La forca

Autore: Paul van Loon

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    Questo racconto fa parte del libro "L'autobus del brivido" di Paul van Loon. Si tratta di una serie di racconti tenuti insieme da una cornice (per la preicisione: un viaggio in autobus di un gruppo di ragazzi. L'autista comincia a mostrare loro una serie di oggetti e per ogni oggetto ha una storia). Io vi posto solamente i racconti più belli.



    Il papà di Max tornò a casa con un pacco piatto, di forma quadrata.
    "Guardate che cosa ho trovato" disse.
    Max e sua madre fissarono incuriositi l'involucro di carta marrone.
    Il papà si tolse di tasca il temperino, tagliò lo spago, strappò via la carta e indicò sorridendo il quadro che vi era stato nascosto.
    “Che ne dite?”
    Max e sua madre lo guardarono con l'aria di chiedersi: “Che roba è mai questa?”. Sapevano che il papà era un appassionato di pittura e che di tanto in tanto arrivava a casa con un dipinto. Ma questo esemplare era il più strano di tutti.
    “Raccapricciante!” disse finalmente la mamma.
    “Come hai potuto comprare una cosa del genere?”
    La scena raffigurata era a dir poco singolare. Sullo sfondo di una campagna brulla si levava un alto patibolo di legno. Uno stormo di uccelli neri volava nel cielo grigio. Dalla forca pendeva un uomo con gli occhi sgusciati e un aspetto feroce. Una folta barba gli copriva quasi tutta la faccia. A qualche passo di distanza dalla forca, un ragazzino biondo levava la testa verso l'impiccato con un'espressione leggermente ironica.
    “Raccapricciante!” ripeté la madre. “Non voglio vedere quella roba nel mio soggiorno. Fa venire gli incubi.
    “Ma è arte, mia cara!” protestò offeso il marito.
    “Guarda com'è dipinta bene questa scena. E oltre tutto si riferisce a un fatto storico. L'uomo che pende dalla forca era un assassino, vissuto più di tre secoli fa. Questo individuo, che aveva venduto l'anima al diavolo, di notte si trasformava in un mostro sanguinario. Il ragazzino sulla sinistra del quadro era suo figlio, che un giorno lo denunciò alla gendarmeria. Per questo l'uomo finì sulla forza”.
    Il papà tolse con un dito un po' di polvere dagli angoli del quadro. “E' dipinto in modo egregio. A guardar bene, il ragazzo assomiglia un poco a Max: è soprattutto per questo che l'ho trovato bello”
    “Chiamalo bello!” intervenne la mamma “E oltre tutto non assomiglia affatto a Max. A volte, Simon, hai delle idee veramente bislacche!”
    Ma Max dovette dar ragione a suo padre. Il ragazzino del quadro gli assomigliava per davvero. Gli stessi capelli biondi, e perfino le stesse lentiggini ai due lati del naso, proprio come lui.
    “Ad ogni modo” concluse il papà, leggermente irritato “questa tela aveva un prezzo irrisorio, e io non potevo rinunciare all'affare. L'ho comprata dal rigattiere sulla piazza del mercato. A quanto pare, il proprietario voleva disfarsene a ogni costo: difatti l'ho pagata un terzo del suo valore”.
    “Strano” osservò la mamma “Perchè quel tale l'ha data via per così poco, se è un pezzo così straordinario?”
    Il padre si strinse nelle spalle “Pretendeva che questo dipinto nascondesse un maleficio. Sciocche superstizioni: sai com'è la gente”.
    Max non sapeva com'era la gente, ma quel dipinto aveva un effetto strano su di lui. Doveva assolutamente guardarlo da vicino. Era come se gli occhi sgusciati dell'impiccato lo fissassero, tenendolo avvinto con uno sguardo feroce, come bramoso di sangue.
    Max, d'un tratto, ebbe la sensazione che tutto si annebbiasse intorno a lui, e non rimanessero che quegli occhi sbarrati. Avvertì come un'improvvisa folata di vento, e gli sembrò di udire un rauco gracchiare di corvi.
    “E va bene” sentì dire, come in un vago sottofondo, dalla voce di sua madre “ma quell'affare non starà mai nel nostro soggiorno. Cosa penserebbero i nostri amici al vederlo appeso in bella vista sopra il divano? Mettilo tutt'al più in qualche punto poco illuminato del pianerottolo, in modo che non si noti troppo. E spero per te che non sia stato rubato, perchè in tal caso ti accuserebbero di ricettazione e un giorno potremmo trovarci la polizia sulla porta di casa”.
    Il padre mormorò qualcosa a mezza bocca, ma si piegò alla decisione della moglie, e si avviò su per le scale col quadro sotto il braccio.
    Max sentì dileguarsi il suo strano malessere e tornò a vedere chiaramente il soggiorno.
    “Sarà bene che mangi qualcosa” pensò “Forse mi sono sentito debole perchè oggi non ho fatto merenda”. Andò in cucina e si spalmò di butto di noccioline una grossa fetta di pane.
    Era già da un paio di giorni che il quadro stava appeso a una parete in penombra del pianerottolo accanto alla camera di Max, dove lo si notava appena. Ma tutt'ora Max, per qualche motivo che non riusciva a spiegarsi, non osava quasi guardarlo. Quando saliva al piano superiore si muoveva il più svelto possibile, voltando via la testa dal quadro. Gli occhi sgusciati dell'impiccato gli facevano impressione.
    “Sei un fifone!” si diceva “Come puoi aver paura di un quadro?”
    E tuttavia, ogni volta che arrivava sul pianerottolo, veniva preso da una sottile angoscia. E di notte faceva spesso sogni strani, in cui grossi uccelli neri volavano gracchiando per la sua camera.
    Così un bel giorno Max disse a suo padre: “Papà, quel quadro mi disturba troppo. Me lo sogno addirittura. E' tremendo!”
    Suo padre lo guardò come se volesse incenerirlo.
    “Ti ci metti anche tu, adesso? Si può sapere che cosa ti prende? Non posso neanche più appendere un'opera d'arte in casa mia? Il quadro resta dov'è e basta! Non voglio più sentirne parlare”
    Max si spaventò di quella violenta reazione. Normalmente il papà non se la prendeva così con lui. Ma da quando aveva comprato il famoso quadro, sembrava cambiato. E per di più sembrava seriamente intenzionato a lasciarsi crescere la barba, perché erano già due giorni che non si radeva e aveva le guance e il mento fitti di spunzoni neri.
    Quella notte Max sognò di nuovo gli uccelli neri che volavano in cerchio nella sua camera: li sentì gracchiare così forte da sembrare veri. Si svegliò di soprassalto, drizzandosi a sedere sul letto.
    Un attimo dopo, nel silenzio assoluto della camera, Max credette di udire uno strido acuto, quasi un'eco del sogno. Si asciugò la fronte sudata, e sentì il bisogno di andare al gabinetto. Con gli occhi assonnati, uscì barcollando dalla sua camera verso la stanza da bagno, al capo opposto del pianerottolo. Ascoltò lo scroscio della pipì nel water, poi tirò lo sciacquone e tornò sui propri passi. Ma a metà del pianerottolo dovette fermarsi. Da qualche parte, nel buio, veniva uno strano luccicore. A fatica, Max aprì del tutto gli occhi per capire da dove provenisse.
    Dovette trattenersi dal gridare forte. Il luccicore proveniva dal quadro. Gli occhi dell'assassino impiccato erano, nell'oscurità, due punti infuocati che lo fissavano pieni di odio.
    Max si precipitò in camera, richiuse con violenza la porta e si rannicchio nell'oscurità protettrice delle coperte, Poi rimase immobile e muto ad ascoltare, col fiato sospeso e il cuore in tumulto.
    Dopo quella che gli parve un'eternità, finì per calmarsi. Quel che aveva visto, o pensava di aver visto, era così inverosimile che Max si persuase di aver sognato ogni cosa. E con la testa piena di pensieri confusi, ricadde addormentato.

    La mattina seguente, uscendo di camera, Max gettò una fugace occhiata al dipinto. Sembrava sempre il solito, e gli occhi dell'assassino, naturalmente, non fiammeggiavano. “E' stato soo uno scherzo della mia fantasia” pensò Max “E probabilmente mi sono anche sognato di andare in bagno mentre non mi sono mai mosso dal letto”. Così scacciò dalla mente tutta la faccenda e scese a far colazione.
    “Stt! Non così forte!” lo ammonì la madre, quando sentì sbattere lo sportello del frigorifero.
    “Che succede?” chiese stupito Max.
    “Papà dorme ancora” rispose la madre “E' malato: ha la tosse e la febbre alta”.
    “Papà ha un brutto aspetto da qualche giorno” disse Max dando un morso a una fetta di pane spalmata di crema al cioccolato, e proseguì a bocca piena: “Secondo me è colpa del quadro. Gli rincresce così tanto che a noi due non piaccia, che se n'è fatto un'idea fissa. Non si rade neanche più”.
    “Che razza di discorsi!” protestò la mamma “Ha solo un'infreddatura. E io trovo che la barba gli stia bene, o almeno gli dà un aspetto diverso”
    “E invece io trovo che con quella faccia pelosa sembra un bandito, proprio come quell'orrendo personaggio del quadro”.
    La madre gli lanciò un'occhiata di traverso.
    “Cosa vorresti dire?”
    “Non lo so” disse Max stringendosi nelle spalle.
    “Niente, penso. Forse papà teme che si tratti realmente di un quadro rubato e che un giorno o l'altro la polizia lo scopra”.
    Prese lo zaino, diede un bacio alla madre e uscì.
    “A presto, mamma”
    “Sii prudente” raccomandò lei in tono distratto, poi restò immobile e pensierosa a guardarlo allontanarsi.

    Quando Max tornò da scuola, il papà era ancora a letto, mezzo sepolto sotto un mucchio di coperte.
    Max fece capolino dalla porta. Il papà dormiva, mugolando inquieto nel sonno. Fra gli spunzoni neri della barba, il volto febbricitante appariva terreo e smunto.
    “Lasciamolo tranquillo” disse la mamma “Domani la febbre gli sarà scesa di certo. Vedrai che dopo sarà come rimesso a nuovo”
    “Speriamo” mormorò Max.
    Quella giornata di scuola era stata faticosa, con parecchie interrogazioni, così Max, dopo cena, salì di buon'ora in camera, senza rivolgere il pensiero al quadro. Buttò sbadigliando gli abiti su una sedia, poi s'infilò a letto e cadde addormentato come un sasso.

    Suoni rauchi, raspanti. Occhi gialli di uccelli neri. Un'indefinibile sensazione di catastrofe imminente. Nel buio della camera, Max si agitava inquieto sotto le coperte, mentre gli uccelli sfrecciavano a volo radente sulla sua testa. Un cappio dondolava vuoto nel vento.
    “Nooo” gemette Max nel sonno, agitando la testa sul cuscino “L'assassino si è liberato. E' fuggito!”
    Rumore di passi. Strida di uccelli dentro la testa. Il tonfo di una porta. Un altro tonfo. “Lasciami in pace!” gemette Max “Sei soltanto un morto!”.
    Un tonfo rimbombante. La porta si spalancò di colpo. Max sbarrò gli occhi. Era sveglio.
    Accanto al suo letto, nell'oscurità, c'era una sagoma scura. Ringhiante, sbuffante, come uscita direttamente dal sogno di Max.
    Due mani forti come l'acciaio afferrarono Max alla fola e lo strapparono dal letto.
    “Traditore!” ringhiò l'ombra “Tu! Mio figlio! Ora tocca a te pendere dalla forca col cappio al collo”.
    Max cacciò un urlo e protese le braccia per scacciare quel sogno, ma le sue mani incontrarono un volto barbuto. Con un ruggito, l'ombra trascinò Max attraverso il pavimento della camera e oltre la soglia del pianerottolo buio.
    “Sarai impiccato!” ringhiò “Traditore del tuo stesso sangue!”
    Max tirava calci e pugni alla cieca, ma quelle mani poderose non lo lasciavano: stringendogli la gola in una morsa d'acciaio, continuarono a trascinarlo lungo il pianerottolo.
    “Alla forca!” gridò il bruto. In quel buio pesto, Max non vedeva il suo avversario. Sentiva solo quella stretta mortale che gli mozzava il respiro. Con un grido soffocato, cominciò a perdere i sensi.
    D'un tratto una porta si spalanco. Nella forte luce che proveniva dall'apertura, Max, quasi incosciente, vide sua madre, in veste da camera. Per un attimo lei rimase paralizzata, una foto scattata controluce. Poi si girò, si precipitò oltre la soglia, strappò il quadro dalla parete e lo abbatté con un colpo secco sulla testa dello sconosciuto che tentava di strangolare Max. Si udì un rumore di tela lacerata, la cornice si ruppe e simultaneamente la stretta intorno alla gola di Max si allentò.
    Con un gemito rauco, Max rotolò via dall'aggressore, che si accasciò sulle ginocchia, intrappolato nel quadro rotto. La madre cercò a tastoni, freneticamente, l'interruttore della luce. Il buio si dileguò di colpo.
    Max, disteso sul pavimento, si massaggiava la gola con entrambe le mani, fissando incredulo la figura inginocchiata al centro del pianerottolo.
    Era il papà!
    Con la testa e le spalle conficcate nella tela strappata del quadro, il papà teneva gli occhi annebbiati fissi davanti a sé, come qualcuno che si risvegliasse da una narcosi. Poi sulla sua faccia apparve un'espressione sconcertata.
    “Cosa ci faccio qui?” mormorò.

    “Te l'avevo detto, che era un quadro malefico!” disse la mamma “Perchè non mi hai dato ascolto?”
    Sedevano tutti e tre in vestaglia intorno al tavolo di cucina, le facce grigie sulle ciotole di cioccolato fumante. Max tremava ancora un po', ma aveva ormai superato il primo choc. Il papà guardava con aria colpevole i segni rossi sulla gola del figlio. Avevano dovuto raccontagli che cos'era accaduto, perchè lui non era in grado di ricordarlo.
    “E neanche so spiegarmi che cosa mi era preso in questi ultimi giorni” disse “Come se non fossi più io. O come se qualcosa di estraneo si fosse insinuato nella mia testa. Una voce mi sussurrava che mio figlio mi aveva tradito e che io dovevo ucciderlo. Da allora un buco nero nella mia memoria. Mi dispiace, Max” soggiunse con un profondo sospiro “di non aver voluto darvi ascolto. Pende veramente una maledizione su quel dipinto”.
    “Ma ora è tutto passato” disse la mamma “Quello spaventoso quadro adesso s ne sta là fuori, in pezzi, nel cassonetto della spazzatura. Domani il furgone lo porterà via. Fine della storia”.
    Il papà allungò una carezza a Max al di sopra della ciotola di cioccolato. “Che ne diresti di una bicicletta nuova, Max? Te la sei meritata, dopo tutto quel che ti ho fatto passare”.
    “Perbacco! Una bicicletta!” esclamò Max, gettandosi fra le braccia di suo padre.

    “Ehi, Kobus, guarda cosa ho trovato!” esclamò la mattina seguente uno dei due netturbini, estraendo un quadro malconcio dal cassonetto e mostrandolo al suo collega.
    “Peccato buttarlo via. E' una vera pittura ad olio”.
    L'uomo esaminò con sacro rispetto la tela strappata.
    “Sai cosa faccio, Kobus?” soggiunse poi. “Me lo prendo io e lo faccio sistemare da mio fratello, che fa il restauratore ed è bravissimo. E poi lo appenderò a casa mia, sopra il caminetto”.
    Guardò ancora una volta il quadro e sorrise.
    “Curioso. Quel ragazzino con la zazzera bionda somiglia un po' a mio figlio. Mia moglie lo troverà certamente bellissimo. Un'autentica opera d'arte”.
     
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  2. KarmHans
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    Ma io... comprai "L'autobus del brivido" in allegato con Topolino, nel 2005 :rotfl:

    Ricordo ancora la storia della sedia del preside, fatta con la pelle degli alunni :asd:
     
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    Anche io l'ho preso lì, infatti xD

    Forse posterò anche quella della poltrona, ma non sono sicura xD
     
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2 replies since 7/5/2012, 12:59   333 views
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