Un incontro natalizio

Rosemary Timperley

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  1. Mike Enslin
         
     
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    Tratto dalla raccolta di racconti Il libro delle storie di fantasmi di Roald Dahl

    Racconto di Rosemary Timperley
    Titolo originale Christmas Meeting
    Traduzione di Edo Belfanti

    Fino allora non avevo mai passato un Natale da sola.
    Mi fa uno strano effetto sedere qui sola nella mia “camera ammobiliata”, con la testa piena di fantasmi e le pareti che riecheggiano le voci del passato. Ho quasi la sensazione di affogare, mentre mi accalcano scompostamente in mente i ricordi di tutti i passati Natali: quelli di quand'ero bambina, con la casa piena di parenti, l’albero davanti alla finestra, un pulding da quattro soldi e la calza colma di regali; quelli da adolescente, con i miei genitori, la guerra e il freddo e le lettere dell’estero; il mio primo Natale da adulta, con un amante, la neve, i baci e il vino rosso o la passeggiata di mezzanotte sotto un cielo di stelle luminose come diamanti… tanti Natali e tanti anni sono passati, lasciandomi soltanto ricordi.
    E adesso, il primo Natale da sola.
    Ma non completamente sola. Provo come un sentimento di cameratismo verso tutti quelli che strano passando il Natale da soli, milioni di persone, passate e presenti. Mi sembra quasi che, se provassi a chiudere gli occhi, non ci sarebbero più né un passato né un futuro, ma solo quel presente senza fine che è il tempo… e che in fin dei conti è tutto ciò che abbiamo.
    Ebbene sì, per quanto si possa essere cinici o miscredenti, ritrovarsi da soli il giorno di Natale non può non fare uno strano effetto.
    Perciò, mi sento assurdamente quando il giovanotto entra nella stanza. Non c’è proprio niente di romantico in questo, visto che io sono una zitella quasi cinquantenne, la classica maestra di scuola, severa, i capelli a crocchia e gli occhi miopi, anche se una volta erano stati davvero belli, mentre lui non è che un ventenne, vestito in modo piuttosto strano, una giacca di velluto nero e una cravatta color vino, e una cascata di riccioli castani che avrebbe fatto la gioia di un barbiere. L’abbigliamento vagamente effeminato è smentito dalle sue fattezze, penetranti occhi blu molto vicini, un mento e un naso sporgenti, arroganti. Non sembra particolarmente robusto. La pelle appare tirata su quei tratti così decisi, e il colorito è pallidissimo.
    Piomba dentro senza bussare, si ferma e dice: “Mi dispiace, davvero. Pensavo fosse la mia stanza”. Fa per uscire, esita e continua: ”E’ qui da sola?”
    “Sì”:
    “E… è proprio strano essere soli il giorno di Natale, non è vero? Posso fermarmi un po’ a chiacchierare?”
    “Ne sarei lieta”.
    Richiude la porta e si siede accanto al fuoco.
    “Spero non penserà che sono venuto qui di proposito. Pensavo davvero che fosse la mia camera” spiega.
    “Sono felice di questo errore. Ma lei è davvero troppo giovane per trovarsi da solo a Natale”.
    “Non sarebbe stato opportuno tornare al paese, alla mia famiglia. Sono uno scrittore, e questo avrebbe rischiato di ostacolare il mio lavoro”.
    “Capisco”. Mi sfugge un accento di sorriso. Questo spiega il suo strano abbigliamento. E si prende così sul serio, questo giovanotto! “Naturalmente, non è certo il caso di sprecare un momento creativo” aggiungo ammiccando.
    “No, non in questo periodo! E’ proprio quello che non riescono a capire i miei, non apprezzano la mia urgenza di esprimere quel che sento proprio ora”.
    “Raramente la famiglia riesce a cogliere il vero valore di una natura artistica”.
    “Sì, ha ragione” ne conviene seriamente.
    “Cosa sta scrivendo?”
    “Una combinazione di poesia e diari personali. Si chiama Io e i miei pensieri, di Francis Randel. Mi chiamo così. La mia famiglia dice che non c’è senso nello scrivere una cosa del genere, che sono troppo giovane. Ma non mi sento giovane. Qualche volta mi sento vecchio, vecchissimo, e con tante cose da fare prima di morire”.
    “Girare e girare sempre più veloci sulla ruota della creatività”.
    “Sì! Sì, proprio così! Lei sì che mi capisce! Deve leggere il mio lavoro, qualche volta. La prego, lo legga!” C’è come una nota di disperazione nei suoi occhi, uno sguardo angosciato che mi fa dire:
    “Stiamo diventando un po’ troppo solenni per il giorno di Natale. Le farò una tazza di caffè, e c’è anche il dolce”.
    Mi dirigo verso il cucinotto e inizio a trafficare con tazza, forchette e con il filtro per il caffè. Ma probabilmente devo averlo offeso, perché quando mi volto scopro che se ne è andato. Mi sento scioccamente delusa.
    Comunque finisco di preparare il caffè, e poi rivolgo la mia attenzione alla libreria. E’ stracolma di libri, tanto che la proprietaria, affittandomi la stanza, s’era sentita in dovere di scusarsi: “Spero che non le dispiaccia per i libri, signorina, ma mio marito non se ne vuole liberare e non sappiamo dove metterli. E’ proprio per questo che la stanza costa un po’ di meno”.
    “Non importa, i libri sono buoni amici” le avevo risposto.
    Ma questi libri non hanno un aspetto troppo amichevole. Ne prendo uno a caso… o forse è il fato a guidare la mia mano.
    Inizio a leggere un librettino squinternato, mentre mi gusto una tazza di caffè e inalo profondamente una sigaretta: è stato pubblicato nella primavera del 1852, e si tratta principalmente di poesia, roba un po’ immatura ma vibrante. I versi sono seguiti da una specie di diario, molto realistico e meno affettato. Per curiosità, giusto per cercare qualche paragone divertente, passo direttamente al giorno di Natale del 1851.
    Dice: “E’ il mio primo Natale da solo, e ho avuto un’esperienza singolare. Quando sono tornato al mio alloggio dopo una passeggiata, ho trovato nella stanza una donna di mezza età. In un primo momento pensai di aver sbagliato stanza, ma non era così; più tardi, dopo una chiacchierata piacevole, la donna svanì nel nulla. Credo si sia trattato di un fantasma, ma non ho avuto paura. Mi piaceva. Stasera non mi sento troppo bene. Non mi sono mai sentito mai sentito male il giorno di Natale, prima d’ora”.
    L’ultima frase era seguita da una nota dell’editore:
    “Francis Randel morì per un attacco cardiaco la notte di Natale del 1851. La donna menzionata nell’ultimo passaggio del diario è stata l’ultima persona a vederlo. Nonostante numerosi appelli, la donna non si è mai fatta viva e la sua identità resta ancor oggi un mistero”.

    Edited by Mike Enslin - 17/10/2013, 16:47
     
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