L'orrore di Dunwich - PT. I

H.P. Lovecraft

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  1. Mørrigan
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    Buona lettura :peoflow:


    "Gorgoni, Idre e Chimere, le atroci storie di Celeno e delle Arpie, si possono riprodurre nel cervello superstizioso: ma esse erano già lì. Sono trascrizioni, tipi: gli archetipi sono dentro di noi e sono eterni. Come potrebbe accadere altrimenti che lo spettacolo di ciò che, al risveglio, sappiamo essere falso colpisca noi tutti? Forse che concepiamo il terrore per questi oggetti in modo naturale, considerandoli capaci di infliggerci dei danni corporali? Oh, no affatto! Questi terrori sono d'origine più antica. Sono più antichi del corpo, ovvero, anche se non esistesse il corpo, sarebbero gli stessi... Che il genere di terrore di cui stiamo trattando sia puramente spirituale, che sia forte, rispetto alla sua mancanza di un soggetto, che predomini nel periodo della nostra infanzia innocente, sono tutti problemi la cui soluzione potrebbe richiedere di penetrare in qualche modo nella nostra condizione ante-moderna e di gettare perlomeno uno sguardo furtivo nella terra d'ombre della preesistenza" - Charles Lamb, "Le streghe e altri territori notturni".

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    Quando un viaggiatore nel Massachusetts del centro nord, prende la strada sbagliata al bivio del Picco Aylesbury, subito dopo Dean's Corner, entra in un territorio solitario e curioso. Il terreno sale, e i muretti di pietra bordati di rovi si stringono sempre più contro i solchi della strada polverosa e tutta curve. Gli alberi delle numerose strisce di bosco sembrano troppo grossi e le erbacce e i cespugli crescono lussureggianti, com'è raro che capiti nelle regioni abitate. Allo stesso tempo, i campi coltivati appaiono stranamente pochi e sterili, mentre le case disperse qua e là hanno un'aria di vecchiezza, squallore e sfacelo, sorprendentemente uniforme.

    Senza sapere perché, si esita a chiedere informazioni alle figure rozze e solitarie che di quando in quando si scorgono su soglie rovinate o sui prati in pendenza e cosparsi di rocce. Queste figure sono così silenziose e furtive che ci si sente come messi di fronte a cose proibite, con le quali sarebbe meglio non avere a che fare.

    Quando un rialzo della strada mette in vista le montagne al di sopra dei folti boschi, lo strano senso di disagio cresce. Le cime sono troppo arrotondate e simmetriche per dare una sensazione di tranquillità e naturalezza, e a volte il cielo contorna con una particolare chiarezza i bizzarri circoli fatti di pilastri di pietra con cui la maggior parte di esse sono coronate.

    Burroni e gole dalla profondità preoccupante tagliano la strada, e la solidità dei rozzi ponti di legno sembra dubbia. Quando la strada torna a digradare, appaiono tratti acquitrinosi che destano un'istintiva ripugnanza, e quasi terrore, alla sera, quando schiamazzano invisibili succiacapre e le lucciole, insolitamente abbondanti, escono a danzare ai ritmi rauchi e orridamente insistenti dei rospi che gracidano striduli. La sottile linea luminosa del corso superiore del "Miskatonic" esercita una strana suggestione, come quella di un serpente, snodandosi proprio ai piedi delle colline a cupola tra cui sorge.

    Mentre le colline si avvicinano, si presta più attenzione ai loro fianchi boscosi, piuttosto che alle loro cime coronate di rocce.

    Questi fianchi si profilano così scuri e ripidi che si vorrebbe tenersene lontani, ma non c'è una strada per evitarli. Al di là di un ponte coperto si vede un piccolo villaggio stretto tra il corso d'acqua e la parete verticale della Round Mountain, e ci si stupisce del gruppo di tetti a mansarda, marci, che sono indizio di un periodo architettonico più antico di quello della regione vicina.

    Non è rassicurante vedere, a uno sguardo più ravvicinato, che la maggior parte delle case sono abbandonate e cadenti, e che la chiesa dal campanile spezzato ora ospita l'unica sudicia bottega del piccolo villaggio. Si ha paura ad avventurarsi nella tenebrosa galleria del ponte, ma non c'è modo d'evitarlo. Una volta attraversato, è difficile sfuggire all'impressione di un odore sottile e maligno che ristagna nelle strade del villaggio, come di muffa ammassata e marciume secolare.

    E' sempre un sollievo allontanarsi da quel posto per seguire la stradina che gira intorno ai piedi delle colline e attraversa il terreno pianeggiante per raggiungere il Picco Aylesbury. In seguito, può succedere di venire a sapere che si è passati per Dunwich.

    I forestieri visitano Dunwich il più rapidamente possibile e, da un certo orribile periodo, tutte le insegne stradali che indirizzano a esso sono state tolte. Il paesaggio, giudicato secondo un canone estetico normale, è di una bellezza superiore al comune, ma non vi affluiscono né artisti, né turisti estivi.

    Due secoli fa, quando non si deridevano le storie di streghe, culti satanici e strane presenze nella foresta, si usava fornire delle ragioni per evitare quella località. Nella nostra sensibile era (poiché sull'Orrore di Dunwich del 1928 è stato steso il silenzio da parte di quelli che avevano a cuore il bene del villaggio e del mondo intero) la gente la sfugge senza sapere esattamente perché. Forse una ragione (anche se non vale per gli stranieri che non ne sono informati) è che gli indigeni adesso sono decaduti in modo repellente, percorrendo un tratto lunghissimo di quella strada di regressione così comune in molte zone depresse nella Nuova Inghilterra. Sono venuti a costituire una razza a sé, con ben precisi stigmi fisici e mentali, frutto della degenerazione e dell'accoppiamento tra consanguinei. La loro intelligenza media è per sventura bassa, mentre la loro storia trabocca di vizi praticati alla luce del sole, di assassini e incesti nascosti a metà e di imprese dalla violenza e perversità quasi immorale.

    Le famiglie più antiche, discendenti di due famiglie di combattenti che arrivarono a Salem nel 1692, si sono in qualche modo mantenute al di sopra del generale livello di decadenza, anche se rami diversi sono penetrati così profondamente in quella sordida popolazione che solo i loro nomi permettono di risalire all'origine della loro disgrazia. Alcuni dei Whateley e dei Bishop mandano ancora i loro primogeniti a Harvard e alla Miskatonic, sebbene questi figli ritornino raramente agli ammuffiti tetti a mansarda sotto i quali sono nascosti loro e i loro antenati.

    Nessuno, neppure quelli che conoscono i fatti relativi al recente orrore, sa dire cos'è veramente successo a Dunwich, anche se antiche leggende parlano di riti sacrileghi e di conclavi tenuti dagli Indiani, partecipando ai quali essi evocano dalle grandi colline tondeggianti ombre proibite, e innalzano preghiere selvagge e orgiastiche, a cui rispondono forti tuoni e scoppi provenienti dal sottosuolo.

    Nel 1747 il Reverendo Abijah Hoadley, appena giunto alla Chiesa Congregazionale del villaggio di Dunwich, pronunciò un memorabile sermone sulla vicina presenza di Satana e sui demoni, in cui:
    "Bisogna ammettere che queste empietà facenti parte di un infernale corteo di demoni sono di conoscenza troppo comune per essere negata; le voci maledette di Azazel e Buzrael, di Beelzebub e Belial sono state davvero udite provenire da sottoterra da più di una decina di testimoni credibili e viventi. Io stesso, non più di una quindicina di giorni fa, udii un chiaro discorso tenuto dalle Potenze del Male, sulla collina dietro la mia dimora; era uno sferragliare e un rullare, un gemere, uno stridere e un sibilare come nessuna cosa di questa terra potrebbe emettere e che doveva necessariamente provenire da quegli antri che solo la Magia Nera può scoprire, che solo il Maligno può dischiudere".

    Il signor Hoadley scomparve presto, dopo aver tenuto questo sermone; il testo però, stampato a Springfield, esiste ancora. Si continuarono a registrare dei rumori nell'interno delle colline, anno dopo anno, che continuarono a costituire un enigma per geologi e fisiografi.

    Altre tradizioni parlano di cattivi odori accanto ai circoli di pilastri in pietra che cingono le colline, e di fugaci presenze aeree che si possono udire appena, in certe ore, in determinati punti sul fondo dei grandi burroni, mentre altri tentano di dare una spiegazione al "Cortile delle Danze del Diavolo": il fianco di una collina arido e brullo, dove non crescono né alberi, né cespugli, né erba. Inoltre, gli indigeni sono terrorizzati a morte dai numerosi succiacapre che si fanno sentire nelle notti calde.

    Si giura che questi uccelli siano psicopompi che aspettano le anime dei moribondi e che emettono le loro lugubri grida all'unisono con il respiro di chi lotta contro la morte. Se riescono a catturare l'anima che fugge abbandonando il corpo, volano via all'istante con una risata demoniaca; ma, se non ci riescono, sprofondano a poco a poco in un silenzio pieno di disappunto.

    Queste storie, naturalmente, sono vecchie e ridicole, perché risalgono a tempi antichissimi. Dunwich è senz'altro enormemente vecchio: ben più antico di qualunque insediamento nel raggio di trenta miglia. A sud del villaggio, si possono ancora scorgere le pareti del sotterraneo e il camino dell'antica Casa Vescovile, che venne costruita prima del 1700, mentre le rovine del mulino sulla cascata, costruito nel 1806, costituivano l'esemplare architettonico più recente a vedersi.

    Qui non è fiorita l'industria, e il movimento delle fabbriche del diciannovesimo secolo ha avuto vita breve. Più antichi di tutto sono i grandi anelli fatti di colonne di pietra rozzamente tagliata sulle cime delle colline, ma questi vengono generalmente attribuiti agli Indiani, piuttosto che ai colonizzatori.

    Dei depositi di teschi e di ossa, rinvenuti all'interno di questi circoli e attorno alla grande roccia a forma di tavola sulla Sentinel Hill, danno forza alla credenza popolare secondo cui questi posti erano una volta i luoghi di sepoltura dei Pocumtuck, anche se parecchi etnologi, a dispetto dell'assurda improbabilità di una simile teoria, insistono nel ritenere che questi resti siano di origine caucasica.

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    Fu nella cittadina di Dunwich, in una grande fattoria parzialmente disabitata posta sotto il fianco di una collina a quattro miglia dal villaggio e a un miglio e mezzo da ogni altra abitazione, che nacque Wilbur Whateley, alle cinque del mattino di una domenica, il 2 febbraio 1913.

    Si è rievocata questa data perché era la festa della Candelora, che la gente di Dunwich curiosamente celebra dandole un altro nome, e anche perché erano risuonati i rumori della collina e, per tutta la notte precedente, tutti i cani del circondario avevano abbaiato con insistenza.

    Meno degno di nota è il fatto che la madre era una Whateley degenerata, una donna di trentacinque anni lievemente deforme, poco attraente, albina, che viveva con il padre anziano e mezzo demente, sul conto del quale, in gioventù, erano state sussurrate le più terribili storie di stregoneria.

    Lavinia Whateley non aveva un marito riconosciuto ma, secondo il costume della regione, non fece alcun tentativo di disconoscere il figlio; rispetto al genitore di quest'ultimo, la gente avrebbe potuto speculare a suo piacimento (cosa che in effetti fece). Lei, invece, sembrava stranamente orgogliosa del bambino scuro, dall'aspetto caprino, che tanto contrastava con il suo albinismo malaticcio e con i suoi occhi rosa, e fu sentita mormorare molte curiose profezie sugli insoliti poteri e sul tremendo futuro che lo attendeva.

    Lavinia era la più adatta a mormorare cose simili, poiché era una creatura solitaria, dedita alle passeggiate sulle colline nel bel mezzo dei temporali, e che cercava di leggere i grossi libri odorosi ereditati da suo padre - due secoli della storia dei Whateley - che quasi cadevano a pezzi per l'età e i tarli. Non era mai andata a scuola, ma le erano stati inculcati brani frammentari di antiche tradizioni, narrati dal vecchio Whateley.

    La lontana fattoria era sempre stata temuta per la fama di stregone goduta dal vecchio Whateley, e l'inspiegata morte violenta della signora Whateley, avvenuta quando Lavinia aveva dodici anni, non aveva certo contribuito alla popolarità del posto. Isolata, esposta a strane influenze, Lavinia adorava sognare sfrenatamente e grandiosamente a occhi aperti, e dedicarsi a occupazioni singolari; e il suo tempo libero non era molto limitato dal doversi prendere cura di una casa da cui era scomparso da molto tempo qualsiasi criterio di ordine e pulizia.

    Echeggiò un urlo, orribile, più forte persino dei rumori della collina e dell'abbaiare dei cani, la notte in cui nacque Whateley; ma, che si sappia, nessun medico o nessuna levatrice presiedettero alla sua nascita. I vicini non seppero nulla di lui fino a una settimana dopo, quando il vecchio Whateley guidò la sua slitta attraverso la neve fino al villaggio di Dunwich e parlò in maniera incoerente con il gruppo di perdigiorno che si trovava abitualmente nello spaccio di Osborn.

    Sembrava che il vecchio avesse subito un cambiamento: un ulteriore elemento di stranezza in quel cervello annebbiato lo aveva sottilmente trasformato da oggetto di terrore a soggetto in preda al terrore, sebbene lui non fosse uno che si lasciasse turbare da un banale evento familiare. In tutto questo, mostrava qualche traccia dell'orgoglio che si notava in sua figlia, e quello che disse sulla paternità del bambino venne ricordato da molti dei suoi interlocutori ancora per molti anni.

    "A me non interessa quello che pensa la gente: se il figlio di Lavinia somiglia a suo padre, è qualcosa che non vi potete immaginare. Mica penserete che non esista altra gente oltre quella qui intorno! Lavinia ha detto qualcosa e ha visto cose che la maggior parte di voi ha solo sentito dire. Penso che il suo uomo sia un bravo marito, come tutti quelli che si trovano da queste parti di Aylesbury; e, se sapeste delle colline tante cose come ne so io, non chiedereste per lei un matrimonio in chiesa, migliore di quello che ha fatto. Lasciatemi dire una cosa sola: UN GIORNO, GENTE, SENTIRETE IL FIGLIO DI LAVINIA CHIAMARE SUO PADRE PER NOME DALLA CIMA DELLA SENTINEL HILL!".

    Le sole persone che videro Wilbur durante il suo primo mese di vita, furono il vecchio Zachariah Whateley, del ramo dei Whateley non degenerati, e la convivente di Earl Sawyer, Mamie Bishop.

    La visita di Mamie fu senz'altro dovuta alla curiosità, e le storie che poi raccontò rendevano giustizia alle sue osservazioni:
    Zachariah invece venne a portare un paio di vacche a Alderney che il vecchio Whateley invece aveva comprato da suo figlio Curtis.

    Questo seguì l'inizio di una serie di acquisti di bestiame da parte della famiglia del piccolo Wilbur, acquisti che terminarono solo nel 1928, quando l'Orrore di Dunwich venne e passò, sebbene la sgangherata stalla dei Whateley non sembrasse mai affollata di bestiame.

    Si arrivò al punto che la gente era diventata talmente curiosa da contare le bestie che pascolavano in condizioni precarie sul ripido fianco della collina sopra la vecchia fattoria, ma non riuscirono a trovare mai più di dieci o dodici esemplari anemici, dall'aria esangue. Evidentemente qualche influsso malefico o qualche morbo, forse proveniente dal pascolo malsano o dai funghi velenosi e dal legno della lurida stalla, doveva provocare un'alta mortalità tra gli animali dei Whateley. Strane ferite o piaghe, apparentemente simili a incisioni, sembravano affliggere il bestiame che era dato di vedere; e una o due volte, nei primi mesi, ad alcuni investigatori era sembrato di vedere delle incisioni analoghe sulla gola del vecchio ingrigito e non sbarbato, e su quella della sua figlia albina, sciatta, dai capelli arricciati.

    Nella primavera successiva alla nascita di Wilbur, Lavinia riprese a fare le sue solite passeggiate sulle colline, tenendo nelle sue braccia sproporzionate il bambino dalla carnagione scura. Il pubblico interessato nei confronti dei Whateley diminuì dopo che la maggior parte della gente di campagna ebbe visto il bambino, e nessuno si prese il disturbo di commentare il rapido sviluppo che il neonato esibiva giorno dopo giorno.

    La crescita di Wilbur era davvero fenomenale perché, nel giro di tre mesi a partire dalla sua nascita, aveva raggiunto una taglia e un vigore che di solito non si trovano nei bambini sotto l'anno di età. I suoi movimenti e persino le vocali che pronunciava avevano un ritegno e una ponderatezza molto insoliti per un fanciullo, e nessuno si stupì troppo quando, a sette mesi, cominciò a camminare da solo, con un incedere incerto che sparì dopo appena un mese.

    Fu poco dopo questo periodo, ad Halloween, che si vide una forte vampata, a mezzanotte, in cima alla Sentinel Hill, là dove l'antica roccia a forma di tavolo si erge in mezzo ai tumuli di vecchie ossa. Cominciarono a girare molte voci, quando Silas Bishop riferì d'aver visto il ragazzo salire gagliardo, di corsa, su per quella collina, seguito da sua madre, circa un ora prima che venisse osservata quella vampata.

    Silas stava cercando una giovenca smarrita, ma quasi dimenticò la sua missione, quando scorse di sfuggita quelle due figure alla debole luce della sua lanterna. Guizzavano quasi senza far rumore attraverso il sottobosco, e l'attonito spettatore credette di vederli completamente nudi. In seguito, non poté essere tanto sicuro per quanto riguardava il ragazzo, il quale forse indossava una specie di fascia sfrangiata e un paio di calzoncini o calzoni scuri.

    Da quella volta, Wilbur non fu mai più visto, vivo e cosciente, senza un abito completo e perfettamente abbottonato e, quando questo veniva messo in disordine o succedeva una minaccia in tal senso, veniva preso dalla collera e dall'ansia. Il suo contrasto con la squallida madre e con suo nonno da questo punto di vista, era considerato molto positivamente, finché l'orrore del 1928 fece pensare alla più valida delle ragioni.

    Il gennaio seguente i pettegoli trovarono un certo interesse nel fatto che "il marmocchio nero di Lavinia" aveva cominciato a parlare... all'età di soli dodici mesi. La sua parlata era un po' insolita, sia per il differire dal normale accento della regione, sia perché non era affetta da quel biascicare infantile di cui avrebbero ben potuto andare orgogliosi molti bambini di tre o quattro anni. Il fanciullo non era loquace ma, quando parlava, sembrava possedere un che di elusivo che mancava del tutto a Dunwich e ai suoi abitanti. La stranezza non stava in quel che diceva, né semplicemente nell'idioma che usava, ma sembrava avere vagamente a che fare con la sua intonazione o con gli organi interni che producevano i suoni della sua voce.

    Anche l'aspetto del suo volto era notevole per la sua maturità; infatti, pur avendo lo stesso mento sfuggente di sua madre e di suo nonno, il suo naso solido e precocemente affilato si univa all'espressione dei suoi occhi grandi, scuri, di tipo latino, per dargli un'aria pressoché adulta e di intelligenza quasi preternaturale. Comunque, era straordinariamente brutto, nonostante il suo aspetto intelligente: c'era qualcosa come di caprino o di animalesco nelle sue spesse labbra, nella sua pelle dai larghi pori e dal colore giallognolo, nei suoi capelli ruvidi e arricciati e nelle orecchie curiosamente allungate.

    Presto divenne oggetto d'avversione più di sua madre e di suo nonno, e tutte le congetture intorno a lui vennero condite con accenni agli antichi poteri magici del vecchio Whateley e a come avevano tremato le colline, quella volta che lui aveva urlato il tremendo nome di "Yog-Sothoth" nel mezzo di un circolo di pietre, tenendo aperto sulle braccia davanti a sé un grosso libro. I cani aborrivano il ragazzo, e lui fu sempre costretto a prendere adeguate misure di difesa contro il loro abbaiare pieno di minacce.

    3



    Nel frattempo, il vecchio Whateley continuava a comprare bestiame senza accrescere in modo apprezzabile la grandezza della sua mandria. Inoltre, abbatté degli alberi e cominciò a riparare le parti della casa cadute in disuso, casa che era costituita da un edificio spazioso, dal tetto a punta, la cui parte posteriore era interamente sepolta nel fianco roccioso della collina e le cui tre stanze meno rovinate, al pianoterra, erano sempre bastate per lui e per sua figlia.

    Ci dovevano essere delle prodigiose riserve d'energia nel vecchio, per permettergli si svolgere un lavoro così pesante; e, seppure a volte balbettava come un demente, il suo lavoro di carpenteria mostrava di basarsi su calcoli accurati.

    Aveva cominciato subito dopo la nascita di Wilbur, quando aveva messo rapidamente in ordine una delle tante baracche per gli attrezzi, l'aveva rivestita di assicelle e l'aveva fornita di una solida serratura nuova. Adesso, restaurando il piano superiore della casa, abbandonato, si dimostrava un perfetto artigiano. La sua stranezza si manifestava solamente nel fatto che chiudeva con delle assi tutte le finestre della parte recuperata... anche se parecchi dissero che era già una follia darsi la pena di restaurarla.

    Meno inesplicabile fu il fatto che avesse preparato un'altra stanza per il suo nuovo nipote al piano inferiore: una stanza che fu vista da molti visitatori, sebbene nessuno di loro fosse mai stato fatto entrare nel piano superiore, così ben isolato. In questa camera vennero disposte delle scaffalature alte e robuste, sulle quali cominciò pian piano a sistemare, apparentemente secondo un ordine meticoloso, tutti gli antichi libri mezzi marci e una parte dei libri che, nel corso del tempo, erano stati accumulati e sparsi casualmente in tutti gli angoli delle diverse stanze.

    "Io li ho usati", pare avesse detto mentre cercava di riattaccare una pagina strappata, in caratteri gotici, con della colla preparata sulla stufa arrugginita in cucina, "ma il ragazzo è fatto per usarli meglio di me. Li deve ricevere nelle condizioni migliori, perché saranno il suo unico insegnamento".

    Quando Wilbur ebbe un anno e sette mesi (nel settembre del 1914) la sua altezza e i suoi talenti erano quasi preoccupanti. Aveva la taglia di un bambino di quattro anni e parlava in modo fluente e con estrema intelligenza. Correva libero per i campi e per le colline e accompagnava sua madre nel suo vagabondare. A casa meditava diligentemente sulle strane figure e sui libri di suo nonno, mentre il vecchio Whateley lo istruiva e catechizzava per lunghi, silenziosi pomeriggi.

    A quell'epoca, il restauro della casa era terminato, e chi la osservava si chiedeva come mai una delle finestre superiori fosse stata trasformata in una porta di solide assi. Era una finestra sul retro a frontone dell'ala orientale, subito di fronte alla collina, e nessuno riusciva a immaginare perché fosse stata innalzata fin lassù una rampa di legno munita di rinforzo.

    Nel periodo in cui veniva completato questo lavoro, la gente notò che la vecchia baracca degli attrezzi, ben chiusa e con le finestre inchiodate fin dalla nascita di Wilbur, era stata di nuovo abbandonata. La porta rimaneva spalancata come per sbadataggine e, quando Earl Sawyer ci entrò dopo essere stato chiamato dal vecchio Whateley per vendergli del bestiame, rimase del tutto sconcertato per lo strano odore che avvertì lì dentro:
    un tanfo, affermò, come non aveva mai sentito prima in tutta la sua vita, tranne che presso gli accampamenti degli Indiani sulle colline, e che non poteva provenire da nulla di sano. A ogni modo, le case e le baracche della gente di Dunwich non si sono mai fatte notare per la loro purezza olfattiva.

    Nei mesi successivi non ci furono eventi degni di nota, salvo che tutti assicuravano che c'era stato un lento ma costante aumento dei misteriosi rumori nelle colline. Il Calendimaggio del 1915 si ebbero dei tremiti avvertiti anche dagli abitanti di Aylesbury, mentre all'Halloween successivo ci fu un rombo sotterraneo associato a delle fiamme ("stregonerie dei Whateley") originatosi sulla cima della Sentinel Hill.

    Wilbur cresceva in modo straordinario, tanto da avere l'aspetto di un ragazzo di dodici anni mentre ne compiva solo quattro. Adesso leggeva avidamente, da solo, ma parlava molto meno di prima. Era assorbito in una fissa taciturnità e, per la prima volta, la gente cominciò a parlare in modo preciso del suo sguardo maligno che cominciava a trasparire dal suo volto. Pare che talvolta mormorasse qualcosa in un gergo sconosciuto e cantilenasse dei ritmi bizzarri che gelavano chi li udiva con un senso di inesplicabile terrore. L'avversione che gli mostravano i cani ora era diventata palese, e lui fu obbligato a portare una pistola per attraversare sicuro la campagna. L'uso occasionale che faceva dell'arma non accrebbe certo la sua popolarità tra i proprietari dei cani da guardia.

    I pochi visitatori che arrivavano alla casa, trovavano spesso Lavinia da sola, al pianterreno, mentre strane grida e passi risuonavano al piano superiore. Non volle mai dire cosa stessero facendo di sopra suo padre e il ragazzo, ma una volta impallidì e si mostrò impaurita in maniera eccessiva, quando un pescivendolo ambulante in vena di scherzi provò ad aprire la porta sprangata che dava sulle scale. Quel venditore disse a quelli che stavano nella bottega del villaggio di Dunwich che gli sembrava di aver udito un cavallo che scalpitava al piano superiore.

    Gli avventori rifletterono sul fatto, pensando alla porta, alla rampa e al bestiame che spariva così rapidamente. Poi si strinsero nelle spalle, ricordandosi delle storie sulla giovinezza del vecchio Whateley e delle strane cose che vengono evocate dalla terra sacrificando un torello - al momento giusto - a certe divinità pagane. In un certo periodo, si era notato che i cani avevano cominciato a odiare e temere l'intero appezzamento dei Whateley, tanto quanto odiavano e temevano il piccolo Wilbur.

    Nel 1917 scoppiò la guerra, e Squire Sawyer Whateley, come Presidente della locale Commissione di Leva, ebbe il suo bel da fare per trovare una quota di giovani di Dunwich adatti anche solo al campo di addestramento. Il Governo, allarmato da questi segnali di complessiva decadenza della regione, inviò diversi ufficiali ed esperti medici perché indagassero; ne risultò un rapporto che i lettori dei giornali della Nuova Inghilterra possono ancora ricordare.

    Fu la pubblicità che toccò a questa inchiesta a mettere i cronisti sulle tracce dei Whateley, e fece stampare sul "Boston Globe" e sull'"Arkham Advertiser" roboanti storie domenicali sulla precocità del giovane Wilbur, sulla Magia Nera del vecchio Whateley, sugli scaffali di strani libri, sul piano superiore della fattoria sigillato, sull'aspetto bizzarro dell'intera regione e sui rumori delle colline. Allora Wilbur aveva quattro anni e mezzo e sembrava un giovane di quindici. Le sue labbra e le sue guance erano coperte da una rozza lanuggine scura, e la sua voce aveva cominciato a mutare.

    Earl Sawyer si recò nel fondo dei Whateley con i suoi gruppi di cronisti e di fotografi, e richiamò la loro attenzione su un insolito fetore che adesso sembrava scendere dal piano superiore sigillato. Era, disse, proprio come l'odore che aveva sentito nella rimessa degli attrezzi abbandonata, quando erano stati terminati i restauri della casa, e come il leggero odore che talvolta gli pareva d'avvertire presso i circoli di pietre sulle montagne.

    La gente di Dunwich lesse queste storie quando vennero pubblicate, e sghignazzò degli errori più evidenti. Si chiesero, inoltre, come mai i giornalisti sottolineassero tanto il fatto che il vecchio Whateley pagava sempre il bestiame con monete d'oro vecchissime.

    I Whateley avevano accolto i visitatori con malcelata antipatia, ma non osavano farsi ulteriore pubblicità opponendo una resistenza violenta, o rifiutandosi di parlare.

    4



    Per un decennio, gli annali dei Whateley si confusero con la vita normale di una comunità malsana, abituata alle loro eccentricità e assuefatta alle orge del Calendimaggio e d'Ognissanti. Due volte all'anno accendevano i fuochi sulla cima della Sentinel Hill, e allora i brontolii della montagna si udivano di nuovo, sempre più violenti, mentre, in ogni stagione, nella fattoria solitaria accadevano fatti strani e portentosi.

    Nel corso del tempo, i viaggiatori affermarono di aver udito dei rumori provenienti dal piano superiore chiuso anche quando tutta la famiglia si trovava al pianoterra, e si chiedevano se il sacrificio di una mucca o di un torello venisse eseguito in fretta, oppure durasse a lungo. Ci furono voci di una protesta presso la Società per la Protezione degli Animali, ma non se ne fece nulla, perché la gente di Dunwich non ci tiene affatto a richiamare su di sé l'attenzione del mondo esterno.

    Attorno al 1923, quando Wilbur era un ragazzo di dieci anni di cui mente, voce, statura, e il volto barbuto, davano l'impressione della raggiunta maturità, nella vecchia casa era in corso una seconda fase di grandi lavori di carpenteria. Questi si svolgevano in tutta la parte superiore chiusa e, dai pezzi di legname scartati, la gente concluse che il giovane e suo nonno avevano eliminato tutte le pareti divisorie e rimosso persino il pavimento della soffitta, lasciando un unico grande vano aperto tra il pianoterra e il tetto a punta. Dovevano aver abbattuto pure il grande camino centrale e avevano provvisto il fornello arrugginito di un fragile tubo da stufa esterno, di latta.

    Nella primavera successiva a questo evento, il vecchio Wilbur aveva notato un numero crescente di succiacapre che uscivano dalla gola di Cold Spring per venire di notte a cantare sotto la sua finestra. Sembrò considerare tale circostanza molto significativa, e disse agli avventori di Osborn che pensava fosse quasi giunta la sua ora.

    "Adesso zufolano proprio seguendo il mio respiro", disse, "e scommetto che si preparano a prendersi la mia anima. Sanno che sta per uscire e non gli sfuggirà. Ragazzi, dopo che me ne sarò andato, lo saprete se mi hanno beccato o no. E, se mi beccano, continueranno a cantare e sghignazzare fino all'alba. Se non ce la fanno, saranno così gentili da zittirsi subito. Io mi aspetto che, qualche volta, loro e le anime che cacciano, facciano qualche bella zuffa".

    La notte di "Lammas", il dottor Houghton di Aylesbury fu chiamato d'urgenza da Wilbur Whateley, il quale aveva frustato l'unico cavallo rimasto per tutta la notte attraverso le campagne, e gli aveva telefonato dal villaggio, dallo spaccio di Osborn.

    Trovò il vecchio Whateley in condizioni molto gravi, con un andamento cardiaco e una respirazione rumorosa che facevano prevedere una fine piuttosto prossima. La sgraziata figlia albina e il nipote dalla strana barba stavano al suo capezzale, mentre dall'abisso vuoto sopra di loro proveniva un inquietante sciabordio come di onde su una spiaggia piatta. Il dottore, comunque, era disturbato soprattutto dagli uccelli notturni che schiamazzavano di fuori, una legione apparentemente innumerevole di succiacapre che gridavano il loro incessante messaggio ripetendolo diabolicamente a tempo con i rumorosi ansiti del morente. Era qualcosa di misterioso e innaturale: troppo, pensò il dottor Houghton, come d'altronde tutti quei luoghi che aveva attraversato dopo aver risposto a quella chiamata urgente.

    Verso l'una, il vecchio Whateley riprese conoscenza e smise di rantolare per pronunciare tra i colpi di tosse poche parole a suo nipote.

    "Più spazio, Willy, devi avere più spazio, e subito. Tu cresci...

    ma quello cresce ancora più in fretta. Presto sarà pronto a servirti, ragazzo. Spalanca le porte a 'Yog-Sothoth' con la cantilena che troverai a pagina 751 dell'edizione completa e, dopo, brucia la prigione. Il fuoco che viene dall'aria non può bruciarlo".

    Evidentemente doveva essere impazzito completamente. Dopo una pausa, durante la quale lo stormo di succiacapre al di fuori adattò le sue grida al mutato ritmo, mentre da lontano venivano echi degli strani rumori delle colline, aggiunse ancora una frase o due.

    "Dagli regolarmente da mangiare, Willy, e sta' attento a quanto gliene dai, ma non farlo crescere troppo in fretta, per via del posto, perché, se spacca la casa o esce fuori prima che tu abbia aperto a 'Yog-Sothoth', è tutto finito e non servirà a niente.

    Solo quelli che stanno là sotto possono farlo moltiplicare e lavorare... Solo loro, quegli Antichi lì, che vogliono tornare...".

    Ma presto le parole cedettero di nuovo agli ansiti, e Lavinia urlò, quando i succiacapre si adattarono al cambiamento. Durò per un'ora, finché si arrivò all'ultimo rantolo. Il dottor Houghton abbassò le palpebre avvizzite sui fissi occhi grigi, mentre, impercettibilmente, il tumulto degli uccelli si spegneva. Lavinia sghignazzò, ma Wilbur sogghignò, mentre dalle colline si udiva provenire un leggero brontolìo.

    "Non l'hanno preso", mormorò nella sua pesante voce di basso.

    A quell'epoca, Wilbur era uno scolaro dall'educazione incredibile, anche se unilaterale, ed era perfettamente conosciuto per le sue lettere da molti bibliotecari di luoghi lontani, dov'erano custoditi libri antichi, rari e proibiti. Nel circondario di Dunwich era sempre più odiato e temuto, a causa delle sparizioni di alcuni giovani, di cui era vagamente sospettato; ma lui riusciva sempre a far cessare le indagini, incutendo terrore o usando quel gruzzolo d'oro antico che, come quando suo nonno era ancora in vita, continuava regolarmente a essere speso per l'acquisto di bestiame. Adesso il suo aspetto era terribilmente maturo e la sua statura, dopo che aveva raggiunto l'altezza di un adulto normale, sembrava dovesse aumentare ancora. Nel 1925, quando venne da lui uno studioso inviato dalla Miskatonic University e se ne ripartì pallido e confuso, era alto ben due metri.

    Per tutti quegli anni, Wilbur aveva trattato la sua madre albina e semideforme in maniera sempre sprezzante, finché le proibì di uscire con lui sulle colline per il Calendimaggio e a Ognissanti; e, nel 1926, quella povera creatura si lamentò con Mamie Bishop, dicendole che aveva paura di lui.

    "Io so di lui molte più cose di quanto posso dirti, Mamie", le disse, "e ormai ci sono molte cose che non so neanch'io. Giuro su Dio, che non so cosa vuole, né cosa sta cercando di fare".

    Durante quell'Halloween, i rumori delle colline risuonarono più forti che mai, e sulla Sentinel Hill i fuochi bruciarono come sempre, ma la gente badò di più alle grida ritmate di grandi stormi di succiacapre, insolitamente tardivi, che sembravano radunati vicino all'oscura fattoria dei Whateley.

    Dopo mezzanotte, le loro stridule voci scoppiarono in una specie di pandemonio di cachinni che si sparse per tutta la campagna e non si placò prima dello spuntar del sole. Poi sparirono, affrettandosi verso il sud, in ritardo di un mese intero. Cosa significasse ciò, nessuno poté saperlo con certezza, se non molto tempo dopo. Apparentemente, nessun abitante della zona era morto:
    ma la povera Lavinia Whateley, l'albina deforme, non fu mai più vista.

    Nell'estate del 1927, Wilbur riparò due baracche nella corte della fattoria e cominciò a trasferirci i suoi libri e i suoi effetti personali. Poco tempo dopo, Earl Sawyer raccontò agli avventori di Osborn che alla fattoria dei Whateley stavano procedendo altri lavori di carpenteria. Wilbur stava sbarrando tutte le porte e le finestre del pianoterra, e sembrava che portasse fuori casa le pareti divisorie, così come lui e suo nonno avevano fatto al piano superiore quattro anni prima. Adesso viveva in una delle baracche, e Sawyer credette di averlo visto insolitamente preoccupato e tremante. In genere, la gente sospettava che lui sapesse qualcosa della sparizione di sua madre e, adesso, pochissimi si avventuravano nelle sue vicinanze. Era alto più di due metri e dieci e non sembrava dover smettere di crescere.

    5



    L'inverno successivo ci fu un avvenimento stranissimo, nientemeno che il primo viaggio di Wilbur fuori della regione di Dunwich. La corrispondenza con la Widener Library di Harvard, con la Bibliothèque Nationale di Parigi, con il British Museum, con l'Università di Buenos Aires e con la Biblioteca della Miskatonic University di Arkham non erano riuscite a procurargli il prestito di un libro che gli serviva disperatamente; perciò, alla fine, si mise in viaggio lui stesso, scalcagnato, sporco, barbuto e con la sua parlata rozza, per consultare la copia della Miskatonic, che era quella più a portata di mano.

    Alto quasi due metri e quaranta, portando una valigia nuova comprata a poco prezzo allo spaccio di Osborn, questo scuro gigante dall'aspetto caprino comparve un bel giorno ad Arkham, alla ricerca del tremendo volume tenuto sotto chiave nella Biblioteca dell'Università: l'orribile "Necronomicon" dell'arabo pazzo Adbul Alhazred, nella versione latina di Olaus Wormius, stampato in Spagna nel diciassettesimo secolo.

    Non aveva mai visto una città prima di allora, ma non aveva altri pensieri se non quello di trovare la strada per la cittadella universitaria; qui, naturalmente, passò con fare noncurante davanti al grande cane da guardia dalle zanne candide che abbaiò con furia e rabbia insolita, strattonando freneticamente la sua robusta catena.

    Wilbur aveva con sé la copia dal valore inestimabile, ma imperfetta, della versione inglese del dottor Dee, che suo nonno gli aveva lasciato in eredità, e, quando ottenne l'accesso alla versione latina, cominciò subito a confrontare i due testi per scoprire un certo passo che si sarebbe dovuto trovare alla pagina 751 del suo volume difettoso. Questo, per un senso di cortesia, non poté fare a meno di dirlo al Bibliotecario, Henry Armitage, lo stesso erudito (A.M. alla Miskatonic, Ph. D. a Princeton, Litt. D. alla John Hopkins) che quella volta aveva chiamato alla fattoria e che ora, con gentilezza, lo incalzava con una serie di domande.

    Cercava, dovette ammettere, una specie di formula incantatoria che conteneva il terribile nome di "Yog-Sothoth", ed era sconcertato, perché trovava discrepanze, doppioni e ambiguità, che rendevano tutt'altro che semplice determinarne la versione corretta.

    Mentre lui copiava la formula che aveva scelto in via definitiva, il dottor Armitage, senza volere, guardò al di sopra della sua spalla, nelle pagine aperte che aveva davanti; quella di sinistra, nella versione latina, conteneva le seguenti mostruose minacce alla pace e alla salute del mondo:
    "Né si può pensare (diceva il testo che Armitage traduceva mentalmente) che l'uomo sia il più antico o il più recente dei signori della terra, o che la semplice materia vitale e sostanziale sia la sola che cammini. I Vecchi erano, i Vecchi sono e i Vecchi saranno. Non negli spazi che conosciamo ma fra di essi camminano sereni e primigeni, senza dimensioni a noi invisibili.

    Yog-Sothoth conosce la Porta. Yog-Sothoth è la Porta. Yog-Sothoth è la Chiave e il Guardiano della Porta. Passato, presente e futuro sono un'unica cosa in Yog-Sothoth. Sa da dove i Vecchi irruppero allora e sa da dove Essi torneranno a irrompere. Sa dove Essi hanno calpestato i campi terrestri e dove Essi torneranno a calpestarli, e sa perché nessuno può vederLi mentre camminano.

    Talvolta gli uomini, dal Loro odore, possono sapere che Essi sono vicini, ma le Loro sembianze non possono essere conosciute da nessuno TRANNE CHE NELLE SEMBIANZE DI QUELLI CHE ESSI HANNO GENERATO IN MEZZO ALL'UMANITA': e di questi ce ne sono tipi diversi che differiscono in aspetto dalla vera figura dell'uomo, avvicinandosi a quella forma invisibile e insostanziale che Essi sono. Camminano non visti e immondi in luoghi solitari, dove sono state pronunciate le Parole e i Riti sono stati celebrati nelle giuste Stagioni. Il vento farfuglia le Loro voci e la terra mormora con la Loro coscienza. Essi piegano la foresta a schiacciare la città, e né la foresta né la città, possono sostenere la mano che la percuote. Kadath li ha conosciuti nel Freddo Deserto, ma chi mai conosce Kadath? Il deserto di ghiaccio del Sud e le isole sprofondate dall'Oceano contengono pietre sulle quali è inciso il Loro Sigillo, ma chi ha visto la città gelata nell'abisso, o la torre chiusa, alta e inghirlandata di alghe e cirripedi? Il Grande Chtulhu è Loro cugino, ma può scorgerLi solo in modo indistinto. IA! SHUB-NIGGURATH! Li conoscerete come un'oscurità. La Loro mano è alle vostre gole, ma non Li vedete; e la Loro dimora inizia alla soglia che sorvegliate. Yog-Sothoth è la Chiave della Porta, accanto alla quale le sfere Si toccano. Ora l'uomo domina là dove Essi hanno dominato una volta, ma presto Essi domineranno lì dove ora domina l'uomo. Dopo l'estate viene l'inverno, dopo l'inverno l'estate. Essi attendono pazienti e potenti, perché torneranno a regnare qui".

    Il dottor Armitage, associando quello che stava leggendo a quello che aveva udito su Dunwich, sulle sue minacciose presenze, su Wilbur Whateley e sulla sua aura fosca e orribile che si stendeva da una nascita dubbia fino al sospetto di matricidio, provò un moto di terrore, tangibile come un sorso di quel fluido freddo e viscoso che sta nelle tombe. Il gigante curvo e caprino che gli stava davanti sembrava provenire da un altro pianeta o da un'altra dimensione; era qualcosa che apparteneva solo in parte all'umanità e che era legato a neri golfi pieni di essenze e di entità che si estendevano come titanici fantasmi al di là di tutte le sfere della forza e della materia, dello spazio e del tempo. In quell'istante, Wilbur sollevò la testa e cominciò a parlare in quel modo strano e sonoro che faceva pensare a organi fonatori differenti da quelli della razza umana.

    "Signor Armitage", disse, "credo di dovermi portare a casa questo libro. Contiene delle cose che devo sperimentare in certe condizioni che qui non posso ottenere, e sarebbe un peccato mortale lasciare che un motivo burocratico mi impedisca di farlo.

    Lasciate che lo prenda, signore, e nessuno se ne accorgerà, lo giuro. Non occorre neanche dire che ne avrò molta cura. Se volete mettere al suo posto questa versione di Dee...".

    Si interruppe leggendo sul viso del Bibliotecario un fermo diniego, e la sua faccia caprina assunse un'espressione astuta.

    Armitage, quasi pronto a dirgli che poteva copiare tutti i passi che gli servivano, pensò improvvisamente alle possibili conseguenze che ne sarebbero potute scaturire e si trattenne.

    C'era troppa responsabilità, nel consegnare a un essere simile la chiave di sfere soprannaturali così blasfeme. Whateley vide come stavano le cose e cercò di rispondere in maniera accomodante.

    "Bene, d'accordo, se la pensate così. Forse a Harvard non saranno pignoli come voi".

    E, senza aggiungere una sola parola, si alzò e uscì dall'edificio, piegandosi a ogni porta.

    Armitage udì il selvaggio abbaiare del grande cane da guardia e studiò l'andatura da gorilla di Whateley, mentre questi attraversava la zona del Campus visibile dalla finestra. Pensò alle folli storie che aveva sentito, e si ricordò dei vecchi articoli domenicali dell'"Advertiser": pensò a questo e ai racconti che aveva raccolto dai contadini e dagli abitanti del villaggio di Dunwich durante la sua unica visita in quel posto.

    Cose invisibili che non sono di questa terra (o, almeno, non appartengono alle sue tre dimensioni) correvano fetide e orribili attraverso le vallate della Nuova Inghilterra e incombevano minacciose e oscene sulle cime delle montagne. Di questo era sicuro da un bel pezzo. Ora gli sembrava di sentire l'immediata presenza di una qualche terribile parte di quell'orrore che si insinuava, di scorgere un'infernale avanzata nel nero dominio di quell'incubo antico, finora passivo.

    Rimise al sicuro il "Necronomicon" con un brivido di ribrezzo, ma nella stanza continuava ad aleggiare un fetore scellerato e indefinibile. "Li conoscete come oscenità", citò. Sì: l'odore era lo stesso che lo aveva nauseato alla fattoria dei Whateley, meno di tre anni prima. Pensò di nuovo a Wilbur, caprino e sinistro, e rise beffardo delle voci sulla sua nascita che correvano nel villaggio.

    "Incesto?", mormorò tra sé e sé Armitage. "Buon Dio, che sempliciotti! Mostrategli il Grande Dio Pan di Arthur Machen e penseranno che sia il frutto di un banale scandalo di Dunwich! Ma che cosa, quale maledetto influsso informe proveniente dalle tre dimensioni di questa terra o da fuori di essa, era il padre di Wilbur Whateley? Nato nella Candelora, nove mesi dopo il Calendimaggio del 1912, quando le voci sugli strani rumori terrestri arrivarono fino ad Arkham: cos'è che si aggirava sulle montagne quella notte di maggio? Quale orrore dal giorno dell'invenzione della Croce era sceso sul mondo, in carne ed ossa semiumane?" Nelle settimane successive, il dottor Armitage si mise a raccogliere tutti i dati possibili su Wilbur Whateley e sulle informi presenze che circondavano Dunwich. Entrò in contatto con il dottor Houghton di Aylesbury, che aveva assistito il vecchio Whateley nella sua ultima malattia, e trovò assai degne di considerazione le ultime parole del nonno, riportate dal medico.

    Una visita al villaggio di Dunwich non portò a molto di nuovo; però, un attento studio del "Necronomicon", di quei passi che Wilbur aveva cercato con tanta avidità, gli sembrò fornire indizi nuovi e terribili intorno alla natura, ai metodi e agli intenti della strana malvagità che minacciava questo pianeta in modo così vago. Alcuni colloqui con studiosi di miti arcaici a Boston e delle corrispondenze con molti altri personaggi residenti altrove, gli provocarono un crescente stupore che si sviluppò pian piano attraverso vari gradi d'ansia, fino a uno stato di terrore spirituale acuto. Mentre si avvicinava l'estate, sentì oscuramente che bisognava fare qualcosa contro gli orrori che si nascondevano nella vallata superiore del Miskatonic, e contro quell'essere mostruoso noto agli uomini sotto il nome di Wilbur Whateley.


    SECONDA PARTE DEL RACCONTO

     
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