deciso
    di risolvere il problema dell'incremento demografico servendoci
    dell'espansione nei mondi della probabilità.
    - Esattamente - fece impaziente Mishnoff. - E mi pare che se ci si pensa
    meglio deve esserci un numero illimitato di Terre che agiscono in questo modo,
    e debbono esserci molti casi di occupazioni multiple nei trecento miliardi di
    Terre che noi stessi occupiamo. L'unico motivo per cui abbiamo scoperto
    questa, è che, per puro caso, hanno impiantato un cantiere a meno di un
    chilometro da una delle nostre abitazioni. Dobbiamo svolgere ricerche.
    - Intende dire che dovremmo cercare su tutte le Terre?
    - Proprio così, signore. Dobbiamo stringere qualche accordo con le altre Terre
    abitate. Dopotutto, c'è abbastanza spazio per tutti, ed espandersi senza un
    accordo potrebbe dar luogo ad ogni sorta di conflitti.
    - Già - disse Berg, pensoso. - Sono d'accordo con lei.

    Clarence Rimbro fissò con aria sospettosa la vecchia faccia di Berg,
    atteggiata ora alla massima benevolenza.
    - È proprio sicuro?
    - Assolutamente sicuro - disse il Capo Ufficio. - Ci dispiace che lei sia
    stato costretto ad abitare temporaneamente altrove in queste ultime due
    settimane...
    - Ormai sono tre.
    -...tre settimane, ma lei sarà indennizzato.
    - E che cos'era quel rumore?
    - Di origine puramente geologica, signore. C'era una roccia in equilibrio
    precario che, investita dal vento, urtava, qualche volta, contro le rocce
    della collina. L'abbiamo rimossa e abbiamo pattugliato l'area per essere certi
    che non accada più niente di simile.
    Rimbro afferrò il cappello.
    - Bene - disse - grazie per il disturbo.
    - Non occorre che lei ci ringrazi, le assicuro, signor Rimbro. Questo è il
    nostro lavoro.
    Rimbro fu riaccompagnato alla porta, e Berg si rivolse a Mishnoff, che era
    rimasto ad assistere alla conclusione del caso Rimbro.
    - I tedeschi sono stati molto gentili, ad ogni modo - disse Berg. - Hanno
    ammesso il nostro diritto di priorità e se ne sono andati. C'è posto per
    tutti, hanno detto. Naturalmente, come è poi risultato, non si limitano a
    costruire una sola abitazione su tutti i mondi non occupati... E adesso c'è il
    progetto di controllare gli altri mondi nostri e di concludere accordi dello
    stesso tipo con chiunque vi troveremo. È una faccenda riservatissima,
    naturalmente. Non possiamo far sapere all'opinione pubblica una cosa del
    genere senza una adeguata preparazione... Eppure non è di questo che volevo
    parlarle.
    - Oh? - fece Mishnoff. Gli sviluppi della situazione non lo avevano rallegrato
    troppo. Il suo spettro personale continuava a preoccuparlo.
    Berg gli sorrise.
    - Lei capisce, Mishnoff: noi dell'Ufficio e del Governo Planetario,
    apprezziamo molto la rapidità con cui lei si è reso conto della situazione.
    Che avrebbe potuto evolversi in maniera molto tragica, se non fosse stato per
    lei. E questo apprezzamento assumerà una forma tangibile.
    - Grazie, signore.
    - Ma, come ho già detto prima, a questa faccenda avremmo dovuto pensarci
    prima. Perché lei lo ha fatto? Abbiamo frugato un po' nel suo passato. Il suo
    collaboratore, Ching, ci ha riferito che lei ha alluso, talvolta, a certi seri
    pericoli nella nostra organizzazione delle sequenze di probabilità, e che lei
    ha insistito per uscire ad affrontare i tedeschi anche se era ovviamente
    spaventato. Lei prevedeva quello che avrebbe trovato, vero? E come mai?
    - No. No - fece confusamente Mishnoff. - Non ci pensavo affatto. È stata una
    sorpresa anche per me. Io...
    Improvvisamente, si irrigidì. Perché non parlare adesso? Gli erano molto
    grati: lui aveva dimostrato di essere un uomo che andava preso sul serio. Ed
    era già accaduto l'inaspettato.
    - C'è qualcos'altro - disse, con fermezza.
    - Sì?
    Da che parte doveva cominciare?
    - Non esiste altra vita nel sistema solare, al di fuori della vita sulla
    Terra.
    - Questo è esatto - convenne Berg in tono benevolo.
    - E i calcoli hanno dimostrato che le probabilità di raggiungere una qualsiasi
    forma di volo interstellare sono così basse da essere infinitesimali.
    - Dove vuole arrivare?
    - Ma questo è vero in questa probabilità. Però debbono esistere altre sequenze
    di probabilità in cui esistono altre forme di vita nel sistema solare o in cui
    il volo interstellare è stato raggiunto da abitatori di altri sistemi.
    - In teoria è possibile - ammise Berg, accigliandosi.
    - In una di queste probabilità, può darsi che la Terra sia stata visitata da
    questi esseri intelligenti. Se questo accade in una sequenza di probabilità in
    cui la Terra è abitata, questo non ci tocca; non avranno rapporti con la Terra
    vera e propria. Ma se questo accade in una sequenza di probabilità in cui la
    Terra è disabitata, e se essi vi hanno posto una loro base, possono trovarvi,
    per esempio, una delle nostre abitazioni.
    - Perché proprio una delle nostre? - chiese Berg, in tono asciutto. - Perché
    non una abitazione dei tedeschi, per esempio?
    - Perché noi piazziamo le nostre abitazioni una per mondo. La Terra tedesca si
    regola diversamente. E probabilmente anche le altre fanno lo stesso. Le
    probabilità sono a nostro favore a miliardi contro una. E se gli
    extraterrestri trovano un'abitazione del genere, investigheranno fino a che
    troveranno la strada per la Terra vera e propria, così ricca e così
    progredita.
    - Ma non se noi disinnestiamo le cabine di distorsione - disse Berg.
    - Ma non appena loro si saranno resi conto che queste cabine di distorsione
    esistono, potranno costruirne a loro volta - disse Mishnoff. - Una razza
    abbastanza intelligente da viaggiare attraverso lo spazio interstellare
    potrebbe farlo, e dall'attrezzatura dell'abitazione di cui si fossero
    impadroniti, potrebbero facilmente localizzare la nostra particolare
    probabilità... E come ci regoleremmo, con questi extraterrestri? Non sono i
    tedeschi, o gli abitanti delle altre Terre. Avrebbero psicologie e moventi del
    tutto estranei a noi. E noi non siamo nemmeno preparati a una evenienza
    simile. Noi non facciamo altro che piazzare dappertutto le nostre abitazioni e
    aumentare le probabilità ogni giorno che...
    La sua voce si era alzata, in un tono eccitato, e Berg gli gridò: -
    Sciocchezze! Tutto ciò è ridicolo...
    Il cicalino squillò e il pannello delle comunicazioni si illuminò mostrando la
    faccia di Ching.
    - Mi dispiace disturbare - disse la voce di Ching, - ma...
    - Cosa c'è? - chiese bruscamente Berg.
    - C'è un uomo con cui non so proprio cosa fare. È ubriaco o è pazzo. Protesta
    perché la sua casa è circondata, e ci sono delle cose che lo guardano
    attraverso il tetto di vetro del suo giardino.
    - Cose? - gridò Mishnoff.
    - Cose color porpora con grandi vene rosse, tre occhi e tentacoli al posto dei
    capelli. Hanno...
    Ma Berg e Mishnoff non lo ascoltavano più. Si fissavano in preda all'orrore.
     
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