Eureka!

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  1. Cavagar
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    Era sotto il dominio de la Repubblica gloriosa e dei saggi membri del Senatus ch'ebbe inizio la mia avventura disgraziata. Non fui di certo un uomo di fede di culto, nè de valori particolari, ma fui un uomo di lealtà et obbedienza cieca e dalla fedeltà incondizionata verso i miei generali, considerandoli unica vece della mia patria et uniche voci da seguire. Non avrei mai pensato ci fosse in effettivo qualcosa di più 'grande', di universale. O se ci fosse stato n'era veramente di mio interesse.

    Vi narrerò chi sono e capirete perchè.

    Il mio nome è Lucio, ex Beneventum, e servìi in numerose battaglie di Roma contro Cartagine e non, tra quelle perse di Trebbia e Canne, e quelle vinte di Sagunto e (Deh, qui hanno origine le mie sventure), Siracusa. Annibale imperversava nel territorio italico dopo la vittoria di Canne, battaglia in cui la mia legione fu smembrata e i suoi membri occisi. Fui reintegrato in una delle quattro legioni che doveano movere guerra a la città di Siracusa, che fu dominio del tiranno Dionigi primo, che la cinse con somme et altissime mura e vi edificò una poderosa fortezza. L'assaltammo, ma in aiuto degli assediati, spuntarono diavolerie venute da mente degna d'un Romano, come macchine lancia dardi e malefici degni d'un Druido Celto, con palle di fuoco provenienti dalle titaniche mura. Quest'orrori seminaron morte e ruina ne le nostre fila, ma noi eravamo più forti e ci limitammo a cingere d'assedio la città, posizionando i nostri Castrum d'intorno ad essa.

    Giorno e notte, montavamo la guardia per sorvegliar le mura e le possibili sortite del tenace esercito Siracusano. Dividevo la ronda con me un soldato più anziano, tal Vittorio, ex Mediolanum, e spesso ci ritrovavamo a conversare del più e del meno d'argomenti di portata nazionale et vitale come l'invasione d'Annibale Barca, flagello Cartaginese, fino anche all'andamento dell'aratro su lo terreno, essendo entrambi villici di Leva obbligatoria, ritrovatisi nell'esercito per necessità e devozione. Fui contento d'aver trovato uno spirito così affine al mio, ma il divario d'anni vissuti ed esperienza accumulata, scoprì, fecero del Legionario Vittorio anche un'interessante fonte d'informazioni culturali provenienti d'ogni luogo della Repubblica ed oltre. Mi narrò delle donne Celte, dei templi divini degli Elleni, delle Sciamaniche credenze dei Nubiani, delle meravigliose Piramidi Egizie... fino ad arrivare a parlare di Siracusa stessa.
    "V'è un uomo." Sosteneva Vittorio "in quella città, che non si comprende bene se sia un mago od un uomo di massimo ingegno... sappiamo però che tutti i flagelli ch'hanno assalito la flotta nostra in queste acque, furono ideate da egli." La mia allora limitata mente fu a dir poco impressionata da questi racconti e dal loro terribile riscontro nella realtà, considerando e soppesando l'orrore e la distruzione che questo singolo uomo (o demone incarnato in membra umane, chi poteva dirlo?!), aveva potuto arrecare solo concretizzando ciò che il suo ingegno, maligno o no, ideò.

    Da quella notte non pensai altro che a immaginare le fattezze di quell'uomo, attribuendo lui, spesse volte, delle sembianze chimeriche o titaniche, a volte persino spettrali e divine. Un uomo solo che metteva in ginocchio ben 4 legioni romane col suo solo ingegno non avrebbe mai potuto essere solo un uomo. Questo pensiero m'accompagnò per notti intere, benché io e il mio compagno non tornammo più sull'argomento di quel genio divino. 'Poteva l'ingegno d'un uomo solo tener testa a 4 legioni di Roma?' questo pensiero era per me come il chiodo anestetico nel cranio dei feriti gravi dell'infermeria. Penetrante e al contempo rendeva il mio pensiero insensibile ad ogni altro stimolo se non a quello; per quanto riguardo il corpo... esso oramai funzionava più a seconda delle circostanze che a comando. Se v'era da combattere, combatteva. Non v'era un filo conduttore tra pensiero e muscoli, poiché quest'ultimi eran tutti devoti al console Marcello, il nostro comandante. Per lui morivamo, per lui combattevamo. Tutto questo mi bastava sapere, ma son pur sempre un uomo. Non posso astenere il mio spirito dall'elaborare quelle trame e quei meccanismi di ragione tipici d'uno della mia razza, specie se del mio popolo. L'assedio, nel frattempo, fu lungo ed estenuante, data la tenacia dei Siracusani, finché un giorno un uomo avvolto in una cappa nera si avvicinò al nostro Castrum a notte fonda. Era il turno di guardia mio.

    "Chi è là?" urlai all'indirizzo della figura ammantata dal mantello.
    "Un amico fedele!" Rispose egli, con un accento che tradiva una troppo forte cadenza greca.
    "Cosa vuoi Siracusano? Negoziare?"
    "No, vendermi!" Non ebbi il tempo di chiedergli ulteriori chiarimenti, quando mi chiamò una voce alla mia destra.
    "Milite!" Mi voltai e vidi un uomo bardato in un'armatura completamente dorata, e con un elmo de lo stesso pigmento sotto braccio.
    Il suo volto emanciato in gran contrasto con il vigore ch'emanavano i suoi occhi. Feci giusto in tempo a rendere il saluto al Console Marcello appena lo vidi, affiancato da due Tribuni con la tipica armatura di cuoio marrone.
    "Fallo entrare..." Ordinò senza alcuna emozione l'alto gerarca Romano, per poi sparire nell'oscurità di una porta ch'entrava in uno dei torrioni dell'accampamento.
    La notte del giorno seguente, dopo una festa in onore a Diana, tutta Siracusa era intorpidita e stordita dalle feste e dal vino, I traditori colpirono. Le porte di Siracusa furono aperte e noi Legionari corremmo dentro. Tanto era l'odio per quella città così difficile da conquistare e che aveva dato la morte con le sue macchine infernali a parecchi dei nostri commilitoni.

    Ci dedicammo al saccheggio, agli stupri ad ogni cosa che l'umana mente non può sopportare con il nome di 'immoralità'. Ma in tempo di guerra, vivendo con la morte, col dolore e fuori da ogni umanità, non si può divenire anche gli esseri più spregevoli possibili, senza più controllarsi? Solo sfogando tutti gli orrori che si son sopportati? Comunque, Siracusa non fu tutta nostra, poiché l'Ortigia, la striscia di terra peninsulare di Siracusa ove risiedevano gli ultimi resistenti e che ospitava la roccaforte militare principale di Siracusa, era teatro dell'ultima resistenza. Ma n'anche quella durò per molto.

    Marciammo sull'Ortigia il giorno subitamente seguente, sfondando le porte e dilagando al suo interno contro i soldati e contro le guardie del palazzo stesse, uscite dalla Roccaforte per l'ultima difesa eroica. Non fui diverso dai miei commilitoni ancora una volta. Tutti combattevamo in pugne isolate, rotte le righe mentre dilagavamo in quella piccola penisola. Un gruppo, in cui ero presente anch'io, fu incaricato d'entrare nella fortezza dell'Ortigia.

    Il palazzo era austero e nero all'esterno e all'interno n'era certo di fattura migliore. I mattoni che formavano i corridoi erano umidi e freddi e si sentivano calare gocce d'acqua per l'umidità del costrutto che con i loro suoni ripetuti potevan far diventar pazzo un uomo. Sarebbe stato buio e glaciale se non fosse stato per le torce che rischiaravano debolmente i cunicoli, ma il cui calore era quantomeno irrilevante e flebile. Il tutto era reso più sinistro dai serpeggianti echi della strage: urla, squarci, incroci dei ferri delle spade che rimbalzavano e venivano amplificati dalle pareti e che sembravano latrati provenienti dall'Ade.

    Non so sinceramente cosa mi portò a staccarmi dal gruppo. Forse la fatalità, non lo so, non lo so veramente. Fui attirato da una delle gallerie più buie del palazzo, che sembrava terminare in una sala grande e parecchio illuminata rispetto ai corridoi ad essa connessi. I numerosi tavoli di quella sala, erano coperti di pergamene d'ogni tipo, con disegni astrusi su di esse. Di alambicchi con dentro acqua e all'esterno pezzi di metallo ed oro bagnati, probabilmente intinti nel liquido. Scoprì di non essere solo in quella sala, poiché voltandomi vidi un uomo ricurvo, dal cranio ricoperto di bianchi capelli, sembravano fili, che cadevan sulle spalle e coperto da una lunga tunica bianca alla greca, che arrivava fino ai calzari. Era intento a far qualcosa, non so cosa, su d'un grande tavolo, più grande degl'altri. Sembrava come se la strage e le urla provenienti da essa non lo toccassero minimamente, tanto era assorto dal suo lavoro. Non mi avvicinai, rimasi fermo, per non fare rumore ed evitare che il vecchio, urlando, chiamasse le guardie. Quand'ecco il mio sguardo si posò su una delle pergamene e tutto mi fu chiaro. Era il disegno di una delle macchine infernali che tanto avevano fatto penare la nostra legione e tutti noi soldati. Ci aveva uccisi quell'uomo, quel vecchio, aveva fatto strage di noi, e ora stava li, tranquillo, come se il resto del mondo fosse un gradino più sotto, intento a far chissà cosa. I miei nervi furono eccitati da una collera forte, che non ammetteva alcuna attesa nell'adempimento del comando ultimo 'uccidi quel cane.'

    Grande rabbia che fu accresciuta quando m'avvicinai e non solo il vecchio non mi degnò n'anche d'attenzione, ma lo vidi fare strani disegni sulla polvere. Lettere greche, forme geometriche. Non sopportai. Non potevo sopportare che quell'uomo potesse ancora fare del male e non curarsene, per poi curarsi solo della sua bieca scienza! Attirai la sua attenzione nel migliore dei modi che mi vennero in mente.
    "Chi sei?" gli chiesi fremente di collera.
    "Non ora." fu la sua risposta, svogliata e veloce. Fu come gettar pece su un fuoco ardente.
    "Ho chiesto, amico mio, chi sei..." Ripetei, sempre più fremente di collera.
    "Non ora! Sono a lavoro non vedi?"
    Quello fu abbastanza. Rovesciai il tavolo con il suo lavoro. Questo avrebbe attirato la sua attenzione. Si voltò verso di me e si fece vedere in volto, gli occhi castani e la barba bianca ancora più lunga dei capelli, fissandomi con sguardo duro e rabbioso. Quella goccia fece traboccare il mio vaso. Affondai il mio gladio ne la sua barba. Non capì all'istante, dove l'ebbi colpito, ma mi colpirono quasi allo stesso modo di come lo colpì io con l'arma i suoi occhi. Eran come quelli d'un bambino, che d'un tratto si affaccia al mondo reale e perde tutta la sua innocenza, cascando dalle nuvole.

    E io sentì il mio corpo trafitto da mille lance per quell'occhiata così languida e così infantile. Avevo ucciso un vecchio o avevo ucciso un bambino? Sputò sangue su di me, parecchio, rantolando e cercando aria con la bocca. Dovevo avergli trafitto la gola. Qualche minuto d'agonia e si accasciò al suolo, con gli occhi spalancati in quella maledetta espressione di sorpresa così... così... ingenua... Mi sentì invaso da una profonda melancolia, tutt'avvolto come dal velo sinistro delle Eumenidi, le figlie della Notte che torturavano un assassino fino a farlo impazzire, secondo giustizia divina.

    Non riuscivo a staccare il mio occhio dal cadavere, in una pozza di sangue, la barba rossa, in posizione quasi fetale. Poi arrivarono Marcello e tre legionari al suo seguito, sporchi di sangue e di polvere. Avevano la stessa aura di tristezza negli occhi, la potevo vedere, la potevo sentire. E tutto dopo che uccisi quel vecchio... ma chi era costui la cui morte emanava energia negativa da calare un velo tale che poteva ottenebrare anche chi non sapeva nulla dell'assassinio? Il console si precipitò sul cadavere, buttando via il suo elmo crestato. Rimase chino su di esso, chiudendo a la salma le palpebre con l'indice e il medio. Poi il mio ultimo ricordo sono i Legionari che sguainavano verso di me i gladi e il console Marcello che m'additava urlando.
    "Giustiziatelo! Ha ucciso Archimede, il genio di Siracusa!"
     
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  2. Dulaan
         
     
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    Wow, bella :siga: è possibile che l'avessi già letta? mi ricorda qualcosa? :siga:

    Molto figa l'interpretazione del fatto dal punto di vista dell'assassino e (tranne all'inizio) non hai usato molto quello stile troppo elevato che non mi piace affatto :sese:

    Sai già qual è il tuo premio, puoi ritirarlo quando vuoi <3
     
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  3. Cavagar
         
     
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    Forse, è tipo un anno che l'ho scritta '-'

    Grazie aNore, lo ritirerò quanto prima <3
     
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  4. Afaneia
         
     
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    Ammiro moltissimo la tua conoscenza di questo pezzo di storia, però il tuo racconto non mi è piaciuto molto, in parte perché non condivido il tuo stile. Mi è piaciuto il menzionamento di Archimede, anche se avresti potuto citare la sua frase "Non cancellarli" riferito ai suoi disegni nella polvere. Ma questa è una sciocchezza, comunque.
    Più che altro (per quanto io non voglia assolutamente permettermi di correggere il latino a una persona certamente più grande di me) ci sono alcune cose che non mi tornano tanto (non ti offendere, ti prego, sono solo miei dubbi). Per esempio: utilizzi la forma "senatus" latina, ma per coerenza avresti dovuto usare anche la forma "res publica", più che altro perché sono nella stessa frase. La frase "i nostri castrum" non tornerebbe meglio come "i nostri castra", plurale? E infine, questo:
    "tutti i flagelli...furono ideati da egli". Ma egli non può essere usato solo in funzione di soggetto?
    Beh, a parte questo, la tua storia è indubbiamente ben scritta, anche se a me non è piaciuta molto. Ma ci tenevo a farti avere anche il mio parere ;)
     
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  5. Cavagar
         
     
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    Non è la prima volta che dai un parere del genere e, lo sai, io adoro le critiche mosse così, più dei complimenti ^^

    Nel lingusggio letterario "Egli" si usa anche come pronome dimostrativo (come fa il Boccaccio, pur non volendomi elevare a tale grandezza eh ^^)

    Per il Latino, il Senatus l'ho voluto menzionare come luogo di potere anche esecutivo, e, visto dal Legionario, come luogo di "illuminati". Per i Castrum/a non ho scuse, ma farò ricerche ^^

    Il "Non li cancellare" ho deciso di ometterlo perchè avrebbe rotto l'indifferenza di Archimede verso il soldato... spero d'essere stato esauriente ^^
     
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  6. Afaneia
         
     
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    Grazie delle tue risposte, le ho trovate esaurienti, a parte la seconda, che non ho capito bene: io mi riferivo solo al fatto che mi sembrava incoerente utilizzare nella stessa frase un costrutto latino e uno italiano, quando entrambi potrebbero essere resi nella stessa lingua (per intendersi, o tutto in latino o tutto in italiano).
    Comunque grazie di aver impiegato il tuo tempo a rispondermi, molti autori non lo fanno reputando che i lettori o devono osannare la storia, o devono stare zitti. ;)
     
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  7. Cavagar
         
     
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    Allora non sono scrittori ._.

    Mi son spiegato male (ancora xD)
    Intendendo il Senato come luogo di illuminati, voglio dargli un'impronta di maggiore rilevanza, quindi pensavo il Latino stesse bene ^^ Piuttosto, come mai non ti piace?
     
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  8. Afaneia
         
     
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    Grazie per la spiegazione, ora ho capito meglio.
    Comunque, non l'ho apprezzata molto perché, come avevo accennato più sopra, non condivido molto il tuo stile: lo trovo un poco pesante e in qualche modo artificioso, non so come dire...non intendo dire che scrivi male (sarei l'ultima persona al mondo a poterlo dire) ma che trovo il tuo stile un po' pesante. È come se non riuscissi mai a capire dove vuoi andare a parare, in un certo senso...
     
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  9. Dulaan
         
     
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    CITAZIONE (Afaneia @ 30/11/2011, 12:40) 
    Grazie per la spiegazione, ora ho capito meglio.
    Comunque, non l'ho apprezzata molto perché, come avevo accennato più sopra, non condivido molto il tuo stile: lo trovo un poco pesante e in qualche modo artificioso, non so come dire...non intendo dire che scrivi male (sarei l'ultima persona al mondo a poterlo dire) ma che trovo il tuo stile un po' pesante. È come se non riuscissi mai a capire dove vuoi andare a parare, in un certo senso...

    Quoto sullo stile :mke:
     
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  10. MarioRossiXD
         
     
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    Faiga chissà a che stava lavorando il buon vecchio Archimede... :gratt: comunque, a differenza degli altri, apprezzo enormemente il tuo stile, rende il lavoro molto professionale e si adatta perfettamente al protagonista :zizi:
     
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  11. Cavagar
         
     
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    Ho letto da tempo, ma ci tenevo a rispondere e purtroppo ho trovato solo ora il tempo per farlo.

    Il mio stile può sì risultare pesante, è una mia limitazione, ma innanzitutto è lo stile che mi viene più naturale, essendo tutte le mie letture al massimo tardo ottocentesche, le quali sono scritte con lo stesso stampo (ma infinitamente migliori).
    Inoltre penso che questo stile, col tempo e con l'esperienza che ancora non posseggo, dall'essere un po' troppo artificioso, possa diventare qualcosa su cui puntare.

    Senza contare che io scrivo principalmente poesie e la prosa l'ho esplorata in vita mia poco e niente, quindi ho tanto ancora da imparare.
     
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