Votes taken by o.O.o

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    eeeeee....Benvenuto
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    Io e il mio ragazzo abbiamo comprato una vecchia casa. Lui si occupa della “nuova” costruzione – convertire la cucina nella camera da letto per esempio – mentre io mi occupo di rimuovere la carta da parati. Il precedente proprietario ne ha ricoperto ogni parete e soffitto! La rimozione è brutale, ma stranamente soddisfacente. La miglior sensazione la dà fare un lungo strappo, come con la pelle quando ti spelli dopo una scottatura. Non so voi, ma quando la stacco faccio una specie di gioco, cerco di creare una striscia più lunga possibile prima che si rompa.

    In una sezione d'angolo sotto la carta di ogni stanza c'era il nome di una persona e una data. La mia curiosità ha preso il sopravvento quando una notte ho cercato su Google uno dei nomi e ho scoperto che era una persona scomparsa e che la data della sparizione coincideva con quella sotto la carta da parati! Il giorno dopo, feci una lista di tutti i nomi e le date. Com'era prevedibile, ogni nome apparteneva a una persona scomparsa e tutte le date corrispondevano. Informammo la polizia che naturalmente mandò una squadra investigativa.

    Sentii uno dei tecnici dire “Già, è umana.”

    Umana? Cos'era umana?

    “Signora, dov'è il materiale che avete già tolto dai muri? Non è carta da parati quella che avete rimosso.”



    Edited by DamaXion - 18/12/2016, 14:35
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    Quando si risvegliò, si ritrovò rinchiusa in una teca di vetro grande a sufficienza da permetterle di stare in piedi. La vetrinetta si trovava al centro di una stanza con una ventina di spettatori che vagavano per essa e osservavano l'interno di altre teche contenenti esseri umani. Mise le mani a coppa sulla superfice, appoggiò la faccia su di esse e strizzò gli occhi per scorgere la persona dentro la vetrina accanto a lei. Era appesa nuda a una corda che penzolava dalla cima della teca, palesamente morta. Guardò in basso e vide una piccola targa sul fondo che diceva "Morte per impiccagione". "Che magnifico pezzo d'arte", sentì dire da uno spettatore che la osservava.

    Si guardò attorno per la stanza, rivolgendo lo sguardo verso le altre vetrine che contenevano esseri umani. Una era colma di ratti che rosicchiavano un corpo, in un'altra c'era un cadavere che galleggiava in acqua e in un'altra ancora era difficile da distinguere a causa del gas che la riempiva. Alla fine sprofondò nel panico e iniziò a battere i pugni sulla teca, ma soltanto un ospite le rivolse lo sguardo per poi voltarsi, non interessato. Smise di dare colpi quando uno spettatore si avvicinò alla teca e la fissò nello stesso modo in cui un turista guarda la Gioconda. Lo spettatore abbassò lo sguardo alla targhetta sulla sua vetrina e lei lo sentì dire "Morte per inedia".



    Edited by DamaXion - 18/12/2016, 19:12
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    Eccoli arrivare di nuovo, i coraggiosi. Un'altra notte di Halloween e i bambini sono tornati qui per provare la loro audacia. Il pavimento della vecchia casa scricchiola sotto le loro scarpe da ginnastica.

    Mancano solo trenta minuti a mezzanotte, quindi devo agire in fretta. Inizio con la loro torcia, soffio leggermente su di essa per farla sfarfallare, ma non provoca altro che una risatina nervosa.

    Quindici minuti alla mezzanotte. È tempo di portare le cose a un altro livello. Fluttuo fino al soffitto e tramuto il mio corpo in carne. Sento ogni mio nervo andare a fuoco, ma non mi hanno lasciato scelta. Mi sforzo di far colare delle gocce di sangue dal naso, ma i ragazzini sotto di me non lo notano. Do dei colpi sul soffitto, ma non alzano neanche lo sguardo.

    “Credevo che questo posto fosse infestato”, dice il capo. “Che razza di scherzo.”

    Mancano cinque minuti a mezzanotte. Il tempo sta per scadere. Con le mie ultime forze, urlo così forte che finalmente si voltano verso di me. Mi piace pensare di aver fatto un ottimo spettacolo: penzolo da un cappio invisibile e il sangue mi sgorga liberamente dalle narici. Un paio di gocce colpiscono uno smilzo con i capelli a spazzola. I ragazzi urlano e scappano nella notte, appena in tempo.

    Sotto di me, sento la Cosa scuotersi, il suo disappunto è evidente. Dorme, per ora. Ma un giorno fallirò. I ragazzi saranno troppo coraggiosi e io non li spaventerò in tempo. Un giorno la risveglieranno.



    Edited by DamaXion - 18/12/2016, 14:38
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    Cosa succede se una vampira usa un dildo d'argento?
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    La piccola Emily è scomparsa l'anno scorso. Stanno versando la malta per dei nuovi selciati nel mio quartiere e ho trovato il suo nome nel cemento fresco, scritto in sua memoria. Ma è stato scritto in senso inverso. E da sotto.

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    Un suono ti fa svegliare, sembrava come un bussare alla tua porta d'ingresso. La mezzanotte è ormai passata da un pezzo, sei sdraiato sul divano con la tv sullo statico. La casa è al buio, le luci sono spente. Sei del tutto solo. Guardi fuori dalla finestra, vedi che c'è la luna piena, la sua luce brilla attraverso il vetro.

    Ti alzi e ti dirigi verso l'ingresso. Guardi dallo spioncino. Non c'è nessuno. Apri la porta. Non trovi nessuno. Ti affacci sul portico e guardi in entrambe le direzioni. Ancora niente. Forse i bambini ti stanno facendo uno scherzo.

    Seccato, chiudi la porta, spegni la tv, chiudi la finestra e sali le scale per andare a letto a dormire.



    Edited by DamaXion - 18/12/2016, 19:13
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    Io e il mio collega ci guardiamo l'un l'altro. Posso dire che stiamo pensando la stessa cosa e scoppiamo in una serie di risate incontrollabili. Entrambi abbiamo impiantato il chip del Samaritano.

    Il chip del Buon Samaritano è stato acclamato come la rivoluzione tecnologica più incredibile che il mondo abbia mai visto. Con oltre un miliardo di impianti nel mondo e sempre più appuntamenti prenotati ogni giorno, è sicuramente il progresso tecnologico più popolare degli ultimi anni.

    I chip sono progettati per attivare i recettori del piacere nel tuo cervello, portandoti a uno stato costante di felicità ed euforia. Puoi vedere persone camminare per strada con un largo ghigno idiota o che scoppiano a ridere nei loro giardini per le cose più semplici. Tutti ne hanno uno, così alla fine ho deciso di farmelo impiantare anche io.

    Quello che non ti dicono a proposito del chip è che attiva anche i ricettori del dolore. Vivo in uno stato di agonia costante. Provo a urlare, ma tutto ciò che viene fuori è una risata. La mia faccia è contorta permanentemente in un sorriso.

    Io e il mio collega ci guardiamo l'un l'altro, dei larghi sorrisi ricoprono le nostre facce. Posso dire che stiamo pensando la stessa cosa e scoppiamo in una serie di risate incontrollabili.



    Edited by DamaXion - 18/12/2016, 19:17
  9. .
    Ti diranno che non sono esseri umani.

    Si sbagliano.

    Ma tu gli crederai.

    I trapianti d'organi erano una faccenda seria. Solo i pazienti nelle condizioni più disperate potevano ricevere un trapianto e l'operazione poteva portare a seri effetti collaterali, e certamente avevano una parcella enorme. Nella seconda metà del Ventunesimo secolo, tuttavia, il miracolo del progresso medico e biotecnologico rese i trapianti d'organi più economici, sicuri e convenienti. Possono essere eseguiti alla clinica locale per poche centinaia di dollari.

    Ora non sono solo i pazienti gravemente malati a usufruirne. Non avete una vista perfetta di 20/20? Fate un salto alla clinica locale e scambiate i vostri occhi con un nuovo paio. Rimanete spesso senza fiato o sentite come se i vostri polmoni non sono più quelli di una volta? Potete prendere anche un paio di questi alla clinica. Alcune persone hanno annunciato la nuova era dei trapianti come una "fonte della giovinezza", offrendo la possibilità di riportare il corpo di un individuo a com'era da giovane. Non vorrei esagerare, ma è senza dubbio il progresso più importante in campo medico di questo secolo.

    Fu la Evertech Corporation a renderlo possibile. Idearono le tecniche che resero i trapianti chirurgici le procedure sicure e poco costose che sono oggi. La nanobionica fu la chiave. Ma si imbatterono in un nuovo problema: la mancanza di donatori. Semplicemente non possedevano le scorte di cui avevano bisogno e far crescere dei nuovi organi da zero si dimostrò un problema di ricerca irrisolvibile.

    Ma poterono far crescere da zero nuovi esseri umani.

    E così fecero. Usarono la nanotecnologia e la biologia molecolare per assemblare zigoti artificiali, creando l'ambiente perfetto e camere di incubazione per poterli dividere, farli crescere e sviluppare in infanti. Infanti che divennero bambini, bambini che divennero adulti. Ma queste persone non vengono riconosciute dalla legge come tali e sono propietà della Evertech. 3,3 milioni di essi in tutto, imprigionati in campi sparsi in tutta la contea, inviati regolarmente nei centri di raccolta per estrarre i loro tessuti, segmenti di fegato, polmoni, reni o occhi.

    La Evertech riduce i costi il più possibile. Gli elementi difettosi vengono distrutti. Non spendono neanche i soldi dell'anestesia. Possono usare al suo posto un paralizzante più economico. Perché preoccuparsi di creature non umane?

    Ti diranno che non sono esseri umani.

    Si sbagliano.

    Ma tu gli crederai.

    Perché è conveniente.




    Edited by o.O.o - 26/5/2016, 15:11
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    Il mostro giù in soffitta
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    La cultura cinese è davvero una cosa strana. Lo scoprì con l'arrivo del suo Primo figlio, mentre fuoriusciva urlando e gemendo dal suo ventre, con delle minuscole dita ancora non formate del tutto che graffiavano al suo interno. I dottori e le infermiere si erano radunati attorno, strani e deformati nella sua confusione mentale dovuta agli antidolorifici, blaterando cose che non era in grado di capire. Si ricordò di aver rabbrividito, madida di sudore pruriginoso che trasformò il suo camice ospedaliero rosa pallido in una tinta di rosso carminio. Lasciò che le congratulazioni le scivolassero di dosso, le esclamazioni eccitate di suo marito la trattenevano dal sonno di cui aveva un estremo bisogno, punzecchiandola, richiamando la sua mente lontana e stanca. Era il suo turno di stringere il bambino, cullandolo dolcemente più veloce che poteva, prima di darlo in braccio a qualcun altro, ringoiando il vomito che le ostruiva la gola, tentando di raddrizzare la stanza che girava in tondo con tutta la forza di volontà. E poi, gliela gettarono sul grembo.

    Le sue urla di disgusto riempirono la sala operatoria sterile, spingendo i bambini dormienti a emettere i loro primi gemiti. Si guardò intorno, in cerca della fonte di quell'oltraggio e i suoi occhi incontrarono due pupille assonnate davanti a lei, un volto dietro una mascherina chirurgica. Era un uomo basso, vestito con un camice d'ospedale blu; teneva le sue lunghe dita incrociate all'altezza dei fianchi, le sue sopracciglia suggerivano ci fosse un sorriso nascosto dietro la mascherina di cotone bianco. Un lungo silenzio regnò nella stanza, rotto solo dal pianto insistente del neonato e dal lieve ronzio del condizionatore. Gli occhi viaggiavano avanti e indietro dalla rossa massa pulsante di carne insanguinata sul suo ventre al dottore smunto in piedi a una trentina di centimetri di distanza dal suo letto.

    -Mangia. Ti fa bene.
    -Ma… Perché cruda?
    -Mangia! Farà bene a te e al bambino.


    Ryan se ne stava semplicemente lì, con un sorriso forzato stampato sulla faccia. Non disse nulla. Non l'avrebbe fatto. Lui credeva in questa assurdità cinese. Le si avvicinò, una mano fluttuò attraverso lo spazio vuoto tra di loro, e prese la sua. Gliela strinse, una volta. La sua altra mano tremava mentre raggiungeva il vassoio di metallo malridotto, scivolò leggermente avvicinandosi all'ammasso di sangue e riuscì alla fine a raggiungere l'organo viscido, e lo afferrò. Si schiacciò nella sua stretta. Da esso colarono piccole scie di sangue, scivolando tra le sue dita e ritornarono sul piatto, fondendosi con la sinfonia del silenzio di attesa nella sala operatoria.

    L'odore era disgustoso. Ripugnante. Sapeva di sangue fresco, di carne marcia, di vecchi stracci impregnati di aceto. Odorava come di pesce fresco sventrato e sbattuto con un cucchiaio. Ci volle tutta la sua forza di volontà per non rimettere ancora e ancora, di mantenere il vomito nel profondo della sua gola, per deglutirlo. Degli occhi la stavano osservando. In attesa. Doveva farlo. Doveva. Per il bambino.

    Aprì la bocca. Due centimetri. Quattro. L'avvicinò sempre di più, avrebbe giurato che stesse pulsando nelle sue mani, una singola volta, mentre l'accostava ai denti. Il tanfo invase le sue narici, penetrando verso l'interno come una lancia accuminata, ed ebbe un conato, sussultando in avanti. L'ammasso di carne si contrasse ancora, scivolando dalla sua presa e cadde sul vassoio, facendo schizzare dei rivoli di sangue sulla sua faccia dandole la sensazione di liquido freddo che le colava sulle guance. Ancora, nessuna pietà, nient'altro che lo stesso silenzio d'attesa.

    La riprese in mano e la mise davanti alla sua faccia. Le sue lacrime di disgusto si mischiarono con il sangue che le colava dal viso. Rivolse lo sguardo a quella massa di carne che la forzava a fare questo e scoprì che l'odiava. Che stranezza. E, non appena provò questa nuova emozione, quasi inconsapevolmente, involontariamente, diede un morso alla placenta.

    Ormai sapeva che cos'era, sapeva fin dall'inizio che doveva mangiarla, che era una consuetudine. Dopo averlo scoperto, desiderò che non lo fosse stato, che avesse una voce in capitolo. La placentofagia, la pratica di mangiare la placenta, si diceva aiutasse a combattere la depressione postpartum, contraendo l'utero dopo la nascita e restituendole la fonte di vita che aveva espulso. Così aveva detto il medico. Lei non voleva ancora farlo. Pensò che sarebbe stato disgustoso.

    Non fu così. Come i suoi denti si chiusero sulla carne rosso-livida dell'organo, rompendo la pelle tesa e penetrando nella carne cedevole sottostante, provò invece un'estasi. La sua mente si infranse dietro ondate di piacere che viaggiavano verso i suoi centri nervosi, innescando un'esplosione fulminea che dalla sua bocca arrivò fino al cervello quando quel sapore perfetto riempì le sue papille gustative. Aveva trovato il paradiso, scoperto nell'organo del proprio figlio, in quella che era essenzialmente parte di sé stessa. Tutti i pensieri sul cannibalismo scomparvero dietro l'ondata crescente di sangue che soffocava la sua gola e tutto il suo disgusto venne mitigato nell'apice del momento. Era, ancora una volta, completa. Avidamente, divorò il resto della placenta, ogni morso le mandava dei fremiti e dei brividi lungo la schiena, causandole un piacere orgasmico che sconquassava il suo corpo debole e stanco. Alla fine riusciva appena a muoversi, ma il sorriso che aveva stampato in faccia andava da un orecchio all'altro. Non si era mai sentita meglio.

    I complimenti che eruppero sbiadirono in secondo piano. Tutto lo fece.

    In seguito si sentì imbarazzata, ovviamente, quando Ryan la prendeva in giro su quanto davvero sembrasse essergli piaciuto il pasto dopo il travaglio. Lei non aveva avuto il coraggio di dirgli che aveva ragione. Non disse a nessuno degli aculei di sconvolgimento che le erano penetrati nel petto, che avevano acceso un fuoco dentro di lei e l'avevano fatta impazzire. Non poteva. Invece, si limitò a sorridere e a scuotere la testa, prendendo in giro il marito a sua volta, buttando lì qualche argomento di conversazione mentre cercava di cancellare il ricordo dalla sua mente, per dimenticare il piacere che aveva provato, per tenere lontana la fame.

    Ma essa ritornò alcune settimane più tardi, lacerandola all'interno con puro, esasperante desiderio. Lo bramava, ne aveva un estremo bisogno, più disperatamente di qualsiasi cosa avesse mai sentito la necessità. Si chiuse in sé stessa, cercando di controllare i suoi istinti, di incatenare la bestia, ma fu inutile. Ryan pensò soffrisse di depressione post-natale, glielo chiese gentilmente. Che cosa poteva dire? Continuò a restare in silenzio.

    Andò avanti così, per giorni, settimane. Cullava il bambino con fare assente, ignorando i suoi pianti mentre lei interiormente urlava, sovrastando i gemiti acuti con le sue preghiere disperate affinché la follia, la fame, si fermasse. Andò avanti, finché arrivò il giorno in cui non ce la fece più.

    Era da sola quel giorno, Ryan doveva essere andato fuori a bere con i suoi amici. Era da sola con il bambino, a sfamarlo con il suo prezioso latte, resistendo al dolore pungente che traffigeva il suo seno mentre il bimbo affamato le lacerava il capezzolo. Il suo liquido vitale sgorgava sporadicanente, piccole gocce macchiavano il mento del mostro affamato, minute quantità di sangue che venivano bevute dalla tenera carne mischiate con il latte. Fissò il bambino, trasfigurando mentre se lo chiedeva. E se la sua fame… e se? Non ebbe tempo di pensarci, il prurito dietro la testa era ricominciato, assieme al dolore alla bocca e all'oppressione al petto. Allungò la mano sinistra, con la destra cullava ancora il bambino, stringendolo a sé, intrappolandolo per negargli un posto in cui scappare. Le sue dita si chiusero sulla tenera gamba carnosa del neonato, spingendola verso l'alto con lentezza agonizzante. Il bambino continuava a succhiare da lei, a prosciugarla.

    Si chiese per un istante se non fosse una sorta di giustizia poetica quando i suoi denti morsero la pelle bianco latte, i canini perforarono l'epidermide e la carne si fece strada nella sua bocca. Il bambino iniziò a urlare, il dolore stava facendo impazzire la sua minuscola mente, ma lei non l'avrebbe lasciato andare. Non poteva. I suoi denti erano già arrivati a metà strada, la mandibola leggermente premuta contro la parte sanguinante della carne del neonato. Non riusciva a fare altro che mordere sempre più forte, i suoi denti macchiati di giallo diventarono rossi mentre il sangue le scendeva lungo la gola e le riempiva la bocca. Le vennero le lacrime agli occhi e la sua stretta si rafforzò. L'ammasso di carne guizzante pianse, dimenandosi, ma non poteva scappare da lei. Alla fine, i denti si ricongiunsero, lacerando la carne prepubescente con un risucchio per poter strappare la parte restante con un leggero scatto. Strappò via il suo premio dal bambino, masticando con una furia nata dalla desperazione. Masticò e masticò, il sangue schizzava dalla bocca e sul mento, sgocciolando bolle di saliva sui suoi vestiti. Masticò finché non realizzò… che non era quello di cui aveva bisogno. Con orrore, sputò davanti a lei ciò che aveva in bocca, ciò che quella massa rosa gorgogliante che cadde dalla sua lingua era in realtà, e lei urlò, per la sua prima volta, a pieni polmoni.

    In seguito lei spiegò che fu un cane randagio ad aver morso il bambino mentre lei lo stava portando di sotto al pianerottolo e che il sangue era finito sui suoi abiti dopo averlo portato di corsa all'ospedale. Pianse, con le lacrime che scendevano sulle guance macchiate di sangue, tra le braccia di Ryan, singhiozzando disperata in quello che il marito pensò fosse sollievo, ma che in realtà lei sapeva essere frustrazione. Aveva bisogno di qualcos'altro, qualcosa di più. Aveva bisogno di ciò che aveva assaporato allora, ciò che le aveva fatto venire quella fame. Aveva bisogno della placenta, il taglio di prima scelta.

    Provò a fare qualche ricerca, cercandola online. Riuscì a trovare solo placente animali, pillole e facsimili secchi per cui non provava nessun interesse, nessun desiderio. Acquistò tranci di carne cruda, di nascosto da Ryan, dal suo bambino, che ora giaceva su un lettino in convalescenza. La divorò sul lavello. La sputò nel cestino dei rifiuti. Non andava bene. Aveva bisogno di quella autentica.

    Ed ecco perché lei si trovava lì ora, a intrufolarsi dentro l'ospedale alle due di mattina, percorrendo i corridoi dando occhiate furtive alle sue spalle. Girò a sinistra. Due volte a destra. Il reparto maternità era proprio là davanti. Riuscì ad arrivare fin lì senza essere vista da nessuno, contro tutti i suoi desideri e speranze, non era stata beccata. Si immaginò cosa sarebbe successo se si fosse imbattuta in un'infermiera, se l'avessero scoperta. Il sollievo le sarebbe calato addosso, la follia e l'oscurità si sarebbero evaporate dietro il tocco rassicurante d'umanità, soffocate dai lacci costrittivi della camicia di forza. E invece no, si ritrovò davanti la porta, i nodi del legno laminato ricambiavano il suo sguardo mentre le sue dita si appoggiarono alla maniglia. Entrò.

    Ryan pensava stesse passando una notte fuori a guardare un film e per prendersi una pausa dall'accudire il bambino. Era a casa, si era addormentato davanti la TV mentre di tanto in tanto faceva dondolare la culla. Ed ecco lei dov'era, a mettere un cuscino sulla faccia di una donna sconosciuta, premendolo verso il basso mentre lei agitava le braccia cercando di liberarsi. Il corpo della donna, giovane e snello eccetto che per la pancia gonfia che conteneva suo figlio, lottava e si opponeva alla sua presa, ma lei teneva duro, premendo le braccia verso il basso con una forza che può venire solo da una fame insana. Il monitor si scosse sul tavolo, i cavi scollegati si sparpagliarono sul pavimento, il letto tremò per le convulsioni della donna morente. La stretta sul cuscino si alleggerì mentre la donna lottava con sempre minor energia, finché alla fine, le braccia agitate caddero mollemente ai lati del letto. La stanza era silenziosa, eccetto che per i suoi ansimi, intervallati da scuse biascicate e brontolii dello stomaco.

    La sua mano afferrò saldo il bisturi preso da una piccola camera adiacente. Le sue nocche erano bianche, quasi visibili nell'oscurità della stanza, e tremarono quando le sue dita si serrarono nel palmo. Si avvicinò al corpo. Mise la sua mano sopra la pancia prominente per sentire all'interno. Un tonfo. Sentì qualcosa muoversi, con un sussulto. Il figlio. La larva della donna. Era ancora vivo. Avrebbe dovuto provare rimorso in quel momento, dato che poteva andare bene prendere una vita, ma con due aveva oltrepassato un confine invisibile. Avrebbe dovuto odiarsi.
    Invece, alzò il bisturi, con un sorriso che andava da un orecchio all'altro che le tinse le gote di rosso, rimanendo ferma per qualche istante e tremando nell'attesa. E lo calò verso il basso, preparandosi a mangiare ancora una volta.



    Edited by o.O.o - 19/5/2016, 08:59
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    In una catena montuosa brulla nel nord dell'Europa c'è una caverna isolata.

    In fondo a essa c'è una larga cavità che sembra sia stata usata per antichi rituali. Le pareti del locale quasi circolare sono fittamente ricoperte da pitture rupestri. Al primo sguardo, sembrano molto simili a quelle trovate in altre caverne di quella parte d'Europa, dipinte in rosso e marrone ocra.

    Guarda con attenzione, però, e vedrai che le figure ritratte più comuni non sono del tutto umane. Sono umanoidi, ma un po' ricurvi, e mentre è difficile esserne sicuri a causa dello stile artistico primitivo, ogni figura sembra avere sulla sua testa due piccole corna coniche e un accenno di una coda.

    Osserva con ancora più attenzione e troverai alcune figure umane disegnate in maniera più tradizionale. Esse vengono cacciate dalle altre, infilzate con delle lance, abbattute con asce di pietra. In alcune scene le figure cornute sembra stiano arrostendo degli esseri umani su delle fiamme vive o che banchettino con quelli che sembrano arti umani.

    Le pitture sono inquietanti, ma sono soltanto vecchi disegni. Le scene che rappresentano sono avvenute innumerevoli anni fa, ammesso che siano veramente accadute. Un viaggiatore determinato in cerca di riparo da una tempesta potrebbe decidere di ignorare le pitture e accamparsi. Potrebbe anche accendere un fuoco.

    Al centro della sala si trova un'antica buca per il fuoco, leggermente rialzata su un monticello naturale. Se dovesse essere acceso un fuoco in quel luogo, verranno gettate sulle pareti dipinte delle ombre tremolanti. Per molti, vedere la propria sagoma sovrapposta a quelle raffigurazioni macabre sarà l'ultima goccia, portandoli a tentare la sorte all'esterno con la neve.

    Altri rimaranno.

    A volte, non accadrà nulla. Questi escursionisti fortunati usciranno la mattina successiva, pallidi dopo una notte piena di incubi che ricordano a malapena, ansiosi ma vivi.

    Altre volte, delle ombre si muoveranno su quelle pareti, ombre non prodotte da nessuno presente nella grotta. La luce ondeggiante del fuoco sfocherà i loro contorni, rendendole difficili da distinguere, e qualche osservatore potrebbe credere che siano un effetto ottico della luce. Guarda attentamente però e vedrai che le ombre assomigliano a delle figure ingobbite, probabilmente con piccole corna e forse con una coda tozza appena accennata dietro di loro.

    Queste figure graviteranno verso l'ombra di coloro che hanno trovato riparo nella grotta. Potrebbero apparire per presentarsi sopra i loro corpi dormienti. Potrebbe sembrare che stringano delle armi, come lance o asce grezze.

    Spesso, un viaggiatore solitario rifugiatosi nella caverna non verrà mai più visto né sentito. Il suo destino rimarrà sconosciuto.

    Tuttavia, coloro che viaggeranno in gruppo verranno svegliati dalle urla nel cuore della notte. Si metteranno a cercare la fonte delle grida e scopriranno che uno di loro è scomparso e il suo sacco a pelo è vuoto. Se dovessero posare lo sguardo sul punto giusto della parete, potrebbero vedere le ombre fluttuanti di figure che non sono presenti nella sala, o perlomeno che non sono visibili.

    Il fuoco sarà basso e rosso, quindi le ombre saranno deboli e sfocate, ma sembrerà che una sagoma che si dibatte venga colpita e trafitta da più assalitori e poi portata via, lontano dal cerchio di luce delle fiamme.
    Le urla si affievoleranno lentamente, sembreranno venire risucchiate dalla roccia stessa.

    E quella sulla parete l'indomani mattina è una nuova pittura rupestre? Certamente no - la tintura con cui è stata dipinta è tanto antica e asciutta quanto tutte le altre. No, no, quel disegno di un uomo che viene sventrato da figure cornute deve essere sempre stato lì.




    Edited by DamaXion - 18/12/2016, 14:18
  13. .
    N: Per una corretta alimentazione, bisognerebbe mangiare _ almeno una volta al giorno
    N: Il nuovo supereroe della Marvel si chiamerà _ e il suo potere sarà _
    N: Il terzo segreto di Fatima in realtà riguardava _
    N: Ai giovani d'oggi servirebbe proprio una sana dose di _
    N: La mia passione è collezionare _

    B: L'arnese di Paki
    B: Bambini a due teste di Chernobyl
    B: La vecchia di Titanic
    B: Banane che vibrano
    B: Incollarsi un dildo sulla fronte e andare in giro urlando: "Sono un unicorno!"
    B: Sodomizzare mobili da giardino
    B: Annegare cuccioli di cane nella lavatrice facendo attenzione a separare i bianchi dai colorati
  14. .
    Sentì come se i suoi polmoni fossero sul punto di cristallizzare, l'aria rarefatta e gelida raschiava nelle membrane essiccate come se stesse cercando di respirare un aerosol di lana d'acciaio. Dondolò, ondeggiando per un istante prima di infilzare il piccone nella liscia parete di ghiaccio con un'imprecazione soffocata di rabbia e vittoria. Alla fine, lo scalatore sapeva che era tutta colpa sua. Si era rifiutato di prendere la strada conosciuta e facile, voleva esplorare le parti più remote della catena montuosa… il che era andato bene finché non si era imbattuto nella superficie liscia e lucida di un ghiacciaio.

    Bestemmiò, piantando un altro chiodo e allungandosi per avere un altro punto d'appoggio nel ghiaccio trasparente. La neve lo aveva intrappolato subito dopo che aveva iniziato ad arrampicarsi e ora si trovava in mezzo a una coltre di nebbia e una forte nevicata. Era convinto che la parete del dirupo fosse alta circa sessanta, forse novanta metri dal suolo, ma aveva l'impressione che quella distanza l'avesse superata ore prima. Guardando attraverso gli occhiali ricoperti di brina, continuò la scalata, spingendosi su e su… sempre più in alto, con sempre più parete da scalare.

    Cercò di aggirarla, ma trovò altre pareti identiche, una serie di cime ghiacciate disposte a distanze regolari, intervallate da gole ricolme di neve al punto da renderle impraticabili. Al di là di esse c'era una grande vallata, con una serie di vette e pendii che lo scalatore non aveva mai visto né sentito nominare. Sorrise, digrignando i denti sotto la sciarpa resa rigida dal ghiaccio, di come gli altri si sarebbero mangiati il fegato sapendo che lui era stato il primo, per una volta. Il primo a scoprirlo, il primo a scalarlo… diamine, era piuttosto remoto, forse avrebbe anche avuto un picco col suo nome.

    Perso in pensieri di rivalsa, agitò il piccone colpendo l'aria e perse quasi l'equilibrio, avendo inaspettatamente raggiunto la cima della montagna. Posò lo sguardo su una vasta piana perfettamente piatta, osservando con muta meraviglia mentre la sua mente cercava di concepire quella vista, prima di emettere un grido esausto e arrampicarsi per salire in cima al dirupo. Come se stesse finalmente capitolando alla sua ambizione caparbia, la tormenta iniziò a cessare e fu in grado di intravedere la parete lucida e vertiginosa della vetta che aveva scalato. Da lassù, sembravano almeno centoventi metri, lucidi e vuoti come uno specchio dipinto. Si voltò indietro per gridare al mondo la sua vittoria. L'urlo morì lentamente sulle sue labbra mentre le nuvole continuavano a diradarsi e gli fu più chiaro dove si trovava.

    Era in piedi sulla cima di un gigantesco pilastro, alto almeno centoventi metri, che terminava in un altopiano scosceso che si estendeva per quasi quindici metri. Il vento aveva da tempo spazzato via la neve da quella vetta e lasciato una massa di ghiaccio brulla e ricoperta di solchi. Continuava a guardarsi attorno, confuso, chiedendosi quale strano scherzo della natura avesse fatto innalzare un tale picco sul limitare di un ghiacciaio. Ancor più sorprendente, sembrava non essere una coincidenza isolata. Altre tre schegge di ghiaccio quasi identiche protendevano verso il cielo in fila indiana, le cime inclinate scendevano rapidamente in altre, anche se non altrettanto lucide, pareti dalla superfice liscia. Gli occhi dello scalatore seguirono i dirupi… la successione di colline innevate… la serie di picchi e vallate stranamente ammassate alla base di quella vasta conca geologica. La fissò e la esaminò ancora, seguendo le linee… poi all'improvviso urlò, portandosi immediatamente le mani al volto per coprirsi la bocca, prima di iniziare una discesa quasi suicida giù per il precipizio, che terminò in una marcia forzata verso casa che gli costò quattro dita dei piedi, uno della mano e l'uso parziale di un polmone.

    Non scalò mai più nulla, si ritirò dallo sport senza dire una parola. Divenne un fantasma, un racconto di ammonimento su un uomo distrutto dalla montagna. Parlò a pochi e ad ancora meno riguardo ciò che accadde in quell'ultima arrampicata. Soltanto un uomo ottenne mai qualcosa di più di qualche monosillabo o di uno sguardo fisso dallo scalatore sconfitto. Era giovane e affascinato dai racconti dei vecchi alpinisti, dai sussurri di terrore degli Sherpa a proposito degli dei che dimoravano nelle cime più alte. Offrì da bere al vecchio scalatore abbattuto finché finalmente raccontò la storia del dirupo ghiacciato. Sgranò gli occhi, mentre parlava delle strane e immense caverne che aveva visto… dell'improvviso crollo roboante quando si era aperta una gigantesca crepa su una collina isolata, che si era allargata sempre di più, fino a inghiottire una montagnola di neve. Afferrò il ragazzo, sibillando la sua repulsione per cui fu costretto a scappare, costretto a ridiscendere quell'ignobile rupe un'ultima volta, per non fare più ritorno.

    “Non c'era traccia di ghiaccio, neanche un po'. Troppo morbido, a dir poco. Troppo cedevole al piccone, ragazzo…”

    “Era l'unghia di un dito.”




    Edited by o.O.o - 16/5/2016, 20:39
  15. .
    Guardare le nuvole sdraiati a terra è sempre un'esperienza che ti assorbe. La mente umana istruita vede le bianche nuvole maestose come semplici sbuffi di vapore acqueo cristallizzato e pulviscolo nella parte alta dell'atmosfera, ma nel profondo, rimane una scintilla primigenia di curiosità e meraviglia, come quella mostrata dalle scimmie più evolute e dai bambini molto piccoli. Questa scintilla non vede sbuffi di vapore e complesse formazioni cristalline, ma uccelli e animali e facce, carrozze e palazzi, intere montagne e fortezze in movimento nel cielo azzurro-blu.

    Dall'alto, questa sensazione non può che crescere. Quando qualcuno viaggia in un tubo d'acciaio instabile a diecimila metri dal suolo, librandosi nel cielo, la mente umana istruita lascia il posto a un senso di meraviglia fanciullesco. Sotto di te, un mare di nuvole si infrange e si increspa sulle spiagge di una terra lontana e forme vaghe di divinità arcane vanno alla deriva oltre il finestrino a triplo strato, dove tu sei sano e salvo in una cabina pressurizzata. E nel frattempo, esseri gassosi e indefiniti a cumulonembo guardano da lontano, con le loro cime a forma di incudine che crescono sempre di più fino ad arrivare nello spazio.

    Questo è ciò che dissi al mio vicino di sedile durante il volo delle due per Sydney, quando sollevai la tendina e rimasi estasiato dalla vista. Il volo fino a quel momento era stato privo di eventi significativi, l'unica cosa divertente era stata lo sfortunato incidente di Greg al check-in, così ogni distrazione dalla noia e dalla staticità all'interno dell'aereo era davvero la benvenuta per me.

    Greg, tuttavia, non condivideva il mio entusiasmo e il mio apprezzamento per tali meraviglie della natura e si limitava a rispondere con un grugnito prima di bere un lungo sorso di solo Dio sa cosa fosse riuscito a portare a bordo.

    Presto anche le nuvole smisero di intrattenermi e chiusi il finestrino proprio appena il velivolo virò verso sinistra sopra il Pacifico, cogliendo lo scintillio della luce del sole tra i pannelli di vetro. Da lì in poi, sono ricorso a sfogliare le riviste sull'aereo, giocherellare con il cellulare e fissarmi le mani per passare il tempo. Il tempo passò, non successe niente degno di nota e mi addormentai sul tavolino.

    Fu Greg a svegliarmi quando iniziarono i problemi. "Ehi. Ehi, amico." sussurrò, dandomi degli schiaffi leggeri per farmi svegliare. "Su, su, su. Il Capitano ha detto qualcosa su una brutta turbolenza, quindi rimetti a posto il tavolinetto, il telefono, il finestrino e tutto quanto. E chiudi la bocca."

    Mi sedetti esitante, strofinandomi il mento con la mano.
    "Quant'ho dormito?"

    "Secondo il fuso orario della costa occidentale, sono le sette e ventitré, quindi sono passate circa quattro ore. Credo che abbiamo passato la linea del cambio di data o qualcosa del genere, c'è ancora luce là fuori."

    Rimisi lo schienale del mio sedile in posizione verticale e diedi un'occhiata fuori dal finestrino. In effetti, una luce crepuscolare arancione passava attraverso la fessura. "Non credo che funzioni così il cambio di data, Greg." Comunque, la durata delle ore di luce era strana. Presi nota mentalmente di fare una ricerca una volta raggiunte una superficie solida e una connessione internet. Greg ovviamente non aveva mentito perché non appena sistemai il tavolino e il telefono, l'aereo cominciò a sobbalzare. Aprii il finestrino e mi trovai di fronte una vista veramente terrificante: il maestoso mare bianco era diventato nero e increspato, mulinando e agitandosi in silenti vortici e spirali. Il sole brillava ancora, ma stava splendendo attraverso un'apertura sulla sommità di una nuvola scura che sprizzava scintille, troppo vicina all'ala per restare tranquilli. Il vento doveva essere fortissimo, perché la nuvola non si muoveva senza meta, ma continuava ad avvicinarsi lentamente all'estremità alare. Per un momento la mia immaginazione prese il sopravvento e il sole risplendette come un occhio rosso minaccioso, ardente in mezzo a tentacoli neri di vapore e fulmini protesi verso l'aereo come un predatore fuori dagli abissi.

    Attraverso l'interfono, il capitano ci ricordò di mantenere la calma e di allacciarci la cintura. Sopra la nostra testa e sotto i nostri piedi, i vani portabagagli e il rivestimento di alluminio scricchiolavano e tremavano. Le informazioni di volo sullo schermo mostravano numeri non incoraggianti — Altitude, 13.000 metri. Velocità, 900 km/ora. Vento contrario, 110 km/ora.

    Aspetta un momento. Se la nuvola stava seguendo l'aeroplano, allora come diavolo faceva a spostarsi in direzione contraria a un vento dalla forza di un uragano?

    Questo pensiero coincise con un rumore altrettanto orribile: come di sassolini in un copricerchi, ma più grossolano, e più forte, avvolgeva l'intero telaio di titanio dell'aereo finché persino il frastuono dei motori non venne coperto da questo statico surreale. La nuvola ora aveva raggiunto delle dimensioni spaventosamente enormi, con rabbiosi schiocchi d'elettricità che lampeggiavano tutt'intorno al velivolo. Il sole era appena visibile, soltanto un puntino rosso su una nuvola in mezzo a un nero vorticante e pieno di scintille. L'aereo venne improvvisamente sparato su, su, su, e l'interfono esplose con un lamento stridente. Greg si premeva contro il sedile di fronte con le mani sopra la testa mentre io mi ero aggrappato al bracciolo, quasi piegato in due. Molti urlarono. Ci fu un tuono e l'intero aereo venne scaraventato via come un semplice giocattolo, scosso da un impatto invisibile. Poi un altro urlo, questa volta dal sedile di fronte a me.

    Mi voltai e vidi il magro dito privo di unghia premersi follemente contro il finestrino, a cui seguiva una sagoma di carne pressata contro i pannelli di vetro a tre strati ("Grado di resistenza A sigillato ermeticamente", come dichiarava il marchio del rivenditore), portando la mia attenzione su ciò che di sconosciuto si trovava fuori. C'era qualcosa dentro di me che chiedeva di non guardare, di non farlo per nessun motivo, ma era troppo tardi e i miei occhi erano fissi saldamente sulla cosa all'esterno dell'aereo. All'inizio non vidi nulla. Poi mi si accese una lampadina in testa e tutto mi fu chiaro.

    C'era una cosa appiattita contro il vetro, lattiginosa e flaccida, simile a una lumaca rigonfia. Era ricoperta da un gran numero di ventose, premute con forza contro il finestrino e pulsanti al ritmo di un battito cardiaco alieno. Guardando più attentamente, le ventose avevano i denti, e anche terrificanti per il loro numero e la loro grandezza. Allora l'essere al finestrino tremò, i numerosi denti azzannarono il vetro come gatti affamati e ricominciarono le grida, questa volta dalla mia stessa gola. Strisciai via dal finestrino, tenendomi il più basso possibile, e tirai la tendina con un colpo. Il panico e il terrore si diffusero intorno a me, quando l'aereo gemette e si compresse sotto il brusio statico. Greg stava piangendo.

    I miei ricordi su ciò che seguì sono confusi. Ricordo un forte schiocco correre lungo la fila 32, come aria pressurizzata che fuoriusciva e decine di cose pulsanti a forma di nuvola sibilavano all'interno della fusoliera, innumerevoli piccole bocche scalpitavano e schioccavano. Ricordo che i passengeri venivano strappati dai sedili come acini d'uva, quando le cose viscide li avvolgevano e li masticavano. La parte in cui mi trovavo cominciò a cedere, precipitando fuori dalla terribile nuvola digrignante, e io colsi uno scorcio del corpo dietro la cosa: metà fumo, metà carne, grottescamente gonfia di sbuffi di gas sconosciuti. E gli occhi, grandi e orribili e umani, che spiavano attraverso i miasmi oscuri, con l'intento di esaminare la sua preda. Dopodiché mi sentii precipitare, attraverso il mare di nuvole e in un cielo azzurro in frantumi.

    Credo che potrei aver divelto in qualche modo la mia cintura di sicurezza, perché all'improvviso mi ritrovai a cadere da solo, precipitando nell'oceano spumeggiante. L'impatto con l'acqua mi fece perdere conoscenza e la cosa successiva che ricordo è che ero sdraiato su un letto con addosso un busto e una gamba steccata. Mi dissero che era un autentico miracolo che fossi stato trovato da un peschereccio solitario in stato delirante e blaterando a proposito di nuvole viventi e tentacoli dentati. È stato in ospedale che ho iniziato ad avere gli incubi e a svegliarmi a volte da un cielo onirico urlando dal terrore.

    Non ci furono altri sopravvissuti, né furono ritrovati i corpi. La maggior parte dei rottami fu portata via dalla corrente, ma un frammento di una certa grandezza venne spinto dalle onde su una spiaggia delle Fiji diverse settimane dopo l'incidente. La parte del giornale che mi fece sentir male fu la foto, mostrava una serie di piccoli fori impressi in file ordinate sul metallo. Segni di denti.

    Resto al chiuso finché posso e alla spesa ci pensa la mia coinquilina ogni settimana. Non conosce tutta la storia dell'attacco nel cielo e della cosa nelle nuvole, né la saprà nessun altro, con l'eccezione di diversi pescatori stremati nel mezzo del Pacifico. Questo scritto rimarrà segreto fino alla mia morte, la quale credo arriverà presto e in maniera rapida. Fino ad allora, prenderò le mie pillole, dirò le mie preghiere a qualsiasi Dio sia rimasto lassù e mi terrò ben lontano dalle finestre.

    È scoppiata una tempesta proprio sopra di me ieri mattina e non è ancora passata.



    Edited by o.O.o - 16/5/2016, 20:26
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