Su per le scale a notte fonda

Titotlo originale: Nule| Autore: Jan Mark

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    Talmente vecchia da cadere quasi a pezzi, la casa non era tuttavia ancora abbastanza vecchia da poter essere considerata interessante. Quel poco di interessante che aveva avuto era stato eliminato quando la famiglia Anderson ci si era trasferita, e da allora era passato tanto tempo. Ogni stanza era dotata di un pulsante che, se pigiato, faceva squillare un campanello in cucina. Qui c'era una specie di scatola di vetro contenente una serie di nomi. Durante lo squillo una lancetta oscillava da un nome all'altro finchè si fermava per indicarne uno: sala, salotto, camera da letto 1, camera da letto 2, camera da letto 3.
    -A cosa servono?- si era informata una mattina Libby, dopo aver fatto il giro delle stanze pigiando tutti i pulsanti. Proprio in quel momento Martin aveva premuto quello della sala. La lancetta aveva indicato >>sala>> continuando a vibrare, mentre il campanello non smetteva più di suonare.
    -A chiamare la domestica- aveva risposto la mamma.
    -Ma noi non abbiamo una domestica
    -No, ma avete me- aveva affermato la mamma, e aveva legato un vecchio calzino attorno al campanello, in modo che, anziché suonare, ronzasse.
    Interessanti erano state anche le tane dei topi in cucina. Si trattava di topi particolarmente sfacciati, che gironzolavano liberamente, senza nemmeno fingere di avere paura. Di sera si accovacciavano sullo scolatoio e, se qualcuno accendeva la luce, era già tanto se si degnavano di spostarsi.
    -La bella vita li rincitrullisce- aveva detto la mamma.
    -Dietro lo scaldabagno hanno una bisca clandestina. Giocano a dadi tutto il giorno, e di notte, poi, ballano il cancan!
    -Esagerata!- aveva replicato il papà. -Magari troverai anche qualche cassa di gin in bottigliette mignon.
    -Ballano il cancan, ti dico! Li sento proprio sopra la mia testa, sai? Li sentiresti anche tu, se non ronfassi così rumorosamente.
    -No, quelli che si sentono di notte non sono mica topi. Sono ratti!- aveva precisato il papà con un sorrisino ironico.
    Alla mamma i topi davano meno fastidio del campanello ma, un giorno, aveva trovato le loro impronte sul fondo di una padella.
    -Scusate amici, ma stavolta la festa è finita- aveva dichiarato ai topi, che sicuramente stavano ancora leccandosi gli eleganti baffoni. E così, gli ingressi delle tane furono otturati.
    Fu il papà a provvedere alle otturazioni. Ma anche a qualche disotturazione...e quando la vasca da bagno smise di riempirsi da sola dal buco di scarico, la casa cessò definitivamente di essere interessante. Non per molto tempo, però.
    Anche Libby e Martin si diedero da fare per migliorare le cose. Cercarono per tutta la casa, dalla credenza situata nel sottoscala alla soffitta. Cercavano buchi da otturare sulle pareti o sul pavimento e credenze da ripulire; misuravano, calcolavano, ma non trovarono né cavità nascoste né porte segrete, e neanche rigonfiamenti sospetti sotto la carta da parati, se si escludono i punti in cui si era infiltrata l'umidità. Nella credenza del sottoscala trovarono una quantità di vasetti di conserve, ma la sorpresa che nessuno gradì, meno che tutti il papà, su trovata in soffitta.
    -Ma qui il legno è tutto marcio!- esclamò -Grazie al cielo la casa non è di nostra proprietà- e uscì di gran carriera per recarsi all'agenzia immobiliare dei Fratelli Tonni, che lui chiamava però Fratelli Squali. Quando oltrepassò il cancello di casa, si girò e strillò -La peste! La peste! Fate una croce rossa sulla porta!- la signora Bowen, la vicina, si sporse stupefatta dalla finestra del pianerottolo.
    Quando tornò a casa dall'agenzia immobiliare, il papà brontolò: -Lo squalo giovane dice che nel giro di due anni l'intera schiera di case verrà demolita, e che quindi non vale la pena di preoccuparsi. Pare che la nuova circonvallazione passerà sulla nostra cucina
    -E lo squalo vecchio, cosa dice?- domandò la mamma
    -E chi l'ha mai visto, lo squalo vecchio? Secondo me non esiste- affermò il papà -Forse è morto e lo squalo giovane lo tiene nascosto sotto il letto.
    -Non fare il maligno- disse la mamma guardando intanto Libby, che anche in pieno giorno aveva paura di ciò che poteva nascondersi sotto il letto.
    -Io spero solo che troviamo un'altra casa, prima che questa ci crolli addosso...e non la acquisteremo certo dai Fratelli Squali.
    La mamma riprese a cucire, ma non era di buon umore.
    I topi avevano ricominciato a uscire dalle tane. Libby andò in cucina per cercarli. Martin andò invece al piano di sopra, canticchiando:
    Son due squali
    che animali
    uno è secco
    sotto il letto.
    Più tardi, quando la mamma ebbe finito di cucire, Libby cominciò a passeggiare in corridoio con in testa un lungo cappello dalla cui punta pendeva un velo. Indossava anche un vestito rosso con lo strascico, che poteva sembrare splendido a chi non sapesse che era stato ricavato da una vecchia tenda. Martin lo sapeva.
    Nel piovoso pomeriggio d'estate il corridoio era piuttosto buio, e Libby scivolava da un'ombra all'altra nel suo vestito frusciante.
    -Chi saresti?- domandò Martin mentre si accingeva a scendere le scale -Una vecchia strega?-
    -Sono la madre della bella addormentata nel bosco- rispose a testa bassa Libby che, con quel suo cappello puntato in avanti, sembrava piuttosto un unicorno alla carica. Martin decise di scivolare sulla ringhiera, anziché scendere le scale. Sospettava che quel gioco non gli sarebbe stato permesso ancora per molto. La ringhiera infatti scricchiolava e...chi poteva prevedere cos'altro sarebbe stato colpito dalla famigerata carie del legno? Proprio quando Martin raggiunse in scivolata la colonna di sostegno in fondo alla ringhiera, la mamma usciva da una stanza trascinando la pesante macchina per cucire e poco mancò che venisse trafitta dal cappello di Libby.
    -Piantala di andare avanti e indietro- ordinò la mamma -Rovinerai quei vestiti. Ho appena finito di cucirli. Và a toglierteli. E tu- continuò rivolta a Martin -vuoi smetterla di aggrapparti a quella colonna di sostegno? Finirai per strapparla dal pavimento!
    La colonna serviva in teoria a sostenere la ringhiera, ma probabilmente era vero il contrario. Alla base era solo una colonna di legno levigato, ma più in alto il tornio aveva modellato fianchi affusolati, un busto e spalle quadrate. In cima, infine, aveva una grossa palla simile a una testa.
    Al piano di sopra la ringhiera appoggiava a una colonna uguale, che però non aveva più la testa. Il papà la chiamava perciò Anna Bolena. Quella al piano terra veniva invece chiamata semplicemente colonna di sostegno, ma Libby credeva che Colonna fosse un nome e Di Sostegno un cognome, come Anna Bolena, o Libby Andreson: signora Colonna Di Sostegno.
    Aveva pertanto deciso di chiamarla semplicemente Coly. Il cappello a punta e la vecchia tenda erano il costume che Libby doveva indossare per la recita della scuola. Martin era riuscita a non farsi coinvolgere nello spettacolo, ma conosceva a memoria tutta la parte di Libby, che con voce nervosa non smetteva di recitarla girando per la casa e di ripeterla, sillaba dopo sillaba, mentre andava su e giù per le scale.
    -In-vi-te-re-mo-per-il-bat-te-si-mo-tut-te-le-fa-te, oh, buongiorno Coly, ma-non-in-vi-te-re-mo-la-vec-chia-fa-ta-cat-ti-va!
    L'ultimo giorno di scuola Martin si sedette tra il pubblico, vicino a mamma e papà, per assistere alla recita. Libby interpretò la sua parte con dizione perfetta, ma parlava come se le si fossero scaricate le batterie; poiché buona parte degli attori e delle attrici parlava come lei, la cosa passò pressoché inosservata.
    Finito l'anno scolastico, Libby tornò a parlare come Libby, anche se continuava a indossare tenda e cappello. Quando la tenda le cadde di dosso a brandelli, fu finalmente trasformata in strofinacci. Il cappello, invece, rimase a lungo in giro per la casa, finchè un giorno la mamma lo afferrò ed esclamò minacciosa: -Metti subito via questo affare o lo butto nella pattumiera!
    Poco dopo, mentre Libby era ancora intenta ad andare su e giù per le scale con il cappello in testa, la mamma annunciò che era arrivata Jane, la sua compagna di giochi. Se in quel momento Libby si fosse trovata in cima alle scale, avrebbe potuto lanciare il cappello in camera, sul suo letto, ma poiché era quasi arrivata al piano terra, lo lasciò cadere sulla testa tonda e liscia di Coly, quindi uscì per affrontare l'amica. Toccava a Jane rapire l'orsetto di peluche, o almeno così sperava Libby. Altrimenti sarebbe toccato a lei rimanere accovacciata dietro il serbatoio dell'acqua e tenere l'orsetto in ostaggio fino al pagamento del riscatto, mentre Jane avrebbe galoppato per il giardino sul suo pony immaginario percuotendo le ortensie con un manico di scopa.
    Il cappello aveva trasformato l'aspetto di Coly: quando più tardi Martin entrò in casa, credette di avere davanti una persona. Solo dopo aver sgranato bene gli occhi, capì di cosa si trattava. In quello stesso momento Coly fu notata anche dalla mamma.
    -Ho detto a Libby di mettere via quell'affare, se non vuole che lo butti nella pattumiera
    -No, mamma- disse Martin -lascia che lo veda anche papà, ti prego.
    Così la mamma lasciò il cappello sulla testa di Coli. A Martin cominciarono a venire subito delle idee: dal momento che il cappello faceva apparire Coly poco vestita, andò a prendere la vecchia vestaglia rosso porpora a fantasia cashmere che avevano trovato appesa alla porta del bagno quando si erano trasferiti in quella casa. Era molto sciupata, spiegazzata soprattutto sulle maniche, come se braccia sconosciute l'avessero usata troppo a lungo.
    Martin la avvolse attorno al collo di Coly, abbottonandola sulla schiena, come un bavaglino lungo fino al pavimento. Riempì quindi due guanti con fogli di giornale accartocciati, li infilò nelle maniche e li fissò con gli spilli. Il peso faceva penzolare le maniche stirandone le pieghe. Martin sistemò un paio di scarpe da calcio sotto l'orlo della vestaglia lasciandolo sporgere solo le punte, quindi indietreggiò per verificare l'effetto.
    Nel buio dell'ingresso Coly sembrava proprio un essere umano in attesa, anche se quelle braccia penzolanti le conferivano piuttosto l'aria di un cadavere.
    La mamma e Libby videro Coly quando uscirono dalla cucina.
    -Chi diavolo è stato...?- domandò la mamma ritraendosi con Libby.
    -Io no- affermò la figlia, felice di potersi discolpare.
    -Ma sei tu che le hai messo il cappello, no?
    -Sì, ma non tutto il resto
    -Bè cosa ve ne pare?- chiese Martin-
    -E' orrendo- giudicò la mamma, ma non chiese a Martin di svestire Coly. Libby girò furtiva attorno a Coly e filò su per le scale rasente alla parete.
    Quando il papà tornò dal lavoro, si fermò sulla porta d'ingresso: -Ciao a tutti...e quello cos'è?- domandò ancora prima che Martin accendesse la luce.
    -Oh, ma certo, è un idolo...la dea del legno marcio!- esclamò il papà facendo una profonda riverenza. In quello stesso momento il cappello si inclinò leggermente in avanti, come se Coly avesse abbassato la testa in segno di risposta. Anche Martin fece un bell'inchino, quindi si avvicinò per rimettere il cappello a posto.
    A quanto sembrava, mamma e papà trovavano Coly divertente. Permisero infatti che le si lasciassero indosso i vestiti ma, mentre loro due non facevano più l'inchino, Martin lo faceva tutte le volte che passava davanti a Coly per andare al piano di sopra. Si inchinava anche Libby, che però non parlava più a Coly. Si limitava ad osservarla. Un giorno domandò: -Dove ha gli occhi?
    -Davanti, naturalmente- rispose Martin. Non si capiva, se non le si guardavano prima i piedi. Allora Martin disegnò su un pezzo di carta due occhi meravigliati e una bocca tutta denti, li ritagliò e li attaccò sul viso di Coly con dei pezzetti di chewing-gum.
    -Così va meglio- osservò Libby ridendo e, quando passò di nuovo davanti a Coly per andare di sopra, dimenticò di fare l'inchino. Martin non era convinto che andasse meglio: Coly adesso aveva un aspetto troppo normale, non era nient'altro che una semplice colonna di sostegno con indosso una vestaglia, delle scarpe da calcio e il cappello della madre della bella addormentata. Le tolse gli occhi e la bocca e staccò il chewing-gum.
    -Adesso sì che va meglio- affermò. Coly guardava di nuovo senza occhi e rideva senza bocca.
    Libby non fece commenti.

    Quella notte si udirono degli strani scricchiolii.
    -Saranno i ladri?- domandò Libby.
    -Saranno i mobili che s'incrinano- suggerì la mamma.
    Libby capì <<saranno i mobili che camminano>>. Trovò la cosa abbastanza probabile, dal momento che il tavolo da toilette aveva zampini artigliati rivolti in direzioni opposte che di notte avrebbero potuto mettersi a camminare, magari strattonando nervosamente in direzioni opposte. Anche la vasca da bagno aveva le zampe. Nella sua immaginazione Libby la vedeva uscire al galoppo dal bagno e scivolare giù per le scale di pancia, come un grosso tricheco bianco che si tuffi in mare. Se qualcuno avesse tenuto aperto il cancello, poi, avrebbe attraversato la strada come una scheggia investendo l'auto dell'infermiera posteggiata proprio di fronte, sotto il lampione.
    Stava immaginando divertita il titolo del giornale locale, “Vasca da bagno investe infermiera”, quando udì di nuovo gli scricchiolii e si nascose sotto le coperte.
    Anche Martin li udiva dalla sua camera, ma lui aveva altre ragioni per preoccuparsi: in soffitta, dove la carie del legno imperversava, c'era un grosso armadio di rovere pieno zeppo di vecchi vestiti appartenuti a signore morte da chissà quanto tempo, e si trovava esattamente sopra la sua testa. Se avesse sfondato il pavimento e fosse caduto giù?
    L'indomani Martin pensò bene di spostare il letto.

    Poiché l'aspirapolvere aveva perso le rotelle, Libby era costretta a spingerlo con forza. Sull'ingresso l'elettrodomestico slittò e andò a urtare contro le scarpe da calcio di Coly, mettendole di traverso.
    -Coly non piace neanche all'aspirapolvere- dedusse Libby. Non voleva pià parlare a Coly, ma parlare di Coly le piaceva, come se ciò potesse renderla meno inquietante.
    -Cos'è successo?- domandò la mamma
    -E' andata a sbattere sui piedi di Coly
    -Bè, cosa aspetti allora a rimetterli a posto?- disse la mamma. Ma Libby non li rimise a posto. Quando Martin tornò a casa, rimise lui le scarpe l'una accanto all'altra. Più tardi, però, furono spostate di nuovo. Quelle scarpe non dovevano diventare un intralcio per chi passava, altrimenti Coly sarebbe stata di nuovo trasformata in una semplice colonna di sostegno. Martin risolse il problema spostando la scarpa destra al posto della sinistra e mettendo la sinistra sul primo gradino. In quel momento notò che il velo del cappello pendeva all'indietro. Quando andò di sopra, dopo la merenda, si accorse invece che penzolava sulla spalla destra di Coly, come se la colonna avesse girato la testa per guardare dove metteva i piedi.

    Quella notte gli scricchiolii furono più forti che mai, come se un ladro dai passi pesanti camminasse per la casa. Proprio quella sera Libby aveva parlato di ladri e la mamma aveva commentato: -E cosa dovrebbero rubare? Non abbiamo oggetti di valore.
    Martin si sentiva abbastanza sicuro. Aveva infatti calcolato che se l'armadio fosse caduto già quella notte, sarebbe finito dritto dritto sulla cassettiera, e non su di lui...però avrebbe trascinato giù un bel po' di soffitto! Poi capì che gli scricchiolii non provenivano da sopra, ma da sotto.
    Trattenne il respiro. Nessun rumore.
    Il luccichio verde della sveglia gli comunicò nel buio che erano le due passate. Mamma e papà dormivano già da un secolo. In quanto a Libby, avrebbe preferito morire, piuttosto che uscire dal letto in piena notte. Ma allora, c'era davvero un ladro? Martin si sentì forte e temerario: accese la lampada sul comodino, scivolò fuori dal letto e avanzò sulla moquette a passi felpati. Accese quindi la luce della camera e aprì la porta: il fascio illuminò il pianerottolo permettendogli di scorgere l'interruttore in cima alle scale, che non utilizzava mai. Guardò l'ingresso. La luce che filtrava fredda dalla strada attraverso i vetri smerigliati della porta illuminava l'appendiabiti e la cassapanca con sopra il telefono e la brocca di rame con la lunaria dalle foglioline opalescenti. Ma dov'era finita Coly?
    Era sulle scale! Si appoggiava alla ringhiera con una mano e con l'altra sollevava la vestaglia lunga fino ai piedi. Il velo del cappello ondeggiava come fumo sullo sfondo della porta d'ingresso. Salì un altro gradino con uno scricchiolio.
    Martin tornò veloce in camera e si nascose sotto le coperte, proprio come era solita fare Libby, che aveva tre anni meno di lui e credeva ancora ai fantasmi.

    -Leggevi a letto, stanotte?- gli chiese la mamma l'indomani mattina svegliandolo bruscamente. Martin emerse molto lentamente da sotto il cuscino.
    -No, mamma
    -Ti sei addormentato con le luci accese. Entrambe accese- disse la mamma allungandosi per spegnere la lampada sul comodino
    -Mi dispiace
    -Puoi pagare tu la prossima bolletta, se vuoi!
    La mamma gli aveva portato una tazza di tè, il che significava che era già scesa in cucina e ne era tornata sana e salva. Martin voleva chiederle se non avesse notato qualcosa di strano sulle scale, ma non sapeva come cominciare. Bevve il tè, si vestì e andò sul pianerottolo.
    Guardò l'ingresso, che ora il sole illuminava attraverso i vetri smerigliati della porta. C'erano l'appendiabiti, la cassapanca, la lunaria della brocca di rame e il telefono, che cominciò a squillare non appena Martin lo guardò. E si vedeva bene anche Coly: immobile ai piedi delle scale, voltava le spalle a Martin.
    La mamma uscì dalla cucina per andare a rispondere al telefono. Martin scese le scale e, quando arrivò sul terz'ultimo gradino, si fermò ad osservare Coly aspettando intanto che la mamma finisse di telefonare. Coly non era diversa dal solito. I piedi erano entrambi sotto la vestaglia, l'uno accanto all'altro.
    -Vorrei che non stessi lì impalato ad ascoltare, quando parlo al telefono- disse la mamma mettendo giù il ricevitore -ti piace forse origliare? La colazione sarà pronta fra cinque minuti.
    Quando la mamma tornò in cucina, Martin si sedette sulla cassapanca e continuò ad osservare Coly.
    Sì, Coly doveva sparire. Martin aveva voglia di avvicinarsi, sbattere via le scarpe con un calcio, strapparle di dosso la vestaglia e gettare via il cappello...invece rimase fermo a osservare le scarpe da calcio e le maniche penzolanti, mentre la corrente d'aria proveniente da una finestra aperta muoveva l'orlo della vestaglia e rivelava la colonna di legno, saldamente conficcata nel pavimento da settant'anni.
    Nelle scarpe non c'erano piedi, nelle maniche non c'erano braccia.
    Distruggere Coly significava per Martin credere che quella notte l'aveva davvero vista camminare sulle scale. Se invece l'avesse lasciata così com'era, Coly avrebbe potuto camminare di nuovo.
    Ora Martin doveva scegliere.



    Tratta da "Storie di fantasmi" scelte da Susan Hill, illustrate da Angela Barret
    Questo libro non ha altre storie creepy, quindi non trascriverò le altre, che parlano solo di fantasmi buoni, ma ho trovato altri due libri che ne contengono alcune, quindi trascriverò quelle
     
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