Votes taken by Er Mortadella

  1. .
    Non ho mai apprezzato Fabri Fibra e forse mai lo apprezzerò, ma devo comunque riconoscere l'importanza del brano. L'artista ha avuto coraggio a proporre al pubblico una canzone del genere; in quegli anni l'omicidio di Tommaso aveva scosso l'intero paese e in quella situazione scrivere una canzone simile vuol dire rischiare davvero la carriera.

    Sono anche io per Drammatico.

    Edited by Er Mortadella - 9/9/2016, 15:56
  2. .
    Il finale è un colpo al cuore, pure per uno grande, grosso e scorbutico come me.

    Smisto in Drammatico.
  3. .
    Non mi piace raccontare questa storia e molte persone non mi credono quando lo faccio. Mi fa tornare in mente troppi ricordi dolorosi, ricordi da cui sto scappando da quando ero un ragazzino di dieci anni. Sono stato chiamato demonio, omicida, bambino che si dispera per ottenere attenzioni. Ho quarant'anni adesso e sono sicuro che le persone ancora dubitano della mia sanità mentale. Persino io dubito della mia sanità mentale. Sono passati trent'anni, ma non dimenticherò mai ciò che accadde in quella casa, non dimenticherò mai ciò che ho sentito, ciò che ho visto. Ho visto e sentito cose che nessuna persona vivente dovrebbe vedere. Cose che possono lasciare una cicatrice che non si chiuderà mai e cose che possono farti dubitare della tua sanità mentale. Ti avviso, questa storia, questa storia vera NON è per i deboli di cuore.

    Successe in Ohio, 1985, quando ci trasferimmo nella casa. Mia madre stava cercando di cominciare una nuova vita dopo che gli abusi di mio padre erano diventati insopportabili per lei. Lui non picchiava mai me o mia sorella, Hannah, ma mia madre doveva averci a che fare quasi ogni notte. Mia madre si sarebbe ritrovata con un occhio nero ed un labbro gonfio. Io facevo finta di non sapere cosa accadesse. Ancora oggi me ne pento.

    Quando arrivammo per la prima volta alla casa, mi sembrò evidente che fosse davvero vecchia. Le finestre erano impolverate, la tinteggiatura era rovinata dalle intemperie e si staccava dai muri, e l'erba era alta quasi quanto me. Sembrava abbandonata, come se noi fossimo le prime persone a vivere lì in decenni. C'era anche una vecchia altalena sul retro e dietro di essa, c'era un laghetto pieno di acqua torbida e verdognola. Il cancelletto della staccionata scricchiolava se lo aprivi, così come le scale.

    I primi due mesi furono tranquilli, non c'era nulla fuori dall'ordinario, ma notai qualcosa che mi sembrò strano. Ero dentro casa, guardando fuori dalla finestra per assicurarmi che Hannah stesse bene sola nel cortile. Lei era sull'altalena, ma, stranamente l'altalena accanto a lei si muoveva avanti e indietro, come se ci fosse qualcuno con lei. Ma non c'era nessuno lì, nessuno tranne Hannah. Pensai che probabilmente era solo il vento. Uscii, perché non volevo che stesse lì fuori da sola. Ero molto protettivo con mia sorella. Quando la mandai dentro, stetti lì per circa un minuto e pensai che forse avevo le allucinazioni poiché vidi qualcuno alla finestra del corridoio. Guardavano in giù verso di me, io non potevo vedere la loro faccia. Forse era Hannah. O forse no.

    Fu la notte dopo che le cose cominciarono a farsi spaventose. Le urla di Hannah risuonarono per tutta la casa nel bel mezzo della notte. Mia madre e io ci svegliammo e corremmo velocemente da lei. Sembrava come se qualcuno la stesse aggredendo, ma non vedemmo nessuno. Lei stava solo urlando con tutto il fiato che aveva in corpo, puntando un dito al pavimento.

    “Lei sta cercando di affogarmi!” Urlò più di una volta. Noi non vedevamo nulla ma lei aveva visto qualcosa quella notte, c'era qualcosa lì.

    Dopo quella notte, le cose cominciarono a farsi... strane. Sentii rumori di passi risuonare per la casa e so che sembrerà strano ma sentii qualcuno cantare. Sembrava una ragazzina ed ero sicuro che non fosse Hannah perché non suonava come la sua voce. Ero sdraiato nel mio letto quando lo sentii. Doveva essere circa mezzanotte perché tutti quanti dormivano. Lei cantò ancora e ancora.

    Gli uccellini cantano, cantano, cantano
    Vai a letto, vai a letto
    Ci vedremo domani, domani, domani
    Ora appoggia la tua testa, appoggia la tua testa


    Si faceva sempre più forte. Sembrava come se qualcuno stesse venendo verso di me. Si avvicinavano sempre di più finché non furono davanti alla mia porta. Udii dell'acqua gocciolare. Suonerà strano ma io so cosa ho sentito. La cantilena si interruppe improvvisamente e tutto ciò che potevo sentire era il gocciolio dell'acqua. Poi tutto piombò nel silenzio. Il pomello cominciò a girarsi lentamente. Mi nascosi sotto le coperte e chiunque o qualunque cosa fosse se ne andò.

    Non fu la prima volta che ebbi strane esperienze come quella. Avevo sentito anche dei sussurri, la maggior parte delle volte venivano dalla cantina. Non capii mai cosa volessero dire i sussurri, ma una notte li sentii forti e chiari. Stavo dormendo, quando udii dei passi nella mia stanza. Percepii come se qualcuno mi stesse guardando, come se qualcuno se ne stesse seduto proprio sul lato del mio letto. Me ne stetti lì con gli occhi chiusi, sperando che se ne andasse. Quando mi sussurrò.

    “Chi sei?”

    Non risposi, non volevo prendere l'abitudine di parlare con cose che non potevo vedere. Sembrava essere una donna. Penso che in seguito se ne andò perché non sentii nient'altro. Ero terrorizzato da ciò che stava succedendo in casa. Cercai di parlarne a mia madre, ma lei non mi credette mai. Mi disse che l'avevo sognato e per un attimo credetti anche io di aver sognato. Mia madre sembrava distante. Non era più la stessa persona ormai.

    Ero preoccupato anche per Hannah. Doveva essere rimasta traumatizzata da ciò che aveva visto quella notte. Amavo mia sorella, passavamo un sacco di tempo insieme, ma anche lei diventò distante. Un giorno mentre passavo davanti alla sua camera, la sentii cantare.

    Gli uccellini cantano, cantano, cantano
    Vai a letto, vai a letto
    Ci vedremo domani, domani, domani
    Ora appoggia la tua testa, appoggia la tua testa


    Entrai nella sua camera, lei smise di cantare. Era seduta sul pavimento, disegnando come al solito.

    “Dove hai imparato quella canzone, Hannah?” Le chiesi.

    “L'ho imparata da un'amica,” rispose lei, indicando l'angolo della camera.

    Guardai per tutta la stanza, ma non vidi nulla o nessuno. Guardai il suo disegno ed era molto strano.
    Aveva disegnato se stessa seduta sull'altalena e accanto a lei c'era un'altra bambina.

    “Chi è questa bambina che hai disegnato?” le chiesi.

    “Lei è la mia amica, il suo nome è Maddie.” Pensai che si trattasse di un amico immaginario. Lei aveva sei anni, quindi era normale, ma ciò non spiegava la canzone.

    “È lei quella che ti ha insegnato la canzone?”

    Scosse la sua testa in un sì. “Sua mamma la cantava per lei ogni notte,” mi disse. “E lo fa ancora qualche volta.”

    “Quindi dov'è lei ora?” le chiesi. Lei lasciò cadere il suo pastello e si alzò in piedi.

    “Lei è dietro di te.”


    In quel momento sentii una brezza gelida percorrermi il corpo. Mi girai lentamente per vedere la mia immagine riflessa sullo specchio appeso al muro. Fu lì che la vidi. Stette lì per meno di due secondi, in piedi davanti a me inzuppata d'acqua. Sembrava giovane, sui sei anni, la stessa età di Hannah. Non ero così spaventato come avrei dovuto essere. Chiesi a Hannah se era la bambina che stava sul pavimento quella notte. Lei disse di no e che quella che stava sul pavimento era la madre di Maddie. Mi disse che che la madre era malvagia e che ci avrebbe ucciso se avessimo detto a qualcuno di lei. Allo stesso modo in cui aveva ucciso Maddie. Non fui spaventato fino a quel momento. Volevo dirlo a mia madre, ma ero comunque sicuro che non mi avrebbe creduto. Volevo solo proteggere mia sorella, quindi non dissi nemmeno una parola a nessuno. Non pensavo che un fantasma potesse arrecare alcun danno fisico, ma avevo solo dieci anni al tempo. Non sapevo molto sui fantasmi. L'unica cosa che sapevo su di loro è che un tempo erano persone vive.

    Più tardi, quel giorno, stavo passando vicino alla cantina quando sentii la risata di una bambina. Sembrava Hannah quindi scesi le scale. Lei se ne stava seduta al centro della cantina. “Non dovresti stare qui tutta sola Hannah,” le dissi.

    “Non sono da sola,” rispose. Aveva con sé uno di quei portagioie con la ballerina che inizia a girare e a suonare quando lo apri.

    “Cosa ci fai qui sotto?” le chiesi.

    “Maddie mi voleva far vedere il suo portagioie.” Mi guardai intorno. Non vidi nessuno, non certo che volessi. Mi sentii davvero a disagio, come se qualcuno mi stesse osservando. C'era qualcuno lì.

    “Dobbiamo andarcene adesso!” urlai. “Dobbiamo andare di sopra!” Non volevo stare lì in quella cantina.

    “Shhhhhh,” sussurrò lei. “Sveglierai la sua mamma.”

    “Alzati Hannah!” Urlai. Sentii un rumore, veniva dall'altra stanza della cantina.

    Hannah iniziò a piangere, potevo vedere la paura nei suoi occhi. Si alzò in piedi, lasciando cadere il portagioie.
    “Danny...” mi disse piangendo, puntando il dito dietro di me.“È dietro di te.”

    Il cuore quasi mi scoppiò in petto. Ricordo come tremavo e come il mio cuore batteva all'impazzata mentre mi giravo lentamente. Mi immobilizzai dalla paura per qualche secondo. Lei era lì. Aveva lunghi capelli neri e indossava una vestaglia scura, la sua faccia era pallida e gli occhi erano neri come la pece. Era come guardare negli occhi della morte stessa. Afferrai Hannah e scappammo su per le scale da nostra madre. Non ero sicuro che ci avesse creduto, ci disse di non avvicinarci alla cantina, tutto lì. Il volto mi perseguita ancora oggi.

    The_Birds_Are_Singing

    Ore dopo quella spaventosa esperienza, ero sveglio nel mio letto dato che non riuscivo a dormire. Era passata la mezzanotte quindi tutti dormivano. Sentii una musica arrivare da fuori la mia stanza. Scesi dal letto, pensando che forse era Hannah. Sbirciai dalla mia porta, ma non vidi nessuno. Camminai per il corridoio e sul pavimento, davanti alla camera di Hannah, c'era il portagioie della cantina. Stetti a guardare la ballerina che girava e girava e girava. Tutto era come al rallentatore, mi sentii stordito. L'aria era fredda e pesante. Qualcuno mi stava osservando. Sentii cantare, cantare quella stessa canzone. Non era una bambina questa volta, era una donna. La cantilena veniva dalla stanza di Hannah. Aprii la porta, la cantilena si fermò e non vidi nessuno. Hannah stava dormendo. Le parlai il giorno dopo, ma lei non aveva assolutamente idea di cosa stessi parlando.

    Settimane dopo l'incidente tutto andò per il peggio. Come prima, lei strillava, strillava con tutto il fiato che aveva nei polmoni a notte fonda. Mia madre e io corremmo da lei.

    “Sta cercando di affogarmi!” Urlò lei. “Sta cercando di affogarmi!”

    “Chi?” Chiese mia madre. “Di chi stai parlando?” Hannah smise di urlare e si alzò dal letto.
    Stava tremando, il suo volto era pallido e la sua voce si affievolì. Aveva gli occhi spalancati e se ne stava lì, quasi come se fosse congelata, come se non potesse muoversi.

    “Lei è dietro la porta,” sussurrò improvvisamente, indicando la porta con il terrore negli occhi.

    BAM!

    La porta si chiuse bruscamente e mi ritrovai solo, fuori nel corridoio. Stavano urlando. Mia madre e mia sorella stavano urlando e non c'era niente che io potessi fare. Cercai di aprire la porta, ma era incastrata. FAMMI ENTRARE! FAMMI ENTRARE! Urlai, diedi calci e pugni alla porta perché era tutto quello che potevo fare. Loro urlavano più forte che potevano finché all'improvviso... le urla cessarono.

    “Mamma! Hannah!” urlai io. Nessuna risposta. Erano morte, mia madre e mia sorella erano morte. Era tutto ciò che potevo pensare.

    Gli uccellini cantano, cantano, cantano
    Vai a letto, vai a letto
    Ci vedremo domani, domani, domani
    Ora appoggia la tua testa, appoggia la tua testa


    Sembrava mia madre. Sentii la porta sbloccarsi dall'altro lato. Aprii lentamente per trovare mia madre seduta dall'altro lato del letto, cantando ad Hannah che dormiva. In quel momento lei si alzò, mentre camminava verso di me potevo vedere il vuoto nei suoi occhi, come se io non fossi nemmeno lì. Ero più che confuso. Tutto ciò non aveva alcun senso.

    Mi svegliai il mattino dopo sentendo un forte rumore provenire dalla cucina. Corsi al piano di sotto trovando mia madre che stava preparando la colazione, bagnata fradicia e continuando a cantare quella maledetta canzone.

    “Mamma perché sei bagnata?” le chiesi. Lei non disse nulla. “Dov'è Hannah?”

    “Chi sei tu?” Sussurrò.

    “Sono io mamma. Sono tuo figlio.” Lei mi guardò, fissandomi negli occhi come se mi stesse rubando l'anima. Sorrise, un sorriso malvagio e distorto che non avevo mai visto prima.

    “Io non ho un figlio,” disse. “Ora va via, Maddie non può uscire oggi.”

    Si incamminò giù nella cantina e chiuse la porta. Dopo meno di un minuto, udii un forte rumore provenire dalla cantina. Corsi di sopra nella stanza di Hannah, cercandola dappertutto. Non era lì. Scesi in soggiorno e la vidi mentre scendeva le scale. Tirai un sospiro di sollievo. Pensavo che fosse morta. La seguii, mi portò di fuori, ma la persi appena iniziai a trascinarmi nell'erba alta. Corsi fino al giardino sul retro, pensando che forse era andata a giocare sull'altalena. Non la vidi, ma entrambe le altalene oscillavano rapidamente. Sentii una risata, sembravano due bambine, una di loro pareva Hannah ma non vedevo nessuno. Camminai dietro all'altalena e fu in quel momento che la vidi. Galleggiava senza vita, la faccia immersa nel laghetto. Sentii la sua voce echeggiare nel vento... stava cantando.


    Gli uccellini cantano, cantano, cantano
    Vai a letto, vai a letto
    Ci vedremo domani, domani, domani
    Ora appoggia la tua testa, appoggia la tua testa


    Tradotta da qui.


    Edited by Er Mortadella - 29/8/2016, 16:23
  4. .
    Quando mi laureai al college, la mia migliore amica Diana ed io ci avventurammo in un grand tour per l'Europa.
    Giunte a metà del nostro viaggio, decidemmo di fermarci per tre giorni a Praga, facendo l'errore di non tener conto del brutto tempo, che rovinò i nostri giri turistici.
    Per colpa dell'acquazzone che ci fu per tutto il tempo che passammo in città, ci ritrovammo senza meta, vagabondando tra vicoli bui e stradine laterali, entrando in ogni bottega che ci sembrasse vagamente interessante solo come scusa per ripararci dalla pioggia.
    Durante l'ultimo giorno di visita, trovammo un negozio di libri antichi. Entrando, fummo sopraffatte dalla vastità del luogo e dall'impressionante quantità di volumi sugli scaffali. Una donna anziana dietro una scrivania nella parte anteriore del negozio ci accolse con un sorriso, prima che ci separassimo per iniziare ad esplorare.

    Il negozio era incredibilmente grande per essere un posto senza pretese. Passai un'ora vagando per i corridoi prima di ritrovarmi nel seminterrato.
    Entrando, il mio sguardo cadde su un bellissimo, vecchio pianoforte. Essendo una pianista esperta e non avendo visto un pianoforte per oltre due mesi ero entusiasta.
    Emozionata, mi guardai intorno per assicurarmi di non disturbare eventuali acquirenti, ma non c'era nessuno in giro.
    Sorridendo tra me e me, mi avvicinai al pianoforte e presi posto sul sedile davanti ad esso. Il freddo dell'imbottitura mi punse la pelle, ma non mi importava. Le mie mani corsero sui tasti. Avorio, molto probabilmente, pensai tra me e me.
    Era evidente che il pianoforte era vecchio, pertanto mi aspettavo che fosse scordato, ma rimasi piacevolmente colpita quando gli accordi che eseguii squillarono con perfetta chiarezza.

    “Tu suoni veramente bene,” mi interruppe una voce da dietro, ed io sobbalzai. Un uomo anziano se ne stava in piedi dietro di me, non l'avevo sentito avvicinarsi.
    Sorridendo per il complimento, lo ringraziai prima che continuasse a parlare in un inglese molto abbozzato, “Lei suona molto bene, ma non ha due tasti... Solo 86.” Stavo faticando per capire cosa volesse dirmi l'uomo con quel suo accento e stavo per chiedergli di ripetere ciò che aveva detto, ma egli sorrise di nuovo e mi fece gesto di continuare a suonare.
    Smisi dopo qualche minuto, quando Diana entrò nel seminterrato ridendo per l'assurdità della scena che si trovava davanti.
    Non avevo visto l'uomo andare via, ma ero troppo impegnata a dire a Diana quanto suonasse bene quel pianoforte per prestarvi troppa attenzione.


    Quando arrivò il momento di pagare i nostri libri alla cassa al piano superiore, l'anziana signora si complimentò per la mia esibizione e mi sorprese chiedendomi se mi interessava quel pianoforte. All'inizio risi, stupita dall'offerta. Comunque, lei andò avanti, spiegandoci che il pianoforte era passato di casa in casa per anni, senza nessuno che se lo tenesse abbastanza a lungo per compiacersi della sua magnificenza.
    Continuò dicendo che aveva avuto problemi a venderlo poiché la cassa armonica era stata incollata, quindi lo strumento non si poteva mai accordare.
    Mi disse che se potevo coprire le spese di spedizione per far arrivare lo strumento a casa, potevo prenderlo gratis, dato che il suo unico desiderio era di cederlo a qualcuno più interessato di lei alla musica.
    Dato che eravamo in viaggio solo con i nostri zaini, risi e le dissi che ci avrei pensato durante la notte. Comunque, Diana era entusiasta all'idea.
    Tornammo all'appartamento dove alloggiavamo e dopo qualche ricerca su internet e qualche telefonata, stabilimmo che spedire il pianoforte a casa sarebbe stato relativamente economico.
    Dato che al ritorno dal mio viaggio mi sarei trasferita nel mio primo vero appartamento, la prospettiva di avere un pianoforte tutto mio era entusiasmante.

    Quando tornai dall'Europa alla fine dell'estate, arrivò finalmente il mio misterioso pianoforte.
    Mentre cominciavo ad abituarmi alla mia nuova routine – nuovo lavoro, nuovo appartamento, nuovo fidanzato – suonare il pianoforte divenne la parte della giornata che attendevo di più.
    In pratica mi precipitavo fuori dal bus dopo una lunga giornata di lavoro, entravo in casa per dare da mangiare al gatto per poi sedermi sulla calda pelle del sedile, e cominciavo a creare la mia musica.

    Mi ricordo una fredda notte di Marzo, Peter era da me e mi stava assillando, insistendo sul fatto che non mi avesse mai sentito suonare.

    “Dovresti iniziare a stare più tempo da me se vuoi piacere a Venerdì,” ridacchiai, facendo un cenno al mio gatto, che gli stava soffiando contro con veemenza. “Ci vuole un mese intero per farla abituare alle persone.”
    Su insistenza di Peter, mi sedetti sul sedile e sorrisi quando la familiare sensazione di appagamento mi inondò.
    Dopo circa mezz'ora, mi squillò il telefono, risposi e sentii la voce di Diana.
    Era senza fiato dall'eccitazione e stava cercando di spiegarmi che aveva trovato una vecchia foto in uno dei libri acquistati mesi fa a Praga, e che era quasi sicura che ritraesse una ragazzina seduta allo stesso pianoforte che ora stava nel mio appartamento.
    Le dissi di inviarmela tramite email, prima che iniziassimo a spettegolare sul finale di Bachelorette andato in onda la scorsa notte.

    Quando riagganciai, Peter si stava mettendo la sua giacca, dicendomi che l'indomani sarebbe dovuto andare a lavoro presto. Ero un po' infastidita dal fatto che non volesse passare qui la notte, ma feci finta che non mi interessasse, quindi lo accompagnai giù per le scale.
    Mentre tornavo al mio appartamento, realizzai che mi era arrivata l'email che Diana mi aveva inviato.
    Aprendo l'immagine, potei vedere che Diana aveva ragione, il pianoforte era lo stesso. Aveva lo stesso sedile rilegato in pelle, la stessa splendida struttura in legno, gli stessi tasti bianchi come porcellana. Tuttavia, qualcosa sembrava diverso nella foto. Mentre stavo cercando di capire cosa c'era di strano in quell'immagine, Venerdì mi passò vicino correndo verso un uomo alla fine del corridoio.

    “Venerdì vieni qui!” Esclamai a voce alta. Mentre correvo verso l'uomo stavo già iniziando a scusarmi, “Mi dispiace, di solito non è così.”
    Quando gli occhi dell'uomo incrociarono i miei, sentii come se avessi già visto quel sorriso prima. Prima che potessi soffermarmi a pensarci, Venerdì si aggrappò alla mia gamba ed io la sollevai per riportarla nell'appartamento.
    Presi in mano il mio telefono con l'immagine che Diana mi aveva mandato e mi sedetti sul sedile di fronte al pianoforte per studiare meglio la fotografia. Che cos'era? Poi mi venne in mente. Il pianoforte nella foto era più piccolo di quello che avevo adesso davanti a me.
    Una strana sensazione mi inondò, mentre ricordai qualcosa che mi fu detto a proposito dello strumento mesi fa, e mi ritrovai a contare i tasti del pianoforte nella fotografia. 71. Ma che cazzo... pensai.

    Ma poi mi colpì. E quando lo fece, un brivido mi attraversò per tutto il corpo. Un brivido reso peggiore dal fatto che il sedile su cui ero seduta era freddo come il ghiaccio. Il gelo mi attraversò quando mi resi conto che il sedile del mio pianoforte non era mai freddo. Mai. Quel sedile era sempre caldo. E fu lì che ricordai dove avevo visto quel sorriso prima. Venerdì si lanciò verso la porta del mio appartamento, quando sentii un morbido sussurro,

    E tu sarai la 87.

    Tradotta da qui.


    Edited by DamaXion - 18/12/2016, 14:04
  5. .
    < Parte 1

    Dopo aver esaminato il resoconto di una paziente, ho cominciato a rendermi conto della bizzarra schiera di malattie mentali che abbiamo qui... Sarò sincero, non ho mai davvero pensato ai pazienti come persone prima d'ora. “Pazzo” è un'etichetta che disumanizza immediatamente le persone, tagliandole fuori da ogni simpatia o comprensione.


    C'è una ragazza, per esempio, che si rifiuta di parlare con chiunque finché non le viene prima permesso di tastare le loro tempie per cercare delle “fibre nervose”, qualunque cosa significhi. Oltre a questo, e ad una leggera paranoia, lei sembra essere completamente cosciente e normale – ma prima era facile considerarla solo come un'altra paziente malata di mente. Mi chiedo cosa pensi quella ragazza... si rifiuta di dare spiegazioni sul suo comportamento.

    Più leggo i loro resoconti, più mi rendo conto che queste sono persone reali afflitte da torture oltre la normale immaginazione.

    La scorsa notte, mentre leggevo in pausa, le parole di un uomo catturarono la mia attenzione. Lo conosco. È costantemente depresso, rassegnato e svuotato – ma ora penso che, a parte tutto questo, egli sia come noi. Lui è solo... tormentato da questa cosa che lo attanaglia.




    Va bene, te lo dirò! Solo niente più elettroshock. Mi hai promesso niente più elettroshock se te lo dico!

    Comunque non fa nessuna differenza.

    So come è iniziato. Ora è ovvio, quando ci ripenso.

    Ero per strada, passeggiando con degli amici. Stavamo bevendo e ci stavamo dirigendo verso il prossimo bar, quando un tipo strano e disgustoso con gli occhi disperati mi venne addosso. Puzzava come di sudore e qualcos'altro... mi schizzò qualcosa addosso. Mi arrivò sulla mano - sulle unghie, per la precisione.

    Era sangue. Mi aveva schizzato con del sangue.

    Si immobilizzò, sembrava terrorizzato e depresso. “Mi dispiace,” disse. Gli credevo, ma non capivo per quale motivo fosse dispiaciuto. Scappò via.

    Disgustato, mi ripulii e cercai di dimenticarmene. Non successe nulla... per un po'.

    Oh Dio, ricordo ogni dettaglio di quella notte. Sdraiato da solo nel mio squallido appartamento – oh, come mi manca, è un palazzo se confrontato a questa vostra “clinica” - mi svegliai poco prima che accadde. Fissai il mio soffitto nero, sentendomi strano.

    E poi mi piegai in due dal dolore, troppo scosso persino per urlare. Ricordo di averla fissata, senza capire ancora quanto fossi fottuto. Questa lunga, sanguinosa cosa a forma di lama spuntava fuori dal mio stinco.

    Da dove veniva? Qualcuno mi aveva pugnalato? Non capivo... raggiunsi il telefono, ma appena la lama si mosse sentii una fitta dolorosa. Un'altra lunga, bianca lama spuntò fuori, e le due si separarono, aprendo uno squarcio sulla mia pelle. All'improvviso ebbi la visione dei rasoi che continuavano a tagliare, facendomi a pezzi dall'interno... ora, desidero quasi che fosse successo.


    Non ebbi molto tempo per andare nel panico. Le lame si fermarono. Mi immobilizzai, stringendo la mia gamba. Altre quattro protuberanze sanguinose si erano aggiunte alle altre due, e allora – quella cosa saltò fuori.

    Tremando, tramortito dallo shock e dal panico, mi sentii un po' risollevato dal fatto che non stavo per essere squartato – e poi la consolazione svanì, appena realizzai che qualcosa di vivo era appena strisciato fuori dall'osso del mio stinco.

    Gocciolante del mio sangue, esaminò la stanza con i suoi sei occhi perlacei. Sembrava intagliato nell'osso, si reggeva su sei zampe simili a lame – i rasoi che avevano squarciato il mio polpaccio. Era alto circa sessanta centimetri, ed era molto simile ad un ragno...

    Inaspettato, disse. Non aveva una bocca. Come faceva a parlare?

    “...inaspettato?” Gli chiesi, confuso e terrorizzato.

    Chi sei?

    Tremavo e stavo per mettermi a piangere, volevo solo che se ne andasse. “Nessuno di importante...”

    Quella era la risposta sbagliata.

    Conficcò di nuovo una zampa dentro all'osso esposto del mio polpaccio, evitando con precisione la carne aperta ed il sangue che continuava a sgorgare. Sentii un pungolo affilato nel mio petto – Capii , terrorizzato, che la zampa di quella creatura era entrata nella mia tibia, ma era emersa da una delle mie costole. Una punta affilata premeva sul mio cuore dall'interno...

    “Ti prego, ti prego,” Implorai, con il sudore che mi colava negli occhi. “Farò tutto ciò che mi dici, lo farò, lo farò, ma non uccidermi...”

    Accettabile, rispose.

    Ritirò il suo arto, e il dolore se ne andò con esso.

    Farai come ti viene detto o morirai tra dolori atroci.

    “Sì, sì, va bene,” risposi strozzato dai singhiozzi.

    Si arrampicò dentro l'osso esposto... ed era sparito, senza avermi dato nessun ordine. Andai all'ospedale, mi ricucirono la gamba, sostenni che era stato un incidente... e sembrò che avessi di nuovo il controllo della mia vita.

    Mi sbagliavo.

    Qualche notte dopo sgusciò fuori dalla sutura. Costernato ma pronto, mi assicurai di memorizzare il più possibile su quella cosa. Era sottile, letale, aveva uno strano fascino, simile ad un insetto fatto d'avorio.
    Qualcuno doveva sapere di quella cosa.

    Mi diede degli ordini. Mi fece fare cose.

    Iniziò con dei piccoli crimini. Voleva che li facessi in una certa maniera, lasciando prove false per motivi che non mi vennero detti. Mi guidò in pericolosi locali della malavita, anche se all'epoca le altre persone erano l'ultima delle mie preoccupazioni. Un altro dei suoi schiavi mi diede un lungo osso di animale trattato con quel sangue speciale, e spesso mi fece portare quell'osso in posti malfamati.

    Lui sarebbe emerso da quell'osso e avrebbe parlato con qualcuno – qualcuno che sapeva della sua esistenza, in grado di difendersi da lui? Qualcuno con cui aveva bisogno di fare un accordo per i suoi scopi? Non lo vidi mai. Dubito che mi avrebbe aiutato, anche se fossi riuscito a trovarlo...

    Persi la speranza dopo aver sprecato molte notti cercando una risposta o un aiuto. Ho picchiato persone. Ho scippato. Ho rapinato un negozio di alimentari con un coltello. Mi fece persino mettere quel sangue maledetto sulle unghie di questo tipo, e dovetti stare a guardare mentre veniva fatto a pezzi da quelle zampe a rasoio... le sue mani che cadevano per terra... la sua gamba, recisa al ginocchio con un taglio circolare... urlava, pregava, implorava... lo torturò fino ad ucciderlo per delle informazioni che io non capii... e quindi mi fece prendere i suoi pezzi per disfarmene... oh Dio...

    Ogni volta che non avevo ordini, mi dedicavo... ad altre maniere per distrarre me stesso dal pozzo nero di disperazione che cresceva dentro di me.

    Mio fratello mi trovò per strada dopo qualche di questa storia mese. Anche di quella volta ricordo ogni dettaglio.

    “Devi tornare a casa,” insisté lui “Ti faremo smettere con le droghe, sarai pulito. Papà ti troverà un lavoro.”

    “Le droghe non sono il problema,” ricordo di avergli urlato contro. “Sono l'unica cosa che mi impedisce di perdere la testa. È il camminatore delle ossa -”

    Appena dissi quelle parole, una punta affilata mi colpì sotto la mia scapola sinistra. Il colpo successivo graffiò il lato del mio polmone destro. Capii che mi stava osservando... il messaggio era chiaro. Se ne avessi parlato con qualcuno, lui mi avrebbe fatto a pezzi dall'interno.

    “Va via da qui!” Urlai a mio fratello, sentendomi come quell'uomo disgustoso e disperato che mi era venuto addosso. “Non mi puoi aiutare! Vattene!”

    Ci diedi dentro ancora di più con le droghe pesanti. Ad un certo punto non avevo più nulla che assomigliasse al mio vecchio me stesso, e decisi di non seguire più i suoi ordini – anche se ciò significava la mia morte. Dietro suo ordine, comprai un fucile, e mi esercitai ad usarlo. Voleva che uccidessi qualcuno, qualcuno di importante... ma quando sarebbe venuto a riferirmi il nome e il piano, io avrei rifiutato.

    Mi chiesi come l'avrebbe fatto. Pugnalando il mio cranio dall'interno, uccidendomi all'istante? O spuntando fuori da ogni mio osso, dilaniandomi lentamente come quel poveraccio?

    Fissai l'arma, chiedendomi se avrebbe perseguitato la mia famiglia dopo il mio rifiuto. Avevo davvero una scelta? Potevo sacrificare mio fratello? E i miei genitori? Dovevo fare in modo che il camminatore delle ossa non pensasse che fosse colpa mia.

    Chiamai lasciando una soffiata anonima. Appena mi circondarono rimasi lì, risollevato e calmo, mentre mi mettevano le manette. Stetti in custodia, apparentemente catturato dalla polizia; quando il camminatore delle ossa sarebbe arrivato, non avrebbe avuto alcuna ragione per punire la mia famiglia. Mi avrebbe ucciso e basta.

    Ma... non arrivò mai.

    Cioè, so perché non è tornato, ora... ma sono debole, e in ogni caso sono bloccato qui. Continuo a pensare... e se ce ne fossero altri? E se un giorno venissero per me, perché io so?

    Non ci sarà nessun avviso... potrebbero arrivare da un momento all'altro... solo la sensazione di una punta affilata, e poi sarò morto...




    La cosa che mi colpisce di più sul suo resoconto è che è molto simile ai deliri di un uomo che morì orribilmente qualche tempo fa. Era stato mutilato in una maniera inimmaginabile – come se la sua faccia fosse stata strappata via dall'interno, oltre alle altre ferite. La sua storia fece notizia, e la gente immaginò che fosse stato l'assassino seriale responsabile di altre terribili morti simili a quella...

    Ma quell'uomo sosteneva che, con le sue ultime forze, era riuscito a distruggere la creatura.

    Suppongo che quest'uomo abbia letto della questione dell'uomo precedente, sviluppando un ossessione o un illusione su essa.

    Trovo curioso come la pazzia sembri essere contagiosa... soprattutto in questi tempi. Comincio a chiedermi se questo posto sia davvero gestito per aiutare queste persone – o se sia usato per contenerle... come una quarantena per un'epidemia.


    Aggiornamento: Ora sono convinto che stia accadendo qualcosa di più.

    Parte 3 >

    Fonte.

    Tra ostacoli fisici e climatici questa traduzione si è rivelata più tosta del previsto.
    Spero solo di non aver fatto troppi strafalcioni.

    Nel dubbio, per espiare le mie colpe, vado a pulire la gabbia dei ghoul. :sese:

    Er Mortadella, qui per servirvi!


    Edited by & . - 24/6/2020, 15:57
  6. .
    Della serie: "quando parla la pancia del paese, puoi aspettarti solo scorregge monumentali." :zizi:

    Comunque ottima traduzione, complimenti!
  7. .
    Benvenuto!
    Quindi fai beat? Figo, sarei felice di ascoltare qualcosa di tuo.

    Ti lascio qui il regolamento, in caso di dubbi o domande di ogni genere non esitare a contattare me o qualcuno dello staff.

    Enjoy your stay!
  8. .
    Davvero d'effetto. Prima ti fa immergere nella lettura con una trama surreale e ironica, poi arriva il finale che praticamente ti spacca una bottiglia di vetro sui denti.

    Amico, é semplicemente geniale. I miei complimenti :sisi:
  9. .
    Mi è piaciuta, ho apprezzato il finale. Fossero tutte così le catene sui social.
  10. .
    Gli SCP di Are We Cool Yet? sono sempre geniali. :asd:
  11. .
    << Parte 1

    < Parte 2

    Dopo aver letto molte schede dei pazienti internati qui sto cominciando a preoccuparmi un po'. Comincio a pensare che ci sia un qualche genere di collegamento tra queste storie, ma ancora non riesco a chiarirlo. Sono preoccupato soprattutto per le dichiarazioni dell'ultimo paziente, che sosteneva di essere stato sottoposto all'elettroshock o di essere stato maltrattato. Noi non usiamo l'elettroshock qui.

    L'elettroshock sarebbe un trattamento possibile per la depressione cronica, che era esattamente ciò di cui soffriva... ma non facciamo cose del genere qui...

    Mentre leggevo tra le cartelle la scorsa notte, mi è capitato in mano la trascrizione di una registrazione di una ragazza. Sono sicuro che faccia parte del percorso che sto seguendo, eppure ancora non riesco a mettere insieme tutti i pezzi...




    Quel rumore – posso averne un po'?

    Il caffè.

    E dai, è solo caffè.

    Dammelo!

    Va bene, te lo dirò – ma è meglio che non sia uno scherzo. Me lo prometti?

    Da dove vuoi che inizio?

    Ok... Ero a lezione, in realtà.

    Si, a lezione. Trovi ridicolo che una come me sia andata al college, [imprecazione]? È esattamente per questo che mi sono ridotta così.

    La mia non è una famiglia abbiente. Scommetto che non ne sei sorpreso. Comunque non siamo clandestini. Siamo solo arrivati da poco in questo paese, e non siamo ricchi. Sono stata la prima della mia famiglia ad entrare in un buon college. Mia sorella maggiore aveva perso tempo alle superiori, ma io mi ammazzai di studio. Pensavo, una volta che sono dentro è fatta. Posso rilassarmi.

    Infatti ci riuscii.

    Tutti lì sembravano così immaturi, così stupidi. Facevano festa tutto il tempo. Non studiavano mai, non facevano i compiti, nulla. La metà di loro nemmeno si presentava in classe.
    I giocatori di football non svolgevano nemmeno gli esami. Non capivo. Avevano la minima idea di quanto costi il college? Ancora non li capisco.

    I miei genitori mi chiamarono dopo tre mesi. Stavo frequentando tutti i corsi che potevo, perché tra i risparmi della mia famiglia e le borse di studio che avevo preso, avevamo abbastanza soldi per tre anni. Mi sarei dovuta laureare in tre anni, questo era il piano.

    Mi dissero che la nonna stava male. I miei avrebbero speso quei soldi per curarla. Dissi va bene, fantastico, voglio bene a mia nonna.

    Mentii per un po' a me stessa. Pensavo, magari prenderò altre borse di studio. Forse posso farcela. Potrei chiedere un finanziamento per studenti, magari. Il pensiero di quel grosso debito mi spaventava – non sarei mai riuscita a ripagare la somma che mi proposero. I miei genitori dicevano sempre, “non siamo arrivati fin qui per vivere di nuovo nella miseria.”

    A circa un mese dalla fine del semestre, mi arrivò un'email su una borsa di studio per cui ero stata selezionata. Pensavo che i miei problemi fossero risolti – avrebbero finanziato tutte le spese!

    Ma il termine per la consegna del saggio era il giorno dopo. Nessun problema, pensai. Ho un esame e quattro corsi con un mucchio di compiti per casa, ma posso farcela. È importante.

    Quindi bevvi qualche caffè, stetti sveglia fino a tardi e mi addormentai verso le cinque del mattino... quel giorno ero stanca e seccata, e andai peggio di quanto volessi all'esame, ma riuscii a fare tutto.

    L'email di risposta mi arrivò quella notte. Il mio saggio era piaciuto! Ero così felice – finché non lessi che ero solo passata alla fase successiva. Quella prova richiedeva una analisi approfondita di un settore economico – trenta pagine! E doveva essere consegnata entro pochi giorni! Possibile che tutti gli altri lo sapessero già da mesi? Possibile che gli altri candidati avessero avuto tutto il tempo per finire il lavoro?

    Dato che ci stavo pensando già da tempo, scelsi il settore dei finanziamenti per studenti. Probabilmente era un errore – tutto ciò che sapevo sull'argomento era quanto sarei stata fottuta se non fossi riuscita ad avere quella borsa di studio. Centomila dollari o qualcosa in più per tre o quattro anni... e nessun diritto, nessuna procedura concorsuale, nessuna garanzia... era peggio che chiedere soldi ad uno strozzino e, grazie al mio quartiere, sapevo quanto possano essere spietati gli strozzini.

    Ci diedi dentro con il caffè. Un amico che avevo conosciuto nel dormitorio mi diede delle pillole, ma non ne ero convinta, così le lasciai nel mio zaino. Nei giorni successivi dormii forse per tre ore a notte, cercando in ogni modo di frequentare tutti i miei corsi, di svolgere i compiti e gli esami, e anche di scrivere quella grossa relazione. Sapevo che i miei studi ne stavano soffrendo, ma qualche giorno non avrebbe rovinato la mia media. Questa borsa di studio era importante...

    Ero al limite quando inviai loro quella dannata relazione di trenta pagine. Ero fusa, esausta e sconvolta dopo una settimana passata ad assumere caffeina e senza dormire...

    Dormii malissimo quella notte, ma fu comunque un sollievo per il mio corpo dolorante.

    Mi svegliai trovando un email di congratulazioni per essere una dei cinque candidati rimasti in tutto il paese. Non capivo – erano riusciti ad esaminare tutte le relazioni durante la notte? O gli altri candidati non erano riusciti a finire in tempo? Forse era così – magari avevano ricevuto solo cinque relazioni perché nessun altro aveva avuto tempo...

    Volevano una tesi di laurea entro due settimane.

    Passai tutta la giornata stordita. Non riuscivo nemmeno a comprendere la quantità di lavoro che serviva per questa borsa di studio... e si stavano avvicinando gli esami finali. Pensavo che sarei scoppiata a piangere, finché non realizzai di avere un'amica che stava completando il suo corso di laurea...

    Accettò di incontrarmi, e mi aiutò a chiarire cosa avevo bisogno di fare. Lei aveva lavorato sulla sua tesi per circa un anno... espresse dello scetticismo sul concorso a cui stavo partecipando, ma mi disse, “è meglio che tu lo faccia – non vuoi finire come me. Ho preso così tanti prestiti che non riuscirò mai a ripagare tutto.”

    Faticai a mantenere la mia compostezza dopo ciò. Cosa? Quindi se fallirò a scrivere una tesi in due settimane, finirò con un grosso debito sulle spalle per il resto della mia vita?

    Le pillole nel mio zaino cominciarono ad avere senso.

    In effetti resero tutto più facile.

    Frequentai i corsi, studiai per gli esami finali e lavorai alla mia tesi. Feci tutto.

    Tutto tranne dormire.

    Tra le pillole ed il caffè mi sentivo uno schifo, ma ero sveglia – e lavorare ventiquattro ore al giorno era l'unica cosa che contava. Dovevo prendere quella borsa di studio. Dovevo farcela.

    Pensavo di poter rispettare i tempi di consegna... ma quando arrivai proprio a metà strada, dopo una settimana, sentii che il mio corpo cominciava a cedere. Non avevo dormito bene per una settimana e mezza, e non avevo chiuso occhio per sei giorni... e dovevo andare avanti così per un'altra settimana.

    Andai dal mio amico chiedendo altre pillole... era malato, tirava su col naso, e parlare con lui mi riempì di disgusto. Era... nauseabondo... pieno di muco e saliva e i suoi occhi erano gonfi... presi le pillole e uscii da lì.

    Raddoppiai la dose. Poi, la triplicai.

    Raggiunsi uno strano stato di consapevolezza tormentata e di disperata energia che mi spinse a finire tutto nella settimana seguente. Sapevo che ciò che stavo facendo era pericoloso, ma dovevo farlo. Ne sarebbe valsa la pena. Avrei vinto quella borsa di studio... lo sapevo.

    Raggiunsi il limite un giorno prima del termine.

    Mentre fissavo immobile l'immensa tesi che avevo scritto, solo a poche pagine dalla fine – la parte più critica, le conclusioni, mi sfuggiva di mano – non riuscivo a formare le parole nella mia mente. Non sapevo cosa scrivere. Battei un paio di volte le palpebre, cercando di calmarmi...

    Stavo lavorando con il mio portatile, in biblioteca. Mi guardai intorno in una sorta di stanca confusione. La mia stanza del dormitorio, la biblioteca e le aule erano diventate tutte un ricordo sfocato mentre i giorni passati senza dormire si scioglievano l'uno dentro all'altro.

    Era notte e la biblioteca era avvolta nel silenzio. Improvvisamente, oltre alla stanchezza ansimante che c'era dietro ogni mio flebile movimento, sentii del disagio.

    Il mio stesso respiro affaticato raschiava e ed echeggiava nella mia testa. Ormai mi ci ero abituata. Ma ora, sola nella biblioteca a notte fonda, potevo sentire qualcos'altro respirare... Misi con cautela il mio portatile e i libri nello zaino, cercando di fare meno rumore possibile. Non vidi nulla di strano, ma avevo la sensazione di dover uscire il prima possibile da lì.

    Tornai sui miei passi, passando tra gli scaffali, cercando di non farmi vedere.

    A circa quattro corridoi da me, sentii un suono, come un viscido schiocco organico.
    I miei occhi bruciavano per lo sforzo di guardarmi introno, mi immobilizzai. C'era qualcosa con me nella biblioteca?
    Le mie orecchie lo individuarono, mentre si trascinava per il corridoio a qualche metro di distanza. Sbirciai dall'angolo.

    Una strana massa carnosa si spingeva verso di me.

    Paralizzata dal terrore, cercai di capire cosa fosse. Aveva delle membra – la pelle era stirata e flaccida – e tutta quella cosa mostruosa fremeva con una specie di... di battito... era come un viscido e disgustoso sacco di carne e organi pulsanti, una creatura nauseabonda, con ciuffi di capelli che spuntavano qua e là...

    Quel suono umido e schioccante – la bocca, un orifizio in quella orribile cosa, con ossa che spuntavano fuori dai bordi carnosi – Dio, ricordo ancora ogni singolo istante di quando fissai quella cosa – poi rivolse quelle pallide e umide protuberanze verso di me – sapevo che riusciva a vedermi. Cominciò a gorgogliare e a sibilare, muovendosi velocemente verso di me.

    Scattai. Si, che si fotta, sono una ragazza esile, e corsi come il vento. Che avresti fatto tu al posto mio? C'era una altra di quelle cose nella tromba delle scale. Quasi ci sbattei contro. Fece uno strano suono stridulo ed estese verso di me un arto pulsante. La pelle sembrava attraversata da vene fibrose, che pompavano qualcosa di disgustoso per tutto il suo corpo...

    Scappai di nuovo.

    Avevo un coltello con me, sai. Non vengo da un buon quartiere. Fu allora che pensai di usarlo. Quelle orribili creature erano nella biblioteca, e io dovevo fuggire ad ogni costo... dovevo finire la mia tesi.

    Con il coltello puntato in avanti, corsi verso l'uscita principale. Un'altra creatura stava davanti alla porta, strisciando e stridendo. Urlò quando mi vide, il suo centro cominciò ad espandersi come se facesse un lungo respiro, preparandosi per qualche tipo di attacco, ne ero sicura.
    Attraverso la porta a vetri, fuori, vidi a poca distanza un'uniforme della sicurezza – era la mia salvezza, o almeno mi avrebbe aiutato.

    Squarciai la creatura, attraversandola nel punto in cui si stava espandendo, tranciando la sua carne spugnosa. Rilasciò immediatamente ogni sorta di organi gelatinosi dall'odore acre, rossi, marroni e violacei, le lacrime scorrevano lungo il mio viso, e non riuscii a trattenere il vomito. Non avevo mai visto niente di così disgustoso.

    Corsi attraverso la porta, lasciando quel sacco di carne squarciato sul pavimento.

    Ricordo quel momento, mentre gridavo aiuto. La figura in uniforme si mosse verso di me, avvicinandosi velocemente...

    Era uno di loro.

    Pugnalai anche lui. Lo tagliai e corsi verso il mio dormitorio.

    Non sono sicura di cosa avessi in mente in quel momento. Lo shock mi aveva svegliata, questo è sicuro. Finii la mia tesi mentre ero ancora coperta di sangue e la inviai.

    Mi trovarono circa un'ora dopo. Non me lo ricordo ma, a quanto pare, me ne stavo lì seduta, sorridendo. Non avevo nemmeno provato a dormire.

    Conosci il resto della storia. Voi continuate a dirmi che ho avuto un esaurimento, che i miei “filtri” erano fuori uso, che vedevo gli umani come appaiono veramente, senza riconoscerli come qualcosa di familiare... e non mi fa sentire meglio. Quando mi guardo allo specchio, vedo ancora tessuti, vene fibrose e pulsanti e organi gelatinosi in un flaccido sacco di carne. Voi, voi che state dietro a quello specchio. Tenetemi in isolamento. Sono ancora malata? Cosa succederà se non migliorerò? Tenete lontana la mia famiglia, tenete lontana mia nonna... non posso vederli così, Dio... sono così stanca...

    Dov'è il caffè? Me l'avevi promesso! Posso sentirti mentre lo bevi là dietro!

    DAMMELO!




    Leggendo la trascrizione di quella povera ragazza, mi venne un lampo di memoria. La ragazza era stata internata da poco – corsi al nostro reparto corrispondenza e cercai nel tritadocumenti. Pensavo di aver visto qualcosa...

    Ed era lì.

    Qualcuno le aveva mandato una lettera al nostro indirizzo. Era arrivata prima di lei. Sembrava senza senso al tempo, io ero solo quello scelto a caso che gestivano la posta quel giorno, dato che un'infermiera era in malattia.

    -gratulazioni, c'era scritto su quel pezzo di carta. Lei è una dei tre candidati rimanenti! Per poter accedere all'esame successivo, è pregata di inviarci, entro tre settimane, uno scritto di quattromila pag-

    Il resto della lettera era stato distrutto e non potei trovare né il mittente, né nomi o contatti nel mucchio di strisce di carta. Non importava – quello era abbastanza. Stava succedendo qualcosa e quel pezzo di carta bastava per iniziare un qualche tipo di indagine.

    “Interessante,” mi disse il primario, leggendo i brandelli di documento. Si appoggiò sulla sua larga sedia di pelle. “Questo c'entra con la faccenda di cui mi avevi parlato...”

    “Penso che qui stia succedendo qualcosa di più grande,” dissi.

    “Qual è il problema?” rispose, serio.

    “C'è qualcosa di più oltre al fatto che lei è pazza. Ciò non merita delle indagini?”

    “È lei che vede le persone come mostri, che ha sfregiato un addetto alla sicurezza e uno studente,” rispose. “Quindi qualcuno le ha giocato un brutto scherzo con questa storia della borsa di studio. Ma è lei quella che non ha dormito per settimane, procurandosi dei danni celebrali.”

    “Perché non mostra più interesse?” Chiesi, cominciando ad arrabbiarmi. “Questa è una prova. Alla peggio avremmo sventato una pericolosa truffa sulle borse di studio.”

    “Non è questo il nostro lavoro.”

    Capii improvvisamente che lui non avrebbe in alcun modo agevolato o permesso ulteriori indagini. “Si, ha ragione, mi dispiace,” mentii graziosamente.

    Sorrise. Gli piaceva avere ragione.

    Mentre stavo uscendo dall'ufficio, mi disse un'ultima cosa. “Ho avuto dei rapporti che dicono che tu stesso stai avendo degli strani comportamenti. Leggi le cartelle dei pazienti fino a tarda notte e cose del genere. Non mischiarti troppo con questi pazienti. Considera le loro storie come nient'altro che prodotti di menti malate.”

    “Perché?” gli chiesi. “Ha paura che la pazzia sia contagiosa?”

    Con fare severo, serrò la mascella e non diede alcuna risposta. La mia domanda era arrogante, ma la sua smorfia di risposta mi lasciò senza parole.

    Ora sono convinto che stia succedendo qualcosa di più grosso – non solo con l'ultima ragazza, ma anche con gli altri pazienti... e sto cominciando a chiedermi se anche noi abbiamo qualcosa a che fare con questo...

    Aggiornamento: ora sono certo che siamo coinvolti in qualcosa di veramente losco.

    Parte 4 >



    Edited by & . - 24/6/2020, 15:58
  12. .
    Benvenuto amigo! Le birre sono nel frigo e il bagno è in fondo a destra.
  13. .
    Si capisce che la coinquilina hippie non è mai stata in una pineta sulla costa dell'alto Lazio durante una calda serata estiva :sisi: .

    Comunque bella storia, l'idea è originale ed è scritta molto bene. Complimenti!
  14. .
    Nell'interesse dell'anonimato, dirò solo che lavoro nel settore sanitario. Il nostro ospedale sembra avere un numero di pazienti “strani” più alto della media; una in particolare mi è tornata in mente in questo periodo.

    La ragazza in questione, internata di recente, ha una storia disturbante abbastanza da diffondersi velocemente tra i pettegolezzi tra un reparto e l'altro. Stanco di sentire sempre la stessa storia all'infinito, decisi di leggere la sua scheda, intenzionato a sfatare quelle storie.

    Vorrei non averlo fatto.

    Ciò che segue è la versione censurata del suo resoconto personale.




    Tutto questo è un malinteso. Sto bene. Non sono io il problema. C'è qualcun altro là fuori che ha la responsabilità di tutto questo – lo stanno facendo per torturarmi. Io non dovrei nemmeno essere qui.

    Ho avuto alcuni problemi con la forma fisica. Questo è vero. Stavo proprio per abbandonare l'ennesima dieta quando successe per la prima volta.

    Andammo a cena fuori per festeggiare la promozione di Becky. Eravamo in cinque – era davvero un bel ristorante, ma non riesco proprio a ricordarmi quale fosse – e la mia forza di volontà si stava esaurendo. Ci eravamo bevute tutte un bicchiere o due di vino prima che arrivasse la mia insalata. Avevo deciso di mangiarne solo la metà, e così tanta solo per evitare una scenata durante la serata di Becky. Le ragazze mi assillavano ogni volta che mi rifiutavo di mangiare...

    Ancora oggi non posso evitare di pensare che non fosse una coincidenza che la più magra del gruppo sia stata la prima ad avere una promozione. Ci eravamo tutte laureate più di un anno fa, ed il mondo reale fu come uno schiaffo in faccia. Nessuna di noi era davvero dove avrebbe voluto essere.

    Tranne Becky, naturalmente.

    La fame era un tormento, e l'odio che provavo verso me stessa mi aveva stressato fino al limite... quindi quando il cameriere grattugiò il formaggio sulla mia insalata non lo fermai. Volevo gettare il piatto per terra, rifiutandomi di mangiare, ma ero così affamata...

    Poi, dopo due bocconi, arrabbiata ma sorridente per non insospettire le ragazze, trovai un lungo capello nero. Vederlo in quel modo, attorcigliato alle foglie di lattuga, mi disgustò immediatamente – l'avevo quasi mangiato senza nemmeno accorgermene.

    Il ristorante non ci fece pagare la cena, e le ragazze non mi dissero nulla quando non riuscii a costringermi a mangiare. Quel capello mi aveva tolto del tutto l'appetito!

    Fui al settimo cielo per i seguenti due giorni. Non ero affamata, non ero stressata – era fantastico.
    Pensai di essermi imbattuta in qualche nuova meravigliosa forma di autocontrollo.

    Ma le ragazze la pensavano diversamente – o forse solo Becky.

    Ero a pranzo con Andrea quando la fame cominciò di nuovo a diventare insopportabile. Esausta e triste, mi arresi e ordinai una grossa porzione di insalata. Andrea sorrise e mi disse qualcosa sull'essere lì per me se avessi bisogno di parlare – scommetto che anche lei fosse coinvolta. Nei miei ricordi, il suo sorriso sembrava vagamente sinistro e beffardo, come se sapesse già cosa stava per accadere...

    Trovai un'unghia nella mia insalata! Un'unghia finta rossa!

    Queste cose sono disgustose – sotto le unghie finte è pieno di germi – lo so!

    Di nuovo, non ci fecero pagare il pranzo, ma non potei costringermi a mangiare. Lo shock ed il disgusto mi avevano fatto passare completamente la fame.


    In parte ero sollevata e rinvigorita. Ero andata avanti senza mangiare per due settimane, e tutta questa... faccenda del disgusto... mi stava davvero aiutando a perdere peso.

    Ma non sono pazza, o stupida. So che bisogna mangiare ogni tanto.

    Passarono uno o due giorni, e io ordinai un'insalata di pollo mentre ero ad un brunch con Becky. Lei continuava a vantarsi del suo nuovo lavoro, di come il suo capo ci stesse vagamente provando con lei... la odiai così tanto, in segreto, anche se esternamente mi mostravo felice.
    Ero principalmente concentrata sulla mia insalata. Finalmente avrei mangiato, era un bel sollievo...

    ...finché non morsi qualcosa di duro e viscido.

    Lo sputai in fretta; ricordo ancora le parole esatte di Becky.

    “Oh mio Dio, è un dito quello?”

    Ricordo di aver fissato quella cosa appena la sputai sul mio tovagliolo. Era viscida, macinata, rossa e anche un po' cotta... ma si vedeva chiaramente l'osso che spuntava fuori dalla carne.

    Il locale venne chiuso per un po' dopo l'accaduto, ma nessuno sapeva da dove fosse venuto quel dito.
    Ovviamente non era di nessuno dei dipendenti... ma da quell'incidente Becky cominciò a crogiolarsi nelle attenzioni di tutti. Finì persino sulla televisione locale, anche se era la mia insalata ad avere il dito dentro.

    “Tutto ciò è assurdo. La gente rischia di ammalarsi seriamente se mangia queste cose.” Disse al reporter.

    Cominciai a pensare che fosse coinvolta in tutto questo...

    Lo shock mi aveva sopraffatta, calmando la mia fame per poco meno di un giorno – ma il mio sollievo ebbe vita breve. Sapevo che avrei dovuto ricominciare a mangiare il più presto possibile.

    Non sopportando più gli scherzi idioti di Becky, decisi di prendere qualcosa dai distributori automatici al supermercato.

    Mi odiai così tanto, sentendomi debole mentre fissavo la tavoletta di cioccolato... ma dovevo mangiare, e non avevo più alcuna forza di volontà. La cioccolata avrebbe risolto tutto.

    Diedi un morso alla barretta... era fantastica... dolce, dolce cioccolata...

    Fu solo dopo due morsi che vidi qualcosa spuntare tra l'involucro e la tavoletta.
    La scartai e non riuscii a non gettarla a terra, mentre vomitavo ciò che avevo ingerito.

    Schiacciata tra l'involucro e la cioccolata c'era quella che era senza dubbio una striscia di pelle.

    Era stata strappata da qualcuno? Le tracce di sangue erano ancora... Oddio!

    Ma come diavolo aveva fatto Becky? Come poteva sapere?

    In quel momento ero fuori di me dalla paura e dalla rabbia, anche se in parte ero contenta di aver vomitato i due pezzi di cioccolata che avevo ingerito. Afflitta, ma ancora intenzionata a combattere la mia avversione a mangiare, ordinai una fetta di pizza ad un fast food.
    Arrivò con una grossa bolla sulla crosta... disperata, la aprii, trovandoci dentro quella che sembrava la cornea di qualcuno.

    Maledetta Becky, doveva essere da qualche parte lì intorno, mi stava perseguitando, facendomi questo. E se fossero coinvolte anche le altre ragazze?

    Presi la mia macchina e me ne andai.

    Di notte, arrivai oltre il confine dello stato. Entrai in un ristorante di periferia che non avevo mai sentito nominare. Risollevata, ordinai un hamburger dall'anziano e gentile signore che probabilmente gestiva il locale. Non c'era modo per Becky o le ragazze di manipolare il mio cibo lì...

    L'hamburger, fatto scivolare davanti a me in un piatto curiosamente decorato, sembrava la pietanza più deliziosa del mondo. Stavo ancora pensando di non mangiarlo, di continuare la mia dieta... e odiai me stessa per essermi arresa... ma non volevo morire. Bisogna mangiare per vivere!

    Mi fermai un attimo prima di morderlo.

    Facendo scivolare indietro la fetta di pane superiore, cominciai ad investigare sul contenuto. Sembrava tutto normale, finché non sollevai la fetta di pomodoro dalla lattuga. All'inizio non riuscivo a capire cosa fosse... era una specie di gelatina grigio-rosa, immersa nel ketchup. Ne sollevati un'estremità filamentosa e cominciai a guardarla, finché non capii.


    Era un pezzo di cervello.


    Avrei voluto vomitare, ma il mio stomaco era completamente vuoto.


    Mi allontanai da lì più veloce che potei, guidando in direzioni a caso. Non sapevo come Backy e le ragazze riuscissero a seguirmi o a prevedere ciò che avrei mangiato, ma dovevo trovare il modo di eluderle...


    Una barretta di cioccolato dalla stazione di servizio – no. Bocconcini di pollo dal fast food – no. Ancora non capisco come facessero! Ho persino implorato un ragazzo di farmi guardare mentre preparava il panino, seguii l'intero procedimento, accertandomi che non ci fosse nulla di strano – lui mi diede il panino, aprii la confezione e – oh Dio – ricordo ancora la sua espressione confusa e terrorizzata quando cominciai a strillare...

    Ma una strana calma mi avvolse in quel momento. Avevo passato tre settimane senza mangiare? O erano quattro? Sapevo che sarei morta se non fossi riuscita a nutrirmi. Quindi mi venne una strana idea; pensai ad un posto che loro non potevano prevedere, dove il cibo non poteva essere reso disgustoso ed immangiabile...

    L'avevo trovato. C'ero riuscita, le avevo battute. Avevo trovato l'insalata di pollo più deliziosa di sempre, e la mangiai disperata, ingozzandomi, sapendo che ero finalmente salva... ma sarò onesta, l'insalata non era quello che mi aspettavo di trovare la prima volta che lo feci. Ora che ci penso, però, ha senso.

    Quando spaccai il suo cranio con quel tubo, aprendolo, quasi non potevo crederci. Il ragazzo cadde, e l'insalata di pollo schizzò per tutto il pavimento! Fresca lattuga verde e croccante – morbidi pezzetti di pollo – e quel condimento... quel condimento era buono da morire! Continuavo a trovare pezzi di persone nel mio cibo, non importava dove mangiassi... quindi il posto più logico dove trovare qualcosa di commestibile era... dentro le persone...




    Dobbiamo nutrirla per via endovenosa. Il cibo normale la terrorizza e la disgusta. Tutta questa storia mi fa pensare a come, al giorno d'oggi, lasciamo ancora che i media ci impongano con prepotenza degli standard estetici così irragionevoli...

    Anche se lei non è la paziente più strana che abbiamo, mi interessa per la sua capacità di manipolare le infermiere. A quanto pare – e ancora nessuno ha capito da chi è stata aiutata – è riuscita a convincere qualcuno a nascondere dei pezzi di corpo umano nel suo cibo le prime volte che abbiamo cercato di darle da mangiare. O almeno questa è l'unica spiegazione sensata per quegli incidenti...

    Aggiornamento: Ho letto altre schede, e continuano ad inquietarmi...

    Parte 2 >



    Edited by & . - 24/6/2020, 15:56
  15. .
    Progetto interessante, mi ricorda molto il background di Gone whit the Blastwave (dagli uno sguardo se vuoi, potrebbe esserti utile per sviluppare la storia: Click! ).

    Personalmente ti consiglio di incentrare il tutto su un tipo di horror più psicologico, che credo sia il tipo più indicato per questo tipo di storia. Cerca di mettere in primo piano le vicende umane dei personaggi, alcune delle tematiche che potresti trattare sono:

    -Paura di perdere le persone care: in un gruppo di ragazzi in una situazione simile si creano legami forti, messi continuamente a repentaglio dalla natura ostile del mondo in cui si trovano.

    -Paura di essere traditi: ad esempio dopo l'alleanza con la seconda pattuglia di ragazzi russi. Puoi usare questo espediente per creare un clima di diffidenza e continua tensione tra i personaggi. In fondo, il loro compito non è eliminare il nemico? Ma magari vogliono solo collaborare... o forse no?

    -Graduale decadimento dell'etica e degli ideali dei personaggi: un mondo estremo ti porta ad usare espedienti estremi per sopravvivere, e non c'è nulla di più terribile per un uomo di svegliarsi una mattina e scoprire di essere diventato un mostro...

    Come LOST insegna, mantieni sempre vaga la componente mostruosa e sovrannaturale. È l'indefinito che fa shittare mattoni (concetto che in un certo senso sosteneva pure Leopardi ne "L'infinito"). Se qualcosa sanguina vuol dire che può morire, dunque non c'è molto da temere, ma se quel qualcosa riesci a stento a percepirlo tende a terrorizzarti.

    Spero di esserti stato utile, e facci sapere come si evolve il progetto!

    P.S.

    Aho! Se fai i sordi ricordate de l'amichi tua! Me raccomanno, eh! :ahse:
256 replies since 31/1/2013
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